Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Oltre l'immondizia
di Pier Luigi Starace Bertacchi

"Nyamanto" in italiano si traduce "immondizia". Ed è il titolo di un film del regista maliano Sissoko: una testimonianza asciutta e dignitosa sulle condizioni di vita e di sfruttamento della povera gente, anche in Africa. Al contempo, un atto di accusa contro la carità pelosa di tanti "benefattori".

In tempi di generale scoraggiamento di fronte al discorso sulla giustizia sociale, è una sorpresa che trovo intimamente commovente veder rilanciato con forza genuina il tema, da una terra molto distante geograficamente e culturalmente, il Mali.
Alludo a "Nyamanton", "Immondizia", tradotto in italiano con "La lezione delle immondizie", film premiato, fra altro, a Ouagadougou ed a Cannes, del giovane regista maliano Oumar Sceik Sissoko. Un film girato alla macchia, del costo di 30 milioni di lire, usando fondi destinati ad un documentario più o meno di regime, e con l'aiuto dell'ente cinematografico jugoslavo per il montaggio.
Proprio l'anno scorso, anno di produzione del film, mi trovavo per la prima volta nel luogo dove è stato girato, Bamako, la capitale del Mali, e quindi posso aver qualche titolo se non altro per valutare l'aderenza dell'opera alla realtà locale.
Alla realtà: "Nyamanton" è un film senza ombra di sussiego, che scruta terra terra, al livello a cui giace l'immondizia, appunto, per proseguire poi, senza soluzione di continuità, a scrutare l'immondizia interiore e sociale; attori e comparse sono gente della strada, neppure un minimo dettaglio nell'abbigliamento o nel modo di fare li distingue dai normali abitanti di Bamako finiti nell'obiettivo della cinepresa quando meno se lo aspettavano.
Ancora adesione alla realtà mostra Sissoko nel far avanzare il clinamen tragico della vicenda lungo le tensioni spietate o il singhiozzante umorismo della quotidianità dei miserabili, senza nulla di costruito, di letterario, di citato, e men che mai di compiaciuto.

"Vedrete cambierà"
Ecco un'esposizione dettagliata della trama.
Chaka, uno degli innumerevoli immigrati a Bamako dal villaggio natio, per esercitare quello che la dichiarazione dei diritti dell'uomo degli USA definisce "la ricerca della felicità", ha trovato un posto di autista presso una ricca famiglia locale, che lo retribuisce così bene da non permettergli di mantenere né la moglie Saran, che lavora come domestica, né di mandare a scuola i due figli, la grande, Fanta, di 11 anni, ed il piccolo, Khalifa, di 9.
Infatti per poterlo fare occorre portare da casa un banco. A Saran, che va a pregare il maestro di tenere lo stesso in aula i bambini, quest'ultimo risponde che la legge è legge, e che lui non vuole grane col Direttore. I genitori allora acquistano un banco, contraendo un debito. Per pagarlo Khalifa dovrà, dopo la scuola, raccogliere immondizie nei quartieri dei ricchi (i poveri non ne producono, e solò chi è stato a Bamako sa con quale disperato accanimento viene conservato e commercializzato il più logoro e lercio sacchetto di plastica), e Fanta vendere arance per strada.
Per il trasporto servono a Khalifa un carrettino ed un amichetto un po' robusto che lo aiuti a spingerlo: il noleggio dell'uno e la retribuzione dell'altro significano una grossa decurtazione preventiva del possibile introito giornaliero. Introito variante a seconda degli esiti delle umilianti contrattazioni sulla retribuzione di ogni singolo servizio che Khalifa deve intavolare con le capricciose matrone dei quartieri "alti".
In quanto a Fanta, a parte l'esiguità del margine di guadagno sulla vendita delle arance, succede più d'una volta di perdere la merce, perché rapinata da ragazzi che hanno meno di lei, o terrorizzata da adulti in vena di gallismo.
Così, nelle riunioni serali della famiglia, quando si attende la cena sdraiati sulla stuoia del cortile nel primo fresco, Khalifa comincia a capire, quando conta i franchi guadagnati, quanto poco renda una fatica che gli ha indolenzito tutto il corpo, e Fanta di essere la più debole in assoluto nella giungla della strada.
Alla domanda brutale dei figli a Chaka: "Perché?" egli non può che rispondere: "Vedrete, cambierà".
Khalifa osserva il mondo dei ricchi: la pigra ma insaziabile caccia alle donne da parte del possessore di un'automobile di lusso, le aspirazioni all'eterna giovinezza della signora agiata, affidate al maquillage, le contemplazioni televisive di idioti film di Kung-fu trasmessi dalla televisione di stato.
Non mancano altri accenni al mondo dei poveri, come la scena d'osteria con le intemperanze del lavoratore ubriaco che cerca così di nascondersi la realtà del licenziamento: in questa come in molte altre scene più avanti, Sissoko mette in evidenza la genesi diretta di forme di comportamento scomposto, e poi addirittura di stati nevrotici, da fattori non esistenziali né fisiologici, ma sociali.
Intanto il banco viene pagato: ma il lavoro deve continuare, perché sono aumentate le tasse scolastiche.
Una vicina in stato interessante è presa da un grave malore. Viene trasportata a braccia fino al "goudron de l'aeroport", una delle pochissime vie asfaltate di Bamako, che porta dalle alture periferiche (dove abitano i protagonisti) verso il basso centro della città, dove c'è l'ospedale.
Il marito della gestante e Chaka fermano un taxi. Il tassista chiede una cifra di mille franchi superiore alle possibilità del richiedente, e tira via. Nessuna macchina si ferma. Disperato l'uomo issa la moglie in deliquio in bicicletta, se la lega alla vita, e via per la discesa. All'arrivo nelle vie dissestate della città, l'uomo sbanda, la bicicletta viene investita da un'auto, il cui guidatore, solo per non avere grane, li scodella all'ospedale.
La donna viene abbandonata dal personale su un giaciglio, mentre il marito è costretto a lasciarla anche lui per la brutale necessità di recuperare la preziosa bicicletta.
Passano alcuni giorni nei quali la disperazione del futuro padre per il disinteresse dei medici verso la paziente povera raggiunge punte da nevrosi, finché giunge il momento del parto: nasce una bimba, ma la madre muore.

Rabbia disperata
La famiglia mutilata e quella di Chaka si ricompongono presso le loro capanne periferiche: ai singhiozzi sconvolti di Saran per la morte dell'amica, si contrappone la presenza dello Stato accanto ai colpiti dalla sventura: un conto pazzesco da pagare per l'inutile degenza ospedaliera. Di fronte all'amico senza mezzi ed alla neonata già minacciata dalla fame, Chaka non ha dubbi: s'impegna a chiedere un prestito, poi un anticipo sul salario, ed a sacrificare i risparmi dei suoi figli, per saziare la cieca voracità istituzionale.
Quindi va a scuola, chiedendo se è possibile una dilazione del pagamento delle nuove tasse.
Il potere, sotto l'aspetto di un funzionario sordido ed arrogante, nega, e, alla domanda di Chaka: "Insomma, che cosa ci fate con i nostri soldi?" risponde: "Ce li mangiamo, e col resto vi mandiamo in galera".
La notte, durante un temporale, Saran ha degli incubi: vede Khalifa cresciuto finire in prigione per furto, e Fanta adolescente costretta di notte a vendere l'amore al primo venuto.
Il risveglio non dissipa i fantasmi. I due piccoli ricevono a scuola la notizia che non potranno ritornarvi, comprendono che il "cambierà" del padre era una pietosa bugia per bambini, che il loro destino è di diventare come i loro genitori. Non resta ora che dedicarsi a tempo pieno all'immondizia e alle arance, scambiandosi una sola battuta: "Perché non siamo morti da piccoli?".
Resta graffiata nel cuore la rabbia disperata del ritmo del passo con il quale i due innocenti scendono dal vuoto di speranza della verde periferia verso il vuoto di speranza del polveroso centro di Bamako. Forse tutto ciò non ha bisogno di commenti. Ma uno voglio farlo, per introdurre una considerazione che mi sta molto a cuore, partendo dalla scena del sacrificio di Chaka e della sua famiglia per la neonata ed il vedovo.
Sissoko mostra nell'atto di questo sottoproletariato del quarto mondo la difesa suprema di tutto ciò che i ricchi ed i meno ricchi occidentalizzati hanno distrutto in se stessi: il senso di responsabilità verso il prossimo. Mentre la società "in via di sviluppo" verso i comportamenti cinici della metropoli "civile" calpesta il prossimo. Chaka arriva a calpestare se stesso ed i suoi piccoli per il prossimo.
Che Sissoko lo abbia o no voluto, questa scena apre uno spiraglio su una realtà praticamente inviolata per noi.

Quel diaframma impenetrabile
I materiali che abbiamo a disposizione per conoscere il quarto mondo - grafici sul regime pluviometrico o statistiche sulle calorie pro-capite, scoop giornalistici spettacolari, tesi di laurea in etnolinguistica, il tutto amalgamato con i luoghi comuni distratti e superficiali del turismo, che viene fra i dannati della terra per pagare poco e divertirsi molto - costituiscono forse fonte di profitto e lustro per chi li produce, ma certamente formano un diaframma impenetrabile ad una conoscenza degna di questo nome.
C'è ancora altro.
Ci sono persone che, non importa in quali organizzazioni, agiscono con responsabilità e sacrificio verso gli abitanti del Quarto Mondo. Si è creato, direi da sempre, lo stereotipo per cui tali qualità morali sono monopolio del mondo industrializzato, ennesimo e definitivo segno della superiorità morale e civile. Lo stereotipo per cui la sofferenza del redentore bianco è sublime, fa notizia, fa storia, quella della vittima non ha qualità, non interessa, dunque non esiste.
Questo stereotipo offende la verità dell'anima africana più dei negrieri e dei razzisti. Chaka, nell'atto del suo sacrificio illimitato per il prossimo, ha il diritto di gridare in faccia a tutti i missionari, i filantropi, gli educatori di ogni tipo e natura, una volta per sempre: "Quando voi vi siete trovati in questa situazione? Quando voi avete fatto questo? Mal che vi vada, voi cadrete sempre bene, noi invece ci muoviamo sull'abisso senza rete. Eppure rischiamo. Allora, una sola cosa: se nella vostra 24 ore avete anche la dignità da regalarci o restituirci, no, grazie: quella l'abbiamo sempre avuta".