Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 135
marzo 1986


Rivista Anarchica Online

Una vita per la libertà
di Paolo Finzi

Con Alfonso Failla, morto a Carrara il 26 gennaio, è scomparsa una delle figure più prestigiose dell'anarchismo internazionale. Dall'attività giovanile nella natia Siracusa ai 13 anni trascorsi al confino e in carcere. La Resistenza. L'impegno quotidiano per l'organizzazione del movimento e la diffusione delle idee libertarie. Un uomo giusto e buono, conosciuto ed amato anche al di fuori del movimento anarchico.

Domenica 26 gennaio, a Marina di Carrara, è morto - quasi ottantenne - Alfonso Failla. Ricoverato all'ospedale di Carrara due settimane prima, in seguito ad un edema polmonare, era stato colpito poi da paresi e gravissimi scompensi diabetici, fino all'entrata in coma, due giorni prima della morte. Con lui scompare una delle figure più prestigiose del movimento anarchico, conosciuto ed apprezzato anche per la sua indomita milizia antifascista. I suoi funerali, svoltisi all'indomani, hanno visto la partecipazione di molta gente, tra cui numerosi anarchici provenienti da varie regioni. Partito dalla centrale piazza Matteotti, su cui si affaccia la sede della Federazione Anarchica Italiana, il corteo funebre - preceduto dalla banda che eseguiva le musiche di canzoni anarchiche e partigiane - ha attraversato il centro di Carrara. Mentre i compagni si davano il cambio nel trasportare a spalla il feretro, le strofe dei canti di Pietro Gori venivano riprese da numerose persone affacciate alle finestre. Nell'atmosfera tutta particolare di Carrara, questo funerale si è trasformato in una intensa manifestazione di presenza anarchica: com'era giusto per una persona che tutta la sua vita ha quotidianamente dedicato alla diffusione del pensiero libertario. La salma è stata tumulata nel cimitero di Carrara, accanto a quelle di altri anarchici (Romualdo Del Papa, Stefano Vatteroni, Gino Lucetti, Alberto Meschi, Giuseppe Pinelli).

Nato a Siracusa nel 1906, Failla si era accostato in giovane età all'anarchismo, partecipando subito attivamente alla vita del movimento ed alle lotte sociali nella sua città e nella Sicilia Orientale. Erano quelli gli anni della montante marea fascista, caratterizzata a Siracusa da frequenti scorribande di squadracce armate fasciste, perlopiù provenienti da fuori. Failla, men che ventenne, fu protagonista di varie azioni contro la violenza squadrista: in più occasioni fu costretto alla latitanza. Con altri compagni vecchi e giovani Failla mise in piedi una rete clandestina di propaganda antifascista, il cui asse portante era costituito da grandi spostamenti in bicicletta tra Siracusa e vari centri della Sicilia Orientale.
Arrestato nel '30, fu inviato al confino, ove rimase ininterrottamente - salvo una brevissima parentesi trascorsa a Siracusa sotto stretto controllo poliziesco - fino al'43. Ebbe modo di "girare" varie isole di confino (Ponza, Tremiti, Ventotene, ecc.), partecipando ai più significativi episodi di lotta che, pur nell'asprezza delle condizioni di sopravvivenza del confino, illuminarono quegli anni: come la lotta contro l'imposizione dell'obbligo per i confinati di salutare romanamente, che costò ad un centinaio di confinati (di varie tendenze ideologiche) l'arresto, il "processo" di Napoli e la conseguente condanna ad un periodo di carcere - terminato il quale, furono rispediti al confino.
Pochissimi antifascisti trascorsero un periodo così lungo al confino: in quei tredici anni (quando entrò ne aveva 24, per uscirne a 37) Failla ebbe modo tra l'altro di conoscere quasi tutte le migliaia di persone che "si alternarono" al confino, compresa la futura classe dirigente del post-fascismo. Nelle accese discussioni e anche nelle feroci contrapposizioni che caratterizzarono i confinati (soprattutto in conseguenza del programmatico settarismo dei comunisti allora stalinisti), rese ancora più incandescenti dopo i fatti di Spagna, Failla rappresentò un punto di riferimento preciso per la numerosa (e composita) comunità anarchica al confino (seconda per numero solo ai comunisti).
Quando, dopo il 25 luglio '43, i confinati politici vennero liberati dall'isola di Ventotene (dov'erano stati concentrati), solo gli anarchici furono esclusi per quasi due mesi dal decreto di scarcerazione. Da Ventotene vennero poi trasferiti e rinchiusi nel campo di concentramento di Renicci d'Anghiari (Arezzo), da cui riusciranno poi a fuggire in massa, grazie - ancora una volta - all'iniziativa di alcuni, tra cui Failla.
Era il settembre del '43. Failla si gettò subito a capofitto nella Resistenza contro il nazi-fascismo, operando soprattutto in Lombardia (a contatto con le brigate libertarie "Bruzzi-Malatesta"), in Liguria e in Toscana (ove si ebbe, con il battaglione anarchico "Lucetti" ed altre formazioni, il più consistente fenomeno di presenza specificamente anarchica nella Resistenza). Uomo d'azione, Failla fu protagonista di innumerevoli episodi (tra cui la liberazione, nel Modenese, di decine di persone destinate ai lager tedeschi).
All'indomani della liberazione, pur trascorrendo vari periodi in Sicilia (a Siracusa dette vita al foglio anarchico La diana libertaria) dove partecipò a lotte popolari, scioperi, comizi, conferenze, contraddittorii, ecc., andò a vivere prima a Roma, poi, nel'49 , a Carrara, ove trovò lavoro nella Cooperativa del Partigiano.
Tra i protagonisti della riorganizzazione del movimento anarchico, fu lui a rispondere, al congresso di costituzione della Federazione Anarchica Italiana, al saluto portato ai convenuti anarchici dal segretario del partito socialista, Sandro Pertini. Al compagno di tante battaglie al confino, all'esponente certo più prestigioso dell'antifascismo socialista, Failla ricordò sì le comuni lotte sostenute e le battaglie che ancora si sarebbero potute combattere insieme. Ma non mancò di sottolineare anche che la via istituzionale e parlamentare, che i socialisti già avevano iniziato a ripercorrere, non poteva corrispondere agli interessi degli sfruttati e comunque avrebbe portato ad una divaricazione sempre maggiore tra partito socialista e movimento anarchico.
Convinto sostenitore della necessità di un'organizzazione specifica degli anarchici, Failla espresse su questo argomento (da sempre uno dei più dibattuti in campo anarchico) una posizione estremamente chiara, in piena sintonia con l'onda lunga del pensiero e della pratica di Errico Malatesta. Si impegnò cioè a fondo nello stimolare le attività, il coordinamento, la diffusione delle idee e della stampa, sostenendo appunto la necessità di riempire di contenuti l'organizzazione specifica e polemizzando con le tendenze anti- e ultra- organizzatrici. In questa sua opera di concreta, quotidiana organizzazione del movimento e della FAI, fu sempre estremamente attento a cogliere quanto di positivo anche le altre tendenze e soprattutto i singoli militanti esprimevano, al di là delle sigle e anche delle asperità di carattere.
Redattore negli ultimi anni '40 del settimanale Umanità Nova, ne fu a lungo direttore responsabile e in questa veste subì numerosi processi. Le pesanti condanne subite in periodo fascista, che per molti esponenti partitici hanno costituito una buona base di lancio verso l'occupazione di posti di potere, all'anarchico Failla non vennero riconosciute come "medaglie", anzi costituirono ancora pochi anni fa motivo per non ritenerlo "incensurato" e per rifiutargli la concessione della condizionale in un processo d'opinione (Umanità Nova aveva parlato di "polizia di Milano come quella di Franco" in seguito ad un ennesimo assassinio poliziesco). Oratore trascinante, tenne molte centinaia di comizi e conferenze: chi ha assistito ai suoi discorsi (da quelli nella stracolma piazza Archimede a Siracusa, a quello a Carrara in occasione della mobilitazione antifascista che impedì ad Almirante di parlare in città, ai mille centri piccoli e grandi, del Sud e del Nord, in cui la parola di questo galantuomo dell'anarchia seppe accendere i cuori e gli entusiasmi) chi ha assistito ai suoi comizi - dicevo - ne parla come di avvenimenti eccezionali.
"Siculo" fino al midollo, Failla restò sempre profondamente legato alla sua terra, alle sue genti, ai compagni che lì operavano. Ne è testimonianza anche il giornale L'agitazione del sud, stampato in Sicilia, che costituì tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '70, una delle voci più moderne e stimolanti dell'anarchismo di lingua italiana. Di quel giornale Failla fu tra i promotori, nelle sue varie fasi. Ma quest'uomo, costretto come tanti a lasciare la sua terra per trovare lavoro altrove, rimasto legato alla sua cultura d'origine al punto che, a volte, si recava al porto di Marina di Carrara in coincidenza con l'arrivo di navi dalla Sicilia pur di trovare qualche marinaio con cui scambiare quattro chiacchiere nella loro lingua ("dialetto" è troppo poco), quest'uomo seppe essere purtuttavia - senza alcuna frattura - organizzatore su scala internazionale. La sua casa, anche grazie alla calda ospitalità della sua compagna Amelia, fu essa stessa una sede, un punto di riferimento in tutti i sensi per migliaia e migliaia di persone, dal vecchio compagno del confino al cappellone del '68, dal giapponese al messicano: siamo tanti ad essere passati per quella casa, ad avere assaporato quell'atmosfera indescrivibile fatta di scambi d'opinione, discussioni, grandi abbuffate, notti per metà insonni, conoscenze le più varie e stimolanti.
Il '68 fu anno di grandi entusiasmi a Carrara. E fu anche l'anno del Congresso dell'Internazionale della Federazione Anarchica (IFA), al quale parteciparono delegazioni provenienti da moltissimi paesi. Il "maggio francese" era ancora fresco di pochi mesi, le bandiere nere dell'anarchia dalla Sorbona erano dilagate nei campus e nelle piazze di mezzo mondo. Al Congresso, tra gli altri motivi d'interesse, ci fu il confronto/scontro tra la tradizione militante dell'anarchismo e le confuse (ma allora attivissime) tendenze libertarie emerse dalla ribellione giovanile. Sarebbe errato parlare di "vecchio" e "nuovo" anarchismo, come allora molti fecero tanto più che molti dei giovani mischiavano superficialmente marxismo e anarchismo, auspicando un superamento "nella prassi" delle ideologie, ecc. Alle tesi (e agli atteggiamenti "provocatorii") di Daniel Cohn-Bendit, leader del "maggio francese" e sostenitore di questo necessario superamento dell'anarchismo "classico", rispose con un intervento di grande tensione morale Alfonso Failla, ribadendo le ragioni dell'anarchismo in quanto autonoma scuola di pensiero, di lotta e di vita.
Ancora quattro intensi anni di vita pubblica, di attività, di iniziative. Poi l'ultimo comizio, a Pisa, all'indomani dell'assassinio di Franco Serantini. Nel giugno del '72 Failla si ammala, una forte depressione, dalla quale riesce a riprendersi anche grazie al calore di cui è circondato in famiglia. Non sarà più in grado di riprendere l'attività pubblica, ma appena ristabilito questo vecchietto - che trascorre la maggior parte del suo tempo a leggere - riprende a frequentare convegni e congressi. Non può più intervenire, lui che quando iniziava a parlare non lo fermava più nessuno. Ma c'è.
Era ormai uno dei pochi superstiti della sua generazione, uno dei sempre più rari anziani militanti che con la loro sola presenza ancora testimoniano la continuità non solo ideale tra quella "razza" di anarchici forgiatisi al confino, in carcere, nell'esilio, in Spagna e le generazioni successive, avvicinatesi all'anarchismo dopo il '45. Tra loro, anche le figlie di Failla, entrambe attive militanti anarchiche: Aurora a Milano, nella redazione della nostra rivista, e Gemma a Lyon, nella redazione di IRL.
Ora anche Alfonso Failla se ne è andato.
A fronte del vuoto incolmabile che la sua scomparsa lascia nel nostro movimento, c'è la coscienza del segno profondissimo - vorrei dire indelebile - che la sua attività, la sua umanità, la sua quotidiana militanza anarchica hanno marcato.
Tra le centinaia di messaggi di cordoglio inviati alla famiglia e alla FAI di Carrara da ogni parte d'Italia (e anche dall'estero), numerosi sono quelli di persone che non si riconoscono nelle nostre idee, che a volte ne sono avversari politici, ma che hanno imparato a conoscerle e a rispettarle innanzitutto grazie ad Alfonso. Repubblicani Massa Carrara - si legge, per esempio, nel telegramma della Federazione provinciale del PRI - inchinano riverenti loro bandiere scomparsa Alfonso Failla indimenticabile combattente della libertà Sua vita dedicata alla lotta contro tirannide e ingiustizia resta perenne esempio per generazioni future.
Non è dunque retorica affermare che la sua vita è stata una vera e propria bandiera, attorno a cui il movimento anarchico sapeva di potersi sempre ritrovare e in cui gli altri potevano scoprire quei valori etici che costituiscono l'essenza prima dell'anarchismo. Averlo avuto tra noi, nelle nostre file, costituisce dunque un motivo d'orgoglio: quell'orgoglio di essere anarchici che non suona disprezzo per le altre idee, ma è piena coscienza del valore delle nostre.
La vita e la testimonianza di Alfonso Failla, pur indissolubilmente legate alla storia del movimento anarchico, ne travalicano i confini, per diventare patrimonio più generale del movimento di emancipazione sociale. Il fatto stesso che ci siano stati galantuomini come lui, di cristallina onestà, di profonda sensibilità umana, per i quali la solidarietà è stata pratica di quotidiana vita sociale, costituisce - in un mondo sempre più freddo, cinico, interessato - un motivo di conforto per tutte le persone buone, oneste.
E allora anche la lotta per un mondo più giusto e più libero pare meno un sogno, sembra meno una pur generosa utopia. Grazie, Alfonso.


A Livorno, nel 1945

La figura che mi viene incontro, in un crocevia della memoria, è quella di un uomo ancora giovane, schietto nel gesto e nella parola, energico. Lo conobbi un pomeriggio dell'agosto 1945, a Livorno, nella sede della Federazione Anarchica, in via Ernesto Rossi. Vi ero andato per prendere contatto con gli anarchici e portavo, come biglietto di presentazione, l'articolo che avevo direttamente mandato al giornale Umanità Nova e che era uscito sull'ultimo numero, dell'11 agosto, in prima pagina. Ma il giornale doveva essere uscito postdatato, perché ricordo di aver incontrato per strada soldati americani che leggevano The Stars and Stripes, il quotidiano delle truppe, con l'annuncio, a caratteri di scatola, della "bomba", forse l'atomica di Nagasaki del 9 agosto o di Hiroshima del 6.
Un compagno chiamò Alfonso che era al piano superiore. Scese e ci presentammo. Aveva già letto l'articolo ed era contento di conoscermi. Il pezzo era la recensione di una antologia di brani leopardiani, pubblicata proprio allora da F. Biondolillo, sotto il titolo "Pensieri anarchici". Mi era sembrato di qualche interesse dare notizia di questa interpretazione di Leopardi, originale ed eccitante, avanzata da un noto critico. Ma quel primo scritto era davvero pesante di troppa erudizione o saccenteria scolastica, di troppi riferimenti storico-filosofici. Aveva forse un pregio: quello di rivoltare da ogni lato la tesi del Leopardi anarchico, di accoglierla in parte ma anche di discuterla e di contraddirla. Failla mi disse che era d'accordo con le mie riserve ma aveva anche qualche obiezione da fare, là dove avevo stabilito un rapporto tra le proteste del Leopardi contro il mito del progresso moderno e le azioni di un anarchico contemporaneo, l'ucraino Nestor Makno che, durante la rivoluzione russa, aveva fatto svellere pali telegrafici e binari ferroviari "perché simboli di una artificiosa civiltà". Failla mi spiegò bene chi era Nestor Makno, e precisò che quelle azioni maknoviste avevano una ragione non ideologica ma pratica, connessa alla tattica della guerra partigiana.
Parlammo anche d'altro, soprattutto dell'articolo di lui Failla, pubblicato sempre su Umanità Nova, di fianco al mio, sotto il titolo "Una svolta decisiva", in relazione all'imminente congresso di Carrara, il primo del movimento anarchico dopo la guerra, anzi dopo oltre venti anni di dispersione e di silenzio. Era una presa di posizione chiara e positiva, che mi aveva fatto una forte impressione come segno di volontà rinnovatrice e di concretezza.
Gli anarchici erano usciti dalle catacombe delle carceri, del confino, dell'esilio e anche di una prigionia nelle condizioni di una umanità ferita e stracciata. Le menti migliori - Fabbri, Berneri, oltre a Malatesta - si erano spente. Rinforzi di leve giovanili non vi erano stati. Il movimento era povero culturalmente (la stampa, volenterosa ma mediocre, ne segnava il livello), incrinato da vecchi risentimenti e da annose diatribe, in qualche misura disorientato (non a caso alcuni militanti avevano aderito al partito comunista), sordo al nuovo che nasceva e cresceva nello spirito del mondo e nella circostante società.
Il congresso di Carrara era una grande occasione anzitutto per ritrovarsi, riconoscersi in un comune ideale, rifondare il movimento, annunciare una presenza politica. Failla si rendeva conto di tutto questo ed avanzava ora col suo scritto proposte pratiche sulla linea di una autocritica dei passati errori, alla ricerca di un programma aggiornato ai tempi. Si poneva problemi di organizzazione, di propaganda, di proselitismo. Poneva nell'unico modo possibile e giusto il rapporto tra anarchici organizzati e anarchici individualisti: quello di un reciproco rispetto e di una libera sperimentazione. Spiegava il senso anarchico della nuova definizione "comunisti libertari".
Erano le parole che io volevo sentire. Furono quelle parole, ripetute con la passione che era in Failla, a convincermi, a farmi passare dalla simpatia all'impegno. Failla mi dette poi alcuni indirizzi di anarchici di Firenze e di Empoli, con i quali avrei potuto entrare in contatto, non senza qualche avvertenza sui "tipi umani" che avrei incontrato.
Ero arrivato a Livorno, dove avevo dei parenti, in bicicletta dal mio paese in Val di Pesa. Ripartivo portando nel mio zaino un po' di opuscoli e volantini, ritirati alla Federazione, da distribuire nell'entroterra.

Pier Carlo Masini


A Carrara, nel 1968

cara Aurora, caro Paolo,
la morte di Alfonso, la scomparsa di questo "caro" vecchio compagno, viene a rappresentare per me uno fra i momenti più intensi del mio vissuto anarchico.
Conoscere Failla venne a coincidere con la mia nascita all'anarchia, motivando il mio attaccamento emozionale non solo all'idea ma a quegli splendidi uomini che così degnamente hanno rappresentato e materializzato l'ideale che confusamente, seppur generosamente, cercavo nei miei anni migliori. Giunsi ventunenne a Carrara, nel '68, al 1° congresso Internazionale, pieno di aspettative, ma anche di raccomandazioni, di mia madre, di presentarmi vestito in ordine perché gli anarchici, diceva, e quanto aveva ragione, hanno il massimo rispetto della propria persona. Forse ne ridevo quando partii da Imola e dopo un interminabile viaggio in treno giunsi alla nostra Carrara, e forse ne ridevo perché ancora confusamente credevo che sì gli anarchici fossero quelli che sapeva mia madre, ma anche quegli altri, quelli che un'iconografia falsamente benevola voleva arruffati, parolai e chissà cosa altro. Arrivai al Teatro degli Animosi con una lettera di Borghi e Fuochi (non mi conoscevano ancora ma mi presentavano ai compagni per simpatia con la mia famiglia) e fui ammesso, per la prima e più importante volta, a partecipare a un'assise libertaria. E quale assise!
Sì, cara Aurora, di quei tre giorni vissuti come fra le nuvole di un nuovo mondo che mi si apriva così impetuosamente, i ricordi più grandi, i più vivi e più importanti sono quelli legati a Umberto e tuo padre. Certo ricordo anche te, che con Gemma correvi indaffarata da ogni parte e che subito cominciai a invidiare (che sentimento borghese) perché intuivo nella vostra prematura presenza la continuità di un mondo ora tanto affascinante e da cui per troppo tempo, ero rimasto escluso. Ma anche voi, due sorelle già così "importanti", ai miei occhi, eravate allora, non voletemene, solo il riflesso di vostro padre, il riflesso che emanava dai suoi vivissimi occhi quando sul palco, con Umberto, riusciva così efficacemente ad impedire che venisse vanificato il lavoro di tanti anni passati, di tanti anni a venire.
A volte non si arriva ad aderire ad un'idea perché il determinismo materialista crea le condizioni necessarie (quanto sciocche) ma perché si riesce a leggere sul volto di un uomo le mille volte di quello che si imparerebbe in venti anni di università. Nello sguardo di Alfonso, nelle sue parole, nei suoi gesti ho trovato tutti i motivi per credere nella propositività dell'anarchismo, nella grandezza di un'idea che travalica le meschinità della "politica".
Fuochi mi ricorda sempre che gli anarchici, ma anche quando non ci sono più, devono continuare a far propaganda, nel ricordo della loro vita e della loro coerenza, e Alfonso, che è stato per me più che un maestro, pur se involontario, ché neppure mi conosceva, sarà sempre (sono sicuro anche per tutti quei compagni che l'hanno conosciuto) uno stimolo in più per continuare a lottare e ad affermare la nostra volontà rivoluzionaria.
Cara Aurora, caro Paolo, non so se sono riuscito a trasmettervi ciò che emotivamente si riaffaccia in me dopo quasi vent'anni, ma spero che abbiate compreso che col carissimo Alfonso viene anche a mancarmi un qualcosa di veramente, ormai, insostituibile.

Massimo Ortalli