Rivista Anarchica Online
Perché non
ci saremo
di Paolo Finzi
Il 14 giugno
(forse) i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per i
referendum. I tre più controversi riguardano il nucleare. Ma -
contrariamente a quanto si vuol far credere - non saranno per nulla
decisivi. Nella sostanza
ed anche nella forma le decisioni saranno prese altrove. Anzi sono
già state prese. Una ragione in
più per non prendere parte a questa sceneggiata.
Forse questo
editoriale - quando la rivista sarà in edicola - risulterà
terribilmente prematuro. O, all'opposto, addirittura superato. Se ci saranno le
elezioni anticipate, infatti, i referendum slitteranno all'anno
prossimo. Se invece i partiti riusciranno a trovare un accordo in
sede parlamentare per modificare le leggi contestate, i referendum
salteranno definitivamente. Il governo stesso, nel fissare la data
dei referendum nell'ultimo giorno concesso dalla legge, ha dimostrato
di sperare che una di queste due ipotesi possa avverarsi. Nel frattempo,
comunque, è già iniziata la campagna elettorale
referendaria. E noi, che pure già abbiamo espresso la nostra
opinione in merito nell'ambito del recente dossier antinucleare (A.
Papi, Il nanocurie e la scheda, "A"
138), qualcosa da dire l'abbiamo.
Il fronte
nucleare
Il fronte
filo-nucleare, che con varie sfumature va dai fanatici dell'atomo
dell'ENEL e dell'ENEA ai partiti della sinistra storica (comprendendo
sindacati, confindustria, ecc.), ha accentuato la sua opera di
disinformazione e di pressione, tirando fuori alcuni assi dalla
manica. Uno per tutti, il documento sottoscritto dai più noti
fisici italiani (da Rubbia ad Amaldi) che - al momento buono - hanno
dimostrato senza alcuna incertezza da che parte stanno: dalla parte,
sia detto per inciso, di chi li paga. Alla faccia di tutte le ciance
che si sentono ripetere in giro sulla "responsabilità
morale" degli uomini di scienza, sulla loro neutralità,
sul loro carattere di "tecnici imparziali" al servizio
della verità. Una lettura attenta
dei principali quotidiani della seconda metà di febbraio,
all'indomani appunto della fissazione della data dei referendum, la
dice lunga anche sulla parallela opera di disinformazione, di subdolo
sostegno quando non di difesa a spada tratta degli interessi della
lobby filo-nucleare. Si distingue, tra gli altri, La Repubblica
che - non immeritatamente, ci pare - si vanta di essere il più
"venduto" tra i quotidiani italiani. Anche le
associazioni promotrici dei referendum sul nucleare, e in genere le
associazioni ambientaliste, hanno aperto la loro campagna
referendaria. La prima a muoversi in questo senso è stata
Democrazia Proletaria, con una manifestazione a Roma il 14 febbraio.
Nella polarizzazione che sempre caratterizzata le campagne
elettorali, tutti sono spinti a schierarsi. Tutti sono invitati, non
sempre con toni cortesi, a partecipare alla grande bagarre
elettorale. Nessuno deve disturbare lo spettacolo alla cui messa in
scena entrambi i fronti contribuiscono con pari determinazione.
Sembra quasi che non ci sia spazio per opinioni, scelte, metodi di
intervento diversi. Anche gli autonomi, che con grande spiegamento di
verbosità, slogan truculenti, propositi "durissimi"
si sono proposti nei mesi scorsi come i "veri rivoluzionari"
della situazione, appena è scoccata la campagna elettorale si
sono schierati "in difesa dei referendum": dalla spranga
alla scheda il passo non è poi così lungo. I tre referendum
sul nucleare non decideranno un bel niente. Le scelte energetiche non
sono assolutamente vincolate all'esito delle urne del 14 giugno. È
bene averlo molto, molto chiaro. In Italia non esiste una legge
specifica che sancisca la costruzione di centrali nucleari, per cui
non c'è marchingegno legale che possa "abrogarle".
Il 14 giugno chi andrà a votare sarà chiamato ad
esprimere il proprio parere in merito all'abrogazione di due commi
della legge n. 8 del 10-1-1963 e della legge n. 856 del 18-12-1973,
che regolamentano rispettivamente le responsabilità
istituzionali nell'individuazione delle aree adatte alla costruzione
di una centrale, i finanziamenti dovuti agli enti locali che ospitano
centrali nucleari, nonché la partecipazione dell'Italia a
progetti nucleari stranieri.
La solita farsa
Se anche dovessero
vincere i "sì", ci ritroveremmo con la stessa
situazione del giorno prima. Caorso continuerebbe a funzionare
(male), il cantiere di Montalto non dovrebbe interrompere i lavori,
ecc... Di diverso rispetto
a prima ci sarebbe solo, sul piano legislativo, il vuoto
rappresentato dalle tre disposizioni abrogate: un vuoto che
spetterebbe al parlamento riempire al più presto. E in
parlamento, si sa, la lobby filo-nucleare coincide più o meno
precisamente con il famoso arco costituzionale: conta dunque su
almeno il 90% dei consensi. C'è chi
obietta, però, che anche se sul piano forma la situazione è
incontestabile questa, ben diverso sarebbe lo scenario
politico-sociale italiano dopo un successo (magari travolgente) dei
"sì". Le forze politiche non potrebbero non tener
conto della sostanza dell'indicazione popolare: ne andrebbe della
loro credibilità e questo, ad un anno dalle elezioni
politiche, non potrebbero permetterselo. Risultato: uno stop deciso
al progetto nucleare. Sarà, ma noi
pensiamo che i giochi siano stati già fatti da tempo. Nemmeno
Chernobyl li ha sostanzialmente modificati, al di là del
grande dibattito che ne è seguito. La vittoria dei "sì"
o dei "no" sarà comunque riciclata all'interno del
pateracchio che da tempo lo Stato sta preparando. Anzi, concretamente
realizzando: a Montalto, a Trino Vercellese, ecc...
Al di fuori
delle istituzioni
Il 14 giugno noi
resteremo a casa. O andremo in campagna. A votare, no. "Eh già,
voi anarchici... C'era da immaginarselo: tanto voi quando c'è
da andare alle urne vi astenete sempre". La sentiamo già
la solita obiezione che ci viene mossa: l'abbiamo sentita in
occasione del "nostro" primo referendum, quello del '73 sul
divorzio (in occasione del precedente, quello istituzionale del 2
giugno '46, nessuno di noi della redazione era nato). Ci è
stata puntualmente ripetuta in occasione dei referendum successivi e
delle raccolte di firme anche per quei referendum che non si sono
potuti tenere. Sì, è
vero, noi a votare non ci siamo mai andati. Né alle elezioni
politiche, né a quelle amministrative, né ai
referendum. Siamo gli unici ad avere alle spalle una vera e propria
"cultura" dell'astensionismo, che poco o niente ha a che
vedere con l'astensionismo tattico che in varie occasioni è
stato portato avanti da diverse forze politiche. Eppure, anche se di
fatto ad ogni appuntamento elettorale rinnoviamo e proseguiamo una
"tradizione" non ci sentiamo da questa condizionati. Il
nostro astensionismo è, ogni volta, una scelta precisa,
ponderata, fatta guardando al presente e non ai "sacri testi"
(quali?) o al "glorioso passato" (dove?). In altre parole, se
è vero che ci sono ragioni di fondo - la sfiducia nelle
istituzioni, la volontà di dare un segno di estraneità -
che ci spingono a disertare le urne, noi siamo convinti che questa
nostra scelta potrebbe positivamente esser fatta propria anche da
tutti quei settori e quelle persone che, pur non richiamandosi
all'anarchismo, come noi lavorano per la realizzazione di rapporti
interpersonali, di metodi di vita e di lotta, di una società
"a misura d'uomo". Una società del tutto estranea,
ed anzi coscientemente antitetica, a quella attuale, fondata su un
modello verticale (capi-subordinati, partiti-elettori, ecc...),
gerarchico, centralizzato e centralizzatore. In vari settori
della società, non ultimo quel magma per tanti aspetti
indistinto che è "l'arcipelago verde", per esempio,
noi riscontriamo - non da oggi - l'emergere di posizioni
tendenzialmente libertarie, insofferenti della solita gabbia
"politica' in cui si cerca di costringerle. Come è emerso
chiaramente a Finale Ligure ed in altre assemblee dei verdi, non
tutti coloro che sono impegnati nelle battaglie ecologiste sono
sostenitori della "lunga marcia attraverso le istituzioni". Accanto ai vari
Marcoboati secondo cui il movimento verde dovrebbe sempre più
istituzionalizzarsi e fungere da cinghia di trasmissione tra la
"domanda verde" ed il Palazzo, ci sono individui e gruppi
che pensano ed agiscono al di fuori delle solite logiche
istituzionali e gerarchiche. In obiettiva rotta di collisione con i
burocrati ARCl vecchi o nuovi, questi settori rappresentano in qualche
modo l'anima libertaria, decentralizzatrice, "fondamentalista":
la meno disponibile ai soliti vecchi giochi di potere, la più
interessante per chi - come noi - cerca di cogliere e valorizzare
quanto si muove nel sociale con voce e metodi di libertà. Oltre che con i
continui tentativi di strumentalizzazione da parte dei soliti
politicanti, questi settori dovranno sempre più fare i conti
con le istituzioni, con il potere. Si tratta di una riflessione non
più eludibile, se davvero vorranno evitare che il movimento
verde diventi - al di là di qualsiasi scelta formale - un altro
partitino tra i tanti, un'altra cinghia di trasmissione del consenso
alle istituzioni. Con il nostro astensionismo e la cultura che lo
sottende, noi assicuriamo a questa riflessione un contributo
significativo. Anche se il 14
giugno ci troveremo a compiere scelte diverse, prima e dopo ci
aspettano battaglie da compiere assieme. Non poche e non piccole.
Comunque, al di fuori della logica istituzionale.
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