Rivista Anarchica Online
La trappola
Rambo II
di Alessandra Calanchi
Non vuole
un'altra medaglia, vuole solo essere amato dal suo Paese come lui lo
ama: nel segno di un nazionalismo reazionario e cieco, ritorna il
pericoloso "eroe" cinematografico.
C'è un territorio
situato ai limiti della realtà e dell'immaginazione, e che è
indipendente da entrambi: è la terra di frontiera dove vivono i
personaggi delle nostre fantasie, delle nostre allucinazioni, e,
infine, delle opere d'arte. E c'è un momento in cui il personaggio
creato dall'artista sfugge al suo creatore e si mette a vivere in
maniera autonoma, irrispettoso degli schemi a cui era stato
destinato, e del tutto incurante di norme come la vecchiaia, la morte
e chissà che altro. In questo mondo
incantato vive, ne sono certa, anche Rambo: non quello creato da D.
Morrell, né tantomeno quello messo in scena da S. Stallone; non il
Rambo che appare da mesi sulle copertine delle riviste, quello che è
tanto piaciuto a Reagan, quello del "Processo a Rambo"
(Bologna, 6-8 dicembre 1985), quello che ha ispirato la
proliferazione di "negozi di sopravvivenza" nelle maggiori
città italiane. Parlo di un Rambo qualsiasi, un vero reduce, un vero
"outsider", messo alla porta dallo Stato e torturato - non
solo in Vietnam e non solo fisicamente - fino all'esasperazione.
Parlo di un Rambo oppresso, dimenticato, senza muscoli luccicanti,
senza l'indistruttibilità di "gatto Silvestro", e senza
una donna bellissima che gli muore fra le braccia mormorando "non
dimenticarmi". Perché questo
Rambo di Morrell-Stallone, questo Rambo da copertina di Max,
non mi piace. E non perché non apprezzi l'eroe che riappare
ciclicamente, l'eroe che ritorna, come nella saga e nel mito; anzi,
ben vengano Rocky V e VI, Rambo II e IV, e, perché no, dopo il
discusso sonetto, una nuova rivelazione shakespeariana: Romeo II:
or, the Vengeance. (Trama: si scopre che il Farmacista ha venduto
a Romeo dell'innocua valeriana anziché il veleno che - come dice
Shakespeare - "spaccerebbe in un istante la forza di venti
uomini". Ed ecco, Romeo si sveglia e si trasforma in una furia
devastatrice: la voluttà di vendetta è quella di Amleto, la follia
omicida è quella di Riccardo III, la disperazione è quella di
Lear). Sarebbe stato certamente un grande personaggio, forse
addirittura il migliore che sia mai stato immaginato da Shakespeare.
Invece, egli si accontentò di dare al suo Romeo morte e sepoltura
dignitose, e passò ad altro. Ma perché Rambo II
non mi piace? Perché almeno Rambo I aveva qualche carattere di
umanità. Era lo schiavo che si ribellava al padrone, lo si poteva
vedere come un simbolo di tutte le debolezze e contraddizioni del
sistema che a un certo punto gli si rivoltano contro, prendendolo di
sorpresa, e battendolo con le sue stesse armi. Rambo II, invece, è
solo un eroe: un "supereroe come Indiana Jones, Mad Max, Conan,
persino Superman" (Speak Up, dicembre 1985), figura metà
cristologica e metà pagana che scende nell'"inferno"
(parola ripetuta fino alla nausea nel film, come se tutti gli
spettatori fossero cretini) per riportare alla vita i morti, (come
Ulisse,... ripetendo, da solo, i gesti potenti che la collettività
costringe a compiere" (Repubblica, dicembre 1985,
articolo di Ida Magli). Tutto questo
sarebbe magari commovente se non fosse una trappola; ma ahimè, la
trappola c'è, eccome. Sta tutta in una delle ultime (e poche) frasi
dette da Rambo: egli non combatte per un'altra medaglia, e certo non
solo per salvarsi la vita (visto quello che sa fare, non credo che
avrebbe avuto problemi ad evadere anche dal campo di lavori forzati
dove si trovava), ma perché vuole essere amato dal suo Paese
come lui lo ama: e questo suona non come un'irriverente parodia del
credo cristiano (ama il tuo prossimo come te stesso), ma è
segno di un nazionalismo reazionario e cieco, pericolosissimo quanto
più appare ingenuo ed incorrotto. Rambo II è,
secondo il poeta sovietico E. Evtuscenko, protagonista di un nuovo
genere affine alla pornografia, la "warnography" (war =
guerra). Rambo II è l'imputato di "America della rivincita"
(Bologna, dic. 1985), l'ispiratore della "Rambomania" (Time),
pieno di muscoli e di rabbia, eroe della redenzione USA dopo la
sconfitta del Vietnam, eroe nazionale dopo essere stato "outsider"
("Rambo for president nel 2000?" è stato chiesto durante
il "Processo a Rambo" al prof. J. Harper della John
Hopkins). Nella stessa serata, Mazzarella sosteneva che Rambo è il
contrario dell'eroe fascista, il quale sarebbe tornato dalla guerra
felice e gridando "mamma ti ho portato l'Impero!". Ma il
fatto è che Rambo - l'America - l'Impero non l'ha portato
affatto al ritorno dal Vietnam; e sbaglia l'amico di "Birdy"
(nel film omonimo) quando dice che in qualsiasi altra guerra loro due
sarebbero stati eroi: chi perde una guerra non è mai stato
considerato un eroe, e il Rambo-prestigiatore che trasforma la
sconfitta in vittoria, che "vince la guerra che l'America ha
perso", (P. Morrell, in Repubblica), non mi convince per
niente. Una cosa è
chiedere, pretendere anzi, la sacrosanta integrazione; un'altra cosa,
molto diversa, è non avere alternativa. Fra la giungla
(l'inflazionatissimo "inferno") e la "civiltà" USA
Rambo sceglie la prima solo perché non è amato dalla seconda, e
questo è uno dei tipi peggiori di prostituzione.
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