Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 135
marzo 1986


Rivista Anarchica Online

La trappola Rambo II
di Alessandra Calanchi

Non vuole un'altra medaglia, vuole solo essere amato dal suo Paese come lui lo ama: nel segno di un nazionalismo reazionario e cieco, ritorna il pericoloso "eroe" cinematografico.

C'è un territorio situato ai limiti della realtà e dell'immaginazione, e che è indipendente da entrambi: è la terra di frontiera dove vivono i personaggi delle nostre fantasie, delle nostre allucinazioni, e, infine, delle opere d'arte. E c'è un momento in cui il personaggio creato dall'artista sfugge al suo creatore e si mette a vivere in maniera autonoma, irrispettoso degli schemi a cui era stato destinato, e del tutto incurante di norme come la vecchiaia, la morte e chissà che altro.
In questo mondo incantato vive, ne sono certa, anche Rambo: non quello creato da D. Morrell, né tantomeno quello messo in scena da S. Stallone; non il Rambo che appare da mesi sulle copertine delle riviste, quello che è tanto piaciuto a Reagan, quello del "Processo a Rambo" (Bologna, 6-8 dicembre 1985), quello che ha ispirato la proliferazione di "negozi di sopravvivenza" nelle maggiori città italiane. Parlo di un Rambo qualsiasi, un vero reduce, un vero "outsider", messo alla porta dallo Stato e torturato - non solo in Vietnam e non solo fisicamente - fino all'esasperazione. Parlo di un Rambo oppresso, dimenticato, senza muscoli luccicanti, senza l'indistruttibilità di "gatto Silvestro", e senza una donna bellissima che gli muore fra le braccia mormorando "non dimenticarmi".
Perché questo Rambo di Morrell-Stallone, questo Rambo da copertina di Max, non mi piace. E non perché non apprezzi l'eroe che riappare ciclicamente, l'eroe che ritorna, come nella saga e nel mito; anzi, ben vengano Rocky V e VI, Rambo II e IV, e, perché no, dopo il discusso sonetto, una nuova rivelazione shakespeariana: Romeo II: or, the Vengeance. (Trama: si scopre che il Farmacista ha venduto a Romeo dell'innocua valeriana anziché il veleno che - come dice Shakespeare - "spaccerebbe in un istante la forza di venti uomini". Ed ecco, Romeo si sveglia e si trasforma in una furia devastatrice: la voluttà di vendetta è quella di Amleto, la follia omicida è quella di Riccardo III, la disperazione è quella di Lear). Sarebbe stato certamente un grande personaggio, forse addirittura il migliore che sia mai stato immaginato da Shakespeare. Invece, egli si accontentò di dare al suo Romeo morte e sepoltura dignitose, e passò ad altro.
Ma perché Rambo II non mi piace? Perché almeno Rambo I aveva qualche carattere di umanità. Era lo schiavo che si ribellava al padrone, lo si poteva vedere come un simbolo di tutte le debolezze e contraddizioni del sistema che a un certo punto gli si rivoltano contro, prendendolo di sorpresa, e battendolo con le sue stesse armi. Rambo II, invece, è solo un eroe: un "supereroe come Indiana Jones, Mad Max, Conan, persino Superman" (Speak Up, dicembre 1985), figura metà cristologica e metà pagana che scende nell'"inferno" (parola ripetuta fino alla nausea nel film, come se tutti gli spettatori fossero cretini) per riportare alla vita i morti, (come Ulisse,... ripetendo, da solo, i gesti potenti che la collettività costringe a compiere" (Repubblica, dicembre 1985, articolo di Ida Magli).
Tutto questo sarebbe magari commovente se non fosse una trappola; ma ahimè, la trappola c'è, eccome. Sta tutta in una delle ultime (e poche) frasi dette da Rambo: egli non combatte per un'altra medaglia, e certo non solo per salvarsi la vita (visto quello che sa fare, non credo che avrebbe avuto problemi ad evadere anche dal campo di lavori forzati dove si trovava), ma perché vuole essere amato dal suo Paese come lui lo ama: e questo suona non come un'irriverente parodia del credo cristiano (ama il tuo prossimo come te stesso), ma è segno di un nazionalismo reazionario e cieco, pericolosissimo quanto più appare ingenuo ed incorrotto.
Rambo II è, secondo il poeta sovietico E. Evtuscenko, protagonista di un nuovo genere affine alla pornografia, la "warnography" (war = guerra). Rambo II è l'imputato di "America della rivincita" (Bologna, dic. 1985), l'ispiratore della "Rambomania" (Time), pieno di muscoli e di rabbia, eroe della redenzione USA dopo la sconfitta del Vietnam, eroe nazionale dopo essere stato "outsider" ("Rambo for president nel 2000?" è stato chiesto durante il "Processo a Rambo" al prof. J. Harper della John Hopkins). Nella stessa serata, Mazzarella sosteneva che Rambo è il contrario dell'eroe fascista, il quale sarebbe tornato dalla guerra felice e gridando "mamma ti ho portato l'Impero!". Ma il fatto è che Rambo - l'America - l'Impero non l'ha portato affatto al ritorno dal Vietnam; e sbaglia l'amico di "Birdy" (nel film omonimo) quando dice che in qualsiasi altra guerra loro due sarebbero stati eroi: chi perde una guerra non è mai stato considerato un eroe, e il Rambo-prestigiatore che trasforma la sconfitta in vittoria, che "vince la guerra che l'America ha perso", (P. Morrell, in Repubblica), non mi convince per niente.
Una cosa è chiedere, pretendere anzi, la sacrosanta integrazione; un'altra cosa, molto diversa, è non avere alternativa. Fra la giungla (l'inflazionatissimo "inferno") e la "civiltà" USA Rambo sceglie la prima solo perché non è amato dalla seconda, e questo è uno dei tipi peggiori di prostituzione.