Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 109
aprile 1983


Rivista Anarchica Online

Ancora sulla nonviolenza

Io e Marco Serventi siamo d'accordo? Forse. Ma non basta. Il problema dell'uso della violenza non si può esaurire attraverso chiarifìcazioni teoriche, proprio perché è un problema essenzialmente pratico. Si misura di fronte alle situazioni con cui si trova a confrontarsi l'essere umano. La ricerca teorica serve a definirsi una linea di condotta che si rifaccia a ponderati principi etici, ma ritengo che non sia una soluzione definitiva. Coinvolge nel profondo il modo di essere dell'essere umano, non lo assolve di fronte ad eventuali sconfitte o presunte vittorie, di fronte all'evento storico. E in una prospettiva di trasformazione sociale siamo costretti a misurarci con la storia.
Il mio antiviolento coincide col nonviolento di Marco. Allora dove si situa la differenza di scelta tra la mia e la sua scelta, o la scelta di Gandhi? Penso che sia nel fatto che per accettare un'azione violenta, il presunto nonviolento debba aspettare una situazione disperata, quando è inesistente l'efficacia di posizioni nonviolente. E' facile sostenere che tutto ciò sa più di azione reattiva che di azione vera e propria. Personalmente ritengo che non sia necessario, anzi è facilmente castrante, attendere che una situazione degeneri nella disperazione. Se ci sono le possibilità, da un punto di vista anarchico, è eticamente giusto attaccare anche in modo violento, come per esempio può accadere in una insurrezione. Il punto di riferimento della scelta è la liberazione da un regime sociale iniquo, per avere la possibilità di costruire una società nuova.
Mi sembra che il discorso di Marco rischi di cadere nell'ambiguità. Troppo vaghi stanno diventando i confini tra un comportamento e l'altro. C'è il sospetto che la cosa sia vissuta a livello conflittuale e perciò non riesce ad essere chiara. Da una parte la ricerca di una estrema coerenza rispetto ai principi nonviolenti; dall'altra la consapevolezza, o la paura, che spesso possa essere impraticabile. Così l'accettazione, probabilmente vissuta col senso di colpa, di reazioni violente di fronte a regimi talmente spudoratamente sadici e ingiusti da provocare istinti di morte. Dal mio punto di vista tale comportamento, oltre ad essere facilmente incoerente, denota debolezza e poca chiarezza di idee.
Quando poi si asserisce che in situazioni come il Salvador o il Guatemala, l'anarchico nonviolento Marco Serventi si sente moralmente autorizzato a partecipare all'esercito di «liberazione», nella lotta condotta da quei guerriglieri contro i regimi militari che opprimono quei popoli, allora il discorso si fa complesso e non può essere buttato là con faciloneria. Secondo le informazioni che abbiamo, e sono le informazioni a portata di tutti, i cosiddetti eserciti di liberazione posti come esempio non danno proprio l'idea di opporre una società nuova a quella che stanno combattendo. La logica militare e totalitaria che li muove, da un anarchico non può essere confusa con una logica di liberazione. E' la storia di questo secolo che si riconferma. A un potere militare se ne oppone un altro, con posizioni ideologiche differenti, ma nell'essenza totalitario, oppressivo, sanguinario. Quelle lotte, condotte militarmente all'insegna di una falsa liberazione, rientrano nelle strategie di influenza militare dei due blocchi che dividono il mondo, cioè sono nell'essenza conservatrici. Un anarchico non può osteggiare l'odiato imperialismo americano accettando il militarismo totalitario di stampo marxista, tanto più se si definisce nonviolento.
E i regimi militari dell'America latina, o quelli dell'Africa, o il regime biecamente religioso di Komeini, o l'U.R.S.S., o i regimi dell'Indocina. Non ho voglia di continuare. Ovunque i sistemi di potere in auge si reggono sull'oppressione sanguinaria, in alcuni casi sul genocidio. Ovunque l'opposizione è resa inoperante e annientata con sistemi sadici e inquisitori. Ovunque l'azione nonviolenta si annulla di fronte al sadomasochismo del potere, sempre più vorace.
Una logica di liberazione non può essere racchiusa in una diatriba che oppone violenza a nonviolenza. A mio avviso dev'essere inserita in un contesto teorico che superi questo momento etico imposto dal potere.

Andrea Papi (Forlì)