Rivista Anarchica Online
La questione
meridionale: il caso Spezzano Albanese
di Stefano Fabbri
Da quando c'è
l'autostrada A-3 "Salerno-Reggio Calabria", Spezzano
Albanese - come tanti altri centri - è stato tagliato fuori dal
flusso di traffico diretto nel profondo Sud, fino in Sicilia. Il
traffico che si riscontra oggi sulla strada statale 19 "delle
Calabrie", che attraversa Spezzano e ne costituisce un po' la
contorta spina dorsale, è ormai prevalentemente locale. L'autostrada passa
lontana da qui. E per raggiungere Spezzano la strada è la solita:
quella che, lasciata alle spalle la vasta piana di Castrovillari, si
inerpica sulle colline alla cui sommità, dopo una scorpacciata di
curve, si trova questo paesone di ottomila persone. In qualsiasi
stagione si capiti, è difficile non notare subito qualche scritta e
manifesto con la "A" cerchiata. Se poi è giorno di comizio
anarchico (e qui se ne fanno numerosi in un anno), è impossibile non
accorgersene: la piazza su cui in genere si tengono è costituita da
uno slargo della S.S.19, proprio al centro del paese. E quando
parlano gli anarchici, la gente accorre numerosa: a volte sono varie
centinaia. Allora non ci stanno tutti in piazza e finiscono con
l'intralciare il traffico della statale. Prima di uscire dal paese,
poi, sulla sinistra c'è una cartolibreria che oltre ai quaderni,
schiume da barba e libri, vende (ed espone all'esterno) Umanità
Nova, "A" e altra stampa libertaria. A Spezzano Albanese
da oltre un decennio gli anarchici, con il loro gruppo intestato a
Giuseppe Pinelli, sono tra i protagonisti della vita
politico-sociale. Hanno promosso numerose lotte (studenti, pendolari,
lavoratori agricoli, ecc.), sono scesi in piazza, hanno occupato il
municipio, denunciato le malefatte dell'amministrazione rossa,
polemizzato con il PCI, tenuto comizi e conferenze, hanno costituito
l'Unione Sindacale di Zona, sono tra i promotori di un circolo che
vuole rilanciare la cultura albanese, senza alcuna collusione con il
regime stalinista di Tirana. Insomma, la presenza anarchica - pur
recente (non esisteva qui una tradizione libertaria precedente al
'68) - c'è e si sente. La maxi-intervista
che Stefano Fabbri ha realizzato con alcuni militanti del gruppo
"Pinelli" e le interviste ad alcuni personaggi politici del
paese (tra cui il sindaco) non hanno alcuna pretesa di completezza.
Le proponiamo come materiali per una prima conoscenza di una realtà
che, al di là della sua palese specificità, contiene elementi di
fatto e di riflessione che riguardano - più in generale - la
problematica relativa alla presenza anarchica oggi, nel '86, nei
piccoli centri e nel Meridione. Un contributo, dunque, per una
ripresa del dibattito e dell'azione.
Come nasce la
presenza anarchica a Spezzano Albanese, località nella quale non
v'era mai stata prima (almeno per quanto si ricordi) una componente
organizzata o una "tradizione" libertaria?
Domenico -
Nel 1966 a Spezzano si determinò una scissione all'interno del PCI
che fu ricomposta con l'espulsione dei dissidenti. In seguito a ciò
si venne a creare un'area politica "extraparlamentare". Nel '68 cominciò
ad apparire la stampa anarchica diffusa da un compagno che più
avanti fece anche controinformazione sulla "strage di Stato"
del '69. Fu in questo modo che io ed un'altra decina di compagni, già
maturati politicamente nelle lotte studentesche di quegli anni,
venimmo a contatto con le idee anarchiche e demmo vita alla prima
struttura: il "Circolo Culturale Libertario Giuseppe Pinelli".
Cominciammo a farci conoscere, l'opinione pubblica prese a chiedersi
"chi eravamo" ed i carabinieri a interessarsi a noi. Nel '74 decidemmo
di costituirci in gruppo specifico e qui possiamo dire che iniziò
l'attività vera e propria del "Pinelli". Allora c'era la
questione Marini che noi sollevammo anche a Spezzano con mostre ed
audiovisivi. Intanto alcuni "vecchi" del circolo si
allontanarono, ma tanti altri cominciarono ad avvicinarsi,
provenienti in massima parte dal PCI e dalla FGCI, oltre che
dall'area cattolica. La componente maggioritaria rimaneva
prevalentemente studentesca, ma già affluiva qualche operaio edile e
qualche disoccupato. Sono di quel periodo le nostre prime analisi del
paese con l'obiettivo di fare un intervento che si legasse ai
problemi pratici della gente e che non fosse semplicemente teorico o
d'opinione come era stato precedentemente. Prendemmo spunto dalla
realtà contadina ancora dominante agli inizi degli anni '70,
cominciando ad interessarci dei problemi di quella schiera di
coltivatori diretti che oltre ad essere proprietari di qualche
appezzamento di terreno si trasformano periodicamente in operai
stagionali.
Oggi
invece com'è la composizione sociale del paese?
Domenico -
Si registra un'espansione dei ceti medi impiegatizi, prendono piede i
commercianti, s'allarga il campo dell'edilizia. Ma la figura del
bracciante agricolo è sempre stata al centro dell'intervento
politico e sociale. Lo stesso Partito Comunista crebbe in queste zone
proprio facendo leva sulle aspirazioni vitali di questi strati
popolari. Nel secondo dopoguerra vi fu infatti un grande movimento
d'occupazione delle terre, grazie al quale i mezzadri ebbero per la
prima volta accesso a qualche briciola di gestione diretta del loro
lavoro e vennero formate le prime cooperative. Mio padre mi
raccontava che il livello dello scontro fu molto elevato e che il
potere diede vita a forme di repressione feroce. Da queste lotte
emerse in particolare una figura che incarnò le speranze del mondo
rurale: quella di Giovanni Rinaldi. Avvocato e proprietario terriero
d'origine, con trascorsi anarchici durante gli anni degli studi
universitari a Urbino, quest'uomo divenne un vero e proprio mito per
la povera gente e fu il simbolo del partito che sostenne la sua
vittoriosa candidatura a sindaco del paese, carica che ricoprì fino
alla morte avvenuta nel 1960. Attorno a tale personaggio si sviluppò
quindi anche la storia della presenza comunista in questo luogo, e
non fu un caso se dopo la sua scomparsa si ebbero le prime crisi
all'interno dell'apparato del PCI locale. Il successore di
Rinaldi, che divenne anche sindaco, venne espulso clamorosamente dal
partito stesso, che per l'occasione fece intervenire addirittura il
segretario generale Longo, a causa di pesanti obiezioni da lui mosse
al "nuovo corso" seguito a livello regionale e nazionale.
Un "cambiamento di rotta" i cui presupposti, a ben vedere,
erano già maturati precedentemente, quando ad una pratica di scontro
quotidiano venne preferita la politica dei piccoli passi, di quel
compromesso "strisciante" che sarebbe poi diventato
"storico", ufficializzato dalla gestione Berlinguer, ma le
cui basi già erano state poste proprio, al Sud in particolare, dopo
la ripulsa della prospettiva insurrezionale con l'abbandono delle
lotte per il lavoro e la collettivizzazione e con l'avvicinamento al
sindacalismo cattolico. La continuità si
cercò di garantirla proponendo nuove figure carismatiche che
potessero ricordare i tempi passati. Ma il fossato, con gli anni, si
scavò sempre più profondo, ed il partito, che era già
sostanzialmente altra cosa rispetto a ciò che una volta le masse
sognarono, perdette anche quella patina di combattività formale che
gli era rimasta ed i suoi vertici vennero conquistati da elementi che
ne dirigono le sorti con una gestione personalistica sulla quale
grava l'ombra delle clientele e del malgoverno. Le lotte passate
spiegano le condizioni che hanno determinato l'influenza del PCI ed
il suo protrarsi nel tempo, anche se da parecchi anni se ne avverte
la crisi. Noi ci siamo trovati di fronte a questa situazione e se
siamo riusciti a restituire capacità critica alla gente è perché
abbiamo sempre fatto, correttamente, le dovute differenze tra chi
dirige il Partito Comunista a Spezzano, a Roma o altrove ed i
contadini, le forze bracciantili, i giovani, che al partito danno
solo la propria adesione.
Quale fu la
prima lotta di massa della quale foste promotori?
Domenico -
Fu quella degli studenti pendolari, nel '74. Si richiedevano alla
Regione trasporti gratuiti nell'ambito del diritto allo studio.
Cominciammo col partecipare alle assemblee di movimento che si
tenevano a Castrovillari, dove è dislocato il maggior numero di
scuole della piana del Pollino, e promuovemmo anche a Spezzano le
prime assemblee autonome studentesche che indirono nell'autunno delle
grosse manifestazioni. Questa fu la prima "rottura" a
livello di propaganda fattiva con il luogo: non si trattava più
della sola distribuzione di volantini, ma di significativi
pronunciamenti di piazza. La scelta del PCI
locale fu quella di combattere frontalmente contro gli studenti i cui
metodi autogestionari di lotta venivano considerati troppo
pericolosi. Fu così che, quando questi chiesero che venisse loro
corrisposto, come prevedeva la legge, il 30% del prezzo del biglietto
dei trasporti (il restante 70% lo erogava la Regione), il Comune si
rifiutò di concederlo, anche se tale finanziamento risultava
inserito nel bilancio. In seguito a questa
presa di posizione di totale chiusura si decise l'occupazione degli
uffici della Giunta alla quale presero parte circa 600 persone, e al
cui interno venne indetto un grande incontro pubblico che registrò
una vastissima partecipazione. Il PCI, temendo di non riuscire a far
fronte alla situazione, si presentò addirittura con Tarsitano,
prelevato di gran lena dal Consiglio Provinciale di Cosenza. La lotta fu
vincente e raggiunse gli obiettivi prefissati. Lo smascheramento di
una politica ingiusta calamitò per la prima volta l'attenzione e la
solidarietà di larga parte del paese intorno agli studenti e strappò
il velo della propaganda denigratoria già allora condotta dal PCI
contro i giovani in genere e gli anarchici in particolare,
proditoriamente dipinti come "drogati" e sfaccendati.
Come reagì il
Partito Comunista di fronte a questa "sconfitta"?
Tonino -
Tentò di recuperare credibilità a sinistra intervenendo formalmente
nella campagna di solidarietà per Giovanni Marini. Si era nel '75 e
c'era il timore che gli anarchici potessero "disturbare"
efficacemente la campagna elettorale. Ma le tesi astensioniste furono
invece coerentemente propagandate con comizi dove venne ricordato
anche l'atteggiamento tenuto in precedenza dal governo locale. Così
il PCI, che in quell'anno avanzò percentualmente in tutta Italia, a
Spezzano perse due dei 13 consiglieri e conservò la maggioranza
assoluta per un solo seggio. Fu allora che venne eletto l'attuale
sindaco.
Intanto la
vostra attività come procedeva?
Tonino -
Punto di forza dell'intervento libertario divenne la promozione di
organismi decisionali di base all'interno dei quartieri e nel '76,
poco prima delle nuove elezioni politiche, strutturammo un
questionario che diffondemmo porta a porta, in cui si svolgeva
un'indagine su vari aspetti sociali e sulle condizioni di vita dei
cittadini. In giugno intanto dieci famiglie occuparono spontaneamente
altrettanti alloggi IACP, ed il PCI subito dopo le elezioni si
scagliò contro quest'azione di lotta che invece si protrasse per un
anno e fu da noi appoggiata con mostre ed altre azioni di sostegno. Poco dopo scoppiò
un altro "caso" per il licenziamento di sei bidelle di
scuola materna che per tre anni avevano lavorato senza contratto a
45.000 lire al mese. Venne fatta causa al Comune ed il processo che
ne seguì sollevò grande fermento. Le lavoratrici si rivolsero
spontaneamente al "Pinelli" e noi ne appoggiammo le
rivendicazioni con comizi e manifesti. Il '76 segnerà anche l'inizio
di autonomi cortei in occasione del Primo Maggio, ai quali
parteciperanno sempre compagni provenienti dal resto della provincia. All'epoca eravamo
abituati a muoverci essenzialmente come gruppo politico. Ancora non
avevamo riconosciuto la necessità di formare organismi autogestiti
di massa e di distinguere fra questi e struttura specifica, come
invece avremmo fatto nel '77.
Come e quando è
nata a Spezzano la FGCI?
Tonino - È
stata strutturata per la prima volta nella storia del paese come
risposta alla presenza libertaria che reclutava inizialmente in
special modo fra i giovani. Eravamo infatti nel '74, ad un anno dalla
comparsa del nostro gruppo. Ma la "prima fase" della
struttura giovanile comunista si concluse con una crisi pochi mesi
dopo, in seguito al passaggio di alcuni elementi nelle file
antiautoritarie. Solo nella primavera del '75 l'organizzazione venne
rifondata e diventò, con i suoi 100 iscritti, una delle più grandi
federazioni giovanili della provincia, se non addirittura della
Calabria. Il primo segretario
fu Giovanni Giordano ed io venni eletto vice-segretario. Giovanni,
già nei primi mesi d'attività, cominciò a dimostrare simpatia
verso il Movimento Anarchico che era interno alle lotte studentesche
e sviluppava grande propaganda. Iniziò a discutere in gruppi
informali ed a fare confronti tra le tesi anarchiche e le posizioni
del PCI. La direzione, accortasi di quello che stava accadendo,
ritenne opportuno cambiare le cose: indisse nuove elezioni in seguito
alle quali le cariche vennero invertite, quindi io presi il posto di
Giovanni e lui il mio. Tutto fu giustificato con la pratica della
"rotazione". Da quel momento venimmo affiancati nelle
riunioni da due elementi del partito che svolgevano funzioni di
controllo. Ma nella primavera del '76 anch'io iniziai a rendermi
conto che il Movimento Anarchico era più idoneo alle mie idee e
partii con l'indire una serie di riunioni ristrette per estendere ed
arricchire il dibattito interno e sviluppare la formazione politica
generale dei compagni. In breve tempo si
venne a creare un gruppo interno molto omogeneo che intratteneva
rapporti sempre più stretti con i compagni del "Pinelli".
La cosa divenne presto palese: da quel momento infatti la struttura
cessò di esistere, i suoi aderenti confluirono quasi tutti nel
Movimento Anarchico e parecchi iscritti militarono attivamente nel
gruppo specifico. Da allora il partito non parlò più ufficialmente
di FGCI e tentò di operare dei ricatti additandoci come "traditori"
e cercando di metterci in contrasto con le nostre famiglie, tutte più
o meno "tradizionalmente" comuniste. Sostanzialmente però,
tale pratica non ottenne i frutti sperati ed anzi provocò ulteriori
fratture fra il PCI ed il mondo giovanile.
Quali furono gli
effetti dello scioglimento della FGCI all'interno del
partito?
Tonino - In
molti cominciarono a chiedersi perché i giovani "disertavano"
e si acuirono le tensioni. Fu così che salì alla guida del PCI
Gaetano Gullo, latore, insieme ad altri, di serrate critiche alla
linea ufficiale ed alla figura del sindaco, fino allora imperante su
tutte le dinamiche interne alla sezione. Nella sua enfasi di
rinnovamento arrivò persino a schierarsi apertamente, in pubbliche
riunioni, a fianco degli anarchici contro il potere locale. Alla fine
fu destituito durante una riunione di segreteria in cui i "dobermann"
del sindaco gli si scagliarono contro urlando: "Tu non sei il
nostro segretario, sei il segretario degli anarchici!". Gullo è oggi
impegnato fuori e contro l'amministrazione comunale e figura tra gli
eletti di una lista civica di recente formazione, della quale in
seguito avremo occasione di parlare.
Come avete agito
riguardo al problema della disoccupazione?
Domenico -
Con i disoccupati concepimmo proprio una delle prime strutture di
massa che appena nata si mosse subito individuando dei precisi
obiettivi di lotta. Si voleva occupare, municipalizzare ed
autogestire una cartiera in disarmo, di proprietà di un certo Piro
che, nonostante avesse percepito finanziamenti dalla Regione per
riaprirla, l'aveva dichiarata fallita. Nel gennaio del '77
venne fatto un comizio in cui si denunciò la speculazione del
padrone e l'immobilismo del PCI sulla questione; per tutta risposta
questo cercò invece di "cavalcare la tigre" con
demagogiche "assemblee popolari" indette senza consultare i
disoccupati. Ma il tentativo di strumentalizzazione fu smascherato e
ad una seduta pubblica del Consiglio Comunale, a cui si presentò
anche Piro, lo scontro fu durissimo: fu allora che anche Gullo prese
le difese del movimento, attaccando apertamente il sindaco.
Nonostante quel momento assembleare il PCI decise di indire una
manifestazione di parte, non tenendo conto nemmeno del parere
negativo del segretario. Ma quel corteo sfilò molto povero e fra
l'indifferenza generale e questo fallimento fece sfogare la rabbia
dei burocrati sullo stesso Gullo che venne destituito.
Dopo questo
insuccesso il PCI che provvedimenti prese?
Tonino - Per
non perdere la faccia una delegazione di comunisti si recò a
Catanzaro per incontrare i responsabili regionali, proclamando al
ritorno che il problema "era risolto" in quanto Piro
avrebbe riaperto l'azienda, cosa che invece non avvenne mai. Ancora
una volta il legalitarismo ciarlatano aveva dato i suoi frutti.
Come si è
sviluppata la vostra attività all'interno del Movimento Studentesco?
Tonino - Io
facevo parte del settore d'intervento scuola del gruppo, insieme a
Giovanni Giordano, ed insieme operavamo all'interno dei "Nuclei
Autonomi Studenteschi", dove riportavamo le elaborazioni del
gruppo proponendole all'assemblea, senza tuttavia imporgliele. L'azione dei NAS si
estendevano in tutta la provincia, in particolare nel
castrovillarese, interessando una grande popolazione studentesca. Nel
frattempo stavano scomparendo le strutture di "Lotta Continua",
un tempo egemoni, e bisogna dire che le uniche organizzazioni
presenti con largo seguito all'interno del "Movimento del
Pollino", erano quelle espresse dall'anarchismo. Il gruppo di
Spezzano che ne era il "motore", diventò così,
gioco-forza, il punto di riferimento obbligato anche per tutte quelle
aggregazioni minori (vedi MLS, Pdup, Autonomia Operaia) residuali o
appena nate, presenti nella zona, le quali dovevano ricercare, per
"sopravvivere", un punto d'incontro. Agivano in tandem con
il CDO e questo collegamento si ripercosse sull'intero movimento
sfociando in un lotta comune di questi organismi a fianco degli
operai delle fabbriche tessili INTECA e ANDREAE, posti in cassa
integrazione. Si realizzò così una grande unità d'intenti col
movimento dei lavoratori della zona, che diede più forza ed
incisività alle lotte, nonostante l'opposizione del sindacato che
non vedeva di buon occhio la partecipazione degli studenti alle
manifestazioni.
In questo modo
il gruppo di Spezzano Albanese acquistò sicuramente una grande
notorietà.
Tonino -
Infatti. Al coordinamento di Castrovillari facevano capo molte scuole
occupate ed autogestite, ma presto il fulcro delle lotte passò a
Spezzano. Fu proprio qui che, in seguito all'attuazione di un blocco
di tutti i pullman provenienti dalla provincia messi in atto anche
con l'appoggio degli autisti e dei controllori, si tenne infatti
l'assemblea di tutti i sindaci del comprensorio, una quindicina,
preoccupati delle richieste del movimento (sul problema dei
trasporti, sulla maggiore libertà d'espressione individuale e
sociale all'interno degli istituti tecnici con convitto, sulla
fatiscenza delle sedi scolastiche etc.). In risposta alla
riunione dei sindaci trasferimmo in concomitanza, sul luogo, l'attivo
generale del Coordinamento Zonale di Massa, terminato il quale
decidemmo di recarci tutti in municipio. Le risposte che lì ci
vennero date non furono però soddisfacenti, così venne deciso un
altro blocco dei mezzi di trasporto, da attuarsi in tutti i paesi il
giorno seguente, con assemblee e presidi improvvisati nelle piazze.
Questi avvenimenti portarono alla denuncia di nove compagni, quasi
tutti militanti del gruppo anarchico, e solo uno, Domenico, due anni
dopo, venne condannato per blocco stradale a dieci mesi di
reclusione, con la condizionale ed il beneficio della non menzione.
I livelli di
dibattito e di lotta espressi dal "Movimento del '77" sul
piano nazionale, erano considerati favorevolmente dal "Movimento
del Pollino", oppure qui da voi ci sono state posizioni differenti?
Tonino - Il
"Movimento del Pollino" riteneva sotto molti aspetti
limitante ed insufficiente il modo in cui si esprimeva il Movimento a
livello nazionale e lo giudicava a volte contaminato da forme di
superficialità esasperate. I metodi dell'Autonomia, in particolare,
non ci trovavano d'accordo: cercavamo invece di mettere le basi di
forme d'intervento meno deliranti e "parolaie" che
consentissero un radicamento più profondo nella realtà sociale e
che trascendessero anche le sole tematiche "giovanilistiche"
e studentesche. Dopo il Convegno di Bologna i rapporti tenuti a
livello nazionale scemarono ulteriormente. Le realtà del
Pollino si esprimevano completamente tramite le assemblee generali
dei comitati inter-istituti, collegati nei momenti caldi tra loro da
staffette che permettevano un'immediata conoscenza dei fatti: questa
forma d'organizzazione orizzontale e di base era il risultato
dell'influenza del Movimento Anarchico.
Quali erano i
temi più significativi sui quali si sviluppava il dibattito?
Tonino - Le
analisi di fondo riguardavano ovviamente la struttura della scuola e
la sua funzionalità rispetto al sistema, si discuteva su che tipo di
cultura e su quale "prodotto" lo Stato tendeva a creare. A
fronte di tutto ciò ritenevano assai carente il dibattito espresso
altrove. Più che ad analisi nuove si guardava forse ad ibridi
rimasticamenti di vecchi assunti ideologico-politici ed il pasticcio
che ne usciva fuori dava forma a maldestri tentativi di "rifondazione
del linguaggio" nel quale primeggiavano gli slogan ed il
richiamo a termini militaristici, espressione di un massimalismo di
maniera.
Appare evidente
che il Movimento che si espresse nel Pollino ha tentato il più
possibile di rifiutare un "modellamento" dall'esterno, per
privilegiare invece le sue particolari linee caratteristiche e
culturali.
Tonino - Si,
è così. Ad esempio, il già accennato rifiuto di forme di
linguaggio profondamente segnate dal conformismo "sinistrese"
rimase, bene o male, patrimonio del "Movimento del Pollino". Viceversa su
Cosenza gravava l'ombra dell'Università di Arcavacata ed infatti era
là che la cosiddetta "Autonomia Operaia" raccoglieva
maggiore seguito. In città si sentiva in parte anche la figura di
Piperno, vissuta peraltro come un "martire" del momento.
Cosenza era quindi un "porto franco" per l'introduzione dei
miti d'esportazione: le rivendicazioni materiali venivano spesso
usate come veicolo per sviluppare prassi e discussioni già segnate
in partenza da pesanti marchi ideologici. Si ebbero quindi tentativi
d'imporre i soliti grossolani livelli di scontro, i richiami alla
"P38", le manifestazioni di violenza spicciola. Al
contrario, nella provincia si sono sempre contrastati efficacemente
simili discorsi ritenuti, anzi, più funzionali allo Stato che altro. A questo punto
andrebbe fatto forse un discorso molto più ampio ma basterà dire
che in genere, quando l'intervento concreto è scarso e le difficoltà
sono tante, sorge l'esigenza di crearsi dei miti per eludere la
propria "incapacità organizzata" d'agire. Per questo
motivo, ad esempio, il "mito del carcerato" focalizzò per
anni l'attenzione di larghi strati del movimento rivoluzionario in
senso lato, che pensavano, più che all'atto esemplare di singoli
individui, all'attacco frontale portato da "avanguardie"
contro i simboli del potere, come unica pratica di lotta
"irrecuperabile" dal sistema, mentre invece, tra le altre
cose, è molto spesso vero proprio il contrario. Ne sia esempio ciò
che ha prodotto negli ultimi anni il terrorismo. Abbiamo la
convinzione che simili esigenze nascano specialmente nel momento in
cui non si riesce a mettersi in sintonia con le dinamiche sociali.
Le vostre
analisi si limitavano alla situazione politica e sociale del momento
o sentivate anche l'esigenza di ricollegarvi all'esperienza delle
lotte passate?
Tonino -
Nelle nostre discussioni aveva ampio spazio il confronto fra '68 e
'77. In particolare si faceva rilevare come, pur fra le pieghe di
contraddizioni esasperate, fosse in atto un tentativo di
affrancamento dal leaderismo. Fra gli stessi militanti del gruppo
specifico questo era un punto molto dibattuto: ci chiedevamo se la
nostra funzione di traino e di stimolo non fosse portatrice,
nonostante le nostre preoccupazioni, di "blocchi di crescita"
nell'azione complessiva della generalità dei compagni, o di forme di
acquiescenza verso la pratica della delega. Bisogna però dire che vi
sono sempre delle persone che assurgono al ruolo di elementi di
spicco perché ciò fa parte dell'ordine "naturale" delle
cose: le capacità individuali devono tornare però a beneficio di
tutti. Diviene quindi estremamente importante la funzione stessa
delle forme di organizzazione, la loro strutturazione orizzontale,
quali correttivi atti ad impedire l'emergere di degenerazioni
verticistiche. Nel Movimento Libertario in particolare, poi, simili
cose appaiono il più delle volte frutto d'una cattiva abitudine a
svolgere un impegno limitato, a derogare da quell'atteggiamento
critico e partecipe che dovrebbe contraddistinguere l'azione di ogni
singolo elemento. Noi abbiamo cercato
di fare questi discorsi nel modo più capillare possibile e per
rendere ancora più efficace il lavoro di diffusione di queste tesi
abbiamo accorpato tutti gli appunti mossi al "Movimento del '77"
in un documento dal titolo provocatorio "Il qualunquismo diviene
organizzazione", nel quale veniva denunciato il "nichilismo"
di alcuni settori ed il pressapochismo di altri. In particolare vi si
stigmatizzava la "consuetudine" dell'Autonomia di soffocare
la discussione senza peraltro fornire proposte concrete e
praticabili. Parallelamente venivano messe in risalto qualità che
noi ritenevamo interessanti, come la spontaneità e la tensione verso
nuove forme di aggregazione di base. Gli epigoni
dell'Autonomia risposero tacciandoci di "pan-sindacalismo"
ed uscendo di fatto dalle strutture del Movimento. Il documento, dopo
un serrato dibattito, venne però accettato in tutti gli Istituti ed
i suoi contenuti vennero anzi arricchiti da nuovi positivi
interventi. Come risultato si ebbe una rinnovata spinta verso forme
d'organizzazione a carattere libertario.
Oltre ai NAS ed
al CDO, a Spezzano, sono nate altre strutture di base?
Domenico -
Sì. Verso la fine del '77 venne creato il "Comitato Lavoratori
Edili". In una situazione di costante ed intenso collegamento
fra queste tre organizzazioni, presero ulteriormente corpo le nostre
posizioni anarcosindacaliste. È quindi partendo essenzialmente dalla
nostra realtà locale che ci recammo, nel dicembre, all'Attivo
Nazionale Anarcosindacalista di Livorno. Eravamo molto interessati al
confronto con quanto s'esprimeva a livello nazionale. Ma già in
quell'occasione ci rendemmo conto dell'estrema varietà delle
posizioni. Da una parte c'era chi premeva per una immediata
ricostruzione dell'USI; dall'altra chi portava l'esigenza di
costruire su tutto il territorio comitati di carattere
anarcosindacalista, perché l'organizzazione di massa non doveva
nascere da una metodologia di tipo verticistico o venire "calata
dall'alto". All'Attivo di Roma dell'aprile '78, dove peraltro
continuò la disputa tra le varie posizioni, disputa che si concluse
con la definitiva gravissima spaccatura del "II Attivo Nazionale
per la ricostruzione dell'Unione Sindacale Italiana", che si
tenne poi a Genova nel novembre '78. Nascevano così due strutture
contrapposte: nell'aprile del '79 a Parma venne costituita in sordina
l'USI e nell'ottobre del '79 a Bologna nascevano i "Comitati
d'Azione Diretta". Questi ci sembravano seguissero una pratica più
corretta, ma poco dopo ci rendemmo conto che tutti e due gli
organismi racchiudevano semplicemente compagni anarchici, quasi
fossero un "doppione" dello specifico.
In assenza di
possibilità di un percorso unitario a livello nazionale e non
trovando positiva nessuna delle soluzioni che si affermarono in quel
periodo, avete cercato di concepire un vostro discorso autonomo?
Domenico -
Questo fu per noi un percorso obbligato se non volevamo rischiare di
perdere il contatto con le realtà di lotta che si esprimevano nella
zona. Così elaborammo un ciclostilato nel quale presentammo la
fondazione della "Unione Sindacale Zonale" di Spezzano
Albanese, già avvenuta nel marzo del '79, e propagandammo
quest'esperienza di base a livello nazionale perché ci trovavamo
pienamente d'accordo con quei compagni i quali sostenevano che oltre
a dover sorgere dal basso, l'organizzazione doveva nascere fra
lavoratori e non tra soli anarchici. Da noi questa possibilità
esisteva concretamente: disoccupati, lavoratori edili ed altri
confluirono infatti in un'unica struttura.
La strada da voi
intrapresa si mostrò positiva?
Domenico -
Le mobilitazioni che riuscirono ad esprimersi fecero in effetti
recepire concretamente ad una larga massa di lavoratori la differenza
che corre fra un'organizzazione di base che pratica l'azione diretta
ed organismi burocratici asserviti ai partiti, quali le
confederazioni ufficiali, la cui unica funzione nel migliore dei casi
è quella di mediare le contraddizioni senza risolvere minimamente le
questioni alla radice. Nel dicembre del
'79 nacque un comitato di vedove ed orfani che raccoglieva un
centinaio di persone intorno ad un problema di mancata assistenza.
Queste dipendevano dall'ENAULI, fin quando l'ente non venne
smembrato. In seguito sarebbe spettato al Comune erogare i contributi
ma ciò per tre anni non avvenne. In conseguenza di questo totale
abbandono, il Comitato aderì all'USZ. La mobilitazione fu
grandissima, segnò un ulteriore lancio del sindacato e dopo un anno
di rivendicazioni culminate con l'occupazione del Municipio,
l'amministrazione si trovò con le spalle al muro e dovette
corrispondere il dovuto. Il successo
conseguito dimostra ancora, contrariamente a quanto pensano coloro i
quali credono che ogni rivendicazione sia inutile poiché può venire
sempre "recuperata", che l'effetto positivo di una lotta
"che paga" non è affatto da sottovalutare. La grande campagna
dell'USZ culminò nell'intervento svolto durante le elezioni
amministrative del '80. Fu fondato un "Comitato Astensionista di
Massa", cui aderirono lavoratori iscritti al sindacato
autogestionario e non, lavoratori che fino ad allora avevano fatto
riferimento al PCI ed altri. Si creò così un ampio fronte che
poneva per la prima volta il problema di non riconoscere validità
alla pratica elettoralistica a partire dai bisogni concreti e non
solo sulla base di motivazioni ideologiche. Ciò determinò un
aumento secco del 7% delle schede bianche e nulle ed una crescita
dell'astensionismo pari all'8% in più rispetto alle consultazioni
precedenti.
L'USZ riuscì
quindi ad incontrare una larga adesione fra i lavoratori della zona.
Questo avrà destato certamente grande preoccupazione nei comunisti
ai quali sfuggiva il controllo della situazione. Come si comportarono
in proposito?
Domenico -
Può essere indicativo quello che dirò adesso. Sempre nel '80, con
la riforma sanitaria, nacque anche per Spezzano Albanese il problema
di quale dovesse essere la USL di appartenenza. Sarebbe stato logico
che gli utenti avessero dovuto fare riferimento al comprensorio di
Castrovillari che dista solo 20 chilometri, dove erano già abituati
a recarsi precedentemente, ma a causa della lottizzazione dei
Comitati di Gestione delle USL, il paese venne inserito nella USL 5
che fa capo a Corigliano, distante circa 40 chilometri. Questo perché
là, essendosi formata una maggioranza assoluta PCI, c'erano le
condizioni politiche atte a permettere che il sindaco di Spezzano ne
potesse diventare presidente. S'impostò quindi
una lotta per esigere una struttura sanitaria locale ed all'inizio
del '82, vista la totale sordità al problema, si chiese un incontro
con le autorità preposte, per presentare una piattaforma
rivendicativa. Ma il rappresentante dell'USZ che si recò al Comune
per consegnare le richieste, si sentì rispondere che il sindaco non
riconosceva alcun sindacato non facente parte della "triplice"
CGIL-CISL-UIL. Per tutta risposta decidemmo di recarci in massa al
Municipio per richiedere l'uso della sala consiliare onde tenervi
un'assemblea pubblica. L'amministrazione chiamò i carabinieri, ma
questi, vista la partecipazione popolare e riscontrata la
"legittimità" del nostro operato, non intervennero.
L'assemblea si tenne nello spazio esterno antistante il "Comune
rosso", protetto dai vigili urbani. Il comportamento
antipopolare dimostrato dal sindaco e dall'amministrazione venne così
smascherato davanti a centinaia di persone e si rese necessario
calmare quanti, esasperati, volevano entrare a forza nel Municipio.
In ogni caso, per tranquillizzare gli animi, Spezzano verrà in
seguito dotato di una SAUB locale.
Il vigile
controllo su una gestione della cosa pubblica che scontentava
costantemente gli abitanti e che non teneva conto minimamente delle
loro esigenze, i ripetuti smacchi subiti dal sindaco e dai suoi
amministratori, non convinsero questi ultimi della necessità d'un
cambiamento di rotta?
Domenico -
Tutt'altro. Si continuò per la stessa strada, tant'è vero che nel
'82 sorse un'altra grave questione. Erano stati costruiti una
sessantina di appartamenti da adibire ad alloggi popolari, ma da
diverso tempo non si provvedeva alla loro assegnazione. A quel punto
l'Unione Sindacale chiese che venissero pubblicate subito le
graduatorie definitive e l'amministrazione fu costretta ad affiggerle
prima del previsto: risultarono così vincitori dipendenti comunali e
dello Stato che avevano presentato atti di notorietà in cui
denunciavano introiti inferiori ai reali. Viceversa, gente davvero
bisognosa rimase esclusa. Venne quindi inoltrata una valanga di
ricorsi. Il malumore per i
metodi usati dall'amministrazione comunale, crebbe anche in seguito
al comportamento da questa tenuto in occasione della costruzione di
un palazzo nel quartiere S. Lorenzo: il privato, un notabile
democristiano col tempo avvicinatosi al PCI, voleva costruire un
complesso abitativo di volumetria maggiore di quella consentita dal
piano di fabbricazione vigente, non tenendo in considerazione il
fatto che una simile realizzazione avrebbe bloccato l'uscita di due
strade pubbliche. Il Comitato di
Quartiere in quell'occasione aderì all'USZ ed insieme a questa portò
avanti una campagna di controinformazione. In seguito ad una denuncia
alla Pretura e ad un ricorso al TAR, s'impose al proprietario la
revisione del tutto. Al posto di un solo gruppo edilizio se ne
crearono due per una volumetria rispondente a quella ammessa per
legge, ma per non darla vinta agli abitanti del quartiere,
"colpevoli" di aver militato nel sindacato di base, lo
sbocco delle due strade rimase interdetto. A proposito del
piano di fabbricazione, parte dell'amministrazione di quel periodo e
la commissione Edilizia Comunale sono oggi colpite da comunicazioni
giudiziarie in cui si contesta il reato di associazione a delinquere
per aver rilasciato licenze di costruzione gravemente viziate.
Vi fu quindi un
grande fermento nell'opinione pubblica.
Domenico -
Sì. Nello stesso tempo infatti, i lavoratori del sindacato
cominciarono a praticare nuove forme di pubblica denuncia: si
andavano a prendere le delibere e si affiggevano in piazza quelle in
cui potevano ravvisarsi deviazioni. Di lì a poco venne fuori una
sequela di scandali che rendemmo subito noti. Ne seguì un
procedimento penale assai articolato contro il sindaco Tursi e cinque
assessori. Vennero per prima cosa contestate forme d'interesse
privato in atti d'ufficio per avere il Tursi stesso e quattro degli
altri imputati, approvato nel '80 una delibera che prevedeva lo
schema di convenzione per la costituzione del diritto di superficie
su area destinata ad edilizia residenziale a favore della cooperativa
"Edilbruzia" di cui appunto il sindaco e l'assessore
all'edilizia erano soci. L'assessore in questione veniva poi indicato
come colui che aveva posto in essere l'attività e stipulato la
convenzione con il Comune. La Giunta era stata
incriminata anche per aver favorito l'attività di un altro assessore
che confezionava le divise per i vigili urbani facendo risultare la
sua azienda a nome della moglie, iscritta all'Ufficio di Collocamento
in qualità di bracciante agricola anziché di artigiana. Due altri capi
d'imputazione furono notificati al sindaco. Il primo per aver fornito
una dichiarazione sostituiva di atto di notorietà nella quale si
quantificava l'ammontare del reddito goduto nel 1981 in lire
11.185.000 anziché lire 15.320.000, facendone uso per ottenere un
mutuo agevolato dalla Regione Calabria. Il secondo per aver formato e
fatto uso ripetutamente di attestazioni con cui falsamente affermava,
richiedendo la liquidazione delle indennità di missione, di essere
stato per conto del Comune in varie località mentre risultava nello
stesso giorno altrove per conto della USL 5 di cui è presidente e
per aver quindi truffato o l'uno o l'altro ente.
Che conseguenze
sortì la denuncia di tutti questi scandali?
Tonino - La
"bagarre" che ne seguì creò gran fermento nel paese, dal
momento che vennero alla luce anche le coperture politiche di cui la
Giunta aveva sempre goduto. Esemplare fu, a questo proposito, una
frase rivolta dal sindaco al segretario della DC, che aveva
timidamente accennato in un comizio a determinati episodi: "Stai
attento a quello che fai, perché non si può sputare nello stesso
piatto in cui si mangia!". Fummo infatti praticamente i soli,
nonostante si fosse in campagna elettorale, a riportare apertamente
le malefatte del Comune: gli altri partiti non ne trattarono affatto. Nel pieno di un
vero e proprio terremoto politico, si vennero a creare situazioni
paradossali, alcune delle quali presentarono anche risvolti
divertenti. Riferirò di un comizio che con "furbizia" ci
si voleva impedire. La campagna elettorale volgeva al termine e Tursi
cercava il modo di far parlare solamente i rappresentanti dei
partiti. Per impedire che il nostro discorso fosse tenuto
contemporaneamente al suo in un altro luogo, il sindaco riunì la
Giunta in seduta d'urgenza e fece approvare una delibera che
interdiva tutte le piazze tranne quella assegnata al PCI. Agli anarchici
venne accordato invece un orario durante il quale, nel mese di
giugno, le vie sono deserte a causa del gran caldo. Ma il giochetto
non riuscì: nonostante tutte le precauzioni, moltissima gente
affollò lo spazio sottostante il nostro palco. Per effetto della
nostra campagna elettorale le percentuali dei non votanti e delle
schede nulle salirono al 27% circa. Ma diminuendo i voti validi
aumenta la percentuale del partito di maggioranza, così il PCI non
subì apparentemente quel calo che in effetti ebbe. Ciò tra l'altro
è indicativo per la comprensione dei "fenomeni" insiti
nella truffa elettorale.
All'interno del
Partito Comunista si ebbero vistose ripercussioni rispetto alla
spirale di denunce e comunicazioni giudiziarie in cui rimasero
coinvolti molti "illustri" iscritti?
Domenico -
Cominciarono a serpeggiare gravi malumori ed in molti iniziarono ad
avere paura. Al congresso di sezione dell'aprile '84 vennero espulsi
vari membri del direttivo che si erano spostati su posizioni
critiche. Uscì anche quell'assessore all'edilizia, Misurelli, che
era imputato per lo scandalo dell'Edilbruzia. Ma al momento decisivo
successe che il consigliere missino rifiutò di dimettersi. In
seguito poi, diedero dimissioni postume sia il missino che altri due
democristiani e si congelarono gli equilibri di potere per un anno
circa, durante il quale il PCI riuscì sempre ad evitare una
composizione del consiglio Comunale al completo, evitando di
surrogare le dimissioni stesse o di trattarle insieme. Le manovre
della Giunta furono quindi coronate da successo anche perché le
opposizioni non trovarono nulla di meglio da fare che appellarsi alla
Commissione Regionale di Controllo per salvare la faccia, denunciando
il rifiuto del sindaco di trattare la questione nei tempi dovuti.
L'unico effetto ottenuto fu quello di un blocco, venuto a posteriori,
di tutte le delibere discusse dopo il maggio '84. In questo modo le
cose restarono immutate sino alle elezioni del '85.
Nell'ambito del
Movimento Anarchico di lingua italiana qual'è stato il contributo
del gruppo "Pinelli"?
Domenico -
All'inizio degli anni '80 abbiamo portato il nostro contributo
all'interno dei Convegni "Centro-Sud", ove cercavamo di
sviluppare le tematiche non tanto a partire da "discussioni
teoriche" ma dalla prassi. In tutti i nostri interventi,
infatti, dicevamo che al di là delle vedute particolari sull'azione
sociale e delle decisioni e percorsi autonomi, in un momento di
dibattito comune tante "barriere" potevano cadere. Siamo stati
portatori di un'ottica anarco-sindacalista, ma la nostra logica fu
sempre quella di promuovere un percorso d'insieme su ciò che
accomunava i compagni, nel rispetto delle differenze. Dopo una prima
fase in cui sembrava che i convegni si stessero avviando su questa
strada, c'è stato però un capovolgersi della situazione. Il problema del
confronto era sicuramente molto sentito, ma l'errore è stato quello
d'introdurre livelli di discussione che stigmatizzavano l'operato
altrui, invece di dibattere con maturità, con una "forma
mentis" aperta che permettesse di capire il pieno significato di
quello che pensavano gli altri. Io credo che l'anarchismo abbia in sé
una forza tale da potersi confrontare con qualsiasi posizione senza
remore. Il riemergere del Movimento dopo il '68 è intriso di
contraddizioni, la stessa estrema varietà dei trascorsi di coloro
che sono approdati all'etica libertaria lo testimonia. Ma mentre
generalmente di ciò non ci si "scandalizza", quando invece
si tratta di andare oltre le differenze tattiche e metodologiche
riemerge un rifiuto del confronto stesso. La verità è che se
dovessimo operare delle "scomuniche" dovremmo invece
cominciare per prima cosa ad "autoscomunicarci" tutti.
Mi pare di
capire che teniate molto a ricordare quanto le idee-forza
dell'anarchismo non debbano essere vissute come una sorta di "deus
ex machina", all'infuori di cui sia "proibito"
muoversi ed indagare.
Tonino - Noi
siamo arrivati alla conclusione che alcune posizioni, giuste ed
efficaci magari per il momento in cui nacquero, sono assurte al ruolo
di "strategie assolute", di assiomi intoccabili. Riteniamo
che bisognerebbe fare più attenzione alla storia per andare alle
origini delle cose, perché forse molto ci è arrivato "filtrato",
quasi fosse stato coperto dal crisma del dogma. È solo il principio
fideistico che è immutabile.
Quali erano le
differenze rispetto all'intervento sul "sociale"?
Tonino -
Tutti coloro che sono presenti concretamente nelle realtà sociali,
hanno le loro ragioni, ma spesso ognuno identifica il suo come
l'unico modo corretto d'agire. Crediamo che l'obiettivo comune
dovrebbe essere quello di stimolare forme libertarie d'aggregazione
di massa, autonome, federaliste e che questo generale tipo
d'organizzazione possa essere rifondato muovendosi dentro e fuori gli
organismi "confederali". Gli eventi stessi ci hanno
dimostrato che ci sono stati momenti in cui l'opposizione è nata in
seno ai sindacati, come contro di questi. Esempi ne siano il
"Movimento dei Consigli" nelle fabbriche da una parte, e
quello degli ospedalieri e dei precari della scuola dall'altra. Cosa
avremmo dovuto dire, che gli ospedalieri erano "reazionari",
mentre coloro che andavano ad occupare le fabbriche con la
CGIL-CISL-UIL erano "compagni", o che i "veri
rivoluzionari" erano i primi mentre per gli altri si trattava
d'una massa di "riformisti" o "traditori"?
Domenico -
Al Convegno Nazionale Anarcosindacalista da noi indetto e che si
tenne proprio qui a Spezzano, al quale parteciparono solo compagni di
gruppi specifici e dove si mirava a creare un confronto fra i
militanti onde far chiarezza sul problema generale di carattere
strategico rispetto all'intervento di massa, per tutta risposta ci si
propose di creare una "federazione anarcosindacalista". Questo
quando in tutti i modi tentavamo di far capire che un tale organismo
sarebbe potuto nascere solo da un processo d'unificazione di
strutture di base, magari indetto dall'USZ e da realtà similari e
non poteva certo sortire da un qualunque incontro promosso da gruppi
di anarchici o da qualunque fusione di associazioni politiche che si
danno magari un'etichetta sindacale o qualcosa di simile. Altro discorso
ancora andrebbe fatto invece per coloro che rifiutano d'intervenire
tra i lavoratori asserendo che la "logica delle masse" è
solo tendenzialmente riformista ed esula da quella dell'anarchismo, e
che giustificano il loro "tirarsi fuori" con la paura di
"venirne contagiati". Qui rientriamo nel massimalismo di
maniera dei "rivoluzionari di professione": è proprio in
ciò che appare evidente una vistosa forzatura tendente ad astrarre
l'anarchismo dal suo "habitat" naturale che è la società nel
suo complesso. Simili posizioni
poi, diventano ancor più deleterie quando vengono utilizzate allo
scopo di stabilire il livello della "purezza rivoluzionaria"
di chi si pone in un'ottica diversa. È anche per effetto di queste
chiusure che sono naufragati i Convegni "Centro-Sud".
Quali mutamenti
degli equilibri di potere si sono verificati ultimamente a Spezzano
Albanese?
Domenico -
Fino alle europee del '84 lo scontro politico durante le campagne
elettorali si è accentrato fra PCI da una parte ed anarchici
dall'altra. Gli altri partiti sono sempre stati quasi totalmente
assenti, tutti tesi com'erano a strappare briciole di potere
all'amministrazione. Dopo le
comunicazioni giudiziarie pervenute alla Giunta nel marzo del '84, il
dibattito politico si vivacizza: tutti scendono in campo. Come
abbiamo già visto un gruppo di comunisti viene buttato fuori dal
direttivo ma una volta allontanati costoro continueranno a definirsi
comunisti, in polemica con Tursi e con il segretario del partito,
definiti opportunisti. Anzi cercheranno di farsi appoggiare dalla
Federazione Provinciale e Regionale del PCI, nonché dalla Segreteria
Nazionale, chiedendo la testa del sindaco e del segretario, ed un
nuovo congresso sezionale che avrebbe dovuto riportare i dissidenti
dentro gli organismi dirigenti. Le loro richieste non vengono però
prese in considerazione e verranno tutti radiati dal partito dopo le
europee del '84. Approssimandosi le
comunali del '85 i dissidenti, convintisi di essere stati ormai
completamente abbandonati dagli organi dirigenti del PCI, pensano di
presentare una lista civica. Nel corso di un
incontro da loro richiestoci, ribadimmo che avremmo comunque fatto
una campagna astensionista, nonostante il gruppo dei fuoriusciti
avesse riconosciuto all'opera svolta dagli anarchici e dall'unione
sindacale zonale, il merito di aver promosso lo spostamento di larghi
strati sociali ed anche di avere in qualche modo stimolato la
frattura avvenuta all'interno del partito. La nuova lista motivava la
sua presenza affermando di voler determinare la fine dell'egemonia
assoluta del PCI e la conseguente apertura di nuovi spazi politici. I
presupposti su cui nasceva "Rinascita Spezzanese" erano,
secondo quanto affermato dai suoi rappresentanti: portare le istanze
di piazza dentro il "palazzo" e usare una metodologia
profondamente democratica impegnandosi a consultare su ogni proposta
i cittadini. In quell'occasione ribadimmo quindi che avremmo
continuato nella strada di sempre, contro-informando la popolazione
sull'operato di tutte le forze politiche durante e dopo le elezioni,
ed esprimendo senza reticenze le nostre posizioni in merito.
Non credi che
"Rinascita Spezzanese" possa "cavalcare" le istanze
di democrazia diretta affermate in così larga misura dagli
anarchici, quale "rappresentante" a livello istituzionale
dei movimenti di base?
Domenico - Un
riassorbimento delle lotte sul terreno istituzionale non sarebbe
facile, perché noi siamo sempre intenzionati a dimostrare in
qualsiasi momento dov'è la reale democrazia diretta e come si
esplica. Inoltre s'è ormai formata nel paese un'area libertaria
consapevole della pericolosità dei giochi di potere, della quale noi
alimentiamo costantemente l'attenzione critica. Non abbiamo però
condannato come "traditori" quei cittadini che, pur avendo
lottato insieme a noi nell'USZ, hanno dato il loro appoggio alla
lista: Un'organizzazione anarchica, pur trovandosi di fronte a
situazioni particolari, deve avere comunque il coraggio di
confrontarcisi. Questo non vuol dire però, come sostiene invece in
modo interessato il sindaco, preoccupato unicamente della sua
poltrona e al quale interessa solo screditarci, che avremmo
"candidato" qualcuno a "rappresentarci".
Che cosa è
successo con le elezioni?
Domenico -
Il Partito Comunista ha avuto, dopo i risultati di maggio, seri
problemi conservando la maggioranza solo per pochi voti. "Rinascita
Spezzanese" ha ottenuto tre consiglieri. Fra non votanti, schede
bianche e pronunciamenti nulli, ci sono stati circa un migliaio di
astenuti.
Quali
prospettive ci sono adesso per la ripresa di un discorso
antiistituzionale?
Domenico -
L'anarchismo non deve temere che forze istituzionali di qualsiasi
genere possano rubargli lo "spazio vitale" se agisce su un
terreno di massa, sarebbe invece preoccupante non esservi presenti.
Pur fuori dal "palazzo" con le nostre lotte abbiamo sempre
condizionato e messo in crisi le scelte dell'amministrazione. D'altra
parte, pur se non è necessario divenire consiglieri comunali per
denunciare le delibere nelle strade, non ci potrebbe certo dar
fastidio se qualcuno sollevasse all'interno del Comune le nostre
battaglie di piazza. Furono proprio le contraddizioni emerse a
seguito degli scandali di sottogoverno da noi resi noti, che
determinarono più volte spaccature verticali all'interno dei partiti
di potere e fra l'uno e l'altro. Ma soprattutto è stato grazie a
quest'opera di controinformazione che la gente ha cominciato a
distaccarsi da tutte le rappresentanze legali. D'altra parte
bisogna sempre rimanere coscienti del fatto che la metodologia ed i
principi devono essere applicati nella pratica poiché solo questa
può verificarne il valore etico e renderli concreti. Naturalmente
questo è molto più difficile di quanto non sia un approfondimento
solo teorico. Occorre una "forma mentis" aperta che
permetta un quotidiano interrogarsi. Guardare alla realtà del
momento in modo dialettico non significa certo cadere nel
"riformismo". L'alternativa altrimenti resta quella di
"rannicchiarsi" nel proprio guscio "aspettando
l'anarchia".
Molti problemi,
laddove l'anarchismo ebbe più fortuna, vennero risolti in passato
con l'anarcosindacalismo. L'organizzazione sindacale era strutturata
con un segretariato, un consiglio nazionale, promuoveva consultazioni
referendarie che interessavano direttamente la base sulle questioni
di vitale importanza e congressi periodici, indiceva campagne di
tesseramento che fornivano una stabile ossatura economica ed una
corretta percezione della dimensione degli organismi affiliati e
delle categorie che li esprimevano, nonché dell'estensione
dell'intervento sociale. L'anarcosindacalismo offriva la possibilità
di ricostruire e rimodellare la società avendo una forma in cui già
si prefigurava la trasformazione. Oggi molte questioni si pongono in
termini ancora più drammatici dal momento che siamo in piena fase di
destrutturazione delle classi così come le conoscevamo e non possono
più venire risolte rifacendosi ai vecchi schemi. A fronte di tali
mutamenti come credi possibile un'evoluzione dell'azione di massa?
Domenico -
Molto spesso il proletariato non è più identificabile in modo
preciso. Sta sparendo la figura "tradizionale" del
produttore e vi sono fasce di sfruttati il cui ruolo produttivo non
viene riconosciuto in alcun modo: svolgono lavoro nero, sono precari
e congedabili in qualsiasi momento, sottoposti al principio della
mobilità, non sono sindacalizzabili. L'organizzazione
anarcosindacalista classica è quindi proponibile solo in alcune
situazioni, ma io credo sia possibile e necessaria una sua evoluzione
radicale: l'esperienza degli atenei libertari spagnoli ed il
moltiplicarsi di strutture di quartiere lasciano intravedere delle
interessantissime tendenze. Bisogna oggi pensare, pur facendo salvo
il principio del dualismo organizzativo, ad organismi di massa di
carattere complessivo che possano riunificare i vari livelli
dell'intervento, superando la sola aggregazione "per categorie"
con l'allargamento della presenza sul territorio. Territorio ove vive
la gente, con tutte le contraddizioni determinate dal dominio: per
esempio la droga e la mafia che impongono una quotidianità di
disgregazione in sintonia con il disegno di riproduzione del potere
perseguito dalle consorterie politiche che occupano le istituzioni
della società civile sin dalla radice. Spesso non andiamo
al passo con i tempi e quindi non riusciamo a rappresentare qualcosa
nel mondo di oggi. L'anarcosindacalismo è stato esplosivo perché è
riuscito a convogliare lo scontro maturato in un determinato periodo
storico. Per recuperare un nostro ruolo oggi bisogna saper
interpretare i bisogni, che vanno anche al di là delle necessità
primarie: ecco che per riacquistare incisività dovremmo sapere
ancora una volta trascendere il massimalismo di maniera e calarci a
piè pari nelle contraddizioni del momento, recependo nel giusto modo
le istanze che emergono dagli strati subalterni, non vagliandone in
modo autoritario la "legittimità rivoluzionaria" con i
criteri del "tutto e subito", bensì curando che s'inneschi
un processo prima di tutto metodologico che nel rispetto delle
capacità di maturazione generali, possa veramente impostare una
dinamica irreversibile di sovvertimento. L'organizzazione di massa
non potrà essere più, se mai lo è stata, solo organizzazione "di
classe", cioè sindacale, ma dovrà guardare maggiormente al
sociale in senso lato.
Quale spazio va
lasciato al "movimento d'opinione"?
Domenico -
Anche questo è molto importante e va curato a fondo. Esiste in ogni
lotta un momento in cui si fa opinione, per esempio ciò accade
quando nei comizi noi denunciamo l'operato della Giunta: è legando
un'azione concreta a tutti comprensibile ad una nuova visione ideale,
che il progetto di cambiamento acquista anche nell'immaginario
collettivo dei connotati libertari profondi. Molto spesso invece noi
rimaniamo ancorati al passato.
Quali
prospettive ha l'Unione Sindacale Zonale?
Domenico -
Abbiamo passato recentemente un periodo di ripensamento rispetto
all'intervento di massa. Ci siamo resi conto di aver forse trascurato
un po' il gruppo, tanto che ci era nata la tentazione di abbandonare
per un periodo la lotta e le rivendicazioni di carattere sindacale
per favorire la propaganda specifica e la formazione dei militanti in
senso teorico. Ma abbiamo presto capito che ciò non sarebbe servito
a molto, quanto invece l'approfondire il ruolo complessivo
dell'Unione, le cui prospettive non sono ancora completamente
definite, nell'azione sociale, insieme ad un rinnovato impegno di
carattere culturale ed agitatorio della struttura specifica comunista
anarchica.
Qual è il ruolo
dell'organizzazione specifica in questo progetto?
Domenico -
Essa mantiene un ruolo insostituibile d'elaborazione teorica e di
stimolo verso ciò che s'esprime nella società. È quindi
fondamentale la sua presenza sia a livello locale che, soprattutto,
in ambito nazionale, ambito nel quale noi crediamo che, ad esempio,
la FAI, nonostante le sue carenze, possa occupare un posto
importantissimo.
Esiste a
Spezzano una specificità albanese, con circoli che si rifanno alla
cultura albanese?
Tonino - Da
due anni è sorto un circolo culturale denominato "Baskim
Kulturore Arebereshë".
Alcuni del nostro gruppo ne sono stati fra i promotori. Ne fanno
parte molti giovani ed alcuni studiosi della questione albanese. Ci
si propone di raccogliere tutta la letteratura italo-albanese
prodotta sia in lingua originale che in italiano, con particolare
riguardo ai canti popolari. È
previsto un lavoro di ricerca di costume e sistematizzazione dei dati
in base anche alle particolari influenze di origine mediterranea,
slava o araba. C'è il progetto di creare un museo. Tale associazione è
nata autonomamente ed in modo apartitico e di massa, e vi si aderisce
non in base ad una qualsiasi fede religiosa o politica, ma in quanto
componenti di una precisa comunità etnica. Ci si propone di
verificare quanto nelle nostre usanze sia stato modificato od
eliminato nell'impatto con le culture italiane: è stato istituito
anche un corso di lingua e di scrittura tenuto da laureati in lingua
albanese all'Università di Arcavacata.
L'albanese che
si parla a Spezzano è simile a quello originale?
Domenico -
In Albania oggi si parla "Skip", una lingua derivata dalla
fusione dei vari dialetti preesistenti alla nascita della Repubblica
Socialista. Il nostro arebereshë
risale invece appunto ad uno di questi antichi dialetti parlato
intorno al XV secolo.
L'amministrazione
comunale aveva mai promosso niente di simile?
Domenico - A
Spezzano mai. Negli altri paesi albanesi invece c'è un certo fervore
per queste cose: ad esempio a S. Demetrio Corona si organizza
periodicamente un festival della canzone albanese. Ma spesso capita
di ascoltare canti in arebereshë
accoppiati ad una musica tutt'altro che albanese, anche perché si
tratta di manifestazioni non molto genuine, "sponsorizzate"
dalla Regione, che come tali tendono a perdere i loro caratteri
originali. Però, nonostante tali esempi, il problema è sentito
molto anche a livello popolare: il "Baskim" è stato
accolto con molta partecipazione, tanto che abbiamo oggi circa 100
soci. Quando abbiamo fatto l'inaugurazione lo scorso anno a
settembre, con una festa alla quale è intervenuta gente da tutti i
paesi italo-albanesi a cantare in piazza, abbiamo visto per esempio
donne che non erano mai intervenute in una manifestazione pubblica
muoversi da casa e venire a ballare. Il "Baskim"
cerca di recuperare anche parte di quelle tradizioni culturali che,
perché vietate, non esistono più nella stessa Albania, ove un tempo
erano presenti tradizioni musulmane e cristiane che esprimevano,
anche se mediate, altre usanze di origine più antica. All'amministrazione
comunale ha dato comunque molto fastidio che il "Baskim"
sia stato in parte promosso da anarchici e che il circolo culturale
si difenda da qualsiasi tipo d'ingerenza. Hanno addirittura messo in
giro la voce che sino a quando ci fossimo stati noi nessuno del PCI
se ne sarebbe mai interessato. In seguito però hanno cominciato ad
indire manifestazioni folkloriche: abbiamo notato per la prima volta
sui muri manifesti bilingui. In ogni caso il sindaco ha affermato
pubblicamente che il circolo culturale, in quanto apartitico, avrebbe
fatto la fine di tutte quelle strutture sorte in modo autonomo "che
credono di potersi autogestire", perché "chi non
stabilisce rapporti con le istituzioni non può avere vita lunga".
Naturalmente ha detto che non darà contributi: anche questo dimostra
come si pensi di poter disporre a proprio piacimento dei fondi
pubblici discriminando secondo criteri politici sulle assegnazioni.
Quali altre
iniziative sono state prese dal "Baskim"?
Domenico -
Il "Baskim" ha curato alcune mostre di artigianato sulla
civiltà contadina.
Sono stati presi
contatti con gli altri paesi albanesi?
Domenico -
Sì, e tanti hanno visto di buon occhio il circolo di Spezzano poiché
differisce dagli altri, ove sorgono frequenti liti fra i
rappresentanti dei vari partiti, ognuno coltiva il proprio orticello,
con il risultato che molte delle iniziative proposte dalla gente
vengono affossate. In tali condizioni acquista infatti credito solo
quanto viene promosso dagli elementi più influenti e che godono di
maggiori appoggi a livello politico regionale. Naturalmente a coloro
che sentono la questione albanese appartenergli realmente, queste
cose danno fastidio. Il "Baskim"
ha rapporti anche con le redazioni delle riviste di cultura albanese
che vengono prodotte in altre località.
Esiste una
qualche forma di coordinamento delle realtà albanesi?
Domenico -
C'è una Lega dei comuni albanesi, che però è più che altro
rappresentativa di coloro che dirigono le istituzioni politiche dei
singoli luoghi. Più volte ci hanno "corteggiato" affinché
il "Baskim" vi aderisse, col fine di imbrigliare in qualche
modo la nostra autonomia.
Qual è stata la
"molla" che vi ha spinto a partecipare a questa esperienza?
Domenico - Il
nostro sentirci profondamente albanesi ed anche l'essere anarchici,
poiché nell'anarchismo ha grande valore il significato attribuito
all'autonomia delle varie realtà etniche e viene tenuto in grande
considerazione il ruolo delle specificità culturali da queste
espresse.
Quali sono stati
i problemi specifici della minoranza albanese in Italia, anche dal
punto di vista storico?
Domenico -
Dicono che siamo la più grande comunità d'origine estera in questo
paese anche se non siamo riconosciuti "ufficialmente" quale
gruppo etnico come altri (friulani, altoatesini, etc.).
Come vi siete
pronunciati come anarchici rispetto alla religione?
Domenico -
Pur attaccando, quando è stato necessario, l'opera delle gerarchie
ecclesiastiche e del Papa, pur non facendo certo quel continuo
appello ai cattolici che fa il PCI per rubare voti ai democristiani,
abbiamo sempre riconosciuto la gran differenza che corre fra chi è
cristiano per una scelta etica coerente e chi invece segue per motivi
di comodo o in modo dogmatico e servile le indicazioni della Chiesa
di Roma anche quando favoriscono gli interessi degli sfruttatori.
Critichiamo l'istituzione e l'oppressione, non la coscienza. Tanto
che tutti i gruppi che si formano intorno alla chiesa locale
finiscono spesso col nutrire simpatie per noi: preferiscono magari
guardare all'attività degli anarchici piuttosto che a quella del PCI
o della DC. Infatti simpatie nei nostri confronti provengono da
ambienti di "Pax Christi". Invece non sono mai esistite
"Comunione e Liberazione" o altre formazioni di stampo
integralista. È certo che se noi avessimo assunto atteggiamenti
d'esclusione del tipo: "Tu sei cristiano quindi non abbiamo
niente a che spartire con te" (come se del resto non avessimo
dialogato con i comunisti di base) le cose si sarebbero evolute in
modo diverso. I nostri interlocutori non possono essere solo "gli
anarchici".
È sentita la
questione albanese fra i giovani?
Tonino - Non
come ci si potrebbe aspettare. Quale paese fondato da profughi,
Spezzano è sempre stato costretto ad "importare" cultura.
È sempre stato difficile
porsi liberamente delle scelte. Pure l'evoluzione dei costumi
giovanili segue spesso questa "legge" di "rimando".
Per esempio dei "punk" ci fu l'esplosione a Londra nel '77, si
videro per la prima volta in Italia nel '78-'79: a Spezzano
cominciano ad apparire oggi. Si sconta sempre il "tradizionale"
ritardo del meridione rispetto ai fenomeni generali, però in questo
v'è anche una nota positiva: questo paese vive le cose anche con
senso critico. C'è una coscienza
critica abituata a "discriminare" attentamente le cose, a
discuterne: i cambiamenti anziché essere rifiutati vengono osservati
con occhio critico. Nel '82 abbiamo fatto un'inchiesta giovanile "sul
campo", ponendo una serie di domande sui movimenti e le mode
emergenti come sui fenomeni "alternativi" del recente
passato, sulla sessualità, sul come viene vissuta, con quali
aspettative e con quale tensione, per recepire i mutamenti in atto
rispetto alla "tradizione". Abbiamo sollevato un grande
interesse a tal punto che c'era la tendenza a dibattere apertamente
le questioni, si formavano sempre dei capannelli, mentre noi ci
aspettavamo una richiesta di riservatezza molto maggiore. Per la prima volta
le ragazze si avvicinavano spontaneamente, attratte dalle tematiche
in discussione e senza eccessive remore. Abbiamo appurato che un
sistema di ricerca con domande precise ma elaborato in modo tale da
essere aperto rispetto alle risposte dà veramente l'opportunità di
parlare e con un certo stupore ci siamo resi conto che in fondo non
emergeva un modo di pensare troppo distante da quello delle grandi
città e che i livelli d'informazione erano molto più ricchi del
previsto. Ovviamente abbiamo anche trovato persone che esprimevano
solo due opinioni, attanagliate da quel tipo di "cultura
dicotomica" caratteristico di una povertà interpretativa di
fondo, ma non nella grande maggioranza. Nei paesi esistono più
rapporti umani e forse meno manipolazioni da parte dei "mass
media".
Esiste nel
Meridione il problema della scarsa presenza delle donne nei gruppi
politici?
Domenico - È
un problema complesso. Per quanto ci riguarda possiamo dire di non
aver mai avuto all'interno del gruppo una militanza femminile vera e
propria, ma già nel '74, quando si portavano avanti le lotte nella
scuola, erano molte le ragazze attive. In quegli anni uscivano anche
pubblicazioni ciclostilate, prodotte da donne e rivolte alle donne.
Nel '77 poi, quando si formò il Comitato dei Disoccupati,
riscontrammo addirittura una prevalenza femminile e le donne
continuarono a partecipare in gran numero alle lotte espresse in
seguito, tanto che la segreteria dell'USZ nel '79 venne tenuta da una
compagna. Il Comune,
avvedutosi di questo stato di cose, cominciò ad avvicinare a sé
molte giovani aprendo loro i ranghi dell'amministrazione. I gestori
della cosa pubblica nutrivano due generi di preoccupazioni: prima di
tutto volevano scongiurare l'insorgenza di una "questione
femminile" legata alla richiesta di lavoro; in secondo luogo, e
per la loro mentalità tradizionalista e maschilista, e perché le
condizioni esistenziali oggettive del paese lo rendevano possibile,
temevano che la presenza di ragazze nelle strutture di movimento
potesse potenziare l'afflusso di nuovi elementi.
C'è qualche
caso particolare che ricordi di compagne che smisero l'attività dopo
avere ottenuto un posto fisso?
Domenico -
Si, questo è successo, per esempio, con una delle militanti più
attive fra i disoccupati, che ora lavora all'Ufficio Servizi Sociali. Io credo che, al
Sud in particolare, la donna manifesti generalmente un misto di
ritrosia e paura nel momento in cui le si presenti l'opportunità di
ricoprire un ruolo da protagonista. Questo forse spiega come mai sia
molto più facile riscontrare un impegno femminile nei momenti di
grande mobilitazione e nei movimenti di massa, anziché nelle
strutture politiche in senso stretto. Infatti abbiamo sempre trovato
un'adesione entusiasta in campo femminile quando siamo riusciti a
sviluppare lotte di largo respiro, ed anche in passato, mentre non si
verificò mai un coinvolgimento militante delle donne nel senso
stretto all'interno delle sezioni dei partiti, moltissime furono le
"mogli", le "figlie" e le "sorelle" che
parteciparono agli scioperi ed alle occupazioni delle terre.
Ritieni siano
solo queste le ragioni per via delle quali non vi sono mai state
delle compagne nel gruppo anarchico di Spezzano Albanese?
Domenico -
No. Io credo che ciò sia avvenuto anche per colpa nostra, dal
momento che ci siamo chiusi un po' troppo nel gruppo, curando più il
"lavoro di massa" che l'aggregazione specifica. Questo è
un problema che ancora oggi stiamo dibattendo: ci siamo accorti di
avere limitato eccessivamente il nostro campo d'azione, e ciò non ha
certo favorito lo sviluppo di tematiche importanti dal punto di vista
esistenziale e culturale, frenando anche le possibili adesioni
femminili.
Franco - La
donna è stata educata a comportarsi in un certo modo. Anche se il
padre è un compagno, o se vive con un compagno, è talmente abituata
ad essere relegata in casa, a non partecipare, a non agire, perché a
queste cose viene costretta dalla mentalità del paese, che non
riesce il più delle volte ad uscire dal suo isolamento e ad
esprimere una continuità d'azione o a instaurare rapporti duraturi e
non episodici all'interno di una situazione antagonista ove si renda
necessario uno sforzo costante di rielaborazione di promozione di un
dato programma.
Tonino - In
questo senso il femminismo non ha mai inciso a Spezzano. Del resto
anche nei centri scolastici maggiori dove confluiva gente da tutta la
provincia, come Castrovillari, le studentesse si sono limitate a
modificare solo l'esteriorità dei costumi per poi seguire la stessa
prassi di sempre una volta tornate a casa nei paesi d'origine. Basti
pensare che nei locali pubblici solo da poco si riscontra la presenza
delle donne. Ed anche in questo, più che ad una tensione liberatoria
vien dato di pensare ad un fenomeno culturale di importazione.
E le compagne
dei militanti?
Tonino -
Molte donne si sono avvicinate alle strutture politiche "di
riflesso", conseguentemente al loro rapporto di coppia. Noi
abbiamo sempre cercato di evitare che nel nostro gruppo si
verificassero situazioni analoghe, perché non ci sembrava
produttivo. L'unica esperienza in cui le donne hanno fatto politica
sicuramente con convinzione è stata quella del gruppo femminista di
Castrovillari, ma il loro limite è stato quello di portare avanti
tematiche non legate alla problematica della donna meridionale,
perché basate su modelli importati dal resto d'Italia.
Domenico -
Anche a Spezzano ci sono state donne che hanno tentato d'imporre, con
reazioni istintive, dei comportamenti che scontrandosi frontalmente
con la cultura locale venivano rifiutati e non servivano certo a
produrre un cambiamento reale della loro condizione. Tali metodi non
hanno mai sortito effetti positivi, perché creando una situazione di
frattura insanabile non permettono di modificare la realtà, mentre
d'altro canto disperdono la tensione individuale verso il
protagonismo essenzialmente nella rappresentazione esteriore di
un'immagine d'emancipazione.
In questa
situazione quali sono le possibilità che le donne meridionali hanno
di raggiungere una parità effettiva con l'uomo?
Tonino - Sul
discorso della parità non è mai stato espresso, nemmeno dal
movimento femminista, un significato molto chiaro. Tuttavia se un
certo livello di parità si può raggiungere, oggi questo non può
prescindere dal problema economico e quindi del lavoro femminile. La
mancanza di lavoro, infatti, ha enormemente condizionato finora la
cultura della donna. Essa, costretta a stare chiusa tra le quattro
mura domestiche, cerca di sopperire con ogni mezzo alla mancanza di
interazioni sociali, ed è in questo contesto che bisogna leggere
anche il suo atteggiamento rispetto alla religione: questa infatti,
più che essere sentita profondamente, è usata in modo strumentale
perché apre possibilità d'intessere un minimo di rapporti umani. Le
messe, le processioni, i funerali, sono spesso le uniche forme di
svago, sono gli unici momenti d'incontro che vengono offerti alla
donna dalla realtà dei paesi.
Domenico -
Secondo me la parità tra i sessi in questa società non è
possibile, perché troppi sono i condizionamenti che la impediscono. Oggi siamo ancora
troppo legati a modelli imposti che reprimendo l'aspetto femminile
presente in ogni uomo e quello maschile insito nelle donne, non solo
a livello sessuale ma anche nei modi di essere e comportarsi, non ci
permettono di esprimere veramente noi stessi e di poter quindi creare
dei rapporti sereni ed armoniosi. Bisogna poi
aggiungere che spesso, inconsciamente, è proprio la donna che tende
a rifiutare un modello di uomo che esca anche solo minimamente dallo
schema consueto, nonostante ciò avvenga quotidianamente anche nei
suoi stessi confronti. La condizione della
donna è legata dunque ad un altro problema più complesso e che
coinvolge anche l'uomo: la questione sessuale.
Secondo voi,
come incidono i ruoli sessuali imposti sui costumi di tutti i giorni?
Domenico -
La donna è condizionata sicuramente dalla sua peculiarità sessuale:
se resta incinta, ma anche se si concede qualche "libertà di
troppo", viene subito additata come una prostituta. Ma la realtà
dell'uomo, che pure ha possibilità di ottenere maggiori
gratificazioni e di godere di ben altri privilegi, non è in fin dei
conti, molto migliore. Se la "sposa" la sera resta in casa, il
"marito" se ne sta al bar a farsi un quartino e finisce
tutto lì.
Non pensate che
la carenza di tematiche femministe all'interno del gruppo possa
essere stata limitante?
Tonino -
L'assenza di qualcuno che ponesse tali problematiche ha fatto sì che
molti aspetti delle nostre esperienze individuali venissero vissuti
ed affrontati solo privatamente, mai a livello di gruppo.
Indubbiamente quindi si è avvertita la mancanza di un qualcosa che
avrebbe arricchito l'intensità dello scambio nei rapporti
interpersonali.
Domenico -
Comunque ci rendiamo conto della necessità di guardare indietro a
quello che è stato il femminismo, per riflettere sia sulle forme e
sui modi con cui si manifestò, sia sui contenuti. E più in generale
occorre ripensare le "strade della liberazione" fin qui
percorse, improntate su nuovi modelli sessuali come sulla fittizia
identità dei ruoli e sul gioco della sovrapposizione delle immagini,
tendente magari a "parificare" uomo e donna in una "corsa al
ribasso" ed all'omologazione delle differenze, che ha lasciato
spesso intatta l'insoddisfazione e la negazione delle pulsioni. A
maggior ragione oggi, a fronte di un'offensiva di stampo moralistico
che vuole riportarci indietro nel tempo agitando i fantasmi della
decadenza psichica e fisica, del contagio, dell'AIDS, mentre
spariscono i richiami alla "libertà sessuale" e
ricompaiono gli appelli alla castità, mentre affoga il "libero
amore" e trionfa il rapporto chiuso e di coppia, sarà sempre
più necessario reinventare forme vive e originali capaci di bruciare
ancora una volta, ma in modo definitivo, ogni vecchio e nuovo
conformismo.
Quel 30-40% dell'Azione Cattolica
Francesco Rende, dirigente dell'Azione Cattolica, professore di lettere alla scuola media di S. Lorenzo del Vallo.
Cosa pensa del potere locale?
La sola vera industria di Spezzano Albanese è l'amministrazione locale. Della fiducia nel cambiamento sociale, che portò inizialmente a questo governo, è rimasto solamente una forma di consenso attorno ad un ente che s'è fatto mediatore degli interessi personali della gente. In cambio della ventilata soluzione di problemi pratici, il Comune ottiene quella forma di delega che gli consente di portare avanti la sua politica. Si sono così create le "cricche", le "pecore bianche e nere" e chi gestisce il potere ha avuto la possibilità d'isolare i gruppi più incisivi fino a stancarli: allora esprime la sua forza. La borghesia d'altronde, da parecchio tempo, ha ceduto il suo potere in cambio di una puntuale protezione dei suoi interessi ed a patto che questo accordo non scritto venga rispettato, sostiene la giunta.
Secondo lei, si può fare politica al di là del voto?
Spesso la volontà di esprimere liberamente la propria individualità viene soffocata nei fatti dalle tagliole del compromesso e così vengono a ridursi gli spazi di chi opta per una politica al di fuori del voto, la qual cosa presuppone una maturità che a volte non c'è. In questo modo il discorso dell'astensione, anche se è una forma intelligente di opposizione, rischia di non venire compreso appieno.
È vero che larga parte dell'Azione Cattolica è passata periodicamente al Movimento Anarchico?
Si, circo il 30,40% dell'Azione Cattolica, da me diretta, s'è riversata nel gruppo anarchico. Questo non posso dire che mi piaccia, perché il valore che davo io alla libertà personale è diverso da quello che loro hanno maturato.
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Gli anarchici sono veramente gli unici
Giuseppe Nociti, consigliere di "Rinascita Spezzanese", libraio antiquario.
Qual è stata la tua formazione politica?
Sono stato comunista fino all'età di 28 anni, quando mi recai nel Nord Italia per cercare lavoro. Già nel '56 mi erano sorti grossi dubbi rispetto a tutta la concezione alla quale ero stato educato: mi era stato detto che nell'ideologia comunista avrei trovato rispetto per la libertà dell'uomo e per la sua personalità, però man mano che andavo avanti negli anni vedevo che tutto ciò non corrispondeva a realtà. Mi staccai quindi dal PCI, nonostante gli avessi dato un gran contributo, dal momento che, appena finita la guerra, fondai nel paese la Giovanile Comunista.
"Rinascita" è un partito?
Io avevo proposto di chiamare la lista "Movimento per la Rinascita Spezzanese", riprendendo una definizione politica, quella di "movimento", cara agli anarchici.
Com'è la struttura di "Rinascita"?
Ci siamo imposti un'organizzazione senza capi, dove ognuno può dire liberamente quello che pensa ed incidere a tutti i livelli sulle decisioni che si prendono. Questo dovrebbe attirare l'attenzione di chi ci guarda dall'esterno, ed in particolare degli anarchici. Anarchici ai quali, peraltro, io mi sento molto vicino.
Qual è stato il tuo impatto personale con l'amministrazione?
Mi hanno dipinto in tutti i modi, tra le altre cose qualcuno dice che presto dovrei capeggiare la locale sezione del PSI. Ma in realtà sono sempre stato contrario all'arrivismo, non ho mai mirato a delle cariche, perché so perfettamente che il potere non solo "logora", ma corrompe anche le persone più pure. Quello che m'interesserebbe, sarebbe poter portare avanti qualcosa di nuovo nell'ambito delle tradizioni antiche di questo paese, ovvero il culto della libertà e dell'autodeterminazione individuale, tutte cose molto vicine all'anarchia. Gli albanesi hanno sempre sentito una naturale avversione per ogni forma di "padronismo" e dittatura, tanto che questo paese rimase antifascista per tutto il ventennio nero. Su questa base di profonda onestà ed umanità avevano saputo giocare i comunisti; oggi invece assistiamo ad un degrado continuo del PCI che non potrà mai più raccogliere lo spirito di simili istanze. I giovani in particolare sono molto stanchi delle posizioni politiche dei vari partiti.
Cosa pensi della situazione politica nazionale?
Non ho fiducia in alcun partito, anche perché nessuno ha capito la realtà dei giovani e se viene perso il contatto con i giovani si perde il contatto con la realtà della vita. Le loro richieste non vengono recepite certamente neanche dal Partito Socialista, oggi al governo, che di giovani mi sembra ne abbia molto pochi. In secondo luogo, gli uomini politici italiani sembrano tutti ammalati di egocentrismo, infatti mostrano dei lati della loro vita privata senza accorgersi di quanto si mettano alla berlina da soli. A me risultò estremamente ridicolo che Craxi mostrasse a tutti i venti di essere un raccoglitore di cimeli di garibaldini. Che cosa voleva significare questo: forse un tentativodi presentarsi agli italiani, che hanno sempre nel cuore quell'eroe del Risorgimento, come il nuovo Garibaldi? Nonostante tutte le critiche che si possono muovere a Garibaldi, c'è una differenza enorme tra i modelli di socialismo rappresentati da queste due figure. Che cosa ci si può aspettare quando sono queste le persone che formano i partiti? Ecco perché io non ho fiducia. Credo invece, e non lo dico perché voi siete qui, negli anarchici: penso che siano veramente gli unici che accettano e promuovono la libertà delle coscienze, si trattasse anche di scelte di carattere religioso. Io, per esempio, non sono più un comunista ortodosso, oggi credo in Dio e mi conforta in ciò il ricordo di Tolstoj che era profondamente cristiano ed anarchico al tempo stesso. Nell'anarchismo il rispetto dell'individuo e dell'umanità è tale che potrei facilmente sottoscriverlo. Io non lo faccio perché forse non sono preparato al punto tale da operare una scelta del genere e perché non sono più tanto giovane. Ma in ogni caso penso che a Spezzano esista veramente una presenza anarchica originale, coerente ed incisiva a tutti i livelli. Tra l'altro reputo il compagno del "Pinelli" Domenico Liguori il politico più preparato ed intelligente del paese. Tutto ciò fa di Spezzano un centro in cui l'anarchismo ha un peso ed una dinamicità tali da porlo con forza all'attenzione delle strutture libertarie del resto della penisola. Già vi furono in passato due figure significative di anarchici: una di queste fu quel Rinaldi che poi, camminando a ritroso, aderì al PCI; l'altra mio padre, medico cieco, che non rinnegò mai le sue idee. Spezzano ha un notevolissimo ascendente sugli altri paesi albanesi e su parte della Calabria ed ha dei precedenti importanti dal punto di vista libertario, nelle lotte condotte dal popolo, che non possono essere facilmente ascrivibili ad alcun partito.
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Gli anarchici a Spezzano? Scomparsi!
Domenico Tursi, sindaco di Spezzano Albanese
Gradiremmo sapere da lei, che svolge la funzione di sindaco in questo paese, una opinione sugli anarchici locali
L'origine del gruppo dobbiamo considerarla positiva, perché, anche se spesso in forma antiistituzionale ed anticomunista, ha posto alcuni problemi di carattere sociale che hanno rappresentato uno stimolo per le forze politiche a portare avanti certi obiettivi. Bisogna però far rilevare che non c'è stata una coerenza politica in questo gruppo, che s'è spesso alleato con le forze anti-comuniste incontrando la DC ed il PSI in uno spirito anti-amministrazione. Tuttavia devo riconoscere che in questi anni hanno dato un contributo al dibattito politico del paese.
Cosa c'è da evidenziare sul piano della coerenza?
Avendo conosciuto nell'arco della mia vita moltissimi anarchici, soprattutto nel periodo universitario passato a Milano, ho trovato questo gruppo anomalo rispetto al Movimento Anarchico e non solamente dal punto di vista politico. In molti anni d'attività non hanno sviluppato un rapporto di massa, il gruppo non è cresciuto ed il loro compito è stato molto ristretto. Il gruppo di Spezzano non rispecchia le linee ed i principi libertari, si allea facilmente con altri senza guardare alla forza più importante del paese, che è il Partito Comunista, e senza aprire un confronto con esso. Questo è un fatto sintomatico che lascia molte perplessità anche a livello d'opinione pubblica e credo che anche a livello centrale bisognerebbe fare un esame di questo gruppo.
Ma voi come PCI come vi siete posti nei confronti degli anarchici?
Ci siamo posti in modo positivo, basti pensare che molti dirigenti del movimento provengono dalla FGCI. Quando esisteva la struttura giovanile comunista, c'era un rapporto abbastanza positivo con i compagni esterni che in seguito s'è guastato, nel momento in cui hanno posto il problema specifico dell'anticomunismo come termine di confronto, preferendo invece, come ripeto, il dialogo con la DC e con il PSI. Questo s'è verificato nell'ambito della "Unione Sindacale Zonale": un sindacato autonomo che aveva l'obiettivo di creare ostacoli all'amministrazione comunale. Dopo, parliamoci chiaramente, si sono comportati come garantisti del sistema: andare ad usare la carta bollata per denunciare eventuali scandali e misfatti significa infatti un certo garantismo, che è stato denunciato anche dal compagno Rodotà durante un convegno fatto sull'ordine pubblico, il quale li ha richiamati in termini duri come reazionari e conservatori, perché, nonostante fossero anarchici avevano fiducia nella giustizia di stato e nella magistratura italiana.
Ma Rodotà non è, lui per primo, un "garantista"
Lo è nella misura in cui riesce a difendere questo stato. Un gruppo che si dichiara contro lo stato borghese, se si rivolge alla magistratura denota sintomi di debolezza politica e mancanza di proposte alternative. Io faccio il militante comunista da trent'anni e non ho mai usato la carta bollata per far valere i miei diritti.
Non mi pare comunque, per passare ad altro, che gli anarchici abbiano avuto poco seguito, in particolare le battaglie dell'Unione Sindacale Zonale hanno molto coinvolto il paese. Di questo mi sono potuto rendere conto parlando con parecchia gente qui a Spezzano.
Senza nessun risultato.
Come Comune avete riconosciuto l'Unione Sindacale?
No, perché questa è una organizzazione uscita fuori nei momenti di difficoltà dell'amministrazione. Quando c'era il problema di dare qualche soldo alle vedove o agli studenti, uscivano fuori. Il loro non era un discorso sindacale, ma si limitava all'assistenza delle vedove e degli orfani. Il discorso sindacale per noi è diverso e va fatto sul posto di lavoro.
Che mi dice della problematica legata al quartiere S. Lorenzo?
Le vorrei far vedere un documento di uno che è stato protagonista della "questione S. Lorenzo", l'ing. Misurelli: assessore all'urbanistica e presidente della commissione edilizia che approvò quel progetto e che ora fa parte di "Rinascita".
Io so che l'ing. Misurelli, ex PCI, non è oggi molto contento dei suoi trascorsi tanto che, prima di aderire alla lista civica, si dichiarò pronto a dimettersi addebitando alla giunta una serie di gravi errori, a patto che anche gli altri responsabili all'interno del Consiglio Comunale avessero fatto come lui.
Quando si parla in questi termini uno deve assumersi anche le proprie responsabilità.
Ma questa delibera non era stata esaminata da tutta la Giunta?
Era stata approvata dalla Commissione Edilizia, di cu iil presidente era lui; se questa avesse espresso un parere negativo la cosa non sarebbe stata fatta. A questo punto uno non può venire dopo cinque anni a dire che ha sbagliato; queste sono responsabilità politiche che escono fuori nel momento in cui tu operi, quando hai creato un disordine urbanistico non puoi cercare di rifarti una verginità.
Allora nel progetto c'era qualcosa che non andava.
No, era correto perché quella è una zona di completamento e lo testimonia il fatto che il proprietario ha vinto la causa con i confinanti perché questi erano in situazione di abusivismo. C'era solo il problema del passaggio di una strada.
E la questione della volumetria?
Per legge non si può superare un certo volume: era diviso in tre corpi ma la sostanza non cambia.
E la storia dell'"Orto Barbati"?
È sempre la storia di quella cooperativa già soggetta a denuncia, il cui presidente era sempre l'ing. Misurelli. Quella è una "zona 167", cioè di edilizia economica e popolare.
Mi è stato detto che però vari assessori e consiglieri si sono poi lì costruiti la casa.
No, non c'è nessuno. Gli unici presenti nella cooperativa siamo io e l'ing. Misurelli (nda: Tursi e Misurelli abitano infatti proprio in quelle palazzine).
Per tornare al Movimento Anarchico, se questo riesce ad avere una larga incidenza in una località dove il PCI ha alle spalle una lunga ed incontrastata tradizione egemonica che gli ha permesso la realizzazione dei suoi programmi, un motivo ci deve pure essere.
Tu mi insegni che il Movimento Anarchico esce fuori dalle grosse realtà comuniste.
Il Movimento Anarchico è precedente al Partito Comunista, esisteva già nell'800, mentre il PCI nasce nel 1921. È quest'ultimo piuttosto che prende voti nelle zone tradizionalmente anarchiche, come ad esempio Carrara e la Lunigiana.
Ma c'è possibilità di sviluppo dove c'è democrazia e libertà, come qui a Spezzano. D'altronde, un partito di massa come il nostro non può essere perfetto. Il MOvimento Anarchico è cresciuto sulla carenza di dissenso. Hanno fatto dell'assistenza sui bisogni della gente, come ha sempre fatto la DC. Non hanno un'impostazione, un programma politico duraturo.
E la questione delle graduatorie degli alloggi popolari?
In quel caso gli anarchici non hanno fatto che danneggiare gli assegnatari. Hanno promosso un'occupazione senza saperla difendere.
Visto che prima parlavamo dell'uso della "carta bollata": perché il Comune ha fatto intervenire la forza pubblica?
Perché non ritenevamo giusta quella lotta. Per le graduatorie poi non c'è stato nessun ricorso. Solo un caso abbiamo avuto, che ancora rimane aperto, di uno che aveva occupato.
Che prospettive vede per il gruppo anarchico?
Io credo che ormai a Spezzano sia scomparso. La gente ha capito che l'avventura non porta né benessere, né tranquillità
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A quel punto è sopraggiunto il Tursi
Antonio Misurelli, ex assessore all'Urbanistica, consigliere di "Rinascita Spezzanese", ingegnere.
Ci racconti un po' la storia dell'"Orto degli scandali". Il problema mi pare che sia legato molto al fatto che c'era chi era socio della Cooperativa mentre contemporaneamente operava nel Consiglio Comunale.
Si tratta di una cooperativa sorta nel 1974, avente come fine ultimo la costruzione della prima casa dei soci. Tursi, il sindaco, vi aderì nel 1977.
Quindi prima della discussione al Consiglio Comunale.
Si. Io invece vi entrai nel 1980, quando già i lavori erano stati affidati alla "Edilbruzia" e tutto era stato predisposto. Il sindaco ha comunque strumentalizzato la Cooperativa per quanto riguarda i suoli posti qui accanto, pure vincolati alla 167. Dopo varie manovre questi sono stati frazionati e venduti a vari acquirenti fra cui alcuni suoi parenti. In seguito a questi fatti, ci sono state riunioni di partito, indagini ed inchieste. Nel corso di un incontro col segretario di Federazione abbiamo "azzerato" il problema con la promessa di apportare presto dei cambiamenti negli organi dirigenziali. Ma questi non ci sono stati e mi sono trovato più di una volta costretto a bloccare, in qualità di presidente della Commissione Edilizia, altri progetti che non potevano assolutamente venire approvati. Anzi, fui messo sotto controllo. Comunque è una storia conosciuta ormai da tutti. Si trattava di una zona residua lasciata per servizi, ma quando io ne sono venuto a conoscenza ed ho cercato di modificare il progetto, suggerendo la costruzione delle palazzine da un'altra parte, si era già in una fase molto avanzata e non è stato possibile apportare dei cambiamenti. Io allora non ero ancora socio.
Quand'è che lei disse: "Io mi dimetto solo se se ne vanno anche gli altri responsabili"?
Sia nell'ambito del partito che nei consigli comunali ho cercato di fare un discorso di cambiamento. Sostenevo che se c'erano delle responsabilità da parte degli amministratori, era giusto che questi si dimettessero. Io ero pronto a lasciare il posto di assessore, ma con me se ne dovevano andare anche i maggiori responsabili. Ad esempio, un'altra irregolarità del sindaco è stata quella di firmare convenzione e concessione per l'Edilbruzia, mentre non poteva farlo perché era socio della cooperativa.
Tursi è stato rinviato a giudizio solo per questo?
Anche per aver dichiarato il falso in un atto notorio.
A che punto è il procedimento giudiziario?
Ancora non s'è conclusa l'istruttoria.
Come è andata la questione della vendita a privati?
Si è risolta con un compromesso di partito destinando quei suoli ad opera pubblica. Quindi bisogna dire che tutto infine è stato aggiustato e che in ciò non è stato ravvisato alcun reato.
Ad ogni modo, di tutta la generale "bagarre" che ha coinvolto il partito ne avete interessato anche gli organi centrali di controllo?
Abbiamo inviato quintali di carte alle Segreterie Nazionale, Regionale, Provinciale ed alla Commissione di Controllo. Siamo persino andati in delegazione a Catanzaro. Abbiamo spedito incartamenti anche a Natta.
Che effetti si sono avuti?
L'unico provvedimento preso è stata la mia radiazione. Per il resto nessuno ha pagato. Poi sono nati dei problemi nel Consiglio Comunale quando naturalmente io mi sono dissociato dal gruppo del PCI.
E gli altri partiti?
A Spezzano non c'è opposizione da parte degli altri partiti. Ne è conferma quanto è successo in un famoso consiglio comunale dove, a fronte di una mozione di sfiducia, si è avuto questo risultato: 10 no, 9 si ed 1 scheda bianca. Si era pensato, a livello di opposizione, di dare le dimissioni in massa onde far cadere la Giunta, ma in quell'occasione questa fu salvata invece da un missino.
Parlando del Partito Comunista in generale, lei crede che la situazione di Spezzano sia anomala?
No. Prima avevo fiducia, ma dopo questi fatti ho cambiato idea. Ad esempio, la Federazione di Cosenza è scossa da problemi molto simili. Basta vedere quello che è successo alle ultime elezioni: in molti paesi il partito si è spaccato, ci sono stati casi di sindaci che sono usciti dal PCI e si sono presentati da soli. Sono state fatte liste in contrapposizione formate da fuoriusciti: a S. Giovanni in Fiori addirittura due. A S. Stefano di Rogliano il sindaco, facendo una lista per proprio conto, è riuscito a prendersi il comune. Il partito è dominato da gruppi d'interesse che ruotano attorno a questo o a quel personaggio.
Secondo lei, come mai il PCI, anche se non funziona, continua a "tenere" alle elezioni locali?
Perché porta avanti una politica prettamente clientelare e di compromesso. Lo vota chi vuol ottenere dei favori. Ad esempio, se noi analizziamo gli ultimi risultati elettorali vediamo che la DC ha un enorme scarto di voti tra elezioni regionali e provinciali da una parte e comunali dall'altra, con un travaso netto di centinaia di suffragi che finiscono nella sacca del sindaco. Costui riesce sempre a ricomporre un fronte a suo favore lavorando molto anche sugli individui. Abbiamo avuto l'esempio di canditati socialisti spostatisi a tre giorni dal voto nelle liste PCI. Tutto quello che succede passa attraverso il comune. Si confondono partito ed amministrazione: se si fa la festa dell'Unità, ad esempio, si utilizza la struttura pubblica del Centro Anziani. Se vuoi lavorare in qualche fabbrichetta privata, devi passare tramite loro.
Pensa che l'attuale sindaco goda di protezioni?
M'attengo a dei fatti. Durante le ultime elezioni sono successe cose gravissime. Abbiamo scoperto, tre o quattro giorni prima del voto, che erano già pronti i certificati medici per le persone che non potevano votare da sole, già datati per il giorno stabilito. Inoltre le diagnosi contenute erano spesso semplicemente ridicole: diminuzioni di visus, tremori senili e simili. La legge invece parla molto chiaro: per poter essere accompagnati dentro la cabina bisogna soffrire di gravi handicaps come paralisi, amputazione delle mani, cecità totale. Venuti in possesso di uno di questi referti, io ed il segretario della DC, con una fotocopia ciascuno, ci siamo recati separatamente a sporgere denuncia. La sera del sabato così è nato un putiferio: arrivano i carabinieri, vanno a picchettare la casa del medico, fanno indagini. Il giorno successivo comunque questi certificati sono stati tranquillamente utilizzati, ma il presidente del seggio n. 1 s'è rifiutato di accettarli. A quel punto è sopraggiunto il Tursi che ha dato ordine ai componenti del seggio di uscire fuori e ha minacciato di far interrompere le operazioni di voto. Il presidente ha ceduto e la faccenda si è conclusa così. In seguito a questi fatti è stata sporta un'altra denuncia ed è partita una nuova inchiesta. Nonostante siano stati interrogati tutti i testimoni, me compreso, la Magistratura che in genere in questi casi procede per direttissima, per l'occasione ha seguito la via ordinaria.
A proposito dell'assegnazione delle case popolari, il sindaco afferma ch4e non ci fu alcun ricorso. Corrisponde a verità?
Ci fu una marea di ricorsi! Mi rimprovero una sola cosa: di essere stato un ingenuo ed uno sprovveduto. Abbiamo analizzato quelle graduatorie controllando soltanto se le domande fossero o meno complete dei documenti richiesti, sapendo che sarebbero state subito trasmesse alla commissione di Castrovillari. Dopo tre mesi invece abbiamo saputo che erano ancora depositate qui in Comune. In questo modo è stato possibile magari riesaminarle con calma...
Rispetto alla questione del quartiere S. Lorenzo il sindaco ritiene che lei sia il maggior responsabile, essendo stato all'epoca dei fatti il presidente della Commissione Edilizia.
Dove ho alzato la mano riconosco le mie responsabilità. Ma in generale devo dire che parecchie cose non le sapevamo nemmeno noi componenti della Giunta. Ne erano al corrente solo i reggiborsa del sindaco. Sono stato costretto ad uscire dal partito; ritengo che i panni sporchi si debbano lavare in famiglia, ma quando ciò non è possibile è necessario farlo alla luce del sole. Il progetto del quartiere S. Lorenzo è stato esaminato due volte. Tutta la questione è sorta dal fatto che c'era un problema di vincolo che andava risolto prima. Io ho dato comunque solo un parere tecnico.
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