Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 121
estate 1984


Rivista Anarchica Online

Donne, politica, impegno sociale
di Yolande Cohen

Docente universitaria a Montreal (Canada), Yolande Cohen si occupa da vari anni della storia dei movimenti di emancipazione e di liberazione delle donne. Tra l'altro, ha partecipato nel gennaio dell'anno scorso alla Settimana Culturale che si è tenuta in coincidenza con il 6° congresso della CNT: in quell'occasione sostenne un vivace dibattito pubblico con Federica Montseny (ultraottantenne anarchica spagnola). In queste pagine pubblichiamo ampi stralci della sua relazione per la tavola rotonda veneziana su femminismo ed anarchismo

Il campo del politico si trasforma sotto la pressione di una pluralità di movimenti sociali. Si instaura allora una dicotomia che separa l'azione dei partiti e delle istituzioni dalla sfera dell'agitazione sociale. Questa separazione accentua ulteriormente l'antagonismo tra la politica del potere da un lato e la politica del contropotere dall'altro creando un conflitto latente che si acuisce e si cristallizza nei periodi di fermento, che sono caratterizzati dalla volontà di cambiare le regole che reggono i rapporti umani. Emile Durkheim ne annota gli effetti: Vi sono periodi storici in cui, sotto l'influenza di qualche grande fremito collettivo, le interazioni sociali diventano molto più frequenti e più dinamiche. Gli individui si ricercano, si riuniscono di più. Ne risulta un fermento generale, caratteristico delle epoche rivoluzionarie e creatrici. Questa iperattività provoca una esaltazione generale delle forze individuali. Si vive di più e diversamente che nei tempi normali. I cambiamenti vanno ben oltre la superficie: l'uomo diventa altro.
Nel XIX secolo come nel XX, questo fermento si è accompagnato quasi sempre ad una ridiscussione dei ruoli sessuali. Donne ed uomini si interrogano sulla fondatezza della separazione pubblico-privato e sui conseguenti effetti in rapporto alla valorizzazione sociale dei ruoli sessuali. Le delimitazioni tra ciò che appartiene al privato e al pubblico sono quindi oggetto di conflitti permanenti tra i sessi di cui la storia testimonia, a suo modo, nei momenti di grandi fermenti. E' in questi periodi che i risentimenti vengono alla luce, sotto forma di rivendicazione femminista, più volte espressa nella storia, che esige per le donne uno status politico proprio?
Porre oggi la questione del rapporto che le donne hanno con la politica solleva molteplici ambivalenze che l'uso di un vocabolario vago (e il più delle volte improprio) rivela. Autorità, influenza, partecipazione, delega politica, ripartizione dei poteri, tutti questi termini traducono bene le numerose esitazioni davanti alle quali ci si trova quando si tratta di affrontare questi argomenti.
Anche se tardivamente e strettamente dipendente dal movimento di liberazione delle donne, emerge un'area che tiene conto della dimensione sessuale nella scienza politica. Viene proclamata la volontà di trasformare i paradigmi esistenti, non soltanto per integrarvi la dimensione femminile ma soprattutto per modificarne i criteri d'analisi: la modalità dell'interrogarsi femminista-femminile cambierebbe la nostra visione del mondo.
La pretesa, commisurata alle trasformazioni provocate dal movimento di liberazione delle donne, è grande. Ma è proprio questa visione del mondo in particolare, specifica alle donne, che è difficile ed azzardato far emergere: ci si trova oggi a domandarsi persino se essa esista.
Le donne dedite alle scienze sociali, militanti femministe e non, si fermano e si interrogano sulla praticabilità di un tale progetto. Non si rischia così di ripetere, ponendo i problemi in questi termini, la tentazione universalistica dei nostri predecessori? Questo desiderio di una visione globale del mondo che le donne farebbero emergere a loro volta non è forse una domanda di potere altrettanto pericolosa di ciò che viene denunciato come patriarcale?
L'importanza della posta in gioco ha suscitato in questi ultimi anni un lavoro di analisi critica sui problemi che questi rapporti sollevano. L'interrogativo si fonda soprattutto sulla valutazione dei cambiamenti subiti dalla scienza politica a contatto con queste sensibilità, con le identità sociali sorte alla fine degli anni '60, e sul modo in cui esse sono ormai espresse.

Le suffragette smitizzate
La questione dell'allargamento del diritto di voto alle donne e il movimento per l'uguaglianza dei diritti civili e giuridici che l'accompagna forniscono un eccellente esempio del tipo di atteggiamento che si è sviluppato. Questo episodio della lotta delle donne, riveduto e corretto, diventa uno di questi momenti di fermento: esso è particolarmente significativo, perché sempre rivendicato come un passato glorioso da larghe fasce del movimento di liberazione delle donne e perché costituisce anche un cambiamento nella vita politica in senso lato.
Ma se è difficile poter contestar loro il fatto che furono delle organizzatrici nel senso più pieno del termine, non si può tralasciare di sottolineare che l'interesse che esse hanno suscitato non è disinteressato. Raggrupparsi in associazioni per la difesa dei loro diritti, manifestando davanti alle autorità politiche competenti, le suffragette valorizzano, adottandolo, il comportamento degli uomini, ne riproducono la forma: l'azione collettiva per ottenere delle riforme. Ma ciò che soprattutto viene loro rimproverato è di condividere con il resto della società americana la fede implicita che fa della riforma delle istituzioni democratiche la condizione del progresso sociale. Queste donne contribuirebbero così ad accreditare la tesi di una marcia lineare e inevitabile verso l'uguaglianza e la libertà, che il loro movimento incoraggia.
Questo tipo di femminismo viene allora demistificato in quanto conforme all'ordine esistente, di cui conferma le attrattive. Si apprende che queste donne, appartenenti per nascita o per acquisizione alla borghesia illuminata, reclamano di fatto la loro parte di privilegi, un'uguale possibilità di accedere alla proprietà e alla vita politica (...).
Senza essere sempre convinti della accuratezza di discussioni che trovano origine in categorizzazioni politiche spesso semplicistiche (femminismo marxista, radical o riformista) va tuttavia tenuto presente che esse aprono la via a delle puntualizzazioni. Esplorando la natura ambigua del movimento, queste storiche scoprono un femminismo che ha perduto il suo carattere monolitico a vantaggio di una visione più ricca di sfumature della sua composizione sociale.
Gerda Lerner suggerisce quindi che si debba ormai distinguere tra due tipi di femminismo storicamente datati: l'uno, il femminismo dei diritti (womens' rights) è contrassegnato da una volontà di riforma propria al XIX secolo, il secondo, il femminismo dell'emancipazione, della liberazione, si assegna il compito rivoluzionario di una sovversione sociale di cui il XX secolo (gli anni '70) sarebbe portatore (...).
La questione di sapere se le suffragette appartengono o meno alla borghesia illuminata, se esse si proclamano o no femministe, se in quanto donne esse sono più sensibili alla ineguaglianza civile, sociale e razziale, ha permesso ai ricercatori di avanzare altre ipotesi.
Le storiche Nancy Cott, C. Smith Rosenberg e Linda Gordon partono direttamente da un'analisi esogena del femminismo. Situando la rivendicazione ugualitaria delle suffragette nel contesto di un movimento più ampio per la riforma dei diritti civili e l'abolizione delle segregazione razziale, esse aprono la prospettiva di una nuova valutazione della realtà americana del XIX secolo. L'azione delle donne rivela l'ampiezza di un conflitto dove la separazione non si colloca sempre necessariamente tra bianchi e neri, nord e sud, ma forse anche tra abolizionisti e antiabolizionisti, uomini e donne.
Queste nuove combinazioni e alleanze sociali mettono in luce un altro quadro politico dove le donne non appaiono più necessariamente solo come individui tesi unicamente a liberarsi dell'oppressione di cui sono vittime, ma come membri a pieno titolo della cittadinanza. Uno dei maggiori risultati di questo tipo di indagine è quello di promuovere una ricerca attenta, come già diceva E.P. Thompson, agli obiettivi peculiari dei protagonisti ed alla loro economia intrinseca. Cosa che presuppone il considerare le donne come parti integranti della «politica» e farle uscire da quella storia spasmodica e militante di cui il movimento operaio fece già a sue spese l'esperienza.
Ciò che si scopre allora non è l'universo femminile in sé e per sé, ma le forme di espressione che le donne hanno privilegiato e quelle nelle quali si sono inscritte. Cosa che presuppone il passaggio ad un altro livello di analisi. Il voto non è più intravisto solo come un'arma che le donne non avrebbero saputo utilizzare per emanciparsi dalla tutela maschile. La questione non è quella di sapere se esse hanno saputo, voluto o potuto utilizzarlo ai propri fini, bensì se era opportuno, nelle condizioni del Suffragio Universale, esprimere la loro voce attraverso questo mezzo ambiguo. Esattamente come per gli uomini, fu loro difficile, per non dire impossibile, ritrovarsi come sesso in questa manifestazione politica. Il voto non ha mai rappresentato che una espressione individuale: accompagnato da un'azione di parte, esso diventa un potente mezzo di pressione. In mancanza di una rappresentanza politica sessualmente caratterizzata, di un partito delle donne, il voto femminile si perde nell'anonimato che lo caratterizza. Così, nessuna indagine lascia intravvedere l'esistenza di un voto alle donne.
La variabile sesso interviene certamente nella scelta del partito o del candidato per cui si vota, ma in quale proporzione influisce sulla decisione finale rispetto alle altre variabili come l'età, la religione, lo status civile, l'appartenenza socio-professionale, ecc.? Se è talvolta utile determinarne i possibili contorni, è azzardato ricavarne delle conclusioni definitive. Tutto ciò che si può dire è che le donne non si sono servite del diritto di voto come mezzo di intervento politico per loro conto. E' quindi a livello della loro partecipazione alla vita politica che si cercherà di identificarle.

In secondo piano sulla scena politica
Un primo passo è stato fatto: le donne saranno ormai dei cittadini a pieno titolo a partire dal momento in cui votano. Ottenendo un riconoscimento politico prima di aver potuto esercitare la loro autonomia giuridica, le donne vengono allora a trovarsi in disequilibrio rispetto al loro precedente status. Tutti gli studi condotti sulla partecipazione politica delle donne concordano: esse vi sono sottorappresentate o non rappresentate del tutto. Nei partiti di sinistra o di destra, conservatori o liberali, negli organismi decisionali delle camere, parlamenti, istituzioni internazionali, i risultati sono gli stessi: la presenza delle donne è parziale e minoritaria. L'inchiesta che K. Hewland ha condotto in 35 assemblee legislative nel mondo rileva che la rappresentanza delle donne raggiunge il 10% del totale dei membri eletti.
Eccezioni notevoli a questa regola sono la Finlandia (22%), la Svezia (21 %) e la Danimarca (17%), alcuni altri paesi a partito unico come l'URSS e qualche paese dell'Est, e due paesi in via di sviluppo, la Cina e la Guinea. Le spiegazioni variano ma l'ampiezza del fenomeno sussiste. La linea di demarcazione si colloca incontestabilmente al livello del sesso. Quanto a quelle che arrivano a superare la barriera dell'impiego politico, le nubili, divorziate o senza figli sono di molto più numerose dei loro equivalenti maschili. Queste particolarità aggiunte a tutte le altre variabili, socio-professionali, religiose, ecc., non fanno che rafforzare la risolutezza di cui esse debbono dar prova per entrare nella politica. Sarà questa la ragione per cui le si ritrova più numerose nei consigli comunali, nelle commissioni scolastiche, negli incarichi semi-esecutivi, nelle regioni? I posti che esse sollecitano o che vengono loro attribuiti appartengono spesso al campo del servizio sociale, della gioventù, degli sport, della sanità, e, a detta di alcuni, ministeri difficili da gestire. Tutto sommato le donne occuperebbero una posizione particolare, sminuita, nella vita politica. Si tratta di aprire la politica al politico per scoprire il senso e la forma del loro intervento.
E' ciò che tenta il movimento di liberazione delle donne (MLF) degli anni '70. Con la sua proposta essenziale «il privato è politico», esso opera una trasgressione rivelatrice. Superando una separazione tra pubblico e privato quasi divina perché inscritta nel «diritto naturale», il «movimento» apre alla sua azione un altro campo, quello del contropotere.
Esso si pone allora subito dalla parte degli altri movimenti sociali emergenti, quelli che reclamano la stretta applicazione della Carta dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino per combattere ogni segregazione, razziale, etnica, sessuale, religiosa, quelli che si proclamano di liberazione o di emancipazione nazionale o quelli ancora che animati dalle giovani generazioni rivendicano indipendenza ed autonomia nei confronti dei poteri costituiti. L'impatto di questi movimenti scuote le strutture elementari della società, si ripercuote immancabilmente sull'arena politica, modificandone il senso e la prospettiva.

Irrompono i nuovi movimenti
Negli anni '70 questi movimenti hanno denunciato il gioco scialbo del funzionamento politico. Gli organismi cui si attribuisce il compito di trasmettere o rappresentare i segnali di una categoria all'altra, dai governati ai governanti e viceversa, furono non solo contestati ma privati delle loro funzioni. I movimenti sociali intervenivano a tutti i livelli della società attraverso altri canali, utilizzando le proprie risorse per farsi vedere, sentire, comprendere. D'allora i mezzi furono adattati ai fini: ogni gruppo articolava questi bisogni alle proprie preoccupazioni. I giovani e gli studenti trasgredirono a un'interdizione sacrosanta: la Sorbona divenne un luogo di vita e non solamente di studi. Le donne ricondussero la politica alle loro preoccupazioni personali. Caduta dal suo piedistallo, la statua del politicante venne strapazzata: il quotidiano ribollente invadeva tutte le sfere. I partiti non avevano più ragione di essere, e i governi ancora meno: bastava ignorarli.
La strada, il quartiere, il comitato d'azione, il circolo risuonavano di rumori da coordinare. Il potere era là, la festa anche, la politica inevitabilmente sarebbe seguita. Non si rivendica la sua abolizione: non si vuole prendere il posto del potere politico: esso importa poco. Le decisioni, si pensava allora, gli sfuggono perché ci si era impadroniti del senso del politico, distinto ormai dalla politica dei politicanti. I minorenni, esclusi dall'inizio da ciò che rappresenta la base dell'edificio politico (il voto), sotterrano rumorosamente questa marionetta, raggiunti da quelli che furono considerati «minorenni» per la loro appartenenza etnica o religiosa, o marginalizzati per il loro sesso (le donne) o a causa della loro convinzione antipolitica (gli anarchici e certi gruppi ecologisti).
Una strana situazione questa, che creò le condizioni di una improbabile coalizione subito definita apolitica. La sua politica venne giudicata a posteriori incerta per non dire inesistente, e i politici, riprendendo le redini del potere dopo il '68, si accordarono per mostrare la futilità di tali manifestazioni e dimostrarne l'inutilità politica. Ma essendosi la società civile manifestata ancora contro la politica, questo episodio testimonia del conflitto multisecolare in cui questi movimenti si impegnano e in cui la posta in gioco è la loro autonomia relativa. La transizione di questo conflitto assume allora la forma di negoziati e di compromessi tra gli uomini e le donne, i giovani e gli adulti, i neri e i bianchi, ecc: .. che reggono i loro rapporti sul lavoro, a casa, nel tempo libero, nel pubblico come nel privato. Questi negoziati, che presuppongono dei motivi di scontro, vengono integrati in strategie più elaborate che dipendono dalla concezione che uomini e donne hanno dei rispettivi ruoli complementari. Questa variante sottile dell'«eterno femminino» si chiama ormai la politica del privato. Essa fu rivendicata da almeno due correnti antagoniste ma che hanno curiosamente attinto alle stesse fonti: la differenza sessuale fonda quest'altra politica. Lo specifico, il particolare vengono ricercati, incoraggiati, amplificati. Si inverte dunque la proposta precedente che tenta di fare entrare le donne nella politica per adattarla alla loro esistenza: la politica sarà là dove esse sono, ma anche là dove si vorrebbe relegarle: nel sociale, nel domestico, nel privato.
La forza politica delle donne si esprime quindi attraverso la loro apoliticità. Esse hanno il potere sociale: si tratta semplicemente di conoscerne lo status in rapporto al potere politico.
Per gli uni è la garanzia dell'equilibrio tra i sessi, dell'armonia dei rapporti sociali, per gli altri, è il mezzo più sicuro di accentuare le ineguaglianze, dunque la dominazione di un sesso sull'altro (...).
Alcuni politicanti scaltri hanno ben capito l'importanza di questo fattore nelle motivazioni politiche delle donne. Hitler come Mussolini, per consolidare il loro potere totalitario, ne fanno una leva essenziale. Le donne tedesche vedono riconosciuto per la prima volta il valore politico al loro ruolo privato di donne. Difficile e dolorosa constatazione che tuttavia si impone. Di fronte ai pregiudizi secondo cui le donne tedesche avrebbero in maniera maggioritaria appoggiato il nazismo ed alla spiegazione altrettanto stereotipata che fa di esse le vittime, ancor più alienate degli uomini, delle macchinazioni naziste, D. Koonz e Bridenthal e Koonz si applicano a smontare i meccanismi che tra il 1919 e il 1933 conducono le donne a mettersi dalla parte del nazionalsocialismo. E' nell'attività pubblica che Koonz svela le particolarità dell'azione delle donne: associazioni informali, assidue, gruppi ad hoc, utilizzazione di tutte le risorse, sviluppo di reti flessibili, di circolazione dell'informazione e di materiali (medicine, vestiti ... ). Le associazioni volontarie, le società di beneficienza, di mutuo soccorso, ma anche di temperanza, per l'igiene e l'astinenza (che sono state la gloria dell'era vittoriana), le chiacchiere, le trame, i mormorii che creano la confidenza, minano l'autorità, distruggono il potere, vengono allora comprese come degli importanti elementi della vita politica. Ciò che è doloroso dover constatare è che solo le ideologie totalitarie, reazionarie, nel migliore dei casi conservatrici, hanno compreso per prime l'importanza delle donne nel gioco politico.
Oltre alle conseguenze immediate che questo ha provocato (le condizioni, cioè, di un certo consenso), è chiaro che la partecipazione delle donne alla politica fu definita a lungo come di destra. Ma risuscitare i vecchi demoni non è per niente produttivo, se non serve a tentare di capire. Il problema è allora sapere in che modo si realizza il «consenso», quali combinazioni lo rendono possibile, a quali impulsi obbedisce (...).

Il controllo della sessualità come controllo sociale
Conviene allora procedere allo studio dei fattori che portano al mantenimento degli stereotipi dei generi maschile e femminile nel simbolico femminile, avendo ben presente che ogni rivelazione della differenza dello specifico può essere portatrice di gerarchia, discriminazione, sessismo, razzismo. Per evitare certe critiche, la ricerca deve considerare questo problema solo per ciò che rappresenta del rapporto tra i sessi. L'evoluzione storica delle funzioni sociali collegate alla maternità ne fornisce un esempio particolarmente esplicito. Prolungando la differenza sessuale propriamente detta, la maternità genera delle funzioni sociali di riproduzione ma anche di mantenimento e di allevamento dei figli che, nel corso dei secoli, sono state prevalentemente prerogativa delle donne. Si è lungamente discusso inotrno al numero esatto dei compiti che ciò implica in ogni società: resta il fatto che grosso modo la separazione privato-pubblico si basa proprio su questa distinzione (...).
Se si prendono in considerazione le società occidentali dopo la rivoluzione industriale, si nota che è al momento in cui la società democratica si struttura che viene formulata chiaramente la separazione delle sfere. Mentre viene proclamata l'abolizione dei privilegi attraverso l'uguaglianza di tutti davanti alla legge, l'accesso al potere politico viene regolamentato e limitato ai maschi adulti. Per un sistema di equilibrio logico, le donne sono allora incoraggiate a ritrovare i loro focolari. Mary Ryan descrive efficacemente questo trasferimento di poteri tra i sessi. «The Empire of the Mother» diviene l'auspicio di tutte le donne delle classi medie. Tutto avviene come se le vecchie regole gerarchiche basate sulla separazione delle funzioni trovassero il loro prolungamento naturale nella segregazione sessuale. L'ordinamento pubblico sarà dunque disgiunto dall'ordinamento privato e rifletterà la differenza sessuale: il primo appartiene al campo d'azione degli uomini, il secondo a quello delle donne. Questa separazione, rafforzata da una legislazione adeguata (gli individui non sono tutti dei cittadini, essi hanno degli interessi pubblici e dei diritti privati...) fonda la democrazia occidentale. La dialettica privato-pubblico presuppone quindi la politica. Essa diviene l'obiettivo dei rapporti tra uomini e donne. Per Stacey e Price la separazione delle sfere determina l'esclusione delle donne dal potere politico: in Europa le donne hanno diviso il potere con gli uomini finché lo stato è rimasto separato dalla vita familiare, dopodiché è diventato terreno riservato all'uomo. Così le donne avrebbero perso la fonte principale del loro potere proprio quando venne stabilito ciò che apparteneva al privato e ciò che apparteneva al pubblico.
La separazione approfondisce la disuguaglianza. Tutto sommato, nel corso di questo secolo la posizione delle donne è peggiore nel pubblico di quanto non sia nel privato. In altri termini, l'impermeabilità delle due sfere continuerà a giocare a svantaggio del polo privato. Peggio ancora, lo stato assistenziale ha realizzato, a spese dell'intero corpo sociale, ma soprattutto delle donne (poiché era la loro sfera privilegiata), il controllo della maggior parte delle decisioni cosiddette private, interferendo nel settore dell'igiene, della salute pubblica, dei servizi sociali.
Michel Foucault e dopo di lui Jacques Donzelot considerano il controllo della sessualità della gente, e il suo venir circoscritta nelle famiglie, l'indice dello sviluppo del controllo sociale. La famiglia del XIX secolo diventa, come sostiene Donzelot l'intermediario del governo, degli imperativi sociali? E se sì, come? L'ipotesi che porta Donzelot a dire che l'autorità del padre deriva da quella che lo stato si appropria, non lascia molto spazio al ruolo svolto dalle donne in questo processo, se non quando si tratta di collocarle dalla parte del medico che aliena a suo vantaggio per meglio fondare la sua autorità, o dello stato che ne fa delle sue assistite, le nutrici qualificate di stato.
Ma quello che Bearzot non dice è che se gli uomini perdono in questo processo le loro prerogative di capi-famiglia, le donne da parte loro perdono il controllo della trasmissione delle conoscenze, dell'educazione dei figli in particolare, a profitto di un terzo: lo stato. Paradossalmente questo passaggio di compiti, un tempo privati, allo stato (giacché ormai remunerati da fondi pubblici) non comporta una valorizzazione, dato che tutto ciò che rientra nel campo del «lavoro sociale», del benessere sociale, dell'allevamento e del mantenimento degli altri viene certo insegnato nelle università, viene sancito da diplomi equivalenti, ha diritto di cittadinanza nelle sfere pubbliche, ma non ottiene che una valorizzazione sociale mediocre. Tutto accade come se le funzioni legate alla maternità alimentassero una sfera sociale, indispensabile alla riproduzione della società, quindi riconosciuta e remunerata dallo Stato che ne è il rappresentante, ma senza arrivare a un riconoscimento politico. Là d'altronde comincia il discorso politico, che si separa sempre più da ciò che potrebbe fondarlo ed esserne l'ardente antagonista.
Il sociale occupa il posto di una parentesi senza potere politico proprio, incastrato tra la società civile da cui trae la sua forza e il politico che gli nega il campo d'influenza. Così si assiste ad un complicarsi dei rapporti uomini-donne, protagonisti tradizionali dei campi pubblici e privati, a profitto dello Stato che diviene non solo l'arbitro del conflitto che gli si oppone ma il principale detentore-gestore dell'oggetto del conflitto: la spartizione dei ruoli tra i sessi. Lo Stato interviene in modo massiccio nel privato come nel pubblico, regolamentando il sociale e il politico, enunciando una valorizzazione sociale dei ruoli sessuali. Le sfere private e pubbliche non sono allora che categorie funzionali che non hanno influenza nei rapporti tra i sessi se non come referenti simbolici.
Così dunque siamo arrivati oggi ad analisi molto più sottili che tengono conto di quei riferimenti (archetipi, modelli sessuali o simboli) ma che non vi si limitano. La politica è il prolungamento della vita privata: essa le è subordinata. Se può costituirne lo sbocco, tanto meglio, ma non può cancellarne l'esistenza. Questa concezione dell'impegno politico costituisce una differenza fondamentale tra gli uomini e le donne. Le donne, tanto quelle che ne accettano le regole che le altre che le trovano redibitorie, comprendono il politico come il risultato di una stretta interrelazione tra il privato e il pubblico (...).
Porre i problemi delle donne in politica equivale ad aprire il campo del politico non soltanto al potere ma anche ai contropoteri. Le donne vi intervengono a tutti i livelli e a modo loro. Le donne, uscendo finalmente dalla negazione-«assenza» in cui la prima ondata femminista egualitaria le aveva immerse, rendono evidente l'importanza del loro apporto. La riflessione si poggia ormai su conoscenze accumulate dalle scienze sociali come dai movimenti sociali. Nei periodi di fermento, esse partecipano come gli altri ai processi di trasformazione. In questo senso, gli studi sulla partecipazione politica delle donne non fanno che rinforzare e arricchire le interpretazioni che fanno delle «minoranze attive» i vettori dinamici del cambiamento sociale. Le caratteristiche del loro intervento somigliano a quelle degli uomini e vi si intrecciano strettamente: predilezione per l'azione pubblica e collettiva, militantismo sfrenato, accelerazione del tempo, della vita...
Al contrario, nei periodi di riflusso, l'accento è posto sul movimento lento della riproduzione, sugli effetti permanenti, invisibili dell'influenza sociale. La differenza uomini-donne si accentua, spingendoli ad un ripiegamento, ognuno nella propria sfera. I meccanismi tradizionali della trasmissione dei valori e dei modelli possono venire alterati ma con un'infinita prudenza. Le donne vi eccellono, esse che educano le giovani generazioni e trasmettono a loro conoscenze e abilità.
Ci è voluta una rivoluzione tranquilla, questa «silent revolution» come la chiama Ingehart, per rendersi conto con precisione di quanto questi fenomeni quotidiani, lenti e profondi, apparentemente insignificanti, modellino il politico e ne assicurino la continuità. Sommovimenti tettonici intervengono miracolosamente come elementi stabilizzatori e indicano una diversa maniera di valutare il cambiamento.
L'alternanza dei cicli fermento-riflusso non significa necessariamente progresso-reazione, riformarivoluzione, destra-sinistra ma chiarisce piuttosto i punti di tensione, i conflitti che ogni periodo privilegia.

(traduzione di Gianfranco Bertoli)


Anarchia e femminismo, secondo me

Docente all'Ithaca College (Ithaca, New York, USA), Elaine Leeder ha scritto numerosi articoli e saggi sulle relazioni tra femminismo ed anarchismo (uno, originariamente apparso sulla rivista Social anarchism, è stato tradotto sul n. 85 - agosto/settembre '80 - di «A»). E' una delle relatrici della tavola rotonda su femminismo ed anarchismo: ecco le linee di fondo del suo intervento.

E' mia intenzione indirizzare la discussione sul bisogno di separatismo tra femministe e anarchici, almeno in questo periodo storico. La mia argomentazione sarà che le femministe hanno poco da guadagnare dagli anarchici e che, in effetti, è l'anarchismo che ha molto da imparare dal movimento femminista. Analizzerò il rapporto storico delle donne con il movimento anarchico considerando alcune delle donne anarchiche importanti che sono però meno conosciute. In questa parte della mia discussione cercherò di inserire un filmato sulle donne anarchiche nella storia.
Dopo aver tracciato la storia delle donne nell'anarchismo, mi sposterò sul movimento femminista contemporaneo negli USA e sugli elementi di anarchismo connessi con la pratica femminista. Darò esempi concreti di anarchismo messo in pratica in gruppi femministi. Cercherò inoltre di portare un film da proiettare in un altro momento che descrive un gruppo rivoluzionario anarco-femminista in azione a New York. Si tratta del film Bom in Flames (Nata tra le fiamme) della femminista anarchica Lizzie Borden. Durante la discussione sui gruppi anarco-femministi contemporanei utilizzerò esempi di diversi campi della pace femministi statunitensi e delle loro pratiche organizzative.
Infine considererò le esperienze che io ed altre femministe anarchiche abbiamo avuto in gruppi anarchici misti e porrò in discussione il sessismo e la mancanza di sensibilità alle questioni poste dalle donne che si verificano in tali gruppi. Pensando a queste esperienze sosterrò che in questo momento è importante che le donne lavorino da sole e che gli uomini formino i loro gruppi di soli uomini. Questo in modo che noi tutte possiamo iniziare un confronto ed affrontare l'oppressione interiorizzata che ci portiamo dietro.
Durante il mio intervento opererò con modalità femministe anarchiche e decentralizzate. Il mio intervento non sarà letto ma presentato in una serie di idee da discutere. Condurremo la discussione prendendo le decisioni con un approccio consensuale riconoscendoci l'un l'altra nella discussione. Faremo l'esperienza di un gruppo anarco-femminista parlando di femminismo anarchico.
In questa discussione citerò anche il mio prossimo libro, Emma's Daughters (Le figlie di Emma), in collaborazione con Carol Ehrlich e Peggy Kornegger, un'antologia di scritti anarchici femministi contemporanei. Mi riferirò inoltre al mio lavoro in corso su Rose Pesotta, organizzatrice sindacale e anarchica.
Il mio intervento si manterrà all'interno dei tempi stabiliti ed avrà un approccio sia storico che contemporaneo. Sono veramente ansiosa di dialogare con compagne/i sul problema cruciale del rapporto delle donne e del femminismo con il movimento anarchico.

Elaine Leeder