Rivista Anarchica Online
Cara Tiziana, sei umoristica
Cari compagni di «A», a prima lettura, l'articolo di Tiziana Ferrero, sull'ultimo numero di «A», mi è apparso
umoristico! Tiziana lamenta che l'ultima nata in casa Fiat viene descritta con aggettivi «al
femminile, naturalmente». Perché non ha parlato dell'ultimo nato? Perdipiù, c'è da dire che
questa ultima nata si chiama «La Fiat Uno». Strano, quel maschile femminilizzato! Più in avanti, Tiziana spiega che la donna di oggi, torna in casa per dedicarsi «al figlio» (perché
non alla figlia?). Ancora più in avanti, la cosa che manca a una donna per realizzarsi è «un
figlio»! (di nuovo perché non una figlia?). Comunque, Tiziana, penso che ti lasci ingannare dal vocabolario. Dicevo, all'inizio di questa
lettera, che il tuo articolo mi era apparso umoristico. Perché avevo letto, due ore prima, quel
bellissimo articolo di Douglas R. Hofstadter sul numero di febbraio di Le Scienze, edizione
italiana del Scientific American. Anche se non si vede dal titolo («Presupposti riduttivi e loro
effetti sulla scrittura e sul pensiero»), è un vero e proprio manifesto femminista (scritto da un
uomo, si badi bene). E devo dire che il tuo articolo è strapieno di «presupposti riduttivi». Quest 'articolo di Hofstadter è troppo denso per riassumerlo. Leggetevelo, ne vale la pena! Per concludere, voglio dare una mia vecchia esperienza di femminismo ingannato. Lavoravo a
quei tempi per il Consiglio Mondiale delle Chiese. Ovviamente quasi tutto in inglese. Per la
parola umanità usavano manhood. Essendosi resi conto che manhood conteniva la parola man
(uomo), mi hanno fatto correggere 160 pagine di rivista per cambiare manhood con umanity,
senza rendersi conto che anche questa parola è fatta con man! La linguistica, tutti i linguaggi, sono ingannanti. Se non sbaglio, la parola man germanica e
anglo-sassone, come quella latina homo e l'italiano uomo ed il francese homme, derivano tutte
da una radice sanscrita, M che sarebbe stata per una persona, di sesso indeterminato. E se, nel
corso dei millenni, la parola umano è arrivata a significare uomo di sesso maschile, non è anche
un po' colpa vostra, delle donne?
Gilbè (Carrara)
Caro Gilbè, ti sei mai chiesto?
Caro Gilbè, hai ragione. Nel mio articolo manca ancora parecchio. Sono la prima a dirlo, ma ciò che manca
non è certo l'esempio della FIAT UNO. E il mio articolo, che voleva stimolare un dibattito,
avrebbe forse meritato una maggiore attenzione alla tesi di fondo. Sono comunque contenta di
averti regalato un po' di allegria. Se vogliamo essere pignoli, comunque, ci sarebbe stato molto di più da dire proprio sul
linguaggio. Ti sei mai chiesto perché si parla della Fiat? (la grande fabbrica che, come una
mamma, ti segue dalla giovinezza alla vecchiaia). E sai che agli inizi del novecento sorse un
dibattito (tra i letterati maschi) per decidere se l'automobile avesse dovuto essere di genere
maschile o femminile? Dibattito risolto lodevolmente da D'Annunzio che specificò che
l'automobile era femmina perché era bella, scattante, infedele e andava posseduta come una
donna. Sì il linguaggio, come fa notare molto bene Hofstadter, è una trappola a cui è difficile sfuggire,
essendo un codice collettivo non può essere variato da un solo individuo perché non si potrebbe
più decodificare. Se avessi detto che la donna torna a casa per decdicarsi alla «figlia» tutti
avrebbero inteso solo la femmina e si sarebbero chiesti che fine doveva fare il figlio maschio.
Certo il problema del linguaggio è molto importante: nel femminile o maschile di un vocabolo
c'è tutta la nostra cultura, c'è il fantasma, maschile o femminile, che si annida nei nostri cervelli:
la donna, il femminile sono sempre legati ad aspetti negativi della vita, il maschile ad aspetti
positivi. Ti sei mai chiesto, Gilbè, perché una compagna/o in gamba «ha i coglioni», mentre
una/o sfortunata/o è «sfigata»?
Tiziana Ferrero (Milano)
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