Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 144
marzo 1987


Rivista Anarchica Online

E non si finisce mai...
di Gianfranco Bertoli

All'indomani dell'entrata in vigore - a fine '86 - delle nuove norme sull'ergastolo, i mass-media hanno sostenuto in coro che in Italia il carcere a vita non esiste più. Secondo l'anarchico Gianfranco Bertoli, che sta scontando l'ergastolo a Porto Azzurro, la realtà è però un'altra. Riproduciamo il testo dell'intervista fattagli in merito da "La grande promessa", la rivista prodotta in quel carcere.

Tu ti trovi da molti anni in carcere, condannato all'ergastolo; sino ad ieri la situazione per un ergastolano era quasi disperata. Pensi che con le nuove leggi di riforma possa cambiare qualcosa anche per chi ha l'ergastolo?

Il termine "ergastolano" denomina gli appartenenti ad un insieme eterogeneo di individui che hanno in comune la semplice circostanza accidentale di avere subito lo stesso tipo di condanna. Con questo vorrei dire, parafrasando Orwell, che "tutti gli ergastolani sono condannati a vita, ma alcuni sono più condannati a vita degli altri".

Verissima, ma la legge che abbassa il tetto per l'ammissione alla condizionale a ventisei anni, oppure che concede la semilibertà anche all'ergastolano, dovrebbe avere un'incidenza sulla durata della pena per tutti. Che pensi?

Qualche giornale ha parlato di queste innovazioni dicendo: "da oggi l'ergastolo di fatto non esiste più". Questa asserzione è non tanto inesatta, quanto totalmente falsa. L'ergastolo continua ad essere nei codici ed a esservi previsto come pena perpetua. Le nuove norme permettono che una domanda di liberazione condizionale venga presentata prima, ma non influiscono sui criteri per la concessione della stessa. Prima di queste innovazioni poteva venire inoltrata dopo ventotto anni di carcere, eppure ho incontrato spesso, e li avrai incontrati anche tu, degli ergastolani che si trovavano in carcere da trenta, trentacinque ed anche più anni. Spesso senza che la mancata ammissione alla liberazione condizionale avesse molto a che vedere con il comportamento tenuto durante la detenzione.

Ritieni positiva questa formulazione di legge che lascia discrezionalità ai giudici?

Un certo grado di discrezionalità c'è sempre nell'applicazione di qualsiasi legge. Vi sono però leggi di tre tipi: quelle che vietano, quelle che obbligano e quelle che permettono. Sarà un caso, ma mentre le leggi dei primi due tipi sono sempre estremamente dettagliate e perentorie, quelle del terzo tipo contengono sempre la previsione di condizioni ostative e limitative non di rado ambiguamente formulate e che lasciano spazio ad interpretazioni soggettive. Spesso questo tipo di discrezionalità può intimorire chi deve interpretarle inducendolo ad una esasperata "tirchieria" nella elargizione dei benefici previsti.

A proposito di permessi, secondo la legge, un ergastolano dopo dieci anni di pena effettivamente scontata, in cui sono computati gli abbuoni di pena suddetti, può uscire in permesso. So che tu hai scontato oltre tredici anni, senza calcolare gli sconti di liberazione anticipata, quindi sei ammissibile ai permessi, quando pensi di andare?

La tua domanda mi offre la possibilità di meglio chiarire un concetto che ho cercato di esprimere prima. La norma di legge in questione, oltre a richiedere l'avvenuta espiazione di una determinata parte della pena, esige la sussistenza contemporanea di due condizioni congiunte, dove la mancanza di una priva di ogni effetto l'esistenza dell'altra. Tali condizioni sono: la buona condotta e il fatto che il soggetto non venga ritenuto di particolare pericolosità sociale. Ora, mentre la prima circostanza può essere facilmente verificata, la seconda lo è molto meno. L'uso di un termine come "ritenuto", che implica un giudizio del tutto soggettivo, e quello dell'espressione "pericolosità sociale", che fa riferimento ad una prerogativa "disposizionale", ipotizzabile ad libitum per chicchessia, introducono una palese nota di ambiguità. C'è un rischio sempre presente in questi casi: quello che la mancanza di validi parametri possa spingere a stabilire l'esistenza o meno di siffatta pericolosità particolare, rifacendosi, sic et simpliciter, alle circostanze degli episodi che hanno determinato la condanna. Se così fosse, e non è impossibile che ciò avvenga, si costituirebbe un vero e proprio "circolo vizioso", anche giuridicamente aberrante, che si realizzerebbe, oggettivamente, nel ricondannare sine die la stessa persona fatto-reato. Nel caso che questa ipotesi non si dimostri del tutto fallace, alla tua domanda precisa, posso risponderti con altrettanta precisione: mai!