Rivista Anarchica Online
Harlan County, lotta di classe negli USA
di Pino Bertelli
«Harlan County, USA» (1976) di Barbara Kopple, è la storia documentaria dello sciopero dei
minatori di Brookside, nella Harlan County, Kentucky, scoppiato nel 1973, durato 13 mesi e finito
con un morto. I padroni delle miniere di carbone si rifiutarono di firmare il contratto di lavoro presentato dal
movimento di base «Miners for Democracy» (Minatori per la democrazia). Tra le loro
rivendicazioni, aumento di salario, medicina del lavoro, prevenzione di malattie profèssionali come
il «polmone nero», diritto allo sciopero, ecc., chiedevano l'apertura di una sezione sindacale
autogestita che contrattasse direttamente i problemi dei minatori. Questo voleva dire ribellarsi al
regime corporativo e complice dei padroni del «UMW of A.» (United Mine Workers of America, il
sindacato dei minatori americano) instaurato negli anni '30 da John L. Lewis e proseguito (senza
elezioni) in modo dittatoriale negli anni '60 da Tony Boyle. Le prime schegge di rivolta si hanno nel 1969 quando un minatore, Joseph Yablonsky, ebbe il
coraggio di candidarsi contro Boyle. Qualche settimana dopo, Yablonsky, la moglie e la figlia furono assassinati. Il colpevole non ebbe mai un volto per la giustizia, ma tutti lo conoscevano. Da
qui cominciò a svilupparsi il movimento di base «Minatori per la democrazia». Barbara Kopple, con una troupe ridottissima, un registratore e una cinecamera 16mm, ha vissuto
per tre anni tra i minatori di Brookside, ha filmato le loro lotte, le loro speranze, i segni gravidi di
rabbia del loro quotidiano offeso dai lunghi fucili della democrazia. Sulla tela risplendono figure indimenticabili. I volti dei minatori armati in difesa dei loro diritti per
un'esistenza a misura d'uomo, le loro donne armate di bastoni, i figli di sassi, che si aggirano su un
terreno di guerra come in un gioco pericoloso. Poi i raduni, le assemblee, l'aula del tribunale, le
prigioni, le facce atterrite dei soldati, dei poliziotti a cavallo, dei crumiri e dei pistoleri assoldati dai
padroni del carbone lasciano presagire la condizione inumana degli assoggettati e la loro risposta
non può che essere armata. Il film è attraversato dalla musica delle montagne, canzoni dei minatori che hanno accompagnato le
loro lotte negli anni '30 e '40. Accanto a canzoni come «Which side are you on?» (Da che parte
stai?) di Florence Reece, si dipanano quelle di Hazel Dickens, figlia di un minatore, che le ha scritte
appositamente per il film: «Mannington» (Città di Mannington), «Black lung» (Pol mone nero),
«Cold-blooded murder» (Omicidio a sangue freddo) e «They'll never keep us down» (Non
riusciranno mai a reprimerci). Il documentario avanza per frammenti, note, squarci di una realtà che mostra la struttura
dell'imbroglio e l'arroganza della democrazia. Le sequenze non sono sempre comprensibili e
qualche volta la cinecamera si muove, riprende con troppa emotività. Anche la musica appare
eccessiva, e il film risente delle pause coperte con le canzoni, quando era possibile intervenire nel
montaggio. La fotografia in Eastmancolor di Hart Perry è improvvisata e grezza ma segna il film in una grande
forza documentaria. «Harlan County, USA» si chiude sulla disillusione della società
dell'abbondanza che prevede al centro della festa Capitale le danze in maschera delle bertucce del
sindacato e dei macachi del governo. Un film imperfetto dunque, che riesce comunque a differire lo
sguardo da un reale imbavagliato e reso cieco dai simulacri della democrazia e dai coglioni come
Giovanni Grazzini, che dalle pagine del «Corriere della Sera» continua la sua crociata censoria di
film come «Harlan County, USA» e ci continua a far ridere nel vuoto dei suoi traboccamenti
dottrinari legati alla storia dell'infamia. «Harlan County, USA» si riallaccia a un cinema di frontiera americano, sulle tracce di «The plow
that broke the plains» (L'aratro che aprì le pianure, 1936) di Pare Lorentz; «Native land» (Terra
natìa, 1938/1941) di Paul Strand e Leo Hurwitz; «Strange victory» (Strana vittoria, 1946) di Leo
Hurwitz; «The quiet one» (Il tranquillo, 1947) di Sidney Meyers; «Salt of earth» (Il sale della terra,
o Sfida a Silver City) di Herbert J. Biberman. Questi film sono fatti contro la soggezione generalizzata e parlano il linguaggio della
disobbedienza e sintesi della resa dei conti in processo contro l'universo stabilito del discorso
americano. Questi disertori del cinema mercantile si affrancano nei conflitti degli interessi di classe alle
fotografie degli oppressi di Lewis Heine, Jacobs Riis, Walker Evans, Dorothea Lange, Ben Shahn,
Robert Frank, William Klein che si differenziano dall'estetismo della miseria di Alfred Stieglitz,
dalla piacevolezza del dolore di Margaret Bourhe White, dall'immediatezza perversa di Weegee,
dal realismo senza dolore di Eugene W. Smith. Il loro cinema risplende contro la socializzazione
dell'immaginario operata da John Ford, «Furore» (The grapes of wrath, 1940); George Stevens,
«Un posto al sole» (A place in the sun, 1951); Elia Kazan, «Fronte del porto» (On the waterfront,
1954); continuata dai loro gattini ciechi: Martin Scorsese, Roger Corman, Sam Peckinpah, Robert
Altman, Steven Spielberg, Hal Hasby, Francis Ford Coppola. «Harlan County, USA» ci mostra l'importanza di fare politicamente un film e non perdersi
nell'apparenza delle posizioni del «film politico». La strategia del colpo definitivo contro la scienza
della mediocrità spettacolarizzata, nasce dalle smagliature possibili, dai veleni di verità fatti
circolare all'interno degli strumenti di persuasione, di consenso della democrazia della miseria
come canto funebre della vita liberata. I procesi di autogestione dell'esistenza generalizzata si fanno
sempre più vivi sul piano inclinato del rovesciamento di prospettiva. Si tratta di schiudersi ad una
strategia dell'osare.
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