Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 135
marzo 1986


Rivista Anarchica Online

Il vero problema non è Reagan
di David Koven

Si conclude in queste pagine, il dossier "Cercando un'altra America" apparso sullo scorso numero. Interviene David Koven, anarchico, attivo nel movimento pacifista. E spiega perché non è poi così importante chi sta alla Casa Bianca.

I compagni di "A" rivista anarchica mi hanno chiesto di rispondere a due domande, che essi hanno rivolto a diversi anarchici americani nell'ambito di un dossier dedicato all'anarchismo in Nord America. Confesso che le domande mi hanno lasciato perplesso e che rispondere in breve, come richiesto, non mi è stato facile.
Per quanto concerne il primo quesito: "Nell'era di Reagan, quali sono a tuo avviso, da un punto di vista anarchico, le più importanti aree di conflitto sociale nell'America del Nord?", mi sembra che il modo in cui è posta la domanda attribuisca a Reagan una capacità di influire sul corso futuro del progresso sociale. Non sono assolutamente d'accordo.
Il sistema statunitense è basato solo apparentemente su due partiti. In realtà è come se vi fosse un partito unico, perché ciascuna delle due organizzazioni politiche esistenti rappresenta soltanto una variante minima del modo in cui agiscono le forze reali del paese - quelle industriali/commerciali, che determinano le politiche con le quali entrambi i partiti colludono nel formulare le leggi che controllano la vita dei cittadini americani. Ad esempio, tutte le leggi che i "liberal" maggiormente deprecano, ritenendole il risultato della politica reazionaria reaganiana, di fatto sono state approvate da un Congresso controllato dal partito di opposizione, quello democratico. E si tende a perdere di vista il fatto che, secondo un'ottica anarchica, alcune delle norme legislative più antilibertarie sono state approvate e ispirate da quel medesimo partito democratico, che troppo spesso viene erroneamente considerato il rappresentante delle tendenze "liberal" in seno alla società.
Sotto la presidenza di Franklin Delano Roosevelt abbiamo visto ingabbiare il radicalismo operaio nato all'inizio degli anni '30 - dalle nuove leggi di riforma del lavoro, che ponevano fine alla partecipazione di base e spianavano la strada allo sviluppo di sindacati centralizzati, dominati da leaders.
Sempre sotto Roosevelt abbiamo assistito al sacrificio della Rivoluzione spagnola, causato dall'embargo contro la Spagna, una mossa che diede la vittoria a Hitler, Mussolini e Franco. Infine, con la scusa della guerra contro il Giappone, abbiamo visto l'amministrazione Roosevelt internare i giapponesi americani e le loro famiglie in campi di concentramento. Una mossa che aveva un unico obiettivo: riempire i forzieri degli agenti immobiliari e dei politicanti corrotti californiani.
Sotto la presidenza di Truman, un altro democratico, abbiamo assistito allo spietato bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki.
Sotto la presidenza di Johnson, un altro democratico, abbiamo assistito all'inizio e al crescendo distruttivo della guerra in Vietnam.
Un altro democratico, Kennedy, portò il mondo intero a un passo dal conflitto atomico durante la cosiddetta "crisi dei missili". Inoltre, cercò di rovesciare, con azioni clandestine, il regime di Castro a Cuba.
No, non è dei burattini presidenziali che dobbiamo preoccuparci, ma piuttosto dei modi più insidiosi in cui la struttura "politica" tiene sotto controllo le vite e le menti dei cittadini americani. Mi preoccupa maggiormente il fatto che la violenza sia accettata sempre di più come modo di vita, e gli effetti che essa produce sulle menti dei giovani ancora nell'età dello sviluppo. L'inutile, se non folle divulgazione dell'esaltazione patriottica impersonata dal personaggio di Stallone, Rambo, o da quell'altro eroe americano violento e reazionario, Chuck Norris.
Anche nelle ore di maggiore ascolto, la TV si prostituisce alla violenza, alla velocità, all'alcolismo. La violenza in telefilm come "Miami Vice", ad esempio, è un'offesa continua alla sensibilità dello spettatore. Anche gli spot e gli annunci pubblicitari in TV e sulle riviste alla moda reclamizzano liquori e auto super-veloci, gigantesche. Una combinazione di prodotti che ogni anno uccide migliaia di persone sulle strade americane.
Il sesso, come viene rappresentato negli sceneggiati televisivi e negli annunci pubblicitari sulle riviste alla moda è così intriso di immagini violente, che non stupisce l'incapacità di alcuni giovani di associare la sessualità all'amore e al sentimento. Credo che queste espressioni del potere nella società americana siano più pericolose di un semplice presidente, per quanto concerne la possibilità di volgersi in una direzione e verso un futuro più libertari.

'60 e '80 a confronto
Quanto alla seconda domanda: "Quali sono le differenze più rilevanti tra il movimento radical degli anni '60 e quello degli anni '80?", credo che il movimento degli anni '60 fosse assai meno radical di quanto appaia retrospettivamente. A suo credito bisogna riconoscere che contribuì ad accelerare la fine della guerra in Vietnam, e non fu cosa da poco. Ma, con l'eccezione di alcuni attivisti, il movimento non maturò un progetto coerente, verso il quale indirizzare la società. Nei suoi momenti migliori fu un movimento di riforma "liberal", nei peggiori un movimento capace soltanto di atteggiamenti "teatrali". Non a caso due dei più rinomati leader di quel movimento, Abbe Hoffman e Jerry Rubin, sono le attrazioni principali di un circo politico che batte il circuito universitario. E non è un caso che molti dei "leader" del movimento degli anni '60 contribuiscano attivamente alla spinta materialistica verso la "yuppificazione" dell'America.
Quanto agli anni '80, nei pochi movimenti sociali esistenti sembrano esservi scarsa connessione e coerenza. Nessuno di essi si può definire veramente radical. Riformista, critico nei confronti del governo, sì; ma di nuovo mancano la solidità di un progetto e una direzione antiautoritaria. Ad esempio: i vari gruppi che si oppongono all'intervento statunitense in America Centrale - i gruppi come l'Emergency Response Network - sono di fatto critici verso la politica del governo e cercano di attivare un movimento di resistenza, ma al tempo stesso non riescono ad assumere una posizione critica anche nei confronti dei regimi marxisti e delle leadership dei movimenti di guerriglia centroamericani, aspiranti marxiste. Non avvertono i pericoli reali che queste leadership, che agiscono in nome della "rivoluzione", rappresentano per i popoli dell'America Centrale.
Tutto ciò mi ricorda l'epoca in cui si organizzava il "Vietnam Day Committee", quando io parlai della necessità di appoggiare il popolo vietnamita opponendoci alla politica del governo americano, ma al tempo stesso dissi che bisognava mettere in guardia quel popolo contro i pericoli della dittatura marxista che sarebbe stata imposta loro dal Vietnam del Nord. Per aver espresso un'opinione simile fui criticato violentemente, allora.
Oggi forse la risposta più radical alla politica del governo USA in America Centrale non viene dai vari gruppi di sinistra o "liberal", ma piuttosto da quegli individui e gruppi religiosi che hanno dato origine al "movimento santuario". Individui coraggiosi, che rischiano la vita e sono disposti a finire in prigione per le loro idee. È sperabile che da questo ardimentoso confronto con il potere nudo dello stato, e con la natura inumana di quel potere, si possa trarre una lezione libertaria, anarchica.
Quanto agli altri movimenti esistenti, ho l'impressione che siano troppo parcellizzati e senz'anima per avere veramente una forza libertaria in un'epoca come la nostra. Il movimento contro l'apartheid, che fa benissimo a non dare tregua al governo sudafricano, non può essere definito un movimento radical. Al più ha un carattere riformista: cerca di influire sulla politica del governo USA e delle industrie americane che hanno interessi in Sud Africa. Benché goda di notevoli appoggi nei campus universitari, non mostra di avere una visione radical. Gli altri movimenti attualmente esistenti in USA - il movimento per i diritti degli animali, il movimento radical gay, gli attivisti ecologici e i vari movimenti pacifisti e antinucleari - sembrano tutti in fase di riconversione. Persino uno dei movimenti pacifisti/antinucleari più attivi, la "Abalone Alliance", dopo anni di manifestazioni e sit-in segnati da molti arresti, è in procinto di cambiare nome e linea di condotta: metterà da parte l'azione diretta e diventerà un organismo di assistenza e di informazione.
Come sempre, compagni, ci attende un duro cammino. Come nel passato, gli anarchici devono continuare a lavorare senza sperare in risultati immediati. Dobbiamo continuare a influenzare, con la nostra partecipazione e le nostre idee, gli individui e i gruppi che mostrano propensioni libertarie. Come sempre, non esistono facili soluzioni, ma solo lunghe e dure battaglie.
Non perdiamoci d'animo!