Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 116
febbraio 1984


Rivista Anarchica Online

Kafka e Mishima
di Monica Giorgi

Non meno di quindici anni fa, il fenomeno Kafka assumeva quei contorni di interesse vivo e generalizzato (e per esso intendo riferirmi all'attenzione del grosso pubblico e non soltanto degli esperti e degli addetti ai lavori), anticipando, per molti versi, su un piano di incomprensione e falsità, quello più recente che investe il caso Mishima.
Nell'uno, come nell'altro, l'ottusa forza del silenzio di epoche e domini storici diversi, ma assai simili nei loro risultati censori, ebbe ed ha avuto una grossa responsabilità mistificatoria, fatta di ritardi di conoscenza, divulgazione, dibattito critico intorno a questi due grandi e ormai classici scrittori del nostro tempo. Quello che ha fatto il «comunismo» di stato della impenetrabile cortina di ferro contro il timido ed introverso scrittore praghese, lo ha ricalcato il dogmatismo intellettuale del progressista occidente verso il lealista scrittore giapponese.
Oltre alle sorti storico-letterarie delle loro produzioni artistiche, sono ben altre le affinità che congiungono i due casi. Facile da constatare il fatto che Kafka e Mishima abbiano vissuto la letteratura, lo scrivere come forma di esistenza materiale e, di rimando, della loro vita abbiano fatto trasposizione artistica. L'appartenenza di ogni scrittore a questo rito vita-opere è consueto. Ma la peculiarità dei due sta nell'intensità e nella sfera di questo rapporto, inserito, appunto, indistricabilmente nella vita intima, interiore e subliminale. Diversificate restano, comunque, le modalità espressive. Basta pensare alla sommessa volontà di Kafka tesa a bruciare tutte le sue opere e, in contrappunto, alla platealità barocca della morte di Mishima, volta a suffragare tutta la sua opera.
Più recondito è il filo sottilissimo, ma assai saldo, nell'unire i due scrittori, della loro anormalità rispetto al sistema politico ed artistico dominante, connesso anche a quello della loro anormalità individuale. Entrambe esprimono una sorta di resistenza ai progetti e alle attuazioni totalizzanti di una realtà che colora di tinte sovversive l'essere diversi. Si solidificano in tal modo le basi di un'irriducibile difesa e sfida agli schemi meschini e rassicuranti del conformismo morale.
Probabilmente sta qui la causa-ragione dell'incomprensione o del non «successo» di un'artista quando questi è ancora in vita o quando di essa fa sistematico preparativo per la morte. Per entrambi la morte immette verso l'unica via di uscita dall'angoscia del non sentirsi contemporanei. Non perché il senso di estraneità da loro avvertito sia banalmente ridimensionato nei confini di un'epoca cronologica, ma perché ingigantito da una ciclicità ricorrente senza limiti dì tempo e spazio: verso una spietata eternità. Non solo questi due giovani introversi sono poco segnati dagli avvenimenti decisivi del loro tempo, ma si rendono conto, malinconicamente, che la storia, che tiene como solo dei grandi numeri, li confonderà un giorno, con la massa di quelli che non hanno mai pensato e fantasticato come loro. (da «Neve di primavera» di Yukio Mishima). Inquietudine per il fatto che la mia vita è stata finora una marcia immobile, uno sviluppo, al più come quello di un dente che si caria e cade ... Era come se mi fosse stato assegnato il centro del cerchio, come se in seguito avessi dovuto percorrere il raggio decisivo e poi tracciare il bel cerchio ... Invece ho continuato a prendere la rincorsa verso il raggio, ma l'ho dovuta sempre interrompere (da una nota di diario di Kafka: 23 Gennaio 1922).
Gli allucinanti episodi della trasformazione di Gregorio Samsa e del risveglio di Josef K. ne «La Metamorfosi» e ne «Il Processo» di Kafka si situano a metà strada tra il sogno e la veglia, assumono uno spessore di pregnante emotività che è propria dell'incubo. Anche Mishima nei «Cinque NO Moderni» e nella sua opera magna «Il mare della Fertilità» proietta le scene e il personaggio principale, Honda, su una costante immagine di reincarnazione: tra i vivi e i fantasmi delle esperienze visionarie. Sicuramente azzardato è il paragone proporzionale inizialmente proposto. Se i tratti esteriori propendono per un'apparente diversificazione, fra i due scrittori restano, in ogni caso, intatte, nella loro classicità, le essenze di fondo e la matrice patogena della loro sensibilità artistica. Per mezzo di una contenuta e quasi vergognosa espressività da un lato, e attraverso un incontenibile bisogno di accettazione di se stesso, che solo la comunicazione può, almeno in parte, soddisfare, dall'altro; i diari-aforismi di Kafka e le confessioni-monstre di Mishima partecipano di quel malessere pervasivo che attanaglia le personalità sensibili alla dissociazione sociale. Essa viene somatizzata, per mezzo dell'educazione e dell'ambiente, in una letteratura malata, dove perfino l'arte conferma le contraddizioni universali del potere. L'ebraismo di Kafka, il più allegorico degli scrittori tedeschi, si confonde nell'orientalismo di Mishima, il più simbolista degli scrittori giapponesi.

L'apoliticità di Mishima come supremazia della vita sulla società
E' sempre molto riduttivo esprimere un giudizio di valore politico su scrittori o artisti, anche quando le loro dichiarazioni esplicite, i loro gesti e le scelte di fondo della loro vita inducono a farlo.
Mishima si presta in tal senso solo se ci fermiamo alle apparenze, se perdiamo di vista il centro del nostro interesse. La complessità di un'opera va ben più in là del lato quotidiano, anche se in esso si dilatano ed emergono i contenuti ideologici. Fissare i termini di queste due dimensioni senza perdere l'equilibrio intrinseco della loro interazione è un compito irrealizzabile con una intuizione critica e/o con un settoriale impegno interpretativo. Può essere un contributo che allarga la visuale del senso estetico e vanifica i limiti imponibili della materia umana. La Yourcenar, nel suo bel saggio su Mishima, puntualizza decisamente contro le accuse di fascismo e di nazismo: accuse atte più a screditare e semplificare che a capire e scoprire. Il contesto economico e culturale dove si sviluppano questi due fenomeni del XX secolo è totalmente fuori dalla storia e dalla realtà sociale dell'estremo oriente. Il fulcro da cui parte il lealismo di Mishima ha una connotazione di tutt'altro genere. E' di natura psicologica e si esprime nella qualità rarefatta dei problemi ontologici. I traumi dell'infanzia, le ricerche dell'adolescenza e gli irrisolti quesiti della giovinezza sono gli spinosi fertilizzanti per la crescita di un'esistenza, dove io e realtà si confondono tragicamente. Ed è a questo punto che la lucida follia di Mishima sfugge alla logica dogmatica dell'istinto di sopravvivenza.
Le principali opere «politiche» di Mishima sono: «Dopo il banchetto», «I crisantemi del decimo giorno», «Koto della gioia», «Il mio amico Hitler». In tutte, la politica è vista come qualcosa di sporco. Il freddo calcolo che sostiene gli intrighi, il cinismo del genio politico rappresentato da Hitler, con cui i valori supremi dello spirito, quali la lealtà e l'amicizia, sono stati ingurgitati dal Giappone «dal ventre pieno», non possono trovare posto nell'idealismo tradizionalista di Mishima. Questo si manifesta assai bene nell'equilibrato racconto «Patriottismo», dove la Morte volontaria è un atto reciproco di lealtà e un'affermazione di assoluta moralità.
L'apoliticità di Mishima, però, si ricava meglio dalle sue opere non «politiche», nelle quali l'ideologia restrittiva di quelle, lascia il posto alla sofferenza della visione generale di queste. A Yuichi, il personaggio base di «Colori proibiti», le varie contraddizioni e le meschinità originate dalle strutture della vecchia società non sembravano altro che un riflesso delle brutture e delle contraddizioni della vita stessa e non invece le miserie della vita, un riflesso negativo del sistema (...). Più che nella supremazia della società, credeva nella supremazia della vita. Perciò era portato a considerare identiche le malvagità dell'umanità e i desideri istintivi.
Da questa dicotomia insanabile maturano e si realizzano quella grande delusione per la vita e quella grande illusione per la morte eroica che condurranno Mishima al suicidio.

La legge come overdose politica in Kafka
I temi della colpa e della condanna sostanziano l'opera di Kafka, attraversandola in ogni direzione con un linguaggio e una forma letteraria adeguati alle direttrici dei contenuti base.
Anonima, essenziale, perfino priva di qualsiasi espediente retorico e stilistico, la lingua kafkiana traduce l'atmosfera quotidiana e familiare in cui vengono vissute vicende assurde e terrorizzanti. Metamorfosi in insetto di un commesso viaggiatore, arresto, con relativa condanna a morte di un altrettanto impersonale impiegato scandiscono i ritmi di una vita «regolare, vuota, demente».
L'incompiutezza dell'opera di Kafka suggella le difficoltà implicite nella trattazione di contenuti astratti: più sensazioni che oggettive concretezze. Non è casuale che i romanzi di Kafka si prestino alle più svariate interpretazioni, nessuna delle quali del tutto a proposito o a sproposito. Un modo diverso e forse appropriato di lettura dovrebbe toccare non i significati immediati, ma il senso generale dell'opera. Meglio ancora una lettura complementare e dialettica delle due.
Kafka si trascinò per quasi dieci anni il concepimento, la gestazione e la stesura de «Il Processo». Nei suoi diari ne parla per la prima volta nel 1914, il 21 agosto: Cominciato con tali speranze e respinto da tutte e tre i racconti, oggi più che mai. Ma forse è giusto che il racconto russo debba pur sempre venir elaborato dopo «Der Prozess». Con questa ridicola speranza, che evidentemente poggia soltanto su una fantasia meccanica, ricomincio Der Prozess. Del tutto inutile non è stato.
Il 30 novembre del '14 sembra abbandonare definitivamente l'opera: Non posso scrivere oltre. Sono arrivato al limite definitivo,davanti al quale forse rimanere anni, per poi forse ricominciare un nuovo racconto che rimarrà di nuovo incompiuto. Questo destino mi perseguita.
Romanzo incompiuto, acquista definizione di «romanzo di frammenti» da Max Brod e dall'edizione critica a cura di Giorgio Zampa (Il Proceso edizione Adelphi). Di fatto l'avvenimento processuale sfugge ad una logica temporale. Assomiglia più al moto perpetuo di un corpo nello spazio infinito che all'evoluzione progressiva legata al prima-ora-dopo.
Josef K., il condannato-inquisito, rimane attonito di fronte ad una vicenda a cui non sa dare spiegazione e giustificazione. Ciò non di meno ne è travolto. La sua innocenza non prova nulla, la sua colpa non ha nome, la sua dignità è goffa, ridicola, perfino controproducente. Quanto più si prodiga nella sua coerenza, tanto più è preso nella spirale processuale. Il Tribunale supremo non si è mai espresso direttamente e non ha mai attuato una precisa e definibile norma procedurale. La legge non si configura in nessun sistema giuridico e non ha concretezza in nessun codice. La sua regola si esaurisce nella colpa e nella condanna, perché l'individuo, sul quale esercita la sua violenza, è di per sé trasgressivo. Cosicchè colpa e condanna sono l'unico residuato di una realtà di legge dove l'individuo si batte disperatamente per non perdere il senso del suo essere.
Il critico letterario A. Fletchner annovera «Il Processo», «Un medico di campagna», «Il castello» tra le allegorie moderne che affrontano direttamente il problema del potere politico.
Milena Jesenska ebbe a dire de «Il Processo»: il libro lascia l'impressione di un'intelligenza così perfetta del mondo che non rimane da aggiungere una parola.
La perfetta visione del mondo consiste nell'aver colto la coincidenza di legge e sistema sociale. Ed anche quando sembrano aprirsi spiragli di speranza, la tragica epicità della domanda smaschera il trucco che li sostiene. I problemi si ripresentano ad un grado più elevato, inaccessibile: Lo stato mi offre il suo aiuto - disse K. sussurrando all'orecchio di uno dei due uomini. Che accadrebbe se trasferissi il processo sul terreno delle leggi dello stato? Potrebbe allora persino succedere che mi toccasse difendere lor signori contro lo stato!
Da questa intuizione, così perfetta da sembrare rigida, e da una struttura letteraria, così circolare da sembrare vuota, Kafka ricava disperazione e grandezza. Come uomo, scaraventato nel mondo della legge, perde la sua esistenza; come scrittore vive il miracolo di creare un linguaggio che sa dare voce al silenzio del mondo.


Una vita condannata alla negazione

(La logica è, sì, incrollabile, ma non resiste ad un uomo che vuole vivere, F. Kafka)

Yukio Mishima fu lo pseudonimo che il giovane Kimitake Hiroaka adottò nella sua prima opera letteraria, per evitare le intemperanze del padre che non vedeva di buon grado la passione del figlio.
Yukio nacque a Tokio nel 1925. Trascorse l'infanzia in un ambiente malato, dove l'ossessività della nonna esasperava il clima generale intorno al sensibile nipote. Il periodo della latenza fu vissuto tra libri, immagini e fantasie inespresse. La forte carica ricettiva e la contemporanea fragilità della propria persona richiesero a Mishima sforzi di autodisciplina e di conseguente sublimazione artistica. Lo scrivere diventò, così, un'attività professionale e un mezzo di identità psico-morale. Questa persistente ed emblematica dissociazione si riflette a livello esistenziale. L'elemento peculiare dell'opera di Mishima sta in una visione tragica della vita che si realizza su un piano di torbide e paradossali vicende intime.
Gli avvenimenti della guerra e dell'occupazione americana sembravano non toccare il giovane Mishima, che preferiva non trattarli esplicitamente nei suoi romanzi. Solo più tardi, però, esplose l'interesse e la partecipazione alla dimensione politica. Si manifestò in veste, non sublimata, di intransigente opposizione alla «occidentalizzazione» del Giappone. I suoi capisaldi culturali, storici, morali abdicavano irreversibilmente all'invadenza degli antichi nemici. Il revanscismo di Mishima, così, non potè che essere nazionalistico e lealista; e non potè che esprimersi nella costituzione di un ristretto gruppo militare: l'Associazione dello Scudo. Esso, infine, raggiunse l'acme nell'affermazione volontaristica del seppuku morale-politico con cui Mishima pose fine alla sua vita, il 25 novembre 1970.
In un mondo diverso, il desiderio sale fino all'olimpo della soddisfazione. In un mondo fatto a immagine propria e altrui dovrebbe esserci spazio per le emozioni di tutti. Quelle di Mishima furono soggette alla condanna della loro negazione. (...) Le emozioni non hanno simpatia per l'ordine fisso: anzi, simili a particelle infinitesime, nell'etere svolazzano liberamente di qui e di là, fluttuano alla ventura e preferiscono ondeggiare in perpetuo. Forse in questo brano si può riassumere il senso della sua vita e del suo gesto per la morte. Volle tornare da dove era venuto.
Le opere principali di Mishima sono: Confessioni di una maschera (1949); Colori proibiti (1951); La voce delle onde (1954); Il padiglione d'oro (1956); Il sapore della gloria (1963); Il mare della fertilità (1968); Sole e acciaio (1968).
Dei saggi a lui dedicati mi preme ricordare: M. Yourcenar: «Mishima o la visione del vuoto»; H. Miller: «Riflessioni sulla morte di Mishima».


L'impossibilità di calcolare la vita

(E' una peculiarità dell'inferno permettere di vedere tutto distintamente. Y. Mishima)

L'itinerario della vita di Kafka si svolse lungo il periodo di fine secolo e seconda decade del novecento. Franz nacque a Praga nel 1883 e morì a Kierling, un sanatorio presso Vienna, nel 1924. Fu presente, dunque, alla prima guerra mondiale; ma anche per lui la contemporaneità della guerra non fu oggetto di riflessione o di diretta trasformazione letteraria. I temi delle sue opere furono piuttosto proiettati in avanti, avvertiti con una sensibilità da veggente: l'impotenza individuale di fronte alla legge e alla irrazionalità del sistema; l'alienazione umana e l'angoscia esistenziale, tipiche dell'uomo contemporaneo.
Laureatosi in giurisprudenza come Mishima, parimenti non ebbe l'approvazione paterna per la sua passione letteraria. Invero, per Kafka, questa disapprovazione giocò un ruolo più ampio, proprio perché la letteratura fu l'unico ancoraggio della sua vita. Ne è una testimonianza la «Lettera al padre», in cui figura paterna, condizionamento familiare e sopraffazione vengono abilmente connesse in un complesso interagente. Non furono di scarsa rilevanza i suoi interessi sociali ed ideologici in senso stretto. Frequentò i circoli libertari di Praga e partecipò in prima persona alle campagne anarchiche che si battevano contro la fucilazione del pedagogista spagnolo Ferrer.
Di temperamento estremamente cerebrale, Kafka espresse spesso una sottile ironia. I suoi romanzi rischiavano di cedere al comico, se non fossero stati sorretti da una formidabile capacità di descrivere l'atmosfèra di sofferenza da cui erano generati e in cui erano proiettati. Il rifiuto costante del matrimonio, dei figli, e dell'istituzionalizzazione costituisce un evidente contraltare all'immagine, altrettanto refrattaria alle convenzioni sociali, di Mishima che invece si preoccupò di manifestare in tutta la loro insulsa concretezza.
I ripetuti tentativi di creare un legame affettivo stabile, a cui seguirono drastiche separazioni (basta elencare i falliti fidanzamenti con Felice Bauer, Dora Diamont, July Worizech, Milena Jesenska) immettono nella vertiginosa dimensione della sua ispirazione artistica.
La letteratura esigeva da lui una rinuncia ascetica: Una volta mi hai scritto che vorresti starmi vicino mentre scrivo, pensa che non potrei scrivere ( ... ) Quando si scrive non si può mai essere abbastanza soli, quando si scrive non si può mai avere abbastanza silenzio intorno, la notte è ancora troppo poco notte.
La malattia, che accompagnò tutta la vita di Kafka, ancor prima che si manifestasse nei sintomi patologici, rese lo scrittore praghese esperto conoscitore della morte. Riallacciò l'una all'altra in un ordito di complicità che rendeva superfluo l'atto suicida. Egli stesso spese fino in fondo la solitudine, riconoscendo l'impossibilità di calcolare la vita.
Di Kafka ricordo: Il processo (1914/15); Il castello (1922); America (1910); La metamorfosi (1916). Inoltre una folta schiera di brevi racconti, aforismi, parabole, note di diario, lettere: La condanna (1916), Nella colonia penale (1919), Davanti alla legge (1913).
Tra i numerosissimi saggi su Kafka, degno di nota il recente di M. Robert: «Solo come Kafka».