Rivista Anarchica Online
Il vero problema
non è Reagan
di David Koven
Si conclude in
queste pagine, il dossier "Cercando un'altra America"
apparso sullo scorso numero. Interviene David Koven, anarchico,
attivo nel movimento pacifista. E spiega perché
non è poi così importante chi sta alla Casa Bianca.
I compagni di "A"
rivista anarchica mi hanno chiesto di rispondere a due
domande, che essi hanno rivolto a diversi anarchici americani
nell'ambito di un dossier dedicato all'anarchismo in Nord America.
Confesso che le domande mi hanno lasciato perplesso e che rispondere
in breve, come richiesto, non mi è stato facile. Per quanto concerne
il primo quesito: "Nell'era di Reagan, quali sono a tuo avviso,
da un punto di vista anarchico, le più importanti aree di conflitto
sociale nell'America del Nord?", mi sembra che il modo in cui è
posta la domanda attribuisca a Reagan una capacità di influire sul
corso futuro del progresso sociale. Non sono assolutamente d'accordo. Il sistema
statunitense è basato solo apparentemente su due partiti. In realtà
è come se vi fosse un partito unico, perché ciascuna delle due
organizzazioni politiche esistenti rappresenta soltanto una variante
minima del modo in cui agiscono le forze reali del paese - quelle
industriali/commerciali, che determinano le politiche con le quali
entrambi i partiti colludono nel formulare le leggi che controllano
la vita dei cittadini americani. Ad esempio, tutte le leggi che i
"liberal" maggiormente deprecano, ritenendole il risultato
della politica reazionaria reaganiana, di fatto sono state approvate
da un Congresso controllato dal partito di opposizione, quello
democratico. E si tende a perdere di vista il fatto che, secondo
un'ottica anarchica, alcune delle norme legislative più
antilibertarie sono state approvate e ispirate da quel medesimo
partito democratico, che troppo spesso viene erroneamente considerato
il rappresentante delle tendenze "liberal" in seno alla
società. Sotto la presidenza
di Franklin Delano Roosevelt abbiamo visto ingabbiare il radicalismo
operaio nato all'inizio degli anni '30 - dalle nuove leggi di riforma
del lavoro, che ponevano fine alla partecipazione di base e
spianavano la strada allo sviluppo di sindacati centralizzati,
dominati da leaders. Sempre sotto
Roosevelt abbiamo assistito al sacrificio della Rivoluzione spagnola,
causato dall'embargo contro la Spagna, una mossa che diede la
vittoria a Hitler, Mussolini e Franco. Infine, con la scusa della
guerra contro il Giappone, abbiamo visto l'amministrazione Roosevelt
internare i giapponesi americani e le loro famiglie in campi di
concentramento. Una mossa che aveva un unico obiettivo: riempire i
forzieri degli agenti immobiliari e dei politicanti corrotti
californiani. Sotto la presidenza
di Truman, un altro democratico, abbiamo assistito allo spietato
bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Sotto la presidenza
di Johnson, un altro democratico, abbiamo assistito all'inizio e al
crescendo distruttivo della guerra in Vietnam. Un altro
democratico, Kennedy, portò il mondo intero a un passo dal conflitto
atomico durante la cosiddetta "crisi dei missili". Inoltre,
cercò di rovesciare, con azioni clandestine, il regime di Castro a
Cuba. No, non è dei
burattini presidenziali che dobbiamo preoccuparci, ma piuttosto dei
modi più insidiosi in cui la struttura "politica" tiene sotto
controllo le vite e le menti dei cittadini americani. Mi preoccupa
maggiormente il fatto che la violenza sia accettata sempre di più
come modo di vita, e gli effetti che essa produce sulle menti dei
giovani ancora nell'età dello sviluppo. L'inutile, se non folle
divulgazione dell'esaltazione patriottica impersonata dal personaggio
di Stallone, Rambo, o da quell'altro eroe americano violento e
reazionario, Chuck Norris. Anche nelle ore di
maggiore ascolto, la TV si prostituisce alla violenza, alla velocità,
all'alcolismo. La violenza in telefilm come "Miami Vice",
ad esempio, è un'offesa continua alla sensibilità dello spettatore.
Anche gli spot e gli annunci pubblicitari in TV e sulle riviste alla
moda reclamizzano liquori e auto super-veloci, gigantesche. Una
combinazione di prodotti che ogni anno uccide migliaia di persone
sulle strade americane. Il sesso, come
viene rappresentato negli sceneggiati televisivi e negli annunci
pubblicitari sulle riviste alla moda è così intriso di immagini
violente, che non stupisce l'incapacità di alcuni giovani di
associare la sessualità all'amore e al sentimento. Credo che queste
espressioni del potere nella società americana siano più pericolose
di un semplice presidente, per quanto concerne la possibilità di
volgersi in una direzione e verso un futuro più libertari.
'60 e '80 a
confronto
Quanto alla seconda
domanda: "Quali sono le differenze più rilevanti tra il
movimento radical degli anni '60 e quello degli anni '80?",
credo che il movimento degli anni '60 fosse assai meno radical di
quanto appaia retrospettivamente. A suo credito bisogna riconoscere
che contribuì ad accelerare la fine della guerra in Vietnam, e non
fu cosa da poco. Ma, con l'eccezione di alcuni attivisti, il
movimento non maturò un progetto coerente, verso il quale
indirizzare la società. Nei suoi momenti migliori fu un movimento di
riforma "liberal", nei peggiori un movimento capace
soltanto di atteggiamenti "teatrali". Non a caso due dei
più rinomati leader di quel movimento, Abbe Hoffman e Jerry Rubin,
sono le attrazioni principali di un circo politico che batte il
circuito universitario. E non è un caso che molti dei "leader"
del movimento degli anni '60 contribuiscano attivamente alla spinta
materialistica verso la "yuppificazione" dell'America. Quanto agli anni
'80, nei pochi movimenti sociali esistenti sembrano esservi scarsa
connessione e coerenza. Nessuno di essi si può definire veramente
radical. Riformista, critico nei confronti del governo, sì; ma di
nuovo mancano la solidità di un progetto e una direzione
antiautoritaria. Ad esempio: i vari gruppi che si oppongono
all'intervento statunitense in America Centrale - i gruppi come
l'Emergency Response Network - sono di fatto critici verso la
politica del governo e cercano di attivare un movimento di
resistenza, ma al tempo stesso non riescono ad assumere una posizione
critica anche nei confronti dei regimi marxisti e delle leadership
dei movimenti di guerriglia centroamericani, aspiranti marxiste. Non
avvertono i pericoli reali che queste leadership, che agiscono in
nome della "rivoluzione", rappresentano per i popoli
dell'America Centrale. Tutto ciò mi
ricorda l'epoca in cui si organizzava il "Vietnam Day
Committee", quando io parlai della necessità di appoggiare il
popolo vietnamita opponendoci alla politica del governo americano, ma
al tempo stesso dissi che bisognava mettere in guardia quel popolo
contro i pericoli della dittatura marxista che sarebbe stata imposta
loro dal Vietnam del Nord. Per aver espresso un'opinione simile fui
criticato violentemente, allora. Oggi forse la
risposta più radical alla politica del governo USA in America
Centrale non viene dai vari gruppi di sinistra o "liberal",
ma piuttosto da quegli individui e gruppi religiosi che hanno dato
origine al "movimento santuario". Individui coraggiosi, che
rischiano la vita e sono disposti a finire in prigione per le loro
idee. È sperabile che da
questo ardimentoso confronto con il potere nudo dello stato, e con la
natura inumana di quel potere, si possa trarre una lezione
libertaria, anarchica. Quanto agli altri
movimenti esistenti, ho l'impressione che siano troppo parcellizzati
e senz'anima per avere veramente una forza libertaria in un'epoca
come la nostra. Il movimento contro l'apartheid, che fa benissimo a
non dare tregua al governo sudafricano, non può essere definito un
movimento radical. Al più ha un carattere riformista: cerca di
influire sulla politica del governo USA e delle industrie americane
che hanno interessi in Sud Africa. Benché goda di notevoli appoggi
nei campus universitari, non mostra di avere una visione radical. Gli
altri movimenti attualmente esistenti in USA - il movimento per i
diritti degli animali, il movimento radical gay, gli attivisti
ecologici e i vari movimenti pacifisti e antinucleari - sembrano
tutti in fase di riconversione. Persino uno dei movimenti
pacifisti/antinucleari più attivi, la "Abalone Alliance",
dopo anni di manifestazioni e sit-in segnati da molti arresti, è in
procinto di cambiare nome e linea di condotta: metterà da parte
l'azione diretta e diventerà un organismo di assistenza e di
informazione. Come sempre,
compagni, ci attende un duro cammino. Come nel passato, gli anarchici
devono continuare a lavorare senza sperare in risultati immediati.
Dobbiamo continuare a influenzare, con la nostra partecipazione e le
nostre idee, gli individui e i gruppi che mostrano propensioni
libertarie. Come sempre, non esistono facili soluzioni, ma solo
lunghe e dure battaglie. Non perdiamoci
d'animo!
|