Rivista Anarchica Online
E non si finisce
mai...
di Gianfranco Bertoli
All'indomani
dell'entrata in vigore - a fine '86 - delle nuove norme sull'ergastolo,
i mass-media hanno sostenuto in coro che in Italia il carcere a vita
non esiste più. Secondo l'anarchico Gianfranco Bertoli, che
sta scontando l'ergastolo a Porto Azzurro, la realtà è
però un'altra. Riproduciamo il
testo dell'intervista fattagli in merito da "La grande
promessa", la rivista prodotta in quel carcere.
Tu ti trovi da
molti anni in carcere, condannato all'ergastolo; sino ad ieri la
situazione per un ergastolano era quasi disperata. Pensi che con le
nuove leggi di riforma possa cambiare qualcosa anche per chi ha
l'ergastolo?
Il termine
"ergastolano" denomina gli appartenenti ad un insieme
eterogeneo di individui che hanno in comune la semplice circostanza
accidentale di avere subito lo stesso tipo di condanna. Con questo
vorrei dire, parafrasando Orwell, che "tutti gli ergastolani
sono condannati a vita, ma alcuni sono più condannati a vita
degli altri".
Verissima, ma la
legge che abbassa il tetto per l'ammissione alla condizionale a
ventisei anni, oppure che concede la semilibertà anche
all'ergastolano, dovrebbe avere un'incidenza sulla durata della pena
per tutti. Che pensi?
Qualche giornale
ha parlato di queste innovazioni dicendo: "da oggi l'ergastolo
di fatto non esiste più". Questa asserzione è non
tanto inesatta, quanto totalmente falsa. L'ergastolo continua ad
essere nei codici ed a esservi previsto come pena perpetua. Le nuove
norme permettono che una domanda di liberazione condizionale venga
presentata prima, ma non influiscono sui criteri per la concessione
della stessa. Prima di queste innovazioni poteva venire inoltrata
dopo ventotto anni di carcere, eppure ho incontrato spesso, e li
avrai incontrati anche tu, degli ergastolani che si trovavano in
carcere da trenta, trentacinque ed anche più anni. Spesso
senza che la mancata ammissione alla liberazione condizionale avesse
molto a che vedere con il comportamento tenuto durante la detenzione.
Ritieni positiva
questa formulazione di legge che lascia discrezionalità ai
giudici?
Un certo grado
di discrezionalità c'è sempre nell'applicazione di
qualsiasi legge. Vi sono però leggi di tre tipi: quelle che
vietano, quelle che obbligano e quelle che permettono. Sarà un
caso, ma mentre le leggi dei primi due tipi sono sempre estremamente
dettagliate e perentorie, quelle del terzo tipo contengono sempre la
previsione di condizioni ostative e limitative non di rado
ambiguamente formulate e che lasciano spazio ad interpretazioni
soggettive. Spesso questo tipo di discrezionalità può
intimorire chi deve interpretarle inducendolo ad una esasperata
"tirchieria" nella elargizione dei benefici previsti.
A proposito di
permessi, secondo la legge, un ergastolano dopo dieci anni di pena
effettivamente scontata, in cui sono computati gli abbuoni di pena
suddetti, può uscire in permesso. So che tu hai scontato oltre
tredici anni, senza calcolare gli sconti di liberazione anticipata,
quindi sei ammissibile ai permessi, quando pensi di andare?
La tua domanda
mi offre la possibilità di meglio chiarire un concetto che ho
cercato di esprimere prima. La norma di legge in questione, oltre a
richiedere l'avvenuta espiazione di una determinata parte della pena,
esige la sussistenza contemporanea di due condizioni congiunte, dove
la mancanza di una priva di ogni effetto l'esistenza dell'altra. Tali
condizioni sono: la buona condotta e il fatto che il soggetto non
venga ritenuto di particolare pericolosità sociale. Ora,
mentre la prima circostanza può essere facilmente verificata,
la seconda lo è molto meno. L'uso di un termine come
"ritenuto", che implica un giudizio del tutto soggettivo, e
quello dell'espressione "pericolosità sociale", che
fa riferimento ad una prerogativa "disposizionale",
ipotizzabile ad libitum
per chicchessia, introducono una palese nota di ambiguità. C'è
un rischio sempre presente in questi casi: quello che la mancanza di
validi parametri possa spingere a stabilire l'esistenza o meno di
siffatta pericolosità particolare, rifacendosi, sic
et simpliciter, alle circostanze degli episodi che hanno
determinato la condanna. Se così fosse, e non è
impossibile che ciò avvenga, si costituirebbe un vero e
proprio "circolo vizioso", anche giuridicamente aberrante,
che si realizzerebbe, oggettivamente, nel ricondannare sine
die la stessa persona fatto-reato. Nel caso che
questa ipotesi non si dimostri del tutto fallace, alla tua domanda
precisa, posso risponderti con altrettanta precisione: mai!
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