Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

Parola di Tissahamy
di K. Velusamy

Di colpo sembra di essere in un altro paese: arbusti bassi e spinosi, sabbia e sole cocente. Siamo nella giungla della zona arida. Tissahamy, l'anziano Vedda, è fuori dalla capanna. Ci viene incontro. E comincia a raccontarci la sua vita. "Da qui non me ne andrò".

Kandasamy, il corrispondente da Badulla di "The Island", è disposto ad accompagnarmi nel villaggio Vedda. Ho avuto il suo indirizzo tramite la redazione del giornale a Colombo. Ma non è stato facile trovarlo.
Kandasamy, come la maggior parte dei Tamil indiani che vivono nelle zone miste, preferisce mantenere ignoto il luogo della sua residenza. Dopo le violenze del 1983, durante la quale gli fu bruciata la casa, le precauzioni non sono mai eccessive e le rappresaglie singalesi agli attacchi della guerriglia giustificano le paure della popolazione. Così, soltanto dopo due giorni di tentativi, riesco a mettermi in contatto con lui.
È maestro elementare alla scuola di Callen Estate, uno dei tanti agglomerati dove abitano, lavorano e vivono le famiglie tamil impiegate nella piantagione di tè. Le colline circostanti sono intensamente adibite alla coltivazione del tè e su ogni collina c'è un Estate, comprendente le baracche dei lavoratori, la scuola per i loro bambini, gli alloggi degli amministratori, una specie di asilo nido per i neonati, qualche struttura di servizio e il bungalow lussuoso del sopraintendente. Esso è costruito sulla cima dell'appezzamento a ribadire la superiorità gerarchica e la funzione dominante, da lui svolta, per conto del proprietario.
Qui la vista è rasserenata dal verde intenso del paesaggio; la temperatura è abbastanza mite data l'altitudine. Le piogge abbondanti consentono una vegetazione ricca di frutti esotici e di alberi maestosi. Ci crescono spontaneamente caffè, cacao, cannella, garofano e un'infinità di altre spezie di cui soltanto dopo anni e anni di permanenza è possibile conoscerne il nome e le proprietà. Le varie specie di avocado e di mango sono esposte e vendute nei mercati cittadini a cifre irrisorie, paragonate ai prezzi occidentali. Ogni angolo è un mercato, dappertutto i colori e i profumi di questa terra risvegliano sensazioni ormai perdute da chi vive in città. A che cosa si può paragonare il sapore della Laulu o della Atunona, il gusto ed il profumo del Jackfruit e delle stesse banane maturate sugli alberi anziché sulle navi di trasporto? E, quale altra bibita è più fresca e dissetante del "Pol" e del "Tambili"? (si tratta di due specie di noce di cocco).
Nelle piantagioni di tè sono le donne addette alla raccolta. Mi vengono incontro per conoscermi ed aiutarmi a raggiungere la vetta della collina dove è situata la scuola. Sono tutte donne indiane, dal fisico esile e dai lineamenti meravigliosi, ornate da braccialetti e da gemme incastonate alla base del naso. Hanno gesti e modi regali; i colori dei loro sari e la maniera di indossarli, il loro portamento e la delicatezza dei loro corpi danno a questi semplici pezzi di stoffa un'eleganza naturale e una bellezza profonda.
La scuola è all'aperto. La frequentano contemporaneamente 30 alunni fra bambine e bambini più o meno della stessa età: questa che io conosco è una scolaresca del quarto e del quinto grado. Sono pieni di curiosità, ma anche di rispetto: sono discreti e disponibili allo stesso tempo. Tè, pane, sambol (cocco grattugiato con peperoncino) e banane la colazione che mi offrono. Osservano ogni mio gesto e la reazione al cibo che mangio. I loro sguardi sono vivaci, penetranti come il sapore piccante, fortissimo della loro dieta abituale.

"La mia è una vita selvaggia"
L'alba dei paesi orientali è precoce. Alle sette di mattina il sole è già alto: conviene partire presto, perché sono necessarie quasi quattro ore per percorrere non più di 35 miglia. Il caldo sfavorisce e sconsiglia di guidare oltre le dieci del mattino. Da Badulla, cittadina sul versante sud-orientale delle ultime propaggini del centro montagnoso, si percorre una strada tortuosa e solo in parte asfaltata. Le prestazioni della jeep sugli arditi tornanti che scendono da Badulla lasciano a desiderare. È necessario che guidi con molta prudenza, perché devo prevedere per tempo lo spazio necessario ad incrociare l'autobus di linea in modo da non dovermi fermare sull'orlo del precipizio: cosa d'altra parte consueta quando due veicoli provengono in direzione opposta.
Di colpo sembra di essere in un altro paese. Dalla lussureggiante vegetazione della zona umida ci si trova nella giungla della zona arida. Arbusti bassi e spinosi, sabbia e sole cocente. L'aria è secca, e senza ombra di nubi e vapori. Nell'isola tropicale si trova un pezzo di Africa equatoriale...
Da Mahiyangane, sede di un'antichissima Dagoba e di un relativo tempio buddista chiamato appunto RajaVhiare, occorre proseguire per altre due miglia verso il villaggio di Dambana. Accogliamo nella jeep due giovani che conoscono la lingua vedda. Saltano su, entusiasti di rendersi utili e di rompere con la monotonia della giornata. Lungo il percorso, un accidentatissimo sentiero fuori strada, si uniscono a noi due Vedda, un ragazzo e un bambino. Ci condurranno senza mai sbagliare alla capanna di Tissahamy, situata nel cuore della giungla. I nostri compagni di viaggio sono scioccati dalla presenza di gente inconsueta come noi: "civilizzati" e così lontani dal loro mondo. Kakule, il ragazzo Vedda, vuole la torcia e dopo averla accuratamente ispezionata si impossessa delle batterie ormai scariche.
Un corso d'acqua, affluente del Mahaweli, mi dà l'unico punto di riferimento del nostro cammino, ed un breve refrigerio dall'arsura del caldo. Tissahamy è fuori dalla capanna. Il rumore della jeep lo ha avvertito dell'arrivo di persone straniere. Ci viene incontro e, con un caloroso saluto che consiste nello scuotere reciprocamente le braccia tenendosi per le mani, ci dà il benvenuto. È un uomo anziano, ma con una lucidità spiccata sostenuta dalla saggezza di una lunga vita. "Innewa, innewa, innewa..." (C'ero, c'ero, c'ero...). Non conosce la sua età cronologica, ma conosce la quantità delle esperienze che hanno caratterizzato l'esistenza. "La mia è una vita selvaggia. Il rapporto con gli animali ha scandito la mia vita: la paura e l'amicizia degli animali. Ricordo due episodi importanti: quando un elefante mi afferrò e mi scaraventò lontano senza uccidermi e quando mi trovai davanti ad un orso. Lo uccisi con le mie mani. E poi tanti altri piccoli avvenimenti quotidiani".
Il bagno mattutino al fiume, la caccia, la raccolta del miele. La giornata è presa da questi fondamentali compiti. Radici e tuberi costituiscono un sostituto alimentare alla cacciagione. Ma l'attività che rimpiazza una magra o infruttuosa caccia è la coltivazione "chena". Si brucia un pezzo di giungla, si rimesta la terra e rotativamente la si adibisce ad orto tropicale. Tutta la famiglia partecipa: anche i bambini, con il compito di tener lontani gli animali dal campo quando gli adulti sono a caccia. Dal "chena" ricavano mais, semenze, peperoncino, patate e cipolle. Un cereale particolare di questa coltivazione è il "kurrakan": impastato con acqua viene consumato come una focaccia, ma di basso valore proteico.
Non amo fare domande; il più delle volte risultano assurde per la mentalità ed il contesto culturale di questa gente. Osservare vivendo insieme a loro è il solo modo per un approccio che li rispetti. Così trascorro con loro una settimana. Ma non è abbastanza. Mi meraviglio che la moglie di Tissahamy non esca mai dalla capanna, se non in compagnia del marito e raramente. Una volta le chiesi di raccontarmi un sogno. Fu una domanda impertinente, perché il marito tagliò corto dicendo che la moglie non sognava. I bambini invece stanno intorno alla jeep e la osservano da tutte le angolazioni. Di notte dormo là dentro e loro fanno a gara a dividere il "letto" con me. Le loro facce aperte, i loro occhi ingenui e le bocche sempre disposte al sorriso sono le ultime immagini prima del sonno.

Vivere e morire qui
"Sono libero e non ho nessun problema personale. Sono preoccupato però per i miei figli che dovranno andarsene da questa terra che è loro", mi confida Tissahamy. Il progetto Mahaweli è iniziato nel '77 e da allora sono iniziati i problemi. "Voglio non meno di 1000 acri di terra per starmene libero con la mia gente. In nome di Kuveni voglio riscattare la mia gente". Kuveni è una donna Vedda che, dopo aver aiutato il conquistatore indoariano Vijaya ad impadronirsi dell'isola, viene da lui ripudiata, secondo il mito che sta alla base della storia singalese. "Voglio fare meglio di mio padre", afferma senza ombra di incertezza il primogenito di Tissahamy. Si chiama Unnia Kakule Nayakale. Il portamento fiero, l'accetta sempre in spalla alla maniera Vedda, i capelli folti raccolti sulla nuca. Li scioglie solo quando si lascia fotografare. Unnia è un abilissimo cacciatore. Ha il privilegio di servirsi dell'arco paterno a sostegno dell'eredità morale che dovrà raccogliere alla sua morte. La lotta di questi ultimi Vedda può sembrare insensata e senza futuro. Ma la forza della loro convinzioni contiene una dose di verità: "La civiltà e i piani di sviluppo sono stati per noi fonte di disagi e di avversità. La nostra società è libera dal crimine, perché ci basta quello che abbiamo e che possiamo procurarci con le nostre mani. Chi ama la libertà non muore mai di fame. Io voglio vivere e morire qui dove da sempre è vissuta e morrà la mia gente".
"Sono riuscito a salvarmi arrampicandomi su un albero..."; "Per fortuna il tetto della casa non è stato inghiottito dalle acque". Queste le brevi storie di qualche sopravvissuto alla tragedia di Kantalai, nel distretto di Trincomal.
Il 20 aprile scorso lo sbarramento costruito sulla riva sinistra del lago artificiale di Kantalai ha ceduto, consentendo alla forza delle acque di spazzare via l'intero villaggio di Polonkotuwo, situato in prossimità della diga. Le autorità locali hanno cercato di minimizzare il fatto, dando delle cifre sulle vittime che sono state smentite dal segretario della Croce Rossa norvegese. Da una parte si parla di meno di 150 morti e 2000 senza tetto; dall'altra addirittura di 2500 vittime e 10.000 senzatetto.
In un mondo dove la vita umana ha un valore minimo, strumentale agli interessi economici e di potere le statistiche sono usate come mezzi per manipolare la verità secondo il proprio tornaconto. E le autorità dello Sri Lanka non si sono smentite in merito. Per chi conosce direttamente la quotidianità della povera gente è facile capire che nessuna istituzione predisposta al censo e alla salvaguardia del territorio sapeva esattamente il numero degli abitanti. Quando non si ha niente, neppure la dignità di essere registrato come cittadino e considerato essere vivente, perdere tutto è all'ordine del giorno. Così la disgrazia è solo uno dei tanti eventi nella miseria dell'esistenza. Vivere in un luogo piuttosto che in un altro, in un villaggio o in un campo profughi non cambia molto per loro...
Fin dalle prime luci dell'alba del 20 aprile la certezza del pericolo e l'imminenza di una catastrofe non erano molto difficili da prevedere. In una sequenza che sarebbe comica se fosse parte integrante di una finzione cinematografica, la sentinella di guardia avverte il sovrintendente ai lavori; questi l'ingegnere all'irrigazione che a sua volta si mette in contatto con il Direttore deputato a Trincomale. Insieme all'ufficiale di coordinamento, il D.D. giunge sul luogo per aprire lo sbarramento di destra nell'inutile ed intempestivo tentativo di alleggerire la pressione di sinistra. Dalle quattro di mattina, quando la breccia nello sbarramento era di solo 20 piedi, a mezzogiorno, quando ormai la diga cedeva completamente nessuno si è preoccupato di avvertire e far sgombrare la popolazione. Otto ore non sono bastate ad evitare il peggio.
Originariamente costruito dal re Aggabodhi II (602-614 d.c.), il "tank" di Kantalai fu restaurato dagli Inglesi nel 1875. Dal '52 al '56 la capacità d'acqua del serbatoio raggiunse i 110.000 ac.ft. Nel 1976 fu collegato al sistema del fiume Mahaweli, consentendo l'irrigazione di 20.000 acri di terreno adibito a risaia e canna da zucchero. Nel novembre dell'85 era stato constatato un danno alla sponda destra del lago che avrebbe se non altro dovuto insospettire i dirigenti del Ministero addetto allo sviluppo delle terre e del progetto Mahaweli sulla sicurezza dell'intero impianto.
Sulla tragedia di Kantalai, come pure su altre "catastrofi naturali" avvenute lo scorso febbraio quando intere colline, spogliate degli alberi per la monocultura del tè, hanno perso la loro consistenza e sono slittate sui centri abitati in seguito alle piogge stagionali (1800 morti e 2500 i senza casa), invocare la "fatalità" ed il "destino avverso" oltre ad essere bugiardo è criminale. Al di là del valore informativo l'intrecciarsi significativo di notizie ed avvenimenti gravi in questi primi mesi dell'86 può forse dare un'idea meno astratta della situazione dello Sri Lanka.

Terrorismo e attentati
In base alla legislazione speciale per la prevenzione del terrorismo, operazioni di polizia contro avversari politici sono abbastanza frequenti. Recentemente si dava notizia sulla stampa governativa dell'arresto di oltre cento membri del "Janatha Vimukthi Peramuna" (Fronte della liberazione popolare). Il J.V.P., organizzazione marxista rivoluzionaria singalese, fu considerato il responsabile politico-militare dell'insurrezione giovanile del 1971. Da allora fu messo fuori legge. Oggi se ne fa il capro espiatorio, insieme al terrorismo tamil, di tutti i mali del paese. Secondo il "National Intelligence Bureau" l'accusa per gli arrestati è di "cospirazione contro il governo in lega con i terroristi del nord".
Non soltanto nel Nord e nell'Est del paese la situazione è particolarmente esplosiva. Per circa tre mesi è stato imposto il coprifuoco anche nelle aree delle piantagioni. Nuwara Eliya, Hatton, Norwood, Bogawantalawa, Maskeliya sono state teatro di violenti scontri fra polizia e civili. Questi centri, situati nel cuore della zona montagnosa, rappresentano il fulcro dell'economia del paese. Le piantagioni di tè e di caucciù si susseguono senza interruzione. In esse lavorano, raccolti negli "Estate" (proprietà statali), migliaia e migliaia di tamil di origine indiana.
Privati della cittadinanza da generazioni e, conseguentemente, di qualsiasi diritto civile, sono in balia delle contrattazioni diplomatiche tra l'India e lo Sri Lanka. Inoltre il presidente del sindacato (Ceylon Workers Congress) che dovrebbe tutelare i loro interessi è il Sig. Thondaman, ricco piantatore di tè, entrato dal 1978 nel governo dell'United National Party in qualità di Ministro dello sviluppo industriale e rurale.
Nella prima settimana di maggio due gravissimi attentati sono avvenuti nel paese. All'esplosione di una bomba, collocata su un Tristar delle linee aree nazionali, che ha causato la morte di quindici persone, è seguita quella al palazzo delle telecomunicazioni nel centralissimo quartiere di Colombo: dieci morti e molti i feriti.
Per il primo incerte rivendicazioni, rese note dalla agenzia di stampa srilankese sono state smentite dalle organizzazioni politiche tamil che risiedono nella capitale dell'India meridionale Madras. A rendere più oscuro il quadro si aggiunge la rivendicazione del secondo atto di terrorismo: in questo caso la sigla è J.V.P. Gli attentati sono stati compiuti contemporaneamente a significativi incontri ed impegni politici: i colloqui diplomatici fra una delegazione indiana con esponenti del governo di Colombo per una soluzione negoziata della "crisi etnica" e l'appello dello Sri Lanka Freedom Party (il partito della Bandaranaike) per indire elezioni generali. Nella eccessiva oscurità della situazione una cosa risulta essere chiara: rimestare nelle acque torbide è il gioco sporco della sporca guerra per il potere.
"Eserciti di liberazione", "giusta guerra", "stati futuri che rispetteranno tutte le razze e le minoranze" sono bugie della propaganda e illusioni che hanno oppresso ed opprimono la gente di tutto il mondo. Gli eserciti e la guerra non liberano e non rendono giustizia; l'uguaglianza ed il rispetto non sono mai garantite da alcun stato, che viceversa si basa, nella migliore delle ipotesi, sui nazionalismi o sull'omogeneità etnica. Circa centocinquanta giovani tamil, appartenenti (forse) ad un'organizzazione guerrigliera minoritaria sono stati bruciati vivi da militanti di un'altra formazione rivale ("Le tigri liberatrici dell'Elam tamil"). Secondo la testimonianza oculare di un medico tamil, rilasciata all'agenzia di stampa indiana, gli assalitori hanno cosparso di benzina le vittime dandogli poi fuoco. "Essi guardavano bruciare i corpi con una sorta di frenesia, al punto che posso pensare che gli assassini fossero fuori di senno, perché un così efferato macello non può essere compiuto da nessuno sano di spirito. Le vittime avevano per la maggior parte meno di 20 anni; alcuni addirittura dai tredici ai quindici anni". La popolazione civile nella penisola di Jaffna è traumatizzata: "...criticare le azioni dei militanti, qualunque esse siano, vuol dir rischiare una pallottola nella testa" ha aggiunto un cittadino "io non voglio più l'Elam...".
Quale sarà allora il futuro per lo Sri Lanka? Difficile dirlo, perché può succedere di tutto e da un momento all'altro.
La guerra, nonostante le perdite drammatiche nella popolazione, la situazione sempre più difficile dei rifugiati e le implicazioni economiche che stanno portando l'isola alla rovina, fa comodo a troppi. Il conflitto fa comodo al governo di Jayawardene innanzitutto, che fa della guerra il capro espiatorio per ogni tipo di difficoltà che sta incontrando il paese. L'economia va male? Colpa dei terroristi che scoraggiano gli investimenti esteri. I progetti di impianti di irrigazione non vanno avanti? Non si possono realizzare perché i terroristi rendono insicure le zone di lavoro. Non ci sono turisti? Colpa dei terroristi che fanno loro paura. In questa situazione il capo dello stato può permettersi dei provvedimenti in politica interna ed estera che vanno al di là della forma più autoritaria di una democrazia liberale.
I tentativi di mediazione del governo indiano trovano come interlocutore la dirigenza TULF (Tamil United Liberation Front), la formazione politica più moderata che è mal vista dai gruppi separatisti dei giovani tamil. Inoltre questi tentativi sono mal visti anche dal governo di Colombo ed hanno provocato nelle ultime settimane polemiche reazioni da parte dei diversi ministri dello Sri Lanka. Pur tuttavia se da un lato la macchina propagandistica del governo forza per sminuire l'importanza della confederazione indiana, la realtà politica impone alle autorità di Colombo di sottomettersi alle pressioni di Nuova Delhi. Jayawardene utilizza la presenza di 70 milioni di Tamil indiani nel vicino Tamil Nadu come spauracchio per una possibile invasione dell'isola a danno dei singalesi.
Argomentazioni paradossali, che riconoscono implicitamente gli effetti che potrebbe avere un intervento armato indiano nello Sri Lanka. Paradossalmente le azioni repressive dei militari sono riuscite a dare coesione alle diverse organizzazioni guerrigliere, divise inizialmente da dissapori e divergenze ideologiche profonde. Una certa popolarità conquistata dalla guerriglia sta modificando la rigidità delle strutture della società tamil, anche se le caste dominanti riescono ancora a mantenere le loro posizioni di privilegio. Resta sintomaticamente insoluto, però, il problema riguardante la sorte delle centinaia di migliaia di lavoratori tamil nelle piantagioni dello Sri Lanka che vivono in zone a maggioranza singalesi. Rispondere che saranno accolti nel nuovo stato tamil del nord-est oltre ad essere una soluzione affrettatamente ingenua è anche politicamente sbrigativa.
Anche per una parte dei ribelli la guerra rappresenta uno strumento di potere: finché il conflitto continua possono permettersi di avere una posizione di forza. Se i paesi occidentali continueranno a finanziare lo Sri Lanka, Jayawardene potenzierà l'esercito ed il genocidio sarà cosa fatta. La secessione di una parte dell'isola è malvista anche dallo stesso Rajiv Gandhi, fautore di una soluzione federalista. Il primo ministro indiano, confrontato con le mire autonomiste di diverse province indiane, non può permettersi di avere un esempio così provocatorio di rivolta armata ai propri confini. È d'altronde impossibile per l'India lasciare lo Sri Lanka al suo destino. Gandhi non può alienarsi le simpatie della numerosa popolazione tamil indiana che segue attentamente il dramma che stanno attraversando i "cugini" sull'isola vicina. Potrebbe succedere che l'India intervenga come "forza di pace". Una soluzione non augurabile, perché vorrebbe dire fare dello Sri Lanka una nuova Cipro nell'Oceano Indiano e libanizzare il conflitto etnico.