Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 142
dicembre 1986 - gennaio 1987


Rivista Anarchica Online

Storia d'arte e anarchia
di Marina Padovese / Fabio Santin

Una delle forme in cui si esprime il potere. Ma al contempo un elemento incontrollabile, soggettivo, libero. La storia dell'arte ne evidenzia queste possibili funzioni. E altre ancora.

Si potrebbe sostenere che nell'anarchismo la dimensione estetica sia diretta e necessaria conseguenza della sua fondamentale dimensione etica. Per l'anarchismo, l'essere umano non può che essere visto nella sua totalità. E infatti già dai primi pensatori anarchici il problema dell'arte fu affrontato con grande interesse e notevoli intuizioni, guardando all'arte come uno dei momenti più alti del pensiero e dell'espressione dell'uomo e come simbolo dell'energia creativa della società.
"La ragione prima e fondamentale che, alla fine dell'800, spinse molti artisti, poeti e critici a rivolgersi con simpatia al movimento anarchico, scaturiva dal rifiuto di una società industriale che andava provocando squilibri sociali devastanti e che mercificava ogni prodotto del lavoro, anche artistico. (...) Il movimento anarchico, più degli altri movimenti politici dedicava nei suoi giornali e nei suoi dibattiti uno spazio rilevante ai problemi artistici, e meno degli altri aveva assunto un'organizzazione centralizzata e vincolante". (B. Recchilongo).
William Godwin, uno dei primi grandi pensatori libertari, rifiutava ogni sistema sociale che presupponesse un governo e sosteneva la necessità di creare una struttura basata su comunità di dimensioni limitate. La sua teoria comunitaria ebbe in seguito un profondo influsso sull'urbanistica e il suo atteggiamento antistatale ed egualitario attirò l'attenzione di molti scrittori e artisti professionisti. Le idee di Godwin si diffusero soprattutto fra gli esponenti dell'avanguardia romantica inglese e, insieme a quelle dei rivoluzionari francesi, ispirarono i giovani poeti Coleridge, Southey, Shelley.
Allo stesso modo, Charles Fourier, considerato uno dei precursori dell'anarchismo, si era spinto verso la ricerca di un nuovo ordine sociale decentralizzato ed era pure lui arrivato a pensare una società divisa in comunità. Nel 1836 fondò la rivista "Phalange" in cui si pubblicò, e fu tra i primi, un suo studio sul problema degli alloggi per gli operai. Laverdant, suo discepolo, scrisse, sempre sulle pagine della rivista, che l'arte è "l'espressione della società" che "rende manifeste le idee sociali più avanzate" e quando "l'arte adempie degnamente la sua missione... l'artista è davvero d'avanguardia".
Contemporaneamente si andava delineando una nuova tendenza che, rifacendosi ad uno spirito più individualista, incominciava a rifiutare il concetto di funzione e di utilità sociale dell'arte. Questa tendenza trovò modo di esprimersi in alcuni rappresentanti della bohème e nel movimento de l'art pour l'art; questi erano su posizioni estremamente radicali rispetto all'arte del tempo e per quanto riguarda il terreno sociale sicuramente vicini all'anarchismo. Secondo Baudelaire, uno degli interpreti più noti di questa tendenza, è la fantasia pura a produrre "l'arte per l'arte, un'arte orgogliosa che non è serva di nessuno, dal momento che si pone tutti i suoi problemi dall'interno". (E. Wind)

La Comune di Parigi
Se in questo periodo storico, caratterizzato dal crescente sviluppo del capitalismo, l'arte si è ormai separata dalla società, da precisa funzione sociale è ridotta a pura espressione, da partecipazione e fruizione pubblica a patrimonio di élite, non a caso appartenenti alle nuove classi dominanti, nella società utopica dovrà ritrovare la sua funzione centrale, dovrà ritrovare dignità, ridiventare un'esigenza.
In Francia, dopo la caduta di Luigi Filippo, una fra le più conosciute associazioni di artisti e scrittori d'avanguardia fu il "Club de la revolution" di cui faceva parte, fra gli altri, P. J. Proudhon. Nel suo saggio "Du principe de l'art et de sa destination sociale"(1) rifacendosi alle teorie di Hegel sulla morte dell'arte (2) scrisse: "La società si separa dall'arte e la estromette dalla vita reale; la trasforma in strumento di piacere e di divertimento: un passatempo a cui però non tiene; l'arte è qualcosa di superfluo, è lusso, vanità, dissolutezza, illusione; è tutto quel che si vuole. Non è più una facoltà né una funzione, non è una forma di vita né una parte integrante e costitutiva dell'esistenza".
Proudhon, nel suo intento di ridefinire il ruolo dell'arte, ne sottolineò la funzione di stimolo rivoluzionario allo sviluppo morale ed intellettuale dell'uomo, senza per questo cadere nel concetto di arte intesa come forma di propaganda, tesi fatta propria dal realismo socialista. Lo scopo dell'arte, scrisse ancora, è "quello di condurci alla conoscenza di noi stessi... e perciò di contribuire allo sviluppo della nostra dignità, al perfezionamento del nostro essere".
Attaccando il mito romantico del grande artista egli intendeva negargli, nella società futura, ogni privilegio: "l'artista sarà infine un cittadino, un uomo come un altro: seguirà le stesse regole, obbedirà agli stessi principi, rispetterà le stesse convenzioni, parlerà la stessa lingua, eserciterà gli stessi diritti e compirà gli stessi doveri. Finito il tempo dell'idolatria, degli uomini straordinari".
Le vicende della Comune di Parigi, determinanti in quegli anni di rivolte, rappresentarono "una delle ultime volte in cui un largo settore di scrittori, di poeti e di artisti parteciparono ad un'azione politica di eccezionale portata". La loro adesione "fu così pronta, spontanea e vivace che, con le loro sole forze, essi costituirono un intera compagnia di combattenti". (M. de Micheli)
Un significativo esempio di questa generosa partecipazione fu Gustave Courbet che, eletto nel Consiglio della Comune, non si era mai scostato dalle posizioni cooperative e federaliste del gruppo proudhoniano (3). Fra i vari incarichi culturali, era membro del consiglio della Comune e faceva parte della Commissione per l'Istruzione, contribuì alla messa a punto del programma della Federation des artistes de Paris nel cui comitato, assieme a Daumier, considerato il più grande "pittore satirico francese d'ogni tempo", erano pure Manet, Corot e Millet. La Federazione fu intesa in termini di corporazione di produttori, nella certezza che "il pensiero umano espresso dalla produzione degli artisti concorre potentemente alla rivoluzione sociale". (G. Coubert).
Il programma volgeva la sua attenzione anche alle arti applicate e, in largo anticipo su William Morris, ne auspicava una stretta integrazione con l'arte arrivando a prevedere un'arte collettiva alla portata di tutti.
Nello stesso periodo in Inghilterra William Morris, che criticava la specializzazione creata dalla divisione capitalistica del lavoro, causa prima della disgregazione sociale ma anche artistica, prospettava delle soluzioni ispirate ad un socialismo di tipo evoluzionistico, rifacendosi agli utopisti francesi, ma anche a Proudhon e soprattutto a Kropotkin, di cui era amico. Sia Morris che Kropotkin nutrivano una forte ammirazione per il Medio Evo, un'età nella quale, nonostante l'autoritarismo feudale, era nata "un'arte sociale organica, progressista e ricolma di speranze", specchio di un'organizzazione sociale basata sul decentramento e sul sistema di cooperazione espresso nelle guilde e che, secondo loro, rappresentava una compenetrazione dell'arte nella società mai più verificatasi in seguito. L'arte del Medio Evo doveva la sua grandezza all'idea di città, città intesa come luogo e come massima espressione dell'arte sociale; infatti gli artisti operavano per la comunità di cui facevano parte. Secondo Kropotkin la "massima aspirazione è [divenuta] vedere la propria tela incorniciata di legno dorato e appesa in un museo... l'arte del medio Evo, come l'arte greca, non conosceva quei magazzini di curiosità che chiamiamo musei o gallerie nazionali".

Tra '800 e '900
Alla fine dell'800 le correnti artistiche che facevano capo a Parigi, il neoimpressionismo e il simbolismo, e a Londra, il preraffaellismo e il neogoticismo, agivano avendo come riferimento politico, più o meno diretto, l'anarchismo. Nel dibattito sul significato del connubio tra istanze sociali ed espressione artistica si innesta la discussione sul ruolo dell'artista e sulla funzione dell'opera d'arte.
Il periodico "Le Révolté", fondato a Ginevra da Kropotkin, trasferito a Parigi da Jean Grave, nel 1887 riprese le pubblicazioni come "La Révolte", dedicando molto spazio all'arte. Grave, interpretando i principi di un'estetica libertaria, ne vide una pratica realizzazione nell'idea del teatro libero. "Se ogni spettatore potesse rendersi utile, a modo suo, all'esecuzione dell'opera a cui è chiamato ad assistere il suo appagamento intellettuale sarebbe maggiore". (J. Grave)
Signac intervenne nel dibattito con un articolo apparso sul "La Révolte", quale contributo di un compagno anarchico: "Sarebbe un errore nel quale sono caduti troppo spesso i rivoluzionari meglio intenzionati, come Proudhon, esigere sistematicamente una tendenza socialista precisa nell'opera d'arte, poiché questa tendenza si ritroverà molto più forte ed eloquente presso gli esteti puri, rivoluzionari per temperamento, che, allontanandosi dai sentieri battuti, dipingono quel che vedono, come lo sentono, e danno inconsciamente, molto spesso, un solido colpo di piccone al vecchio edificio sociale. (...) Giustizia in sociologia e armonia in arte è la stessa cosa. (...) Pittore anarchico non è colui che darà immagini anarchiche, ma colui che, senza ansia di lucro, senza desiderio di ricompensa, lotterà con tutte le sue forze di individuo libero contro le convenzioni borghesi e ufficiali col suo apporto personale. Il tema è nulla, o tutt'al più è una parte dell'opera d'arte non più importante degli altri elementi: tracciato, colore, composizione...".
Nel 1894, a causa delle forti repressioni, la rivista fu costretta nuovamente a cessare le pubblicazioni ma, poco dopo, sempre Grave fondò "Les Temps Nouveaux" che si pubblicò sino allo scoppio della prima guerra mondiale e a cui collaborarono, con loro disegni, numerosi artisti e, fra questi, i neoimpressionisti ebbero un ruolo di primo piano. (4)
Un'altra importante rivista politico-culturale di quegli anni fu la nuova edizione de "L'art social" che, grazie al contributo di alcuni intellettuali anarchici e promuovendo conferenze e dibattiti nei quartieri popolari, riuscì ad essere un punto di riferimento per la divulgazione e la conoscenza dell'arte, della letteratura e della scienza fra i lavoratori. Fernand Pelloutier, anarcosindacalista e fondatore delle "Bourses du Travail", attivo animatore della rivista fu tra coloro che auspicarono per l'arte la funzione di ausilio nella lotta sociale. "Che cos'è l'arte? si chiede in un'importante conferenza (L'art et la Révolte). Un'arma. Qual è il suo compito primario? Fare rivolte". (A. Reszler)
L'inizio del secolo è contraddistinto in arte dalla nascita dell'espressionismo; il primo gruppo tedesco, "Die Brucke", si formò nel 1905 a Dresda e si collocò all'interno delle varie tendenze dell'espressionismo europeo a fianco del movimento francese dei "Fauves", con il quale condivideva il rifiuto di precisi canoni stilistici e la dura polemica nei confronti della società. "Uno degli scopi della Brucke" scrivono i suoi componenti "è di attirare a sé tutti gli elementi e fermenti rivoluzionari, e questo lo dice il nome stesso: ponte".
La Brucke fu una comunità anarchica composta da personalità artistiche che pur conservando la propria individualità si riconoscevano in un programma volto a distruggere le vecchie regole e a ricercare la massima spontaneità nell'ispirazione, esprimendo liberamente le pressioni emotive del proprio essere.

Basta con le accademie
Il movimento Dada nacque a Zurigo dopo lo scoppio della prima guerra mondiale e, con rapidità sorprendente, si propagò in tutta l'Europa e anche negli Stati Uniti: rappresentò sicuramente il massimo tentativo nichilista di negazione della cultura e dei miti razionalisti della società dell'inizio del secolo. La critica dadaista colpì innanzitutto una società accusata d'aver provocato la tragedia della guerra, ma non risparmiò via via tutti i movimenti artistici che le erano preceduti e le stesse avanguardie a lei contemporanee. L'incessante volontà di distruzione dei dadaisti si estrinsecò in una continua provocazione: fu il tentativo di trasformare in azione la poesia; fu, insomma, il tentativo più esasperato di saldare la frattura tra arte e vita.
Dal manifesto Dada del 1918, scritto da Tristan Tzara: "così nacque DADA, da un bisogno d'indipendenza, di diffidenza verso la comunità. Coloro che sono con noi conservano la loro libertà. Noi non riconosciamo alcuna teoria. Basta con le accademie cubiste e futuriste, laboratori di idee formali. L'arte serve per ammucchiar denari e accarezzare i gentili borghesi? Tutti i gruppi d'artisti sono finiti a questa banca pur cavalcando su diverse comete. (...) Io Sono contro i sistemi: l'unico sistema ancora accettabile è quello di non avere sistemi (... ) La morale atrofizza, come tutti i flagelli dell'intelligenza. Il controllo della morale e della logica ci hanno imposto l'impassibilità davanti agli agenti di polizia, causa della nostra schiavitù, putridi ratti di cui la borghesia ha ingombra la pancia e che hanno infettato gli unici corridoi di nitido e trasparente cristallo che restavano ancora aperti agli artisti. (... ) Ogni forma di disgusto suscettibile di diventare una negazione della famiglia è Dada: la protesta a pugni di tutto l'essere intento a un'azione distruttiva è Dada: l'abolizione della logica, la danza degli impotenti della creazione è Dada; l'abolizione di ogni gerarchia e di ogni equazione sociale di valori stabilita fra i servi che sono tra noi servi è Dada; ogni oggetto, tutti gli oggetti, i sentimenti e le oscurità, le apparizioni e l'urto preciso delle linee parallele sono mezzi di lotta Dada; (...) Libertà: DADA DADA DADA, urlio di colori increspati, incontro di tutti i contrari e di tutte le contraddizioni, di ogni motivo grottesco, di ogni incoerenza: LA VITA".
Ultima delle avanguardie artistiche del Novecento, il surrealismo raccolse la carica di dissacrazione dei dadaisti dando però, a differenza di questi, un senso propositivo alle esigenze di libertà, individuale e sociale.
Il problema della libertà fu uno dei nodi centrali di tutta l'esperienza surrealista vissuto comunque nella convinzione di poterla ottenere in "una società senza classi, senza Stato, in cui possano realizzarsi tutti i valori e tutte le aspirazioni dell'uomo". (A. Breton)
"In omaggio a Guillaume Apollinaire... Soupault e io chiamammo surrealismo la nuova maniera d'espressione pura...", disse André Breton, fondatore del movimento, il cui pensiero fu segnato dalle teorie di Marx in campo sociale e da quelle di Freud in campo psicologico. "Noi abbiamo proclamato da lungo tempo la nostra adesione al materialismo dialettico, di cui facciamo nostre tutte le tesi: primato della materia sul pensiero, adozione della dialettica hegeliana... concezione materialistica della storia... necessità della Rivoluzione sociale... Della psicologia contemporanea, il surrealismo ritiene essenzialmente ciò che tende a dare una base scientifica alle ricerche sull'origine e i mutamenti delle immagini ideologiche. È in questo senso che il surrealismo ha annesso una particolare importanza alla psicologia del processo del sogno così come Freud l'ha spiegata". (A. Breton)
Indotto dagli studi di Freud e basandosi sulle sue scoperte, nel Primo Manifesto scrive: "Per merito tuo l'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i suoi diritti".
Per quanto riguarda la lotta politica, Breton precisò il suo pensiero nel Secondo Manifesto del Surrealismo del 1929 (il primo era stato scritto nel '24): "Il problema dell'azione sociale, tengo a tornare su questo punto e v'insisto, è soltanto una delle forme di un problema più generale che il surrealismo si è sentito in dovere di sollevare e che è quello dell'espressione umana in tutte le sue forme".
"I poeti degni di questo nome, come i proletari, rifiutano d'essere sfruttati. La poesia vera è inclusa in tutto ciò che non si conforma a questa morale, a una morale che, per mantenere il suo ordine, il suo prestigio, non sa far altro che costruire banche, caserme, prigioni, chiese e postriboli" scrive Paul Eluard, che con Breton e altri, già dai primi anni trenta, aveva ormai lasciato il partito comunista francese a cui per un breve periodo aveva aderito.
I partiti comunisti facevano propria in quel tempo l'estetica del realismo socialista, imposta formalmente da Mosca nel 1934, sottoponendo sempre più gli artisti che si erano avvicinati al loro controllo e alla loro direzione. "Nello specchio nero dell'anarchismo il surrealismo si è riconosciuto per la prima volta, prima ancora di definirsi a se stesso e quando ancora non era che una libera associazione fra individui che rifiutavano spontaneamente e in blocco le costruzioni sociali e morali del loro tempo... Perché in tale momento non poté aver luogo una fusione organica fra elementi anarchici propriamente detti ed elementi surrealisti? Venticinque anni dopo sono ancora qui a chiedermelo". (A. Breton, 1952)
Se da un lato, quindi, coerentemente con i propri presupposti si valutava positivamente l'arte in quanto tale, vista come una delle essenziali espressioni dell'individualità umana, dall'altro, in sintonia con molto del pensiero di sinistra, si tendeva a valutare l'arte solo in quanto possibile e potente media da mettere al servizio del proprio progetto politico. Questa visione, comunque, fu certamente più vicina ad un'interpretazione estetica di tipo marxista, da cui ben presto dovevano derivare le tipiche degenerazioni del realismo socialista e dell'arte di propaganda.
D'altronde ci pare importante sottolineare come il realismo socialista o l'arte dei regimi nazista o fascista siano uno dei possibili punti di arrivo di una parabola che nasce col nascere stesso dell'arte. Essa infatti ha svolto fin dal suo primo sorgere una precisa funzione sociale, una funzione che nel corso del tempo è cambiata nei suoi significati simbolici mantenendo tuttavia inalterato il suo valore di fondo: l'essere una forma di comunicazione che, con lo strutturarsi delle società gerarchiche, non poteva che diventare anche una delle forme attraverso cui si manifestava il potere.
Ma la sua natura profonda di comunicazione creativa, che nasce direttamente dall'individualità e direttamente ad essa si rivolge, saltando ogni altra mediazione sociale, è la stessa dell'umanità: incontrollabile.

(1) Il saggio doveva essere in origine una presentazione al quadro di Courbet Les Curés o Le retour de la conference, appena rifiutato dal Salone ufficiale per il suo acceso contenuto anticlericale (il dipinto fu successivamente acquistato da un ricco cattolico e distrutto). Dalle quattro pagine richieste da Courbet "...ne sono venute fuori centosessanta, vale a dire che, invece di una réclame avrò fatto un trattato." (P. J. Proudhon). Du principe de l'art et de sa destination sociale, pubblicato postumo nel 1865, fu in realtà una sintesi delle dottrine estetiche di Proudhon e uno dei primi saggi dedicati esclusivamente al problema dell'arte.

(2) Secondo Hegel "era arrivato un momento nella storia del mondo, a partire dal quale l'arte avrebbe perso quello stretto legame, che in passato aveva avuto, con le energie centrali dell'uomo; si sarebbe trasferita al margine, e lì avrebbe formato un ampio e splendidamente variegato orizzonte. Il centro sarebbe rimasto alla scienza; cioè, a un inarrestabile spirito di ricerca razionale".

(3) Ricorda infatti Courbet: "Io mi sono costantemente occupato della questione sociale e delle filosofie che ad esse si richiamano, camminando per la mia via parallelamente al mio compagno Proudhon".

(4) Il periodico fu un vero centro di attività culturale e di diffusione del pensiero anarchico e rappresentò per oltre un trentennio uno dei punti di riferimento per il movimento, ma anche per intellettuali ed artisti e per tutta la cosiddetta cultura d'opposizione. "I pittori si dimostrarono particolarmente sensibili al richiamo delle pubblicazioni di Grave e la loro collaborazione rappresenta certamente il contributo più importante, per l'ampiezza e l'impegno diretto, dato dagli intellettuali della fine del sec. XIX ad un movimento politico" (B. Recchiongo).


Bibliografia
M. DE MICHELI, Le avanguardie artistiche del novecento, Feltrinelli, Milano 1966.

D.D. EGBERT, Arte e sinistra in Europa, Feltrinelli, Milano 1975.

R.L. HERBERT, I grandi pittori e l'anarchismo, da Volontà n° 3/1963.

P. KROPOTKIN, Parole di un ribelle, Paterson-Ginevra 1904.

P.J. PROUDHON, Du principe de l'art et de sa destination socìale, Paris 1865.

B. RECCHITONGO, Grafica anarchica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1981.

A. RESZTER, L'esteticaanarchica, Sugarco, Milano 1975.

A. SCHWARZ, Almanacco Dada, Feltrinelli, Milano 1976.

A. SCHWARZ, Breton, Trotskj e l'anarchia, Multhipla, Milano 1980.

E. WIND, Arte e anarchia, Adelphi, Milano 1968.

G. WOODCOCK, L'anarchia, Feltrinelli, Milano 1966.