Rivista Anarchica Online
Una vita per la
libertà
di Paolo Finzi
Con Alfonso
Failla, morto a Carrara il 26 gennaio, è scomparsa una delle figure
più prestigiose dell'anarchismo internazionale. Dall'attività
giovanile nella natia Siracusa ai 13 anni trascorsi al confino e in
carcere. La Resistenza. L'impegno quotidiano per l'organizzazione del
movimento e la diffusione delle idee libertarie. Un uomo giusto e
buono, conosciuto ed amato anche al di fuori del movimento anarchico.
Domenica 26
gennaio, a Marina di Carrara, è morto - quasi ottantenne - Alfonso
Failla. Ricoverato all'ospedale di Carrara due settimane prima, in
seguito ad un edema polmonare, era stato colpito poi da paresi e
gravissimi scompensi diabetici, fino all'entrata in coma, due giorni
prima della morte. Con lui scompare una delle figure più prestigiose
del movimento anarchico, conosciuto ed apprezzato anche per la sua
indomita milizia antifascista. I suoi funerali, svoltisi
all'indomani, hanno visto la partecipazione di molta gente, tra cui
numerosi anarchici provenienti da varie regioni. Partito dalla
centrale piazza Matteotti, su cui si affaccia la sede della
Federazione Anarchica Italiana, il corteo funebre - preceduto dalla
banda che eseguiva le musiche di canzoni anarchiche e partigiane - ha
attraversato il centro di Carrara. Mentre i compagni si davano il
cambio nel trasportare a spalla il feretro, le strofe dei canti di
Pietro Gori venivano riprese da numerose persone affacciate alle
finestre. Nell'atmosfera tutta particolare di Carrara, questo
funerale si è trasformato in una intensa manifestazione di presenza
anarchica: com'era giusto per una persona che tutta la sua vita ha
quotidianamente dedicato alla diffusione del pensiero libertario. La
salma è stata tumulata nel cimitero di Carrara, accanto a quelle di
altri anarchici (Romualdo Del Papa, Stefano Vatteroni, Gino Lucetti,
Alberto Meschi, Giuseppe Pinelli).
Nato a Siracusa
nel 1906, Failla si era accostato in giovane età all'anarchismo,
partecipando subito attivamente alla vita del movimento ed alle lotte
sociali nella sua città e nella Sicilia Orientale. Erano quelli gli
anni della montante marea fascista, caratterizzata a Siracusa da
frequenti scorribande di squadracce armate fasciste, perlopiù
provenienti da fuori. Failla, men che ventenne, fu protagonista di
varie azioni contro la violenza squadrista: in più occasioni fu
costretto alla latitanza. Con altri compagni vecchi e giovani Failla
mise in piedi una rete clandestina di propaganda antifascista, il cui
asse portante era costituito da grandi spostamenti in bicicletta tra
Siracusa e vari centri della Sicilia Orientale. Arrestato nel '30,
fu inviato al confino, ove rimase ininterrottamente - salvo una
brevissima parentesi trascorsa a Siracusa sotto stretto controllo
poliziesco - fino al'43. Ebbe modo di "girare" varie isole
di confino (Ponza, Tremiti, Ventotene, ecc.), partecipando ai più
significativi episodi di lotta che, pur nell'asprezza delle
condizioni di sopravvivenza del confino, illuminarono quegli anni:
come la lotta contro l'imposizione dell'obbligo per i confinati di
salutare romanamente, che costò ad un centinaio di confinati (di
varie tendenze ideologiche) l'arresto, il "processo" di
Napoli e la conseguente condanna ad un periodo di carcere - terminato
il quale, furono rispediti al confino. Pochissimi
antifascisti trascorsero un periodo così lungo al confino: in quei
tredici anni (quando entrò ne aveva 24, per uscirne a 37) Failla
ebbe modo tra l'altro di conoscere quasi tutte le migliaia di persone
che "si alternarono" al confino, compresa la futura classe
dirigente del post-fascismo. Nelle accese discussioni e anche nelle
feroci contrapposizioni che caratterizzarono i confinati (soprattutto
in conseguenza del programmatico settarismo dei comunisti allora
stalinisti), rese ancora più incandescenti dopo i fatti di Spagna,
Failla rappresentò un punto di riferimento preciso per la numerosa
(e composita) comunità anarchica al confino (seconda per numero solo
ai comunisti). Quando, dopo il 25
luglio '43, i confinati politici vennero liberati dall'isola di
Ventotene (dov'erano stati concentrati), solo gli anarchici furono
esclusi per quasi due mesi dal decreto di scarcerazione. Da Ventotene
vennero poi trasferiti e rinchiusi nel campo di concentramento di
Renicci d'Anghiari (Arezzo), da cui riusciranno poi a fuggire in
massa, grazie - ancora una volta - all'iniziativa di alcuni, tra cui
Failla. Era il settembre
del '43. Failla si gettò subito a capofitto nella Resistenza contro
il nazi-fascismo, operando soprattutto in Lombardia (a contatto con
le brigate libertarie "Bruzzi-Malatesta"), in Liguria e in
Toscana (ove si ebbe, con il battaglione anarchico "Lucetti"
ed altre formazioni, il più consistente fenomeno di presenza
specificamente anarchica nella Resistenza). Uomo d'azione, Failla fu
protagonista di innumerevoli episodi (tra cui la liberazione, nel
Modenese, di decine di persone destinate ai lager tedeschi). All'indomani della
liberazione, pur trascorrendo vari periodi in Sicilia (a Siracusa
dette vita al foglio anarchico La diana libertaria) dove
partecipò a lotte popolari, scioperi, comizi, conferenze,
contraddittorii, ecc., andò a vivere prima a Roma, poi, nel'49 , a
Carrara, ove trovò lavoro nella Cooperativa del Partigiano. Tra i protagonisti
della riorganizzazione del movimento anarchico, fu lui a rispondere,
al congresso di costituzione della Federazione Anarchica Italiana, al
saluto portato ai convenuti anarchici dal segretario del partito
socialista, Sandro Pertini. Al compagno di tante battaglie al
confino, all'esponente certo più prestigioso dell'antifascismo
socialista, Failla ricordò sì le comuni lotte sostenute e le
battaglie che ancora si sarebbero potute combattere insieme. Ma non
mancò di sottolineare anche che la via istituzionale e parlamentare,
che i socialisti già avevano iniziato a ripercorrere, non poteva
corrispondere agli interessi degli sfruttati e comunque avrebbe
portato ad una divaricazione sempre maggiore tra partito socialista e
movimento anarchico. Convinto
sostenitore della necessità di un'organizzazione specifica degli
anarchici, Failla espresse su questo argomento (da sempre uno dei più
dibattuti in campo anarchico) una posizione estremamente chiara, in
piena sintonia con l'onda lunga del pensiero e della pratica di
Errico Malatesta. Si impegnò cioè a fondo nello stimolare le
attività, il coordinamento, la diffusione delle idee e della stampa,
sostenendo appunto la necessità di riempire di contenuti
l'organizzazione specifica e polemizzando con le tendenze anti- e
ultra- organizzatrici. In questa sua opera di concreta, quotidiana
organizzazione del movimento e della FAI, fu sempre estremamente
attento a cogliere quanto di positivo anche le altre tendenze e
soprattutto i singoli militanti esprimevano, al di là delle sigle e
anche delle asperità di carattere. Redattore negli
ultimi anni '40 del settimanale Umanità Nova,
ne fu a lungo direttore responsabile e in questa veste subì numerosi
processi. Le pesanti condanne subite in periodo fascista, che per
molti esponenti partitici hanno costituito una buona base di lancio
verso l'occupazione di posti di potere, all'anarchico Failla non
vennero riconosciute come "medaglie", anzi costituirono
ancora pochi anni fa motivo per non ritenerlo "incensurato"
e per rifiutargli la concessione della condizionale in un processo
d'opinione (Umanità Nova aveva parlato di
"polizia di Milano come quella di Franco" in seguito ad un
ennesimo assassinio poliziesco). Oratore trascinante, tenne molte
centinaia di comizi e conferenze: chi ha assistito ai suoi discorsi
(da quelli nella stracolma piazza Archimede a Siracusa, a quello a
Carrara in occasione della mobilitazione antifascista che impedì ad
Almirante di parlare in città, ai mille centri piccoli e grandi, del
Sud e del Nord, in cui la parola di questo galantuomo dell'anarchia
seppe accendere i cuori e gli entusiasmi) chi ha assistito ai suoi
comizi - dicevo - ne parla come di avvenimenti eccezionali. "Siculo"
fino al midollo, Failla restò sempre profondamente legato alla sua
terra, alle sue genti, ai compagni che lì operavano. Ne è
testimonianza anche il giornale L'agitazione del sud, stampato
in Sicilia, che costituì tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli
anni '70, una delle voci più moderne e stimolanti dell'anarchismo di
lingua italiana. Di quel giornale Failla fu tra i promotori, nelle
sue varie fasi. Ma quest'uomo, costretto come tanti a lasciare la sua
terra per trovare lavoro altrove, rimasto legato alla sua cultura
d'origine al punto che, a volte, si recava al porto di Marina di
Carrara in coincidenza con l'arrivo di navi dalla Sicilia pur di
trovare qualche marinaio con cui scambiare quattro chiacchiere nella
loro lingua ("dialetto" è troppo poco), quest'uomo seppe
essere purtuttavia - senza alcuna frattura - organizzatore su scala
internazionale. La sua casa, anche grazie alla calda ospitalità
della sua compagna Amelia, fu essa stessa una sede, un punto di
riferimento in tutti i sensi per migliaia e migliaia di persone, dal
vecchio compagno del confino al cappellone del '68, dal giapponese al
messicano: siamo tanti ad essere passati per quella casa, ad avere
assaporato quell'atmosfera indescrivibile fatta di scambi d'opinione,
discussioni, grandi abbuffate, notti per metà insonni, conoscenze le
più varie e stimolanti. Il '68 fu anno di
grandi entusiasmi a Carrara. E fu anche l'anno del Congresso
dell'Internazionale della Federazione Anarchica (IFA), al quale
parteciparono delegazioni provenienti da moltissimi paesi. Il "maggio
francese" era ancora fresco di pochi mesi, le bandiere nere
dell'anarchia dalla Sorbona erano dilagate nei campus e nelle piazze
di mezzo mondo. Al Congresso, tra gli altri motivi d'interesse, ci fu
il confronto/scontro tra la tradizione militante dell'anarchismo e le
confuse (ma allora attivissime) tendenze libertarie emerse dalla
ribellione giovanile. Sarebbe errato parlare di "vecchio" e
"nuovo" anarchismo, come allora molti fecero tanto più che
molti dei giovani mischiavano superficialmente marxismo e anarchismo,
auspicando un superamento "nella prassi" delle ideologie,
ecc. Alle tesi (e agli atteggiamenti "provocatorii") di Daniel
Cohn-Bendit, leader del "maggio francese" e sostenitore di
questo necessario superamento dell'anarchismo "classico",
rispose con un intervento di grande tensione morale Alfonso Failla,
ribadendo le ragioni dell'anarchismo in quanto autonoma scuola di
pensiero, di lotta e di vita. Ancora quattro
intensi anni di vita pubblica, di attività, di iniziative. Poi
l'ultimo comizio, a Pisa, all'indomani dell'assassinio di Franco
Serantini. Nel giugno del '72 Failla si ammala, una forte
depressione, dalla quale riesce a riprendersi anche grazie al calore
di cui è circondato in famiglia. Non sarà più in grado di
riprendere l'attività pubblica, ma appena ristabilito questo
vecchietto - che trascorre la maggior parte del suo tempo a leggere -
riprende a frequentare convegni e congressi. Non può più
intervenire, lui che quando iniziava a parlare non lo fermava più
nessuno. Ma c'è. Era ormai uno dei
pochi superstiti della sua generazione, uno dei sempre più rari
anziani militanti che con la loro sola presenza ancora testimoniano
la continuità non solo ideale tra quella "razza" di
anarchici forgiatisi al confino, in carcere, nell'esilio, in Spagna e
le generazioni successive, avvicinatesi all'anarchismo dopo il '45.
Tra loro, anche le figlie di Failla, entrambe attive militanti
anarchiche: Aurora a Milano, nella redazione della nostra rivista, e
Gemma a Lyon, nella redazione di IRL. Ora anche Alfonso
Failla se ne è andato. A fronte del vuoto
incolmabile che la sua scomparsa lascia nel nostro movimento, c'è la
coscienza del segno profondissimo - vorrei dire indelebile - che la sua
attività, la sua umanità, la sua quotidiana militanza anarchica
hanno marcato. Tra le centinaia di
messaggi di cordoglio inviati alla famiglia e alla FAI di Carrara da
ogni parte d'Italia (e anche dall'estero), numerosi sono quelli di
persone che non si riconoscono nelle nostre idee, che a volte ne sono
avversari politici, ma che hanno imparato a conoscerle e a
rispettarle innanzitutto grazie ad Alfonso. Repubblicani Massa
Carrara - si legge, per esempio, nel telegramma della Federazione
provinciale del PRI - inchinano riverenti loro bandiere
scomparsa Alfonso Failla indimenticabile combattente della libertà
Sua vita dedicata alla lotta contro tirannide e ingiustizia resta
perenne esempio per generazioni future. Non è dunque
retorica affermare che la sua vita è stata una vera e propria
bandiera, attorno a cui il movimento anarchico sapeva di potersi
sempre ritrovare e in cui gli altri potevano scoprire quei valori
etici che costituiscono l'essenza prima dell'anarchismo. Averlo avuto
tra noi, nelle nostre file, costituisce dunque un motivo d'orgoglio:
quell'orgoglio di essere anarchici che non suona disprezzo per le
altre idee, ma è piena coscienza del valore delle nostre. La vita e la
testimonianza di Alfonso Failla, pur indissolubilmente legate alla
storia del movimento anarchico, ne travalicano i confini, per
diventare patrimonio più generale del movimento di emancipazione
sociale. Il fatto stesso che ci siano stati galantuomini come lui, di
cristallina onestà, di profonda sensibilità umana, per i quali la
solidarietà è stata pratica di quotidiana vita sociale, costituisce
- in un mondo sempre più freddo, cinico, interessato - un motivo di
conforto per tutte le persone buone, oneste. E allora anche la
lotta per un mondo più giusto e più libero pare meno un sogno,
sembra meno una pur generosa utopia. Grazie, Alfonso.
A Livorno, nel
1945
La figura che mi
viene incontro, in un crocevia della memoria, è quella di un uomo
ancora giovane, schietto nel gesto e nella parola, energico. Lo
conobbi un pomeriggio dell'agosto 1945, a Livorno, nella sede della
Federazione Anarchica, in via Ernesto Rossi. Vi ero andato per
prendere contatto con gli anarchici e portavo, come biglietto di
presentazione, l'articolo che avevo direttamente mandato al giornale
Umanità Nova e che era uscito sull'ultimo numero, dell'11
agosto, in prima pagina. Ma il giornale doveva essere uscito
postdatato, perché ricordo di aver incontrato per strada soldati
americani che leggevano The Stars and Stripes, il quotidiano
delle truppe, con l'annuncio, a caratteri di scatola, della "bomba",
forse l'atomica di Nagasaki del 9 agosto o di Hiroshima del 6. Un compagno chiamò
Alfonso che era al piano superiore. Scese e ci presentammo. Aveva già
letto l'articolo ed era contento di conoscermi. Il pezzo era la
recensione di una antologia di brani leopardiani, pubblicata proprio
allora da F. Biondolillo, sotto il titolo "Pensieri anarchici".
Mi era sembrato di qualche interesse dare notizia di questa
interpretazione di Leopardi, originale ed eccitante, avanzata da un
noto critico. Ma quel primo scritto era davvero pesante di troppa
erudizione o saccenteria scolastica, di troppi riferimenti
storico-filosofici. Aveva forse un pregio: quello di rivoltare da
ogni lato la tesi del Leopardi anarchico, di accoglierla in parte ma
anche di discuterla e di contraddirla. Failla mi disse che era
d'accordo con le mie riserve ma aveva anche qualche obiezione da
fare, là dove avevo stabilito un rapporto tra le proteste del
Leopardi contro il mito del progresso moderno e le azioni di un
anarchico contemporaneo, l'ucraino Nestor Makno che, durante la
rivoluzione russa, aveva fatto svellere pali telegrafici e binari
ferroviari "perché simboli di una artificiosa civiltà".
Failla mi spiegò bene chi era Nestor Makno, e precisò che quelle
azioni maknoviste avevano una ragione non ideologica ma pratica,
connessa alla tattica della guerra partigiana. Parlammo anche
d'altro, soprattutto dell'articolo di lui Failla, pubblicato sempre
su Umanità Nova, di fianco al mio, sotto il titolo "Una
svolta decisiva", in relazione all'imminente congresso di Carrara,
il primo del movimento anarchico dopo la guerra, anzi dopo oltre
venti anni di dispersione e di silenzio. Era una presa di posizione
chiara e positiva, che mi aveva fatto una forte impressione come
segno di volontà rinnovatrice e di concretezza. Gli anarchici erano
usciti dalle catacombe delle carceri, del confino, dell'esilio e
anche di una prigionia nelle condizioni di una umanità ferita e
stracciata. Le menti migliori - Fabbri, Berneri, oltre a Malatesta
- si erano spente. Rinforzi di leve giovanili non vi erano stati.
Il movimento era povero culturalmente (la stampa, volenterosa ma
mediocre, ne segnava il livello), incrinato da vecchi risentimenti e
da annose diatribe, in qualche misura disorientato (non a caso alcuni
militanti avevano aderito al partito comunista), sordo al nuovo che
nasceva e cresceva nello spirito del mondo e nella circostante
società. Il congresso di
Carrara era una grande occasione anzitutto per ritrovarsi,
riconoscersi in un comune ideale, rifondare il movimento, annunciare
una presenza politica. Failla si rendeva conto di tutto questo ed
avanzava ora col suo scritto proposte pratiche sulla linea di una
autocritica dei passati errori, alla ricerca di un programma
aggiornato ai tempi. Si poneva problemi di organizzazione, di
propaganda, di proselitismo. Poneva nell'unico modo possibile e
giusto il rapporto tra anarchici organizzati e anarchici
individualisti: quello di un reciproco rispetto e di una libera
sperimentazione. Spiegava il senso anarchico della nuova definizione
"comunisti libertari". Erano le parole che
io volevo sentire. Furono quelle parole, ripetute con la passione che
era in Failla, a convincermi, a farmi passare dalla simpatia
all'impegno. Failla mi dette poi alcuni indirizzi di anarchici di
Firenze e di Empoli, con i quali avrei potuto entrare in contatto,
non senza qualche avvertenza sui "tipi umani" che avrei
incontrato. Ero arrivato a
Livorno, dove avevo dei parenti, in bicicletta dal mio paese in Val
di Pesa. Ripartivo portando nel mio zaino un po' di opuscoli e
volantini, ritirati alla Federazione, da distribuire nell'entroterra.
Pier Carlo Masini
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A Carrara, nel
1968
cara Aurora, caro
Paolo,
la morte di Alfonso,
la scomparsa di questo "caro" vecchio compagno, viene a
rappresentare per me uno fra i momenti più intensi del mio vissuto
anarchico. Conoscere Failla
venne a coincidere con la mia nascita all'anarchia, motivando il mio
attaccamento emozionale non solo all'idea ma a quegli splendidi
uomini che così degnamente hanno rappresentato e materializzato
l'ideale che confusamente, seppur generosamente, cercavo nei miei
anni migliori. Giunsi ventunenne a Carrara, nel '68, al 1° congresso
Internazionale, pieno di aspettative, ma anche di raccomandazioni, di
mia madre, di presentarmi vestito in ordine perché gli anarchici,
diceva, e quanto aveva ragione, hanno il massimo rispetto della
propria persona. Forse ne ridevo quando partii da Imola e dopo un
interminabile viaggio in treno giunsi alla nostra Carrara, e forse ne
ridevo perché ancora confusamente credevo che sì gli anarchici
fossero quelli che sapeva mia madre, ma anche quegli altri, quelli
che un'iconografia falsamente benevola voleva arruffati, parolai e
chissà cosa altro. Arrivai al Teatro degli Animosi con una lettera
di Borghi e Fuochi (non mi conoscevano ancora ma mi presentavano ai
compagni per simpatia con la mia famiglia) e fui ammesso, per la
prima e più importante volta, a partecipare a un'assise libertaria.
E quale assise! Sì, cara Aurora,
di quei tre giorni vissuti come fra le nuvole di un nuovo mondo che
mi si apriva così impetuosamente, i ricordi più grandi, i più vivi
e più importanti sono quelli legati a Umberto e tuo padre. Certo
ricordo anche te, che con Gemma correvi indaffarata da ogni parte e
che subito cominciai a invidiare (che sentimento borghese) perché
intuivo nella vostra prematura presenza la continuità di un mondo
ora tanto affascinante e da cui per troppo tempo, ero rimasto
escluso. Ma anche voi, due sorelle già così "importanti", ai
miei occhi, eravate allora, non voletemene, solo il riflesso di
vostro padre, il riflesso che emanava dai suoi vivissimi occhi quando
sul palco, con Umberto, riusciva così efficacemente ad impedire che
venisse vanificato il lavoro di tanti anni passati, di tanti anni a
venire. A volte non si
arriva ad aderire ad un'idea perché il determinismo materialista
crea le condizioni necessarie (quanto sciocche) ma perché si riesce
a leggere sul volto di un uomo le mille volte di quello che si
imparerebbe in venti anni di università. Nello sguardo di Alfonso,
nelle sue parole, nei suoi gesti ho trovato tutti i motivi per
credere nella propositività dell'anarchismo, nella grandezza di
un'idea che travalica le meschinità della "politica". Fuochi mi ricorda
sempre che gli anarchici, ma anche quando non ci sono più, devono
continuare a far propaganda, nel ricordo della loro vita e della loro
coerenza, e Alfonso, che è stato per me più che un maestro, pur se
involontario, ché neppure mi conosceva, sarà sempre (sono sicuro
anche per tutti quei compagni che l'hanno conosciuto) uno stimolo in
più per continuare a lottare e ad affermare la nostra volontà
rivoluzionaria. Cara Aurora, caro
Paolo, non so se sono riuscito a trasmettervi ciò che emotivamente
si riaffaccia in me dopo quasi vent'anni, ma spero che abbiate
compreso che col carissimo Alfonso viene anche a mancarmi un qualcosa
di veramente, ormai, insostituibile.
Massimo Ortalli
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