Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 116
febbraio 1984


Rivista Anarchica Online

Ripensando a come eravamo
di Tiziana Ferrero

Alcuni compagni hanno dato il via ad un dibattito sul movimento, sul modo di intendere e vivere l'anarchismo e sull'attualità della pratica militante (A. Bertolo, «Lasciamo il pessimismo per tempi migliori», Volontà n° 3/83) o sul «magico e il religioso» oggi, una «botta e risposta» sull'approccio più o meno religioso del militante nei confronti dell'anarchia (Luciano Lanza, «Il magico e il politico», «A» 112; F. Bizzozzero, «Felicino dei boschi», «A» 113). Pare quindi ci sia un'esigenza da parte di alcuni di ripensare a come eravamo, come siamo e come dovremmo essere, una critica e un'autocritica, si spera, costruttiva ed ottimista. Che sia giunta l'ora di voltare pagina, guardare al futuro e cercare di uscire da questo impasse che ci costringe negli scantinati ormai da anni (anche se non vogliamo ammetterlo) a chiederci chi siamo, cosa vogliamo e dove andiamo, senza soluzione e senza prospettive, o a ciclostilare volantini che pochi leggeranno («pochi» è già un numero ottimista)?
Beninteso, non voglio buttare alle ortiche tutte le pratiche militanti classiche, non voglio fare né dell'apologia di reato, né istigare al delitto (tu uccidi un movimento morto!) ma, dopo tante analisi lucide, poderate e profonde, è possibile ridere di sé, dei nostri modi di essere, agire e pensare, sfatare i miti che ci hanno ispirati fino ad oggi, senza peraltro rinnegare, abiurare, dire «Io non c'ero, non ne ho colpa» o far finta di non essere mai caduti nei luoghi comuni e nelle mode del momento? La migliore arma per esorcizzare un passato fatto di errori e un presente fatto di angosce e di delusioni è quella dell'autoironia, e se l'anarchico non è il dissacratore per eccellenza ...
N.B. Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Il postmilitante
Del suo militantismo è rimasto ben poco: nel migliore dei casi qualche breve apparizione a convegni o dibattiti, una fugace e timida presenza ai bordi di qualche manifestazione. I tempi delle barricate in piazza, delle riunioni-tutte-le-sere e dei volantini-alle-cinque-del-mattino davanti alle fabbriche sono lontani. Eppure era tra i più duri e puri: assemblee, intergruppi, sanpietrini, negli anni caldi, insomma, è stato un protagonista.
Tutto comincia quando, tornando da un'assemblea a scuola, tra una forchettata e l'altra, annuncia alla famiglia che vuole andare a vivere da solo. I primi sacrifici, lavorare di giorno e studiare di sera e, come se non bastasse, le riunioni. Poi nei primi anni Settanta arriva l'esperienza della comune. Lavare i piatti, pulizie a turno, la cassa comune dalla quale, non si sa bene come, spariscono i soldi: insomma i primi screzi. Nel frattempo il postmilitante si laurea e decide di convivere con una compagna conosciuta in un'assemblea, carina e intelligente («andiamo d'accordo su tutto»), non una famiglia, beninteso, ma un modo di stare insieme libero, diverso e continuamente suscettibile di verifica. Ma l'abitudine, si sa, porta alla noia. Il postmilitante, d'accordo con la sua compagna, tenta la coppia aperta («tanto non siamo mai stati una coppia, nel senso borghese»). Disastro! Una sequela di intrecci amorosi e non, di intrichi di corpi, non si capisce più con chi sta lei, con chi sta lui, squallide discussioni per la programmazione dei turni per la casa libera e progressiva disaffezione fra i due.
Il postmilitante torna a vivere da solo, nessun rapporto di coppia fissa, ma alcuni rapporti «privilegiati», tanti compagni, che sono poi anche gli amici. Sono gli anni in cui Giorgio Gaber «chiede scusa se ci parla di Maria» e il nostro scivola sul «privato è politico», cominciando a disertare le riunioni. Si accorge che ciò che una volta lo univa ai compagni è venuto meno. Non l'Anarchia, per carità, ma quel senso di amicizia e di unità che li faceva sentire un tutt'uno, sulla stessa lunghezza d'onda. Forse era solo goliardia. Se nel '78-'79 era vicino alla porta, oggi l'ha oltrepassata del tutto. Non perde un concerto rock, gira freneticamente tra i locali alternativi, non si lascia scappare nessuna rassegna di film da cineteca, e, in mezzo, ci scappa anche un «Flashdance». Eppure Gaber terminava «Maria» con un'ottimistico «c'è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l'unica salvezza» ...

Il duro e puro
E' una specie di reperto archeologico, o meglio, una reliquia sacra. Anche lui, come il postmilitante, nasce sulle barricate del Maggio, macina chilometri nei cortei contro la strage di stato, guarda dall'alto la formazione e la disfatta delle bande armate. Il «privato è politico» non lo sfiora nemmeno, scivola via come l'acqua (qualcuno giura di avergli sentito dichiarare solennemente «Il privato non esiste»). Cavalca l'onda del '77, organizza i concerti per finanziare la stampa, fa l'occhiolino agli indiani metropolitani, ma snobba il movimento femminista. Poi anche il '77 rimane un ricordo, uno di quelli che potrà raccontare ai nipoti: «io c'ero nel '68, nel '77, nell"8... ». Ora tira a campare, vive giorno per giorno, una manifestazione pro-Polonia qua, una per la pace là ... Ah, dimenticavo, il duro e puro vive ancora in famiglia perché «con tutto quello che ho da fare non ho tempo di occuparmi di una casa, di un bilancio... ».

L'intelletuale
A dire il vero non esiste solo un tipo di intellettuale, ma sono diversi i modi di rapportarsi al «culturale». C'è quello che ha studiato prima del '68, e si sente ... E' ponderato, equilibrato, «il vecchio saggio della tribù ». Lavora nell'ombra, di lui si sa ben poco, non ama mettersi in mostra e, bene o male, è rimasto uno dei pochi che circolano sulla piazza da almeno 15-20 anni coi pugni stretti e la stessa forza dei primi tempi. E' un personaggio comunque difficile e, a volte, per difendersi da attacchi esterni, scivola nell'autoritarismo. Alcuni lo vivono male, ma forse per colpa della loro debolezza e scarsa capacità di autonomia.
Un altro tipo di intellettuale, completamente diverso dal primo, è quello che pensa di fare «carriera» nel movimento anarchico. Ha il complesso del leader, e si sente frustrato nei confronti dei compagni più anziani. E' spocchioso, presuntuoso e indisponente, si pregia di analisi politiche scopiazzate da «Panorama»; spesso esce dal movimento anarchico e lo si ritrova «capetto» di qualche cosa in qualche partito della sinistra, ma se rimane nel movimento butta fango su tutto. Uno così è altamente deleterio. Fuggire immediatamente

La femminista anarchica
E' il personaggio più complesso e come Amleto è attanagliata da un dubbio: «prima anarchica o femminista?». Diciamo che si butta a capofitto nel movimento di liberazione della donna verso il '75-'76. All'inizio tenta di conciliare le riunioni politiche con quelle di autocoscienza, poi c'è la lacerazione con il gruppo, con i compagni duri e puri che non comprendono e fanno battute da quattro soldi, con il compagno ... Va a vivere con altre donne, si guarda allo specchio e scopre di avere un corpo che non conosce ma che è ora che impari a conoscere. Le mimose, i girotondi, i «tremate, tremate... » nel primo vento fresco di primavera. Ma e l'anarchia? «Una bella cosa e c'è sempre un posto in fondo al cuore, ma la pratica, la pratica... » Passano gli anni, il movimento femminista cala di tono, scompare, ma prima combina un altro disastro: riscopre la «gioia di essere madre». La nostra eroina non se lo fa ripetere due volte, si riaccasa e, diciamo sui 30 anni?, ecco pronto un bel pupo che la fa sentire veramente «una donna completa: lui sarà certamente educato in modo libertario, cresceremo insieme».

L'anarco-femminista
E' una variante della precedente, ma capisce che non serve scimmiottare gli altri e fugge dopo due riunioni del collettivo dove, mentre si fa la calza, si coniuga rivoluzione con utero. Non ha mai avuto dubbi: «più anarchica che femminista». E l'indipendenza, l'autonomia, la crescita come individuo? «Meglio cercarla in se stesse, avere la forza di affrontare scelte a volte difficili e dolorose, come la solitudine o un amore da buttare via; non dare peso all'incomprensione degli altri e imporsi come un individuo libero, non come la compagna di... ».

Be', abbiamo scherzato un po', già sento levarsi un coro di protesta: «Esistono anche quelli che hanno dato sinceramente o ancora continuano a farlo». E' vero, tant'è che non rientrano nelle «tipologie» da esorcizzare, anche se può sembrare che non si sia salvato nessuno. Non è forse vero, compreso chi scrive, che abbiamo fatto tutti un pochino parte ora dell'una, ora dell'altra categoria?
Forse, per finire tornando dall'inizio, c'è stato un modo errato di intendere e vivere l'anarchismo; ognuno di noi si è ritagliato il suo bell'angolino all'interno del movimento, caldo e sicuro, o se ne è andato conscio di stare per soffocare in un ghetto, o se ne è andato semplicemente per disaffezione, o ...
Anch'io sono convinta che è meglio lasciare il pessimismo per tempi migliori: «l'anarchia è un mestiere pericoloso ... ha a che fare con la malattia ... ha delle componenti di carattere patologico in cui la malattia, paradossalmente, non solo esiste ed è probabilmente ineliminabile, ma non si puo' ragionevolmente tentare di estirpare ... va anzi in qualche modo accresciuta» .