Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 135
marzo 1986


Rivista Anarchica Online

La questione meridionale: il caso Spezzano Albanese
di Stefano Fabbri

Da quando c'è l'autostrada A-3 "Salerno-Reggio Calabria", Spezzano Albanese - come tanti altri centri - è stato tagliato fuori dal flusso di traffico diretto nel profondo Sud, fino in Sicilia. Il traffico che si riscontra oggi sulla strada statale 19 "delle Calabrie", che attraversa Spezzano e ne costituisce un po' la contorta spina dorsale, è ormai prevalentemente locale. L'autostrada passa lontana da qui. E per raggiungere Spezzano la strada è la solita: quella che, lasciata alle spalle la vasta piana di Castrovillari, si inerpica sulle colline alla cui sommità, dopo una scorpacciata di curve, si trova questo paesone di ottomila persone. In qualsiasi stagione si capiti, è difficile non notare subito qualche scritta e manifesto con la "A" cerchiata. Se poi è giorno di comizio anarchico (e qui se ne fanno numerosi in un anno), è impossibile non accorgersene: la piazza su cui in genere si tengono è costituita da uno slargo della S.S.19, proprio al centro del paese. E quando parlano gli anarchici, la gente accorre numerosa: a volte sono varie centinaia. Allora non ci stanno tutti in piazza e finiscono con l'intralciare il traffico della statale. Prima di uscire dal paese, poi, sulla sinistra c'è una cartolibreria che oltre ai quaderni, schiume da barba e libri, vende (ed espone all'esterno) Umanità Nova, "A" e altra stampa libertaria. A Spezzano Albanese da oltre un decennio gli anarchici, con il loro gruppo intestato a Giuseppe Pinelli, sono tra i protagonisti della vita politico-sociale. Hanno promosso numerose lotte (studenti, pendolari, lavoratori agricoli, ecc.), sono scesi in piazza, hanno occupato il municipio, denunciato le malefatte dell'amministrazione rossa, polemizzato con il PCI, tenuto comizi e conferenze, hanno costituito l'Unione Sindacale di Zona, sono tra i promotori di un circolo che vuole rilanciare la cultura albanese, senza alcuna collusione con il regime stalinista di Tirana. Insomma, la presenza anarchica - pur recente (non esisteva qui una tradizione libertaria precedente al '68) - c'è e si sente. La maxi-intervista che Stefano Fabbri ha realizzato con alcuni militanti del gruppo "Pinelli" e le interviste ad alcuni personaggi politici del paese (tra cui il sindaco) non hanno alcuna pretesa di completezza. Le proponiamo come materiali per una prima conoscenza di una realtà che, al di là della sua palese specificità, contiene elementi di fatto e di riflessione che riguardano - più in generale - la problematica relativa alla presenza anarchica oggi, nel '86, nei piccoli centri e nel Meridione. Un contributo, dunque, per una ripresa del dibattito e dell'azione.

Come nasce la presenza anarchica a Spezzano Albanese, località nella quale non v'era mai stata prima (almeno per quanto si ricordi) una componente organizzata o una "tradizione" libertaria?

Domenico - Nel 1966 a Spezzano si determinò una scissione all'interno del PCI che fu ricomposta con l'espulsione dei dissidenti. In seguito a ciò si venne a creare un'area politica "extraparlamentare".
Nel '68 cominciò ad apparire la stampa anarchica diffusa da un compagno che più avanti fece anche controinformazione sulla "strage di Stato" del '69. Fu in questo modo che io ed un'altra decina di compagni, già maturati politicamente nelle lotte studentesche di quegli anni, venimmo a contatto con le idee anarchiche e demmo vita alla prima struttura: il "Circolo Culturale Libertario Giuseppe Pinelli". Cominciammo a farci conoscere, l'opinione pubblica prese a chiedersi "chi eravamo" ed i carabinieri a interessarsi a noi.
Nel '74 decidemmo di costituirci in gruppo specifico e qui possiamo dire che iniziò l'attività vera e propria del "Pinelli". Allora c'era la questione Marini che noi sollevammo anche a Spezzano con mostre ed audiovisivi. Intanto alcuni "vecchi" del circolo si allontanarono, ma tanti altri cominciarono ad avvicinarsi, provenienti in massima parte dal PCI e dalla FGCI, oltre che dall'area cattolica. La componente maggioritaria rimaneva prevalentemente studentesca, ma già affluiva qualche operaio edile e qualche disoccupato. Sono di quel periodo le nostre prime analisi del paese con l'obiettivo di fare un intervento che si legasse ai problemi pratici della gente e che non fosse semplicemente teorico o d'opinione come era stato precedentemente. Prendemmo spunto dalla realtà contadina ancora dominante agli inizi degli anni '70, cominciando ad interessarci dei problemi di quella schiera di coltivatori diretti che oltre ad essere proprietari di qualche appezzamento di terreno si trasformano periodicamente in operai stagionali.

Oggi invece com'è la composizione sociale del paese?

Domenico - Si registra un'espansione dei ceti medi impiegatizi, prendono piede i commercianti, s'allarga il campo dell'edilizia. Ma la figura del bracciante agricolo è sempre stata al centro dell'intervento politico e sociale. Lo stesso Partito Comunista crebbe in queste zone proprio facendo leva sulle aspirazioni vitali di questi strati popolari. Nel secondo dopoguerra vi fu infatti un grande movimento d'occupazione delle terre, grazie al quale i mezzadri ebbero per la prima volta accesso a qualche briciola di gestione diretta del loro lavoro e vennero formate le prime cooperative. Mio padre mi raccontava che il livello dello scontro fu molto elevato e che il potere diede vita a forme di repressione feroce. Da queste lotte emerse in particolare una figura che incarnò le speranze del mondo rurale: quella di Giovanni Rinaldi. Avvocato e proprietario terriero d'origine, con trascorsi anarchici durante gli anni degli studi universitari a Urbino, quest'uomo divenne un vero e proprio mito per la povera gente e fu il simbolo del partito che sostenne la sua vittoriosa candidatura a sindaco del paese, carica che ricoprì fino alla morte avvenuta nel 1960. Attorno a tale personaggio si sviluppò quindi anche la storia della presenza comunista in questo luogo, e non fu un caso se dopo la sua scomparsa si ebbero le prime crisi all'interno dell'apparato del PCI locale.
Il successore di Rinaldi, che divenne anche sindaco, venne espulso clamorosamente dal partito stesso, che per l'occasione fece intervenire addirittura il segretario generale Longo, a causa di pesanti obiezioni da lui mosse al "nuovo corso" seguito a livello regionale e nazionale. Un "cambiamento di rotta" i cui presupposti, a ben vedere, erano già maturati precedentemente, quando ad una pratica di scontro quotidiano venne preferita la politica dei piccoli passi, di quel compromesso "strisciante" che sarebbe poi diventato "storico", ufficializzato dalla gestione Berlinguer, ma le cui basi già erano state poste proprio, al Sud in particolare, dopo la ripulsa della prospettiva insurrezionale con l'abbandono delle lotte per il lavoro e la collettivizzazione e con l'avvicinamento al sindacalismo cattolico.
La continuità si cercò di garantirla proponendo nuove figure carismatiche che potessero ricordare i tempi passati. Ma il fossato, con gli anni, si scavò sempre più profondo, ed il partito, che era già sostanzialmente altra cosa rispetto a ciò che una volta le masse sognarono, perdette anche quella patina di combattività formale che gli era rimasta ed i suoi vertici vennero conquistati da elementi che ne dirigono le sorti con una gestione personalistica sulla quale grava l'ombra delle clientele e del malgoverno.
Le lotte passate spiegano le condizioni che hanno determinato l'influenza del PCI ed il suo protrarsi nel tempo, anche se da parecchi anni se ne avverte la crisi. Noi ci siamo trovati di fronte a questa situazione e se siamo riusciti a restituire capacità critica alla gente è perché abbiamo sempre fatto, correttamente, le dovute differenze tra chi dirige il Partito Comunista a Spezzano, a Roma o altrove ed i contadini, le forze bracciantili, i giovani, che al partito danno solo la propria adesione.

Quale fu la prima lotta di massa della quale foste promotori?

Domenico - Fu quella degli studenti pendolari, nel '74. Si richiedevano alla Regione trasporti gratuiti nell'ambito del diritto allo studio. Cominciammo col partecipare alle assemblee di movimento che si tenevano a Castrovillari, dove è dislocato il maggior numero di scuole della piana del Pollino, e promuovemmo anche a Spezzano le prime assemblee autonome studentesche che indirono nell'autunno delle grosse manifestazioni. Questa fu la prima "rottura" a livello di propaganda fattiva con il luogo: non si trattava più della sola distribuzione di volantini, ma di significativi pronunciamenti di piazza.
La scelta del PCI locale fu quella di combattere frontalmente contro gli studenti i cui metodi autogestionari di lotta venivano considerati troppo pericolosi. Fu così che, quando questi chiesero che venisse loro corrisposto, come prevedeva la legge, il 30% del prezzo del biglietto dei trasporti (il restante 70% lo erogava la Regione), il Comune si rifiutò di concederlo, anche se tale finanziamento risultava inserito nel bilancio.
In seguito a questa presa di posizione di totale chiusura si decise l'occupazione degli uffici della Giunta alla quale presero parte circa 600 persone, e al cui interno venne indetto un grande incontro pubblico che registrò una vastissima partecipazione. Il PCI, temendo di non riuscire a far fronte alla situazione, si presentò addirittura con Tarsitano, prelevato di gran lena dal Consiglio Provinciale di Cosenza.
La lotta fu vincente e raggiunse gli obiettivi prefissati. Lo smascheramento di una politica ingiusta calamitò per la prima volta l'attenzione e la solidarietà di larga parte del paese intorno agli studenti e strappò il velo della propaganda denigratoria già allora condotta dal PCI contro i giovani in genere e gli anarchici in particolare, proditoriamente dipinti come "drogati" e sfaccendati.

Come reagì il Partito Comunista di fronte a questa "sconfitta"?

Tonino - Tentò di recuperare credibilità a sinistra intervenendo formalmente nella campagna di solidarietà per Giovanni Marini. Si era nel '75 e c'era il timore che gli anarchici potessero "disturbare" efficacemente la campagna elettorale. Ma le tesi astensioniste furono invece coerentemente propagandate con comizi dove venne ricordato anche l'atteggiamento tenuto in precedenza dal governo locale. Così il PCI, che in quell'anno avanzò percentualmente in tutta Italia, a Spezzano perse due dei 13 consiglieri e conservò la maggioranza assoluta per un solo seggio. Fu allora che venne eletto l'attuale sindaco.

Intanto la vostra attività come procedeva?

Tonino - Punto di forza dell'intervento libertario divenne la promozione di organismi decisionali di base all'interno dei quartieri e nel '76, poco prima delle nuove elezioni politiche, strutturammo un questionario che diffondemmo porta a porta, in cui si svolgeva un'indagine su vari aspetti sociali e sulle condizioni di vita dei cittadini. In giugno intanto dieci famiglie occuparono spontaneamente altrettanti alloggi IACP, ed il PCI subito dopo le elezioni si scagliò contro quest'azione di lotta che invece si protrasse per un anno e fu da noi appoggiata con mostre ed altre azioni di sostegno.
Poco dopo scoppiò un altro "caso" per il licenziamento di sei bidelle di scuola materna che per tre anni avevano lavorato senza contratto a 45.000 lire al mese. Venne fatta causa al Comune ed il processo che ne seguì sollevò grande fermento. Le lavoratrici si rivolsero spontaneamente al "Pinelli" e noi ne appoggiammo le rivendicazioni con comizi e manifesti. Il '76 segnerà anche l'inizio di autonomi cortei in occasione del Primo Maggio, ai quali parteciperanno sempre compagni provenienti dal resto della provincia.
All'epoca eravamo abituati a muoverci essenzialmente come gruppo politico. Ancora non avevamo riconosciuto la necessità di formare organismi autogestiti di massa e di distinguere fra questi e struttura specifica, come invece avremmo fatto nel '77.

Come e quando è nata a Spezzano la FGCI?

Tonino - È stata strutturata per la prima volta nella storia del paese come risposta alla presenza libertaria che reclutava inizialmente in special modo fra i giovani. Eravamo infatti nel '74, ad un anno dalla comparsa del nostro gruppo. Ma la "prima fase" della struttura giovanile comunista si concluse con una crisi pochi mesi dopo, in seguito al passaggio di alcuni elementi nelle file antiautoritarie. Solo nella primavera del '75 l'organizzazione venne rifondata e diventò, con i suoi 100 iscritti, una delle più grandi federazioni giovanili della provincia, se non addirittura della Calabria.
Il primo segretario fu Giovanni Giordano ed io venni eletto vice-segretario. Giovanni, già nei primi mesi d'attività, cominciò a dimostrare simpatia verso il Movimento Anarchico che era interno alle lotte studentesche e sviluppava grande propaganda. Iniziò a discutere in gruppi informali ed a fare confronti tra le tesi anarchiche e le posizioni del PCI. La direzione, accortasi di quello che stava accadendo, ritenne opportuno cambiare le cose: indisse nuove elezioni in seguito alle quali le cariche vennero invertite, quindi io presi il posto di Giovanni e lui il mio. Tutto fu giustificato con la pratica della "rotazione". Da quel momento venimmo affiancati nelle riunioni da due elementi del partito che svolgevano funzioni di controllo. Ma nella primavera del '76 anch'io iniziai a rendermi conto che il Movimento Anarchico era più idoneo alle mie idee e partii con l'indire una serie di riunioni ristrette per estendere ed arricchire il dibattito interno e sviluppare la formazione politica generale dei compagni.
In breve tempo si venne a creare un gruppo interno molto omogeneo che intratteneva rapporti sempre più stretti con i compagni del "Pinelli". La cosa divenne presto palese: da quel momento infatti la struttura cessò di esistere, i suoi aderenti confluirono quasi tutti nel Movimento Anarchico e parecchi iscritti militarono attivamente nel gruppo specifico. Da allora il partito non parlò più ufficialmente di FGCI e tentò di operare dei ricatti additandoci come "traditori" e cercando di metterci in contrasto con le nostre famiglie, tutte più o meno "tradizionalmente" comuniste. Sostanzialmente però, tale pratica non ottenne i frutti sperati ed anzi provocò ulteriori fratture fra il PCI ed il mondo giovanile.

Quali furono gli effetti dello scioglimento della FGCI all'interno del partito?

Tonino - In molti cominciarono a chiedersi perché i giovani "disertavano" e si acuirono le tensioni. Fu così che salì alla guida del PCI Gaetano Gullo, latore, insieme ad altri, di serrate critiche alla linea ufficiale ed alla figura del sindaco, fino allora imperante su tutte le dinamiche interne alla sezione. Nella sua enfasi di rinnovamento arrivò persino a schierarsi apertamente, in pubbliche riunioni, a fianco degli anarchici contro il potere locale. Alla fine fu destituito durante una riunione di segreteria in cui i "dobermann" del sindaco gli si scagliarono contro urlando: "Tu non sei il nostro segretario, sei il segretario degli anarchici!".
Gullo è oggi impegnato fuori e contro l'amministrazione comunale e figura tra gli eletti di una lista civica di recente formazione, della quale in seguito avremo occasione di parlare.

Come avete agito riguardo al problema della disoccupazione?

Domenico - Con i disoccupati concepimmo proprio una delle prime strutture di massa che appena nata si mosse subito individuando dei precisi obiettivi di lotta. Si voleva occupare, municipalizzare ed autogestire una cartiera in disarmo, di proprietà di un certo Piro che, nonostante avesse percepito finanziamenti dalla Regione per riaprirla, l'aveva dichiarata fallita.
Nel gennaio del '77 venne fatto un comizio in cui si denunciò la speculazione del padrone e l'immobilismo del PCI sulla questione; per tutta risposta questo cercò invece di "cavalcare la tigre" con demagogiche "assemblee popolari" indette senza consultare i disoccupati. Ma il tentativo di strumentalizzazione fu smascherato e ad una seduta pubblica del Consiglio Comunale, a cui si presentò anche Piro, lo scontro fu durissimo: fu allora che anche Gullo prese le difese del movimento, attaccando apertamente il sindaco. Nonostante quel momento assembleare il PCI decise di indire una manifestazione di parte, non tenendo conto nemmeno del parere negativo del segretario. Ma quel corteo sfilò molto povero e fra l'indifferenza generale e questo fallimento fece sfogare la rabbia dei burocrati sullo stesso Gullo che venne destituito.

Dopo questo insuccesso il PCI che provvedimenti prese?

Tonino - Per non perdere la faccia una delegazione di comunisti si recò a Catanzaro per incontrare i responsabili regionali, proclamando al ritorno che il problema "era risolto" in quanto Piro avrebbe riaperto l'azienda, cosa che invece non avvenne mai. Ancora una volta il legalitarismo ciarlatano aveva dato i suoi frutti.

Come si è sviluppata la vostra attività all'interno del Movimento Studentesco?

Tonino - Io facevo parte del settore d'intervento scuola del gruppo, insieme a Giovanni Giordano, ed insieme operavamo all'interno dei "Nuclei Autonomi Studenteschi", dove riportavamo le elaborazioni del gruppo proponendole all'assemblea, senza tuttavia imporgliele.
L'azione dei NAS si estendevano in tutta la provincia, in particolare nel castrovillarese, interessando una grande popolazione studentesca. Nel frattempo stavano scomparendo le strutture di "Lotta Continua", un tempo egemoni, e bisogna dire che le uniche organizzazioni presenti con largo seguito all'interno del "Movimento del Pollino", erano quelle espresse dall'anarchismo. Il gruppo di Spezzano che ne era il "motore", diventò così, gioco-forza, il punto di riferimento obbligato anche per tutte quelle aggregazioni minori (vedi MLS, Pdup, Autonomia Operaia) residuali o appena nate, presenti nella zona, le quali dovevano ricercare, per "sopravvivere", un punto d'incontro. Agivano in tandem con il CDO e questo collegamento si ripercosse sull'intero movimento sfociando in un lotta comune di questi organismi a fianco degli operai delle fabbriche tessili INTECA e ANDREAE, posti in cassa integrazione. Si realizzò così una grande unità d'intenti col movimento dei lavoratori della zona, che diede più forza ed incisività alle lotte, nonostante l'opposizione del sindacato che non vedeva di buon occhio la partecipazione degli studenti alle manifestazioni.

In questo modo il gruppo di Spezzano Albanese acquistò sicuramente una grande notorietà.

Tonino - Infatti. Al coordinamento di Castrovillari facevano capo molte scuole occupate ed autogestite, ma presto il fulcro delle lotte passò a Spezzano. Fu proprio qui che, in seguito all'attuazione di un blocco di tutti i pullman provenienti dalla provincia messi in atto anche con l'appoggio degli autisti e dei controllori, si tenne infatti l'assemblea di tutti i sindaci del comprensorio, una quindicina, preoccupati delle richieste del movimento (sul problema dei trasporti, sulla maggiore libertà d'espressione individuale e sociale all'interno degli istituti tecnici con convitto, sulla fatiscenza delle sedi scolastiche etc.).
In risposta alla riunione dei sindaci trasferimmo in concomitanza, sul luogo, l'attivo generale del Coordinamento Zonale di Massa, terminato il quale decidemmo di recarci tutti in municipio. Le risposte che lì ci vennero date non furono però soddisfacenti, così venne deciso un altro blocco dei mezzi di trasporto, da attuarsi in tutti i paesi il giorno seguente, con assemblee e presidi improvvisati nelle piazze. Questi avvenimenti portarono alla denuncia di nove compagni, quasi tutti militanti del gruppo anarchico, e solo uno, Domenico, due anni dopo, venne condannato per blocco stradale a dieci mesi di reclusione, con la condizionale ed il beneficio della non menzione.

I livelli di dibattito e di lotta espressi dal "Movimento del '77" sul piano nazionale, erano considerati favorevolmente dal "Movimento del Pollino", oppure qui da voi ci sono state posizioni differenti?

Tonino - Il "Movimento del Pollino" riteneva sotto molti aspetti limitante ed insufficiente il modo in cui si esprimeva il Movimento a livello nazionale e lo giudicava a volte contaminato da forme di superficialità esasperate. I metodi dell'Autonomia, in particolare, non ci trovavano d'accordo: cercavamo invece di mettere le basi di forme d'intervento meno deliranti e "parolaie" che consentissero un radicamento più profondo nella realtà sociale e che trascendessero anche le sole tematiche "giovanilistiche" e studentesche. Dopo il Convegno di Bologna i rapporti tenuti a livello nazionale scemarono ulteriormente.
Le realtà del Pollino si esprimevano completamente tramite le assemblee generali dei comitati inter-istituti, collegati nei momenti caldi tra loro da staffette che permettevano un'immediata conoscenza dei fatti: questa forma d'organizzazione orizzontale e di base era il risultato dell'influenza del Movimento Anarchico.

Quali erano i temi più significativi sui quali si sviluppava il dibattito?

Tonino - Le analisi di fondo riguardavano ovviamente la struttura della scuola e la sua funzionalità rispetto al sistema, si discuteva su che tipo di cultura e su quale "prodotto" lo Stato tendeva a creare. A fronte di tutto ciò ritenevano assai carente il dibattito espresso altrove. Più che ad analisi nuove si guardava forse ad ibridi rimasticamenti di vecchi assunti ideologico-politici ed il pasticcio che ne usciva fuori dava forma a maldestri tentativi di "rifondazione del linguaggio" nel quale primeggiavano gli slogan ed il richiamo a termini militaristici, espressione di un massimalismo di maniera.

Appare evidente che il Movimento che si espresse nel Pollino ha tentato il più possibile di rifiutare un "modellamento" dall'esterno, per privilegiare invece le sue particolari linee caratteristiche e culturali.

Tonino - Si, è così. Ad esempio, il già accennato rifiuto di forme di linguaggio profondamente segnate dal conformismo "sinistrese" rimase, bene o male, patrimonio del "Movimento del Pollino".
Viceversa su Cosenza gravava l'ombra dell'Università di Arcavacata ed infatti era là che la cosiddetta "Autonomia Operaia" raccoglieva maggiore seguito. In città si sentiva in parte anche la figura di Piperno, vissuta peraltro come un "martire" del momento. Cosenza era quindi un "porto franco" per l'introduzione dei miti d'esportazione: le rivendicazioni materiali venivano spesso usate come veicolo per sviluppare prassi e discussioni già segnate in partenza da pesanti marchi ideologici. Si ebbero quindi tentativi d'imporre i soliti grossolani livelli di scontro, i richiami alla "P38", le manifestazioni di violenza spicciola. Al contrario, nella provincia si sono sempre contrastati efficacemente simili discorsi ritenuti, anzi, più funzionali allo Stato che altro.
A questo punto andrebbe fatto forse un discorso molto più ampio ma basterà dire che in genere, quando l'intervento concreto è scarso e le difficoltà sono tante, sorge l'esigenza di crearsi dei miti per eludere la propria "incapacità organizzata" d'agire. Per questo motivo, ad esempio, il "mito del carcerato" focalizzò per anni l'attenzione di larghi strati del movimento rivoluzionario in senso lato, che pensavano, più che all'atto esemplare di singoli individui, all'attacco frontale portato da "avanguardie" contro i simboli del potere, come unica pratica di lotta "irrecuperabile" dal sistema, mentre invece, tra le altre cose, è molto spesso vero proprio il contrario. Ne sia esempio ciò che ha prodotto negli ultimi anni il terrorismo.
Abbiamo la convinzione che simili esigenze nascano specialmente nel momento in cui non si riesce a mettersi in sintonia con le dinamiche sociali.

Le vostre analisi si limitavano alla situazione politica e sociale del momento o sentivate anche l'esigenza di ricollegarvi all'esperienza delle lotte passate?

Tonino - Nelle nostre discussioni aveva ampio spazio il confronto fra '68 e '77. In particolare si faceva rilevare come, pur fra le pieghe di contraddizioni esasperate, fosse in atto un tentativo di affrancamento dal leaderismo. Fra gli stessi militanti del gruppo specifico questo era un punto molto dibattuto: ci chiedevamo se la nostra funzione di traino e di stimolo non fosse portatrice, nonostante le nostre preoccupazioni, di "blocchi di crescita" nell'azione complessiva della generalità dei compagni, o di forme di acquiescenza verso la pratica della delega. Bisogna però dire che vi sono sempre delle persone che assurgono al ruolo di elementi di spicco perché ciò fa parte dell'ordine "naturale" delle cose: le capacità individuali devono tornare però a beneficio di tutti. Diviene quindi estremamente importante la funzione stessa delle forme di organizzazione, la loro strutturazione orizzontale, quali correttivi atti ad impedire l'emergere di degenerazioni verticistiche. Nel Movimento Libertario in particolare, poi, simili cose appaiono il più delle volte frutto d'una cattiva abitudine a svolgere un impegno limitato, a derogare da quell'atteggiamento critico e partecipe che dovrebbe contraddistinguere l'azione di ogni singolo elemento.
Noi abbiamo cercato di fare questi discorsi nel modo più capillare possibile e per rendere ancora più efficace il lavoro di diffusione di queste tesi abbiamo accorpato tutti gli appunti mossi al "Movimento del '77" in un documento dal titolo provocatorio "Il qualunquismo diviene organizzazione", nel quale veniva denunciato il "nichilismo" di alcuni settori ed il pressapochismo di altri. In particolare vi si stigmatizzava la "consuetudine" dell'Autonomia di soffocare la discussione senza peraltro fornire proposte concrete e praticabili. Parallelamente venivano messe in risalto qualità che noi ritenevamo interessanti, come la spontaneità e la tensione verso nuove forme di aggregazione di base.
Gli epigoni dell'Autonomia risposero tacciandoci di "pan-sindacalismo" ed uscendo di fatto dalle strutture del Movimento. Il documento, dopo un serrato dibattito, venne però accettato in tutti gli Istituti ed i suoi contenuti vennero anzi arricchiti da nuovi positivi interventi. Come risultato si ebbe una rinnovata spinta verso forme d'organizzazione a carattere libertario.

Oltre ai NAS ed al CDO, a Spezzano, sono nate altre strutture di base?

Domenico - Sì. Verso la fine del '77 venne creato il "Comitato Lavoratori Edili". In una situazione di costante ed intenso collegamento fra queste tre organizzazioni, presero ulteriormente corpo le nostre posizioni anarcosindacaliste. È quindi partendo essenzialmente dalla nostra realtà locale che ci recammo, nel dicembre, all'Attivo Nazionale Anarcosindacalista di Livorno. Eravamo molto interessati al confronto con quanto s'esprimeva a livello nazionale. Ma già in quell'occasione ci rendemmo conto dell'estrema varietà delle posizioni. Da una parte c'era chi premeva per una immediata ricostruzione dell'USI; dall'altra chi portava l'esigenza di costruire su tutto il territorio comitati di carattere anarcosindacalista, perché l'organizzazione di massa non doveva nascere da una metodologia di tipo verticistico o venire "calata dall'alto". All'Attivo di Roma dell'aprile '78, dove peraltro continuò la disputa tra le varie posizioni, disputa che si concluse con la definitiva gravissima spaccatura del "II Attivo Nazionale per la ricostruzione dell'Unione Sindacale Italiana", che si tenne poi a Genova nel novembre '78. Nascevano così due strutture contrapposte: nell'aprile del '79 a Parma venne costituita in sordina l'USI e nell'ottobre del '79 a Bologna nascevano i "Comitati d'Azione Diretta". Questi ci sembravano seguissero una pratica più corretta, ma poco dopo ci rendemmo conto che tutti e due gli organismi racchiudevano semplicemente compagni anarchici, quasi fossero un "doppione" dello specifico.

In assenza di possibilità di un percorso unitario a livello nazionale e non trovando positiva nessuna delle soluzioni che si affermarono in quel periodo, avete cercato di concepire un vostro discorso autonomo?

Domenico - Questo fu per noi un percorso obbligato se non volevamo rischiare di perdere il contatto con le realtà di lotta che si esprimevano nella zona. Così elaborammo un ciclostilato nel quale presentammo la fondazione della "Unione Sindacale Zonale" di Spezzano Albanese, già avvenuta nel marzo del '79, e propagandammo quest'esperienza di base a livello nazionale perché ci trovavamo pienamente d'accordo con quei compagni i quali sostenevano che oltre a dover sorgere dal basso, l'organizzazione doveva nascere fra lavoratori e non tra soli anarchici. Da noi questa possibilità esisteva concretamente: disoccupati, lavoratori edili ed altri confluirono infatti in un'unica struttura.

La strada da voi intrapresa si mostrò positiva?

Domenico - Le mobilitazioni che riuscirono ad esprimersi fecero in effetti recepire concretamente ad una larga massa di lavoratori la differenza che corre fra un'organizzazione di base che pratica l'azione diretta ed organismi burocratici asserviti ai partiti, quali le confederazioni ufficiali, la cui unica funzione nel migliore dei casi è quella di mediare le contraddizioni senza risolvere minimamente le questioni alla radice.
Nel dicembre del '79 nacque un comitato di vedove ed orfani che raccoglieva un centinaio di persone intorno ad un problema di mancata assistenza. Queste dipendevano dall'ENAULI, fin quando l'ente non venne smembrato. In seguito sarebbe spettato al Comune erogare i contributi ma ciò per tre anni non avvenne. In conseguenza di questo totale abbandono, il Comitato aderì all'USZ. La mobilitazione fu grandissima, segnò un ulteriore lancio del sindacato e dopo un anno di rivendicazioni culminate con l'occupazione del Municipio, l'amministrazione si trovò con le spalle al muro e dovette corrispondere il dovuto.
Il successo conseguito dimostra ancora, contrariamente a quanto pensano coloro i quali credono che ogni rivendicazione sia inutile poiché può venire sempre "recuperata", che l'effetto positivo di una lotta "che paga" non è affatto da sottovalutare.
La grande campagna dell'USZ culminò nell'intervento svolto durante le elezioni amministrative del '80. Fu fondato un "Comitato Astensionista di Massa", cui aderirono lavoratori iscritti al sindacato autogestionario e non, lavoratori che fino ad allora avevano fatto riferimento al PCI ed altri. Si creò così un ampio fronte che poneva per la prima volta il problema di non riconoscere validità alla pratica elettoralistica a partire dai bisogni concreti e non solo sulla base di motivazioni ideologiche. Ciò determinò un aumento secco del 7% delle schede bianche e nulle ed una crescita dell'astensionismo pari all'8% in più rispetto alle consultazioni precedenti.

L'USZ riuscì quindi ad incontrare una larga adesione fra i lavoratori della zona. Questo avrà destato certamente grande preoccupazione nei comunisti ai quali sfuggiva il controllo della situazione. Come si comportarono in proposito?

Domenico - Può essere indicativo quello che dirò adesso. Sempre nel '80, con la riforma sanitaria, nacque anche per Spezzano Albanese il problema di quale dovesse essere la USL di appartenenza. Sarebbe stato logico che gli utenti avessero dovuto fare riferimento al comprensorio di Castrovillari che dista solo 20 chilometri, dove erano già abituati a recarsi precedentemente, ma a causa della lottizzazione dei Comitati di Gestione delle USL, il paese venne inserito nella USL 5 che fa capo a Corigliano, distante circa 40 chilometri. Questo perché là, essendosi formata una maggioranza assoluta PCI, c'erano le condizioni politiche atte a permettere che il sindaco di Spezzano ne potesse diventare presidente.
S'impostò quindi una lotta per esigere una struttura sanitaria locale ed all'inizio del '82, vista la totale sordità al problema, si chiese un incontro con le autorità preposte, per presentare una piattaforma rivendicativa. Ma il rappresentante dell'USZ che si recò al Comune per consegnare le richieste, si sentì rispondere che il sindaco non riconosceva alcun sindacato non facente parte della "triplice" CGIL-CISL-UIL. Per tutta risposta decidemmo di recarci in massa al Municipio per richiedere l'uso della sala consiliare onde tenervi un'assemblea pubblica. L'amministrazione chiamò i carabinieri, ma questi, vista la partecipazione popolare e riscontrata la "legittimità" del nostro operato, non intervennero. L'assemblea si tenne nello spazio esterno antistante il "Comune rosso", protetto dai vigili urbani.
Il comportamento antipopolare dimostrato dal sindaco e dall'amministrazione venne così smascherato davanti a centinaia di persone e si rese necessario calmare quanti, esasperati, volevano entrare a forza nel Municipio. In ogni caso, per tranquillizzare gli animi, Spezzano verrà in seguito dotato di una SAUB locale.

Il vigile controllo su una gestione della cosa pubblica che scontentava costantemente gli abitanti e che non teneva conto minimamente delle loro esigenze, i ripetuti smacchi subiti dal sindaco e dai suoi amministratori, non convinsero questi ultimi della necessità d'un cambiamento di rotta?

Domenico - Tutt'altro. Si continuò per la stessa strada, tant'è vero che nel '82 sorse un'altra grave questione. Erano stati costruiti una sessantina di appartamenti da adibire ad alloggi popolari, ma da diverso tempo non si provvedeva alla loro assegnazione. A quel punto l'Unione Sindacale chiese che venissero pubblicate subito le graduatorie definitive e l'amministrazione fu costretta ad affiggerle prima del previsto: risultarono così vincitori dipendenti comunali e dello Stato che avevano presentato atti di notorietà in cui denunciavano introiti inferiori ai reali. Viceversa, gente davvero bisognosa rimase esclusa. Venne quindi inoltrata una valanga di ricorsi.
Il malumore per i metodi usati dall'amministrazione comunale, crebbe anche in seguito al comportamento da questa tenuto in occasione della costruzione di un palazzo nel quartiere S. Lorenzo: il privato, un notabile democristiano col tempo avvicinatosi al PCI, voleva costruire un complesso abitativo di volumetria maggiore di quella consentita dal piano di fabbricazione vigente, non tenendo in considerazione il fatto che una simile realizzazione avrebbe bloccato l'uscita di due strade pubbliche.
Il Comitato di Quartiere in quell'occasione aderì all'USZ ed insieme a questa portò avanti una campagna di controinformazione. In seguito ad una denuncia alla Pretura e ad un ricorso al TAR, s'impose al proprietario la revisione del tutto. Al posto di un solo gruppo edilizio se ne crearono due per una volumetria rispondente a quella ammessa per legge, ma per non darla vinta agli abitanti del quartiere, "colpevoli" di aver militato nel sindacato di base, lo sbocco delle due strade rimase interdetto.
A proposito del piano di fabbricazione, parte dell'amministrazione di quel periodo e la commissione Edilizia Comunale sono oggi colpite da comunicazioni giudiziarie in cui si contesta il reato di associazione a delinquere per aver rilasciato licenze di costruzione gravemente viziate.

Vi fu quindi un grande fermento nell'opinione pubblica.

Domenico - Sì. Nello stesso tempo infatti, i lavoratori del sindacato cominciarono a praticare nuove forme di pubblica denuncia: si andavano a prendere le delibere e si affiggevano in piazza quelle in cui potevano ravvisarsi deviazioni. Di lì a poco venne fuori una sequela di scandali che rendemmo subito noti. Ne seguì un procedimento penale assai articolato contro il sindaco Tursi e cinque assessori. Vennero per prima cosa contestate forme d'interesse privato in atti d'ufficio per avere il Tursi stesso e quattro degli altri imputati, approvato nel '80 una delibera che prevedeva lo schema di convenzione per la costituzione del diritto di superficie su area destinata ad edilizia residenziale a favore della cooperativa "Edilbruzia" di cui appunto il sindaco e l'assessore all'edilizia erano soci. L'assessore in questione veniva poi indicato come colui che aveva posto in essere l'attività e stipulato la convenzione con il Comune.
La Giunta era stata incriminata anche per aver favorito l'attività di un altro assessore che confezionava le divise per i vigili urbani facendo risultare la sua azienda a nome della moglie, iscritta all'Ufficio di Collocamento in qualità di bracciante agricola anziché di artigiana.
Due altri capi d'imputazione furono notificati al sindaco. Il primo per aver fornito una dichiarazione sostituiva di atto di notorietà nella quale si quantificava l'ammontare del reddito goduto nel 1981 in lire 11.185.000 anziché lire 15.320.000, facendone uso per ottenere un mutuo agevolato dalla Regione Calabria. Il secondo per aver formato e fatto uso ripetutamente di attestazioni con cui falsamente affermava, richiedendo la liquidazione delle indennità di missione, di essere stato per conto del Comune in varie località mentre risultava nello stesso giorno altrove per conto della USL 5 di cui è presidente e per aver quindi truffato o l'uno o l'altro ente.

Che conseguenze sortì la denuncia di tutti questi scandali?

Tonino - La "bagarre" che ne seguì creò gran fermento nel paese, dal momento che vennero alla luce anche le coperture politiche di cui la Giunta aveva sempre goduto. Esemplare fu, a questo proposito, una frase rivolta dal sindaco al segretario della DC, che aveva timidamente accennato in un comizio a determinati episodi: "Stai attento a quello che fai, perché non si può sputare nello stesso piatto in cui si mangia!". Fummo infatti praticamente i soli, nonostante si fosse in campagna elettorale, a riportare apertamente le malefatte del Comune: gli altri partiti non ne trattarono affatto.
Nel pieno di un vero e proprio terremoto politico, si vennero a creare situazioni paradossali, alcune delle quali presentarono anche risvolti divertenti. Riferirò di un comizio che con "furbizia" ci si voleva impedire. La campagna elettorale volgeva al termine e Tursi cercava il modo di far parlare solamente i rappresentanti dei partiti. Per impedire che il nostro discorso fosse tenuto contemporaneamente al suo in un altro luogo, il sindaco riunì la Giunta in seduta d'urgenza e fece approvare una delibera che interdiva tutte le piazze tranne quella assegnata al PCI.
Agli anarchici venne accordato invece un orario durante il quale, nel mese di giugno, le vie sono deserte a causa del gran caldo. Ma il giochetto non riuscì: nonostante tutte le precauzioni, moltissima gente affollò lo spazio sottostante il nostro palco.
Per effetto della nostra campagna elettorale le percentuali dei non votanti e delle schede nulle salirono al 27% circa. Ma diminuendo i voti validi aumenta la percentuale del partito di maggioranza, così il PCI non subì apparentemente quel calo che in effetti ebbe. Ciò tra l'altro è indicativo per la comprensione dei "fenomeni" insiti nella truffa elettorale.

All'interno del Partito Comunista si ebbero vistose ripercussioni rispetto alla spirale di denunce e comunicazioni giudiziarie in cui rimasero coinvolti molti "illustri" iscritti?

Domenico - Cominciarono a serpeggiare gravi malumori ed in molti iniziarono ad avere paura. Al congresso di sezione dell'aprile '84 vennero espulsi vari membri del direttivo che si erano spostati su posizioni critiche. Uscì anche quell'assessore all'edilizia, Misurelli, che era imputato per lo scandalo dell'Edilbruzia. Ma al momento decisivo successe che il consigliere missino rifiutò di dimettersi. In seguito poi, diedero dimissioni postume sia il missino che altri due democristiani e si congelarono gli equilibri di potere per un anno circa, durante il quale il PCI riuscì sempre ad evitare una composizione del consiglio Comunale al completo, evitando di surrogare le dimissioni stesse o di trattarle insieme. Le manovre della Giunta furono quindi coronate da successo anche perché le opposizioni non trovarono nulla di meglio da fare che appellarsi alla Commissione Regionale di Controllo per salvare la faccia, denunciando il rifiuto del sindaco di trattare la questione nei tempi dovuti. L'unico effetto ottenuto fu quello di un blocco, venuto a posteriori, di tutte le delibere discusse dopo il maggio '84. In questo modo le cose restarono immutate sino alle elezioni del '85.

Nell'ambito del Movimento Anarchico di lingua italiana qual'è stato il contributo del gruppo "Pinelli"?

Domenico - All'inizio degli anni '80 abbiamo portato il nostro contributo all'interno dei Convegni "Centro-Sud", ove cercavamo di sviluppare le tematiche non tanto a partire da "discussioni teoriche" ma dalla prassi. In tutti i nostri interventi, infatti, dicevamo che al di là delle vedute particolari sull'azione sociale e delle decisioni e percorsi autonomi, in un momento di dibattito comune tante "barriere" potevano cadere.
Siamo stati portatori di un'ottica anarco-sindacalista, ma la nostra logica fu sempre quella di promuovere un percorso d'insieme su ciò che accomunava i compagni, nel rispetto delle differenze. Dopo una prima fase in cui sembrava che i convegni si stessero avviando su questa strada, c'è stato però un capovolgersi della situazione.
Il problema del confronto era sicuramente molto sentito, ma l'errore è stato quello d'introdurre livelli di discussione che stigmatizzavano l'operato altrui, invece di dibattere con maturità, con una "forma mentis" aperta che permettesse di capire il pieno significato di quello che pensavano gli altri. Io credo che l'anarchismo abbia in sé una forza tale da potersi confrontare con qualsiasi posizione senza remore. Il riemergere del Movimento dopo il '68 è intriso di contraddizioni, la stessa estrema varietà dei trascorsi di coloro che sono approdati all'etica libertaria lo testimonia. Ma mentre generalmente di ciò non ci si "scandalizza", quando invece si tratta di andare oltre le differenze tattiche e metodologiche riemerge un rifiuto del confronto stesso. La verità è che se dovessimo operare delle "scomuniche" dovremmo invece cominciare per prima cosa ad "autoscomunicarci" tutti.

Mi pare di capire che teniate molto a ricordare quanto le idee-forza dell'anarchismo non debbano essere vissute come una sorta di "deus ex machina", all'infuori di cui sia "proibito" muoversi ed indagare.

Tonino - Noi siamo arrivati alla conclusione che alcune posizioni, giuste ed efficaci magari per il momento in cui nacquero, sono assurte al ruolo di "strategie assolute", di assiomi intoccabili. Riteniamo che bisognerebbe fare più attenzione alla storia per andare alle origini delle cose, perché forse molto ci è arrivato "filtrato", quasi fosse stato coperto dal crisma del dogma. È solo il principio fideistico che è immutabile.

Quali erano le differenze rispetto all'intervento sul "sociale"?

Tonino - Tutti coloro che sono presenti concretamente nelle realtà sociali, hanno le loro ragioni, ma spesso ognuno identifica il suo come l'unico modo corretto d'agire. Crediamo che l'obiettivo comune dovrebbe essere quello di stimolare forme libertarie d'aggregazione di massa, autonome, federaliste e che questo generale tipo d'organizzazione possa essere rifondato muovendosi dentro e fuori gli organismi "confederali". Gli eventi stessi ci hanno dimostrato che ci sono stati momenti in cui l'opposizione è nata in seno ai sindacati, come contro di questi. Esempi ne siano il "Movimento dei Consigli" nelle fabbriche da una parte, e quello degli ospedalieri e dei precari della scuola dall'altra. Cosa avremmo dovuto dire, che gli ospedalieri erano "reazionari", mentre coloro che andavano ad occupare le fabbriche con la CGIL-CISL-UIL erano "compagni", o che i "veri rivoluzionari" erano i primi mentre per gli altri si trattava d'una massa di "riformisti" o "traditori"?

Domenico - Al Convegno Nazionale Anarcosindacalista da noi indetto e che si tenne proprio qui a Spezzano, al quale parteciparono solo compagni di gruppi specifici e dove si mirava a creare un confronto fra i militanti onde far chiarezza sul problema generale di carattere strategico rispetto all'intervento di massa, per tutta risposta ci si propose di creare una "federazione anarcosindacalista". Questo quando in tutti i modi tentavamo di far capire che un tale organismo sarebbe potuto nascere solo da un processo d'unificazione di strutture di base, magari indetto dall'USZ e da realtà similari e non poteva certo sortire da un qualunque incontro promosso da gruppi di anarchici o da qualunque fusione di associazioni politiche che si danno magari un'etichetta sindacale o qualcosa di simile.
Altro discorso ancora andrebbe fatto invece per coloro che rifiutano d'intervenire tra i lavoratori asserendo che la "logica delle masse" è solo tendenzialmente riformista ed esula da quella dell'anarchismo, e che giustificano il loro "tirarsi fuori" con la paura di "venirne contagiati". Qui rientriamo nel massimalismo di maniera dei "rivoluzionari di professione": è proprio in ciò che appare evidente una vistosa forzatura tendente ad astrarre l'anarchismo dal suo "habitat" naturale che è la società nel suo complesso.
Simili posizioni poi, diventano ancor più deleterie quando vengono utilizzate allo scopo di stabilire il livello della "purezza rivoluzionaria" di chi si pone in un'ottica diversa. È anche per effetto di queste chiusure che sono naufragati i Convegni "Centro-Sud".

Quali mutamenti degli equilibri di potere si sono verificati ultimamente a Spezzano Albanese?

Domenico - Fino alle europee del '84 lo scontro politico durante le campagne elettorali si è accentrato fra PCI da una parte ed anarchici dall'altra. Gli altri partiti sono sempre stati quasi totalmente assenti, tutti tesi com'erano a strappare briciole di potere all'amministrazione.
Dopo le comunicazioni giudiziarie pervenute alla Giunta nel marzo del '84, il dibattito politico si vivacizza: tutti scendono in campo. Come abbiamo già visto un gruppo di comunisti viene buttato fuori dal direttivo ma una volta allontanati costoro continueranno a definirsi comunisti, in polemica con Tursi e con il segretario del partito, definiti opportunisti. Anzi cercheranno di farsi appoggiare dalla Federazione Provinciale e Regionale del PCI, nonché dalla Segreteria Nazionale, chiedendo la testa del sindaco e del segretario, ed un nuovo congresso sezionale che avrebbe dovuto riportare i dissidenti dentro gli organismi dirigenti. Le loro richieste non vengono però prese in considerazione e verranno tutti radiati dal partito dopo le europee del '84.
Approssimandosi le comunali del '85 i dissidenti, convintisi di essere stati ormai completamente abbandonati dagli organi dirigenti del PCI, pensano di presentare una lista civica.
Nel corso di un incontro da loro richiestoci, ribadimmo che avremmo comunque fatto una campagna astensionista, nonostante il gruppo dei fuoriusciti avesse riconosciuto all'opera svolta dagli anarchici e dall'unione sindacale zonale, il merito di aver promosso lo spostamento di larghi strati sociali ed anche di avere in qualche modo stimolato la frattura avvenuta all'interno del partito. La nuova lista motivava la sua presenza affermando di voler determinare la fine dell'egemonia assoluta del PCI e la conseguente apertura di nuovi spazi politici. I presupposti su cui nasceva "Rinascita Spezzanese" erano, secondo quanto affermato dai suoi rappresentanti: portare le istanze di piazza dentro il "palazzo" e usare una metodologia profondamente democratica impegnandosi a consultare su ogni proposta i cittadini. In quell'occasione ribadimmo quindi che avremmo continuato nella strada di sempre, contro-informando la popolazione sull'operato di tutte le forze politiche durante e dopo le elezioni, ed esprimendo senza reticenze le nostre posizioni in merito.

Non credi che "Rinascita Spezzanese" possa "cavalcare" le istanze di democrazia diretta affermate in così larga misura dagli anarchici, quale "rappresentante" a livello istituzionale dei movimenti di base?

Domenico - Un riassorbimento delle lotte sul terreno istituzionale non sarebbe facile, perché noi siamo sempre intenzionati a dimostrare in qualsiasi momento dov'è la reale democrazia diretta e come si esplica. Inoltre s'è ormai formata nel paese un'area libertaria consapevole della pericolosità dei giochi di potere, della quale noi alimentiamo costantemente l'attenzione critica. Non abbiamo però condannato come "traditori" quei cittadini che, pur avendo lottato insieme a noi nell'USZ, hanno dato il loro appoggio alla lista: Un'organizzazione anarchica, pur trovandosi di fronte a situazioni particolari, deve avere comunque il coraggio di confrontarcisi. Questo non vuol dire però, come sostiene invece in modo interessato il sindaco, preoccupato unicamente della sua poltrona e al quale interessa solo screditarci, che avremmo "candidato" qualcuno a "rappresentarci".

Che cosa è successo con le elezioni?

Domenico - Il Partito Comunista ha avuto, dopo i risultati di maggio, seri problemi conservando la maggioranza solo per pochi voti. "Rinascita Spezzanese" ha ottenuto tre consiglieri. Fra non votanti, schede bianche e pronunciamenti nulli, ci sono stati circa un migliaio di astenuti.

Quali prospettive ci sono adesso per la ripresa di un discorso antiistituzionale?

Domenico - L'anarchismo non deve temere che forze istituzionali di qualsiasi genere possano rubargli lo "spazio vitale" se agisce su un terreno di massa, sarebbe invece preoccupante non esservi presenti. Pur fuori dal "palazzo" con le nostre lotte abbiamo sempre condizionato e messo in crisi le scelte dell'amministrazione. D'altra parte, pur se non è necessario divenire consiglieri comunali per denunciare le delibere nelle strade, non ci potrebbe certo dar fastidio se qualcuno sollevasse all'interno del Comune le nostre battaglie di piazza. Furono proprio le contraddizioni emerse a seguito degli scandali di sottogoverno da noi resi noti, che determinarono più volte spaccature verticali all'interno dei partiti di potere e fra l'uno e l'altro. Ma soprattutto è stato grazie a quest'opera di controinformazione che la gente ha cominciato a distaccarsi da tutte le rappresentanze legali.
D'altra parte bisogna sempre rimanere coscienti del fatto che la metodologia ed i principi devono essere applicati nella pratica poiché solo questa può verificarne il valore etico e renderli concreti. Naturalmente questo è molto più difficile di quanto non sia un approfondimento solo teorico. Occorre una "forma mentis" aperta che permetta un quotidiano interrogarsi. Guardare alla realtà del momento in modo dialettico non significa certo cadere nel "riformismo". L'alternativa altrimenti resta quella di "rannicchiarsi" nel proprio guscio "aspettando l'anarchia".

Molti problemi, laddove l'anarchismo ebbe più fortuna, vennero risolti in passato con l'anarcosindacalismo. L'organizzazione sindacale era strutturata con un segretariato, un consiglio nazionale, promuoveva consultazioni referendarie che interessavano direttamente la base sulle questioni di vitale importanza e congressi periodici, indiceva campagne di tesseramento che fornivano una stabile ossatura economica ed una corretta percezione della dimensione degli organismi affiliati e delle categorie che li esprimevano, nonché dell'estensione dell'intervento sociale. L'anarcosindacalismo offriva la possibilità di ricostruire e rimodellare la società avendo una forma in cui già si prefigurava la trasformazione. Oggi molte questioni si pongono in termini ancora più drammatici dal momento che siamo in piena fase di destrutturazione delle classi così come le conoscevamo e non possono più venire risolte rifacendosi ai vecchi schemi. A fronte di tali mutamenti come credi possibile un'evoluzione dell'azione di massa?

Domenico - Molto spesso il proletariato non è più identificabile in modo preciso. Sta sparendo la figura "tradizionale" del produttore e vi sono fasce di sfruttati il cui ruolo produttivo non viene riconosciuto in alcun modo: svolgono lavoro nero, sono precari e congedabili in qualsiasi momento, sottoposti al principio della mobilità, non sono sindacalizzabili.
L'organizzazione anarcosindacalista classica è quindi proponibile solo in alcune situazioni, ma io credo sia possibile e necessaria una sua evoluzione radicale: l'esperienza degli atenei libertari spagnoli ed il moltiplicarsi di strutture di quartiere lasciano intravedere delle interessantissime tendenze. Bisogna oggi pensare, pur facendo salvo il principio del dualismo organizzativo, ad organismi di massa di carattere complessivo che possano riunificare i vari livelli dell'intervento, superando la sola aggregazione "per categorie" con l'allargamento della presenza sul territorio. Territorio ove vive la gente, con tutte le contraddizioni determinate dal dominio: per esempio la droga e la mafia che impongono una quotidianità di disgregazione in sintonia con il disegno di riproduzione del potere perseguito dalle consorterie politiche che occupano le istituzioni della società civile sin dalla radice.
Spesso non andiamo al passo con i tempi e quindi non riusciamo a rappresentare qualcosa nel mondo di oggi. L'anarcosindacalismo è stato esplosivo perché è riuscito a convogliare lo scontro maturato in un determinato periodo storico. Per recuperare un nostro ruolo oggi bisogna saper interpretare i bisogni, che vanno anche al di là delle necessità primarie: ecco che per riacquistare incisività dovremmo sapere ancora una volta trascendere il massimalismo di maniera e calarci a piè pari nelle contraddizioni del momento, recependo nel giusto modo le istanze che emergono dagli strati subalterni, non vagliandone in modo autoritario la "legittimità rivoluzionaria" con i criteri del "tutto e subito", bensì curando che s'inneschi un processo prima di tutto metodologico che nel rispetto delle capacità di maturazione generali, possa veramente impostare una dinamica irreversibile di sovvertimento. L'organizzazione di massa non potrà essere più, se mai lo è stata, solo organizzazione "di classe", cioè sindacale, ma dovrà guardare maggiormente al sociale in senso lato.

Quale spazio va lasciato al "movimento d'opinione"?

Domenico - Anche questo è molto importante e va curato a fondo. Esiste in ogni lotta un momento in cui si fa opinione, per esempio ciò accade quando nei comizi noi denunciamo l'operato della Giunta: è legando un'azione concreta a tutti comprensibile ad una nuova visione ideale, che il progetto di cambiamento acquista anche nell'immaginario collettivo dei connotati libertari profondi. Molto spesso invece noi rimaniamo ancorati al passato.

Quali prospettive ha l'Unione Sindacale Zonale?

Domenico - Abbiamo passato recentemente un periodo di ripensamento rispetto all'intervento di massa. Ci siamo resi conto di aver forse trascurato un po' il gruppo, tanto che ci era nata la tentazione di abbandonare per un periodo la lotta e le rivendicazioni di carattere sindacale per favorire la propaganda specifica e la formazione dei militanti in senso teorico. Ma abbiamo presto capito che ciò non sarebbe servito a molto, quanto invece l'approfondire il ruolo complessivo dell'Unione, le cui prospettive non sono ancora completamente definite, nell'azione sociale, insieme ad un rinnovato impegno di carattere culturale ed agitatorio della struttura specifica comunista anarchica.

Qual è il ruolo dell'organizzazione specifica in questo progetto?

Domenico - Essa mantiene un ruolo insostituibile d'elaborazione teorica e di stimolo verso ciò che s'esprime nella società. È quindi fondamentale la sua presenza sia a livello locale che, soprattutto, in ambito nazionale, ambito nel quale noi crediamo che, ad esempio, la FAI, nonostante le sue carenze, possa occupare un posto importantissimo.

Esiste a Spezzano una specificità albanese, con circoli che si rifanno alla cultura albanese?

Tonino - Da due anni è sorto un circolo culturale denominato "Baskim Kulturore Arebereshë". Alcuni del nostro gruppo ne sono stati fra i promotori. Ne fanno parte molti giovani ed alcuni studiosi della questione albanese. Ci si propone di raccogliere tutta la letteratura italo-albanese prodotta sia in lingua originale che in italiano, con particolare riguardo ai canti popolari. È previsto un lavoro di ricerca di costume e sistematizzazione dei dati in base anche alle particolari influenze di origine mediterranea, slava o araba. C'è il progetto di creare un museo.
Tale associazione è nata autonomamente ed in modo apartitico e di massa, e vi si aderisce non in base ad una qualsiasi fede religiosa o politica, ma in quanto componenti di una precisa comunità etnica. Ci si propone di verificare quanto nelle nostre usanze sia stato modificato od eliminato nell'impatto con le culture italiane: è stato istituito anche un corso di lingua e di scrittura tenuto da laureati in lingua albanese all'Università di Arcavacata.

L'albanese che si parla a Spezzano è simile a quello originale?

Domenico - In Albania oggi si parla "Skip", una lingua derivata dalla fusione dei vari dialetti preesistenti alla nascita della Repubblica Socialista. Il nostro arebereshë risale invece appunto ad uno di questi antichi dialetti parlato intorno al XV secolo.

L'amministrazione comunale aveva mai promosso niente di simile?

Domenico - A Spezzano mai. Negli altri paesi albanesi invece c'è un certo fervore per queste cose: ad esempio a S. Demetrio Corona si organizza periodicamente un festival della canzone albanese. Ma spesso capita di ascoltare canti in arebereshë accoppiati ad una musica tutt'altro che albanese, anche perché si tratta di manifestazioni non molto genuine, "sponsorizzate" dalla Regione, che come tali tendono a perdere i loro caratteri originali. Però, nonostante tali esempi, il problema è sentito molto anche a livello popolare: il "Baskim" è stato accolto con molta partecipazione, tanto che abbiamo oggi circa 100 soci. Quando abbiamo fatto l'inaugurazione lo scorso anno a settembre, con una festa alla quale è intervenuta gente da tutti i paesi italo-albanesi a cantare in piazza, abbiamo visto per esempio donne che non erano mai intervenute in una manifestazione pubblica muoversi da casa e venire a ballare.
Il "Baskim" cerca di recuperare anche parte di quelle tradizioni culturali che, perché vietate, non esistono più nella stessa Albania, ove un tempo erano presenti tradizioni musulmane e cristiane che esprimevano, anche se mediate, altre usanze di origine più antica.
All'amministrazione comunale ha dato comunque molto fastidio che il "Baskim" sia stato in parte promosso da anarchici e che il circolo culturale si difenda da qualsiasi tipo d'ingerenza. Hanno addirittura messo in giro la voce che sino a quando ci fossimo stati noi nessuno del PCI se ne sarebbe mai interessato. In seguito però hanno cominciato ad indire manifestazioni folkloriche: abbiamo notato per la prima volta sui muri manifesti bilingui. In ogni caso il sindaco ha affermato pubblicamente che il circolo culturale, in quanto apartitico, avrebbe fatto la fine di tutte quelle strutture sorte in modo autonomo "che credono di potersi autogestire", perché "chi non stabilisce rapporti con le istituzioni non può avere vita lunga". Naturalmente ha detto che non darà contributi: anche questo dimostra come si pensi di poter disporre a proprio piacimento dei fondi pubblici discriminando secondo criteri politici sulle assegnazioni.

Quali altre iniziative sono state prese dal "Baskim"?

Domenico - Il "Baskim" ha curato alcune mostre di artigianato sulla civiltà contadina.

Sono stati presi contatti con gli altri paesi albanesi?

Domenico - Sì, e tanti hanno visto di buon occhio il circolo di Spezzano poiché differisce dagli altri, ove sorgono frequenti liti fra i rappresentanti dei vari partiti, ognuno coltiva il proprio orticello, con il risultato che molte delle iniziative proposte dalla gente vengono affossate. In tali condizioni acquista infatti credito solo quanto viene promosso dagli elementi più influenti e che godono di maggiori appoggi a livello politico regionale. Naturalmente a coloro che sentono la questione albanese appartenergli realmente, queste cose danno fastidio.
Il "Baskim" ha rapporti anche con le redazioni delle riviste di cultura albanese che vengono prodotte in altre località.

Esiste una qualche forma di coordinamento delle realtà albanesi?

Domenico - C'è una Lega dei comuni albanesi, che però è più che altro rappresentativa di coloro che dirigono le istituzioni politiche dei singoli luoghi. Più volte ci hanno "corteggiato" affinché il "Baskim" vi aderisse, col fine di imbrigliare in qualche modo la nostra autonomia.

Qual è stata la "molla" che vi ha spinto a partecipare a questa esperienza?

Domenico - Il nostro sentirci profondamente albanesi ed anche l'essere anarchici, poiché nell'anarchismo ha grande valore il significato attribuito all'autonomia delle varie realtà etniche e viene tenuto in grande considerazione il ruolo delle specificità culturali da queste espresse.

Quali sono stati i problemi specifici della minoranza albanese in Italia, anche dal punto di vista storico?

Domenico - Dicono che siamo la più grande comunità d'origine estera in questo paese anche se non siamo riconosciuti "ufficialmente" quale gruppo etnico come altri (friulani, altoatesini, etc.).

Come vi siete pronunciati come anarchici rispetto alla religione?

Domenico - Pur attaccando, quando è stato necessario, l'opera delle gerarchie ecclesiastiche e del Papa, pur non facendo certo quel continuo appello ai cattolici che fa il PCI per rubare voti ai democristiani, abbiamo sempre riconosciuto la gran differenza che corre fra chi è cristiano per una scelta etica coerente e chi invece segue per motivi di comodo o in modo dogmatico e servile le indicazioni della Chiesa di Roma anche quando favoriscono gli interessi degli sfruttatori. Critichiamo l'istituzione e l'oppressione, non la coscienza. Tanto che tutti i gruppi che si formano intorno alla chiesa locale finiscono spesso col nutrire simpatie per noi: preferiscono magari guardare all'attività degli anarchici piuttosto che a quella del PCI o della DC. Infatti simpatie nei nostri confronti provengono da ambienti di "Pax Christi". Invece non sono mai esistite "Comunione e Liberazione" o altre formazioni di stampo integralista. È certo che se noi avessimo assunto atteggiamenti d'esclusione del tipo: "Tu sei cristiano quindi non abbiamo niente a che spartire con te" (come se del resto non avessimo dialogato con i comunisti di base) le cose si sarebbero evolute in modo diverso. I nostri interlocutori non possono essere solo "gli anarchici".

È sentita la questione albanese fra i giovani?

Tonino - Non come ci si potrebbe aspettare. Quale paese fondato da profughi, Spezzano è sempre stato costretto ad "importare" cultura. È sempre stato difficile porsi liberamente delle scelte. Pure l'evoluzione dei costumi giovanili segue spesso questa "legge" di "rimando". Per esempio dei "punk" ci fu l'esplosione a Londra nel '77, si videro per la prima volta in Italia nel '78-'79: a Spezzano cominciano ad apparire oggi. Si sconta sempre il "tradizionale" ritardo del meridione rispetto ai fenomeni generali, però in questo v'è anche una nota positiva: questo paese vive le cose anche con senso critico.
C'è una coscienza critica abituata a "discriminare" attentamente le cose, a discuterne: i cambiamenti anziché essere rifiutati vengono osservati con occhio critico. Nel '82 abbiamo fatto un'inchiesta giovanile "sul campo", ponendo una serie di domande sui movimenti e le mode emergenti come sui fenomeni "alternativi" del recente passato, sulla sessualità, sul come viene vissuta, con quali aspettative e con quale tensione, per recepire i mutamenti in atto rispetto alla "tradizione". Abbiamo sollevato un grande interesse a tal punto che c'era la tendenza a dibattere apertamente le questioni, si formavano sempre dei capannelli, mentre noi ci aspettavamo una richiesta di riservatezza molto maggiore.
Per la prima volta le ragazze si avvicinavano spontaneamente, attratte dalle tematiche in discussione e senza eccessive remore. Abbiamo appurato che un sistema di ricerca con domande precise ma elaborato in modo tale da essere aperto rispetto alle risposte dà veramente l'opportunità di parlare e con un certo stupore ci siamo resi conto che in fondo non emergeva un modo di pensare troppo distante da quello delle grandi città e che i livelli d'informazione erano molto più ricchi del previsto. Ovviamente abbiamo anche trovato persone che esprimevano solo due opinioni, attanagliate da quel tipo di "cultura dicotomica" caratteristico di una povertà interpretativa di fondo, ma non nella grande maggioranza. Nei paesi esistono più rapporti umani e forse meno manipolazioni da parte dei "mass media".

Esiste nel Meridione il problema della scarsa presenza delle donne nei gruppi politici?

Domenico - È un problema complesso. Per quanto ci riguarda possiamo dire di non aver mai avuto all'interno del gruppo una militanza femminile vera e propria, ma già nel '74, quando si portavano avanti le lotte nella scuola, erano molte le ragazze attive. In quegli anni uscivano anche pubblicazioni ciclostilate, prodotte da donne e rivolte alle donne. Nel '77 poi, quando si formò il Comitato dei Disoccupati, riscontrammo addirittura una prevalenza femminile e le donne continuarono a partecipare in gran numero alle lotte espresse in seguito, tanto che la segreteria dell'USZ nel '79 venne tenuta da una compagna.
Il Comune, avvedutosi di questo stato di cose, cominciò ad avvicinare a sé molte giovani aprendo loro i ranghi dell'amministrazione. I gestori della cosa pubblica nutrivano due generi di preoccupazioni: prima di tutto volevano scongiurare l'insorgenza di una "questione femminile" legata alla richiesta di lavoro; in secondo luogo, e per la loro mentalità tradizionalista e maschilista, e perché le condizioni esistenziali oggettive del paese lo rendevano possibile, temevano che la presenza di ragazze nelle strutture di movimento potesse potenziare l'afflusso di nuovi elementi.

C'è qualche caso particolare che ricordi di compagne che smisero l'attività dopo avere ottenuto un posto fisso?

Domenico - Si, questo è successo, per esempio, con una delle militanti più attive fra i disoccupati, che ora lavora all'Ufficio Servizi Sociali.
Io credo che, al Sud in particolare, la donna manifesti generalmente un misto di ritrosia e paura nel momento in cui le si presenti l'opportunità di ricoprire un ruolo da protagonista. Questo forse spiega come mai sia molto più facile riscontrare un impegno femminile nei momenti di grande mobilitazione e nei movimenti di massa, anziché nelle strutture politiche in senso stretto. Infatti abbiamo sempre trovato un'adesione entusiasta in campo femminile quando siamo riusciti a sviluppare lotte di largo respiro, ed anche in passato, mentre non si verificò mai un coinvolgimento militante delle donne nel senso stretto all'interno delle sezioni dei partiti, moltissime furono le "mogli", le "figlie" e le "sorelle" che parteciparono agli scioperi ed alle occupazioni delle terre.

Ritieni siano solo queste le ragioni per via delle quali non vi sono mai state delle compagne nel gruppo anarchico di Spezzano Albanese?

Domenico - No. Io credo che ciò sia avvenuto anche per colpa nostra, dal momento che ci siamo chiusi un po' troppo nel gruppo, curando più il "lavoro di massa" che l'aggregazione specifica. Questo è un problema che ancora oggi stiamo dibattendo: ci siamo accorti di avere limitato eccessivamente il nostro campo d'azione, e ciò non ha certo favorito lo sviluppo di tematiche importanti dal punto di vista esistenziale e culturale, frenando anche le possibili adesioni femminili.

Franco - La donna è stata educata a comportarsi in un certo modo. Anche se il padre è un compagno, o se vive con un compagno, è talmente abituata ad essere relegata in casa, a non partecipare, a non agire, perché a queste cose viene costretta dalla mentalità del paese, che non riesce il più delle volte ad uscire dal suo isolamento e ad esprimere una continuità d'azione o a instaurare rapporti duraturi e non episodici all'interno di una situazione antagonista ove si renda necessario uno sforzo costante di rielaborazione di promozione di un dato programma.

Tonino - In questo senso il femminismo non ha mai inciso a Spezzano. Del resto anche nei centri scolastici maggiori dove confluiva gente da tutta la provincia, come Castrovillari, le studentesse si sono limitate a modificare solo l'esteriorità dei costumi per poi seguire la stessa prassi di sempre una volta tornate a casa nei paesi d'origine. Basti pensare che nei locali pubblici solo da poco si riscontra la presenza delle donne. Ed anche in questo, più che ad una tensione liberatoria vien dato di pensare ad un fenomeno culturale di importazione.

E le compagne dei militanti?

Tonino - Molte donne si sono avvicinate alle strutture politiche "di riflesso", conseguentemente al loro rapporto di coppia. Noi abbiamo sempre cercato di evitare che nel nostro gruppo si verificassero situazioni analoghe, perché non ci sembrava produttivo. L'unica esperienza in cui le donne hanno fatto politica sicuramente con convinzione è stata quella del gruppo femminista di Castrovillari, ma il loro limite è stato quello di portare avanti tematiche non legate alla problematica della donna meridionale, perché basate su modelli importati dal resto d'Italia.

Domenico - Anche a Spezzano ci sono state donne che hanno tentato d'imporre, con reazioni istintive, dei comportamenti che scontrandosi frontalmente con la cultura locale venivano rifiutati e non servivano certo a produrre un cambiamento reale della loro condizione. Tali metodi non hanno mai sortito effetti positivi, perché creando una situazione di frattura insanabile non permettono di modificare la realtà, mentre d'altro canto disperdono la tensione individuale verso il protagonismo essenzialmente nella rappresentazione esteriore di un'immagine d'emancipazione.

In questa situazione quali sono le possibilità che le donne meridionali hanno di raggiungere una parità effettiva con l'uomo?

Tonino - Sul discorso della parità non è mai stato espresso, nemmeno dal movimento femminista, un significato molto chiaro. Tuttavia se un certo livello di parità si può raggiungere, oggi questo non può prescindere dal problema economico e quindi del lavoro femminile. La mancanza di lavoro, infatti, ha enormemente condizionato finora la cultura della donna. Essa, costretta a stare chiusa tra le quattro mura domestiche, cerca di sopperire con ogni mezzo alla mancanza di interazioni sociali, ed è in questo contesto che bisogna leggere anche il suo atteggiamento rispetto alla religione: questa infatti, più che essere sentita profondamente, è usata in modo strumentale perché apre possibilità d'intessere un minimo di rapporti umani. Le messe, le processioni, i funerali, sono spesso le uniche forme di svago, sono gli unici momenti d'incontro che vengono offerti alla donna dalla realtà dei paesi.

Domenico - Secondo me la parità tra i sessi in questa società non è possibile, perché troppi sono i condizionamenti che la impediscono.
Oggi siamo ancora troppo legati a modelli imposti che reprimendo l'aspetto femminile presente in ogni uomo e quello maschile insito nelle donne, non solo a livello sessuale ma anche nei modi di essere e comportarsi, non ci permettono di esprimere veramente noi stessi e di poter quindi creare dei rapporti sereni ed armoniosi.
Bisogna poi aggiungere che spesso, inconsciamente, è proprio la donna che tende a rifiutare un modello di uomo che esca anche solo minimamente dallo schema consueto, nonostante ciò avvenga quotidianamente anche nei suoi stessi confronti.
La condizione della donna è legata dunque ad un altro problema più complesso e che coinvolge anche l'uomo: la questione sessuale.

Secondo voi, come incidono i ruoli sessuali imposti sui costumi di tutti i giorni?

Domenico - La donna è condizionata sicuramente dalla sua peculiarità sessuale: se resta incinta, ma anche se si concede qualche "libertà di troppo", viene subito additata come una prostituta. Ma la realtà dell'uomo, che pure ha possibilità di ottenere maggiori gratificazioni e di godere di ben altri privilegi, non è in fin dei conti, molto migliore. Se la "sposa" la sera resta in casa, il "marito" se ne sta al bar a farsi un quartino e finisce tutto lì.

Non pensate che la carenza di tematiche femministe all'interno del gruppo possa essere stata limitante?

Tonino - L'assenza di qualcuno che ponesse tali problematiche ha fatto sì che molti aspetti delle nostre esperienze individuali venissero vissuti ed affrontati solo privatamente, mai a livello di gruppo. Indubbiamente quindi si è avvertita la mancanza di un qualcosa che avrebbe arricchito l'intensità dello scambio nei rapporti interpersonali.

Domenico - Comunque ci rendiamo conto della necessità di guardare indietro a quello che è stato il femminismo, per riflettere sia sulle forme e sui modi con cui si manifestò, sia sui contenuti. E più in generale occorre ripensare le "strade della liberazione" fin qui percorse, improntate su nuovi modelli sessuali come sulla fittizia identità dei ruoli e sul gioco della sovrapposizione delle immagini, tendente magari a "parificare" uomo e donna in una "corsa al ribasso" ed all'omologazione delle differenze, che ha lasciato spesso intatta l'insoddisfazione e la negazione delle pulsioni. A maggior ragione oggi, a fronte di un'offensiva di stampo moralistico che vuole riportarci indietro nel tempo agitando i fantasmi della decadenza psichica e fisica, del contagio, dell'AIDS, mentre spariscono i richiami alla "libertà sessuale" e ricompaiono gli appelli alla castità, mentre affoga il "libero amore" e trionfa il rapporto chiuso e di coppia, sarà sempre più necessario reinventare forme vive e originali capaci di bruciare ancora una volta, ma in modo definitivo, ogni vecchio e nuovo conformismo.

Quel 30-40% dell'Azione Cattolica

Francesco Rende, dirigente dell'Azione Cattolica, professore di lettere alla scuola media di S. Lorenzo del Vallo.


Cosa pensa del potere locale?

La sola vera industria di Spezzano Albanese è l'amministrazione locale. Della fiducia nel cambiamento sociale, che portò inizialmente a questo governo, è rimasto solamente una forma di consenso attorno ad un ente che s'è fatto mediatore degli interessi personali della gente. In cambio della ventilata soluzione di problemi pratici, il Comune ottiene quella forma di delega che gli consente di portare avanti la sua politica. Si sono così create le "cricche", le "pecore bianche e nere" e chi gestisce il potere ha avuto la possibilità d'isolare i gruppi più incisivi fino a stancarli: allora esprime la sua forza.
La borghesia d'altronde, da parecchio tempo, ha ceduto il suo potere in cambio di una puntuale protezione dei suoi interessi ed a patto che questo accordo non scritto venga rispettato, sostiene la giunta.

Secondo lei, si può fare politica al di là del voto?

Spesso la volontà di esprimere liberamente la propria individualità viene soffocata nei fatti dalle tagliole del compromesso e così vengono a ridursi gli spazi di chi opta per una politica al di fuori del voto, la qual cosa presuppone una maturità che a volte non c'è. In questo modo il discorso dell'astensione, anche se è una forma intelligente di opposizione, rischia di non venire compreso appieno.

È vero che larga parte dell'Azione Cattolica è passata periodicamente al Movimento Anarchico?

Si, circo il 30,40% dell'Azione Cattolica, da me diretta, s'è riversata nel gruppo anarchico. Questo non posso dire che mi piaccia, perché il valore che davo io alla libertà personale è diverso da quello che loro hanno maturato.

Gli anarchici sono veramente gli unici

Giuseppe Nociti, consigliere di "Rinascita Spezzanese", libraio antiquario.


Qual è stata la tua formazione politica?

Sono stato comunista fino all'età di 28 anni, quando mi recai nel Nord Italia per cercare lavoro. Già nel '56 mi erano sorti grossi dubbi rispetto a tutta la concezione alla quale ero stato educato: mi era stato detto che nell'ideologia comunista avrei trovato rispetto per la libertà dell'uomo e per la sua personalità, però man mano che andavo avanti negli anni vedevo che tutto ciò non corrispondeva a realtà. Mi staccai quindi dal PCI, nonostante gli avessi dato un gran contributo, dal momento che, appena finita la guerra, fondai nel paese la Giovanile Comunista.

"Rinascita" è un partito?

Io avevo proposto di chiamare la lista "Movimento per la Rinascita Spezzanese", riprendendo una definizione politica, quella di "movimento", cara agli anarchici.

Com'è la struttura di "Rinascita"?

Ci siamo imposti un'organizzazione senza capi, dove ognuno può dire liberamente quello che pensa ed incidere a tutti i livelli sulle decisioni che si prendono. Questo dovrebbe attirare l'attenzione di chi ci guarda dall'esterno, ed in particolare degli anarchici. Anarchici ai quali, peraltro, io mi sento molto vicino.

Qual è stato il tuo impatto personale con l'amministrazione?

Mi hanno dipinto in tutti i modi, tra le altre cose qualcuno dice che presto dovrei capeggiare la locale sezione del PSI. Ma in realtà sono sempre stato contrario all'arrivismo, non ho mai mirato a delle cariche, perché so perfettamente che il potere non solo "logora", ma corrompe anche le persone più pure. Quello che m'interesserebbe, sarebbe poter portare avanti qualcosa di nuovo nell'ambito delle tradizioni antiche di questo paese, ovvero il culto della libertà e dell'autodeterminazione individuale, tutte cose molto vicine all'anarchia. Gli albanesi hanno sempre sentito una naturale avversione per ogni forma di "padronismo" e dittatura, tanto che questo paese rimase antifascista per tutto il ventennio nero. Su questa base di profonda onestà ed umanità avevano saputo giocare i comunisti; oggi invece assistiamo ad un degrado continuo del PCI che non potrà mai più raccogliere lo spirito di simili istanze. I giovani in particolare sono molto stanchi delle posizioni politiche dei vari partiti.

Cosa pensi della situazione politica nazionale?

Non ho fiducia in alcun partito, anche perché nessuno ha capito la realtà dei giovani e se viene perso il contatto con i giovani si perde il contatto con la realtà della vita. Le loro richieste non vengono recepite certamente neanche dal Partito Socialista, oggi al governo, che di giovani mi sembra ne abbia molto pochi. In secondo luogo, gli uomini politici italiani sembrano tutti ammalati di egocentrismo, infatti mostrano dei lati della loro vita privata senza accorgersi di quanto si mettano alla berlina da soli. A me risultò estremamente ridicolo che Craxi mostrasse a tutti i venti di essere un raccoglitore di cimeli di garibaldini. Che cosa voleva significare questo: forse un tentativodi presentarsi agli italiani, che hanno sempre nel cuore quell'eroe del Risorgimento, come il nuovo Garibaldi? Nonostante tutte le critiche che si possono muovere a Garibaldi, c'è una differenza enorme tra i modelli di socialismo rappresentati da queste due figure. Che cosa ci si può aspettare quando sono queste le persone che formano i partiti? Ecco perché io non ho fiducia.
Credo invece, e non lo dico perché voi siete qui, negli anarchici: penso che siano veramente gli unici che accettano e promuovono la libertà delle coscienze, si trattasse anche di scelte di carattere religioso. Io, per esempio, non sono più un comunista ortodosso, oggi credo in Dio e mi conforta in ciò il ricordo di Tolstoj che era profondamente cristiano ed anarchico al tempo stesso.
Nell'anarchismo il rispetto dell'individuo e dell'umanità è tale che potrei facilmente sottoscriverlo. Io non lo faccio perché forse non sono preparato al punto tale da operare una scelta del genere e perché non sono più tanto giovane. Ma in ogni caso penso che a Spezzano esista veramente una presenza anarchica originale, coerente ed incisiva a tutti i livelli. Tra l'altro reputo il compagno del "Pinelli" Domenico Liguori il politico più preparato ed intelligente del paese. Tutto ciò fa di Spezzano un centro in cui l'anarchismo ha un peso ed una dinamicità tali da porlo con forza all'attenzione delle strutture libertarie del resto della penisola.
Già vi furono in passato due figure significative di anarchici: una di queste fu quel Rinaldi che poi, camminando a ritroso, aderì al PCI; l'altra mio padre, medico cieco, che non rinnegò mai le sue idee.
Spezzano ha un notevolissimo ascendente sugli altri paesi albanesi e su parte della Calabria ed ha dei precedenti importanti dal punto di vista libertario, nelle lotte condotte dal popolo, che non possono essere facilmente ascrivibili ad alcun partito.

Gli anarchici a Spezzano? Scomparsi!

Domenico Tursi, sindaco di Spezzano Albanese


Gradiremmo sapere da lei, che svolge la funzione di sindaco in questo paese, una opinione sugli anarchici locali

L'origine del gruppo dobbiamo considerarla positiva, perché, anche se spesso in forma antiistituzionale ed anticomunista, ha posto alcuni problemi di carattere sociale che hanno rappresentato uno stimolo per le forze politiche a portare avanti certi obiettivi. Bisogna però far rilevare che non c'è stata una coerenza politica in questo gruppo, che s'è spesso alleato con le forze anti-comuniste incontrando la DC ed il PSI in uno spirito anti-amministrazione. Tuttavia devo riconoscere che in questi anni hanno dato un contributo al dibattito politico del paese.

Cosa c'è da evidenziare sul piano della coerenza?

Avendo conosciuto nell'arco della mia vita moltissimi anarchici, soprattutto nel periodo universitario passato a Milano, ho trovato questo gruppo anomalo rispetto al Movimento Anarchico e non solamente dal punto di vista politico. In molti anni d'attività non hanno sviluppato un rapporto di massa, il gruppo non è cresciuto ed il loro compito è stato molto ristretto. Il gruppo di Spezzano non rispecchia le linee ed i principi libertari, si allea facilmente con altri senza guardare alla forza più importante del paese, che è il Partito Comunista, e senza aprire un confronto con esso. Questo è un fatto sintomatico che lascia molte perplessità anche a livello d'opinione pubblica e credo che anche a livello centrale bisognerebbe fare un esame di questo gruppo.

Ma voi come PCI come vi siete posti nei confronti degli anarchici?

Ci siamo posti in modo positivo, basti pensare che molti dirigenti del movimento provengono dalla FGCI. Quando esisteva la struttura giovanile comunista, c'era un rapporto abbastanza positivo con i compagni esterni che in seguito s'è guastato, nel momento in cui hanno posto il problema specifico dell'anticomunismo come termine di confronto, preferendo invece, come ripeto, il dialogo con la DC e con il PSI. Questo s'è verificato nell'ambito della "Unione Sindacale Zonale": un sindacato autonomo che aveva l'obiettivo di creare ostacoli all'amministrazione comunale. Dopo, parliamoci chiaramente, si sono comportati come garantisti del sistema: andare ad usare la carta bollata per denunciare eventuali scandali e misfatti significa infatti un certo garantismo, che è stato denunciato anche dal compagno Rodotà durante un convegno fatto sull'ordine pubblico, il quale li ha richiamati in termini duri come reazionari e conservatori, perché, nonostante fossero anarchici avevano fiducia nella giustizia di stato e nella magistratura italiana.

Ma Rodotà non è, lui per primo, un "garantista"

Lo è nella misura in cui riesce a difendere questo stato. Un gruppo che si dichiara contro lo stato borghese, se si rivolge alla magistratura denota sintomi di debolezza politica e mancanza di proposte alternative. Io faccio il militante comunista da trent'anni e non ho mai usato la carta bollata per far valere i miei diritti.

Non mi pare comunque, per passare ad altro, che gli anarchici abbiano avuto poco seguito, in particolare le battaglie dell'Unione Sindacale Zonale hanno molto coinvolto il paese. Di questo mi sono potuto rendere conto parlando con parecchia gente qui a Spezzano.

Senza nessun risultato.

Come Comune avete riconosciuto l'Unione Sindacale?

No, perché questa è una organizzazione uscita fuori nei momenti di difficoltà dell'amministrazione. Quando c'era il problema di dare qualche soldo alle vedove o agli studenti, uscivano fuori. Il loro non era un discorso sindacale, ma si limitava all'assistenza delle vedove e degli orfani. Il discorso sindacale per noi è diverso e va fatto sul posto di lavoro.

Che mi dice della problematica legata al quartiere S. Lorenzo?

Le vorrei far vedere un documento di uno che è stato protagonista della "questione S. Lorenzo", l'ing. Misurelli: assessore all'urbanistica e presidente della commissione edilizia che approvò quel progetto e che ora fa parte di "Rinascita".

Io so che l'ing. Misurelli, ex PCI, non è oggi molto contento dei suoi trascorsi tanto che, prima di aderire alla lista civica, si dichiarò pronto a dimettersi addebitando alla giunta una serie di gravi errori, a patto che anche gli altri responsabili all'interno del Consiglio Comunale avessero fatto come lui.

Quando si parla in questi termini uno deve assumersi anche le proprie responsabilità.

Ma questa delibera non era stata esaminata da tutta la Giunta?

Era stata approvata dalla Commissione Edilizia, di cu iil presidente era lui; se questa avesse espresso un parere negativo la cosa non sarebbe stata fatta. A questo punto uno non può venire dopo cinque anni a dire che ha sbagliato; queste sono responsabilità politiche che escono fuori nel momento in cui tu operi, quando hai creato un disordine urbanistico non puoi cercare di rifarti una verginità.

Allora nel progetto c'era qualcosa che non andava.

No, era correto perché quella è una zona di completamento e lo testimonia il fatto che il proprietario ha vinto la causa con i confinanti perché questi erano in situazione di abusivismo. C'era solo il problema del passaggio di una strada.

E la questione della volumetria?

Per legge non si può superare un certo volume: era diviso in tre corpi ma la sostanza non cambia.

E la storia dell'"Orto Barbati"?

È sempre la storia di quella cooperativa già soggetta a denuncia, il cui presidente era sempre l'ing. Misurelli. Quella è una "zona 167", cioè di edilizia economica e popolare.

Mi è stato detto che però vari assessori e consiglieri si sono poi lì costruiti la casa.

No, non c'è nessuno. Gli unici presenti nella cooperativa siamo io e l'ing. Misurelli (nda: Tursi e Misurelli abitano infatti proprio in quelle palazzine).

Per tornare al Movimento Anarchico, se questo riesce ad avere una larga incidenza in una località dove il PCI ha alle spalle una lunga ed incontrastata tradizione egemonica che gli ha permesso la realizzazione dei suoi programmi, un motivo ci deve pure essere.

Tu mi insegni che il Movimento Anarchico esce fuori dalle grosse realtà comuniste.

Il Movimento Anarchico è precedente al Partito Comunista, esisteva già nell'800, mentre il PCI nasce nel 1921. È quest'ultimo piuttosto che prende voti nelle zone tradizionalmente anarchiche, come ad esempio Carrara e la Lunigiana.

Ma c'è possibilità di sviluppo dove c'è democrazia e libertà, come qui a Spezzano. D'altronde, un partito di massa come il nostro non può essere perfetto. Il MOvimento Anarchico è cresciuto sulla carenza di dissenso. Hanno fatto dell'assistenza sui bisogni della gente, come ha sempre fatto la DC. Non hanno un'impostazione, un programma politico duraturo.

E la questione delle graduatorie degli alloggi popolari?

In quel caso gli anarchici non hanno fatto che danneggiare gli assegnatari. Hanno promosso un'occupazione senza saperla difendere.

Visto che prima parlavamo dell'uso della "carta bollata": perché il Comune ha fatto intervenire la forza pubblica?

Perché non ritenevamo giusta quella lotta. Per le graduatorie poi non c'è stato nessun ricorso. Solo un caso abbiamo avuto, che ancora rimane aperto, di uno che aveva occupato.

Che prospettive vede per il gruppo anarchico?

Io credo che ormai a Spezzano sia scomparso. La gente ha capito che l'avventura non porta né benessere, né tranquillità

A quel punto è sopraggiunto il Tursi

Antonio Misurelli, ex assessore all'Urbanistica, consigliere di "Rinascita Spezzanese", ingegnere.


Ci racconti un po' la storia dell'"Orto degli scandali". Il problema mi pare che sia legato molto al fatto che c'era chi era socio della Cooperativa mentre contemporaneamente operava nel Consiglio Comunale.

Si tratta di una cooperativa sorta nel 1974, avente come fine ultimo la costruzione della prima casa dei soci. Tursi, il sindaco, vi aderì nel 1977.

Quindi prima della discussione al Consiglio Comunale.

Si. Io invece vi entrai nel 1980, quando già i lavori erano stati affidati alla "Edilbruzia" e tutto era stato predisposto. Il sindaco ha comunque strumentalizzato la Cooperativa per quanto riguarda i suoli posti qui accanto, pure vincolati alla 167. Dopo varie manovre questi sono stati frazionati e venduti a vari acquirenti fra cui alcuni suoi parenti. In seguito a questi fatti, ci sono state riunioni di partito, indagini ed inchieste. Nel corso di un incontro col segretario di Federazione abbiamo "azzerato" il problema con la promessa di apportare presto dei cambiamenti negli organi dirigenziali. Ma questi non ci sono stati e mi sono trovato più di una volta costretto a bloccare, in qualità di presidente della Commissione Edilizia, altri progetti che non potevano assolutamente venire approvati. Anzi, fui messo sotto controllo. Comunque è una storia conosciuta ormai da tutti. Si trattava di una zona residua lasciata per servizi, ma quando io ne sono venuto a conoscenza ed ho cercato di modificare il progetto, suggerendo la costruzione delle palazzine da un'altra parte, si era già in una fase molto avanzata e non è stato possibile apportare dei cambiamenti. Io allora non ero ancora socio.

Quand'è che lei disse: "Io mi dimetto solo se se ne vanno anche gli altri responsabili"?

Sia nell'ambito del partito che nei consigli comunali ho cercato di fare un discorso di cambiamento. Sostenevo che se c'erano delle responsabilità da parte degli amministratori, era giusto che questi si dimettessero. Io ero pronto a lasciare il posto di assessore, ma con me se ne dovevano andare anche i maggiori responsabili. Ad esempio, un'altra irregolarità del sindaco è stata quella di firmare convenzione e concessione per l'Edilbruzia, mentre non poteva farlo perché era socio della cooperativa.

Tursi è stato rinviato a giudizio solo per questo?

Anche per aver dichiarato il falso in un atto notorio.

A che punto è il procedimento giudiziario?

Ancora non s'è conclusa l'istruttoria.

Come è andata la questione della vendita a privati?

Si è risolta con un compromesso di partito destinando quei suoli ad opera pubblica. Quindi bisogna dire che tutto infine è stato aggiustato e che in ciò non è stato ravvisato alcun reato.

Ad ogni modo, di tutta la generale "bagarre" che ha coinvolto il partito ne avete interessato anche gli organi centrali di controllo?

Abbiamo inviato quintali di carte alle Segreterie Nazionale, Regionale, Provinciale ed alla Commissione di Controllo. Siamo persino andati in delegazione a Catanzaro. Abbiamo spedito incartamenti anche a Natta.

Che effetti si sono avuti?

L'unico provvedimento preso è stata la mia radiazione. Per il resto nessuno ha pagato. Poi sono nati dei problemi nel Consiglio Comunale quando naturalmente io mi sono dissociato dal gruppo del PCI.

E gli altri partiti?

A Spezzano non c'è opposizione da parte degli altri partiti. Ne è conferma quanto è successo in un famoso consiglio comunale dove, a fronte di una mozione di sfiducia, si è avuto questo risultato: 10 no, 9 si ed 1 scheda bianca. Si era pensato, a livello di opposizione, di dare le dimissioni in massa onde far cadere la Giunta, ma in quell'occasione questa fu salvata invece da un missino.

Parlando del Partito Comunista in generale, lei crede che la situazione di Spezzano sia anomala?

No. Prima avevo fiducia, ma dopo questi fatti ho cambiato idea. Ad esempio, la Federazione di Cosenza è scossa da problemi molto simili. Basta vedere quello che è successo alle ultime elezioni: in molti paesi il partito si è spaccato, ci sono stati casi di sindaci che sono usciti dal PCI e si sono presentati da soli. Sono state fatte liste in contrapposizione formate da fuoriusciti: a S. Giovanni in Fiori addirittura due. A S. Stefano di Rogliano il sindaco, facendo una lista per proprio conto, è riuscito a prendersi il comune. Il partito è dominato da gruppi d'interesse che ruotano attorno a questo o a quel personaggio.

Secondo lei, come mai il PCI, anche se non funziona, continua a "tenere" alle elezioni locali?

Perché porta avanti una politica prettamente clientelare e di compromesso. Lo vota chi vuol ottenere dei favori. Ad esempio, se noi analizziamo gli ultimi risultati elettorali vediamo che la DC ha un enorme scarto di voti tra elezioni regionali e provinciali da una parte e comunali dall'altra, con un travaso netto di centinaia di suffragi che finiscono nella sacca del sindaco. Costui riesce sempre a ricomporre un fronte a suo favore lavorando molto anche sugli individui. Abbiamo avuto l'esempio di canditati socialisti spostatisi a tre giorni dal voto nelle liste PCI. Tutto quello che succede passa attraverso il comune. Si confondono partito ed amministrazione: se si fa la festa dell'Unità, ad esempio, si utilizza la struttura pubblica del Centro Anziani. Se vuoi lavorare in qualche fabbrichetta privata, devi passare tramite loro.

Pensa che l'attuale sindaco goda di protezioni?

M'attengo a dei fatti. Durante le ultime elezioni sono successe cose gravissime. Abbiamo scoperto, tre o quattro giorni prima del voto, che erano già pronti i certificati medici per le persone che non potevano votare da sole, già datati per il giorno stabilito. Inoltre le diagnosi contenute erano spesso semplicemente ridicole: diminuzioni di visus, tremori senili e simili. La legge invece parla molto chiaro: per poter essere accompagnati dentro la cabina bisogna soffrire di gravi handicaps come paralisi, amputazione delle mani, cecità totale. Venuti in possesso di uno di questi referti, io ed il segretario della DC, con una fotocopia ciascuno, ci siamo recati separatamente a sporgere denuncia. La sera del sabato così è nato un putiferio: arrivano i carabinieri, vanno a picchettare la casa del medico, fanno indagini.
Il giorno successivo comunque questi certificati sono stati tranquillamente utilizzati, ma il presidente del seggio n. 1 s'è rifiutato di accettarli. A quel punto è sopraggiunto il Tursi che ha dato ordine ai componenti del seggio di uscire fuori e ha minacciato di far interrompere le operazioni di voto. Il presidente ha ceduto e la faccenda si è conclusa così. In seguito a questi fatti è stata sporta un'altra denuncia ed è partita una nuova inchiesta. Nonostante siano stati interrogati tutti i testimoni, me compreso, la Magistratura che in genere in questi casi procede per direttissima, per l'occasione ha seguito la via ordinaria.

A proposito dell'assegnazione delle case popolari, il sindaco afferma ch4e non ci fu alcun ricorso. Corrisponde a verità?

Ci fu una marea di ricorsi! Mi rimprovero una sola cosa: di essere stato un ingenuo ed uno sprovveduto. Abbiamo analizzato quelle graduatorie controllando soltanto se le domande fossero o meno complete dei documenti richiesti, sapendo che sarebbero state subito trasmesse alla commissione di Castrovillari. Dopo tre mesi invece abbiamo saputo che erano ancora depositate qui in Comune. In questo modo è stato possibile magari riesaminarle con calma...

Rispetto alla questione del quartiere S. Lorenzo il sindaco ritiene che lei sia il maggior responsabile, essendo stato all'epoca dei fatti il presidente della Commissione Edilizia.

Dove ho alzato la mano riconosco le mie responsabilità. Ma in generale devo dire che parecchie cose non le sapevamo nemmeno noi componenti della Giunta. Ne erano al corrente solo i reggiborsa del sindaco. Sono stato costretto ad uscire dal partito; ritengo che i panni sporchi si debbano lavare in famiglia, ma quando ciò non è possibile è necessario farlo alla luce del sole. Il progetto del quartiere S. Lorenzo è stato esaminato due volte. Tutta la questione è sorta dal fatto che c'era un problema di vincolo che andava risolto prima. Io ho dato comunque solo un parere tecnico.