Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 109
aprile 1983


Rivista Anarchica Online

Scuola, oltre il dualismo
di Michele Polizzi (del Collettivo Studenti Anarchici - Milano)

E' interessante notare quanto rilevante sia stato il cambiamento dell'istituzione scuola dal dopoguerra ai giorni nostri. Questo ha prodotto delle grosse contraddizioni che ancor'oggi sono riscontrabili. Dopo il miracolo economico degli anni '50, nel decennio seguente assistiamo ad una scolarizzazione sempre più massiccia. Ma questa ondata di nuovi scolarizzati ha prodotto delle grosse rotture, concretizzatesi con il fatidico '68. La scuola della riforma Gentile non poteva per forza di cose essere in grado di servire ad un nuovo tipo di status quo. Negli anni '70 s'è tentato di dare uno sbocco a questo squilibrio tra scuola e società. E' stata questa la posizione dei partiti di sinistra, una posizione che mira a ricreare un equilibrio dentro questa spaccatura. Si sono dunque scontrate le due anime d'uno stesso progetto, quello della scolarizzazione di massa.
La prima anima, quella reazionaria, mira ad una conservazione di questo sistema scolastico difendendo implicitamente la concezione idealistica hegeliana che ha guidato Gentile nell'applicare la sua riforma. La seconda anima, che chiameremo progressi sta, è quella che tenta di riformare la scuola per renderla funzionale ai nuovi processi di cambiamento in corso nella società. Non ho volutamente parlato della terza anima, quella borbonica, che penso abbia un'importanza irrilevante poiché l'alfabetizzazione è ormai quasi da tutti considerata un fatto positivo.
Ma anche quella che ho considerato contrapposizione, non è tale se analizziamo la sostanza del problema. Infatti quasi tutti i partiti sono stati concordi nell'approvare la nuova riforma scolastica che sembra possa adeguare parzialmente la scuola italiana a quella delle altre nazioni europee. L'anima extraparlamentare presente negli anni passati è praticamente scomparsa, e su questo bisogna fare una breve riflessione.
In primo luogo ci si può chiedere come questo movimento, tanto forte fino al '78-'79, sia crollato così velocemente. La risposta che posso dare è che l'ala più dura, quella dell'autonomia operaia è crollata con il blitz del 7 aprile, mentre il movimento, nella sua componente più vasta, non avendo potuto o saputo sviluppare chiare proposte, chiari contenuti e strategie, si è ripiegato su se stesso lasciando un vuoto che come libertari dovremmo interessarci a riempire in modo più serio e creativo.
Oggi la scuola, come del resto tutta la società, vive un momento di transizione che non scalfisce però alcuni suoi tratti fondamentali. Se c'è stato un cambiamento, questo è stato indirizzato nel segno della democratizzazione. Attraverso le elezioni scolastiche, le assemblee dei genitori, degli studenti, dei professori, si sta giungendo ad una forma di cogestione della scuola, che possa garantire alle scelte operate il consenso più ampio. Per ora le decisioni fondamentali sono ancora prese dal preside e dal consiglio d'istituto, ma è chiaro che sempre di più avverrà quella frantumazione del potere centrale attraverso la creazione di diversi centri di potere, ognuno con le medesime caratteristiche. Questo fenomeno di complessità nell'organizzazione scolastica, non fa che ricalcare la complessità sociale dell'esterno. Sebbene continueranno ad esistere organi di maggiore importanza ed organi meno considerati per il potere decisionale, non esisterà più il cuore o il centro del potere (se mai c'è stato).
Il fatto che, pur se lieve, inizia a sorgere un maggiore interesse per le elezioni studentesche, è la dimostrazione che agli studenti non interessano per ora proposte di cambiamenti radicali o per la mancanza d'ideali o di spinte emotive o per quella volontà illusoria di voler autogestire la propria vita solo nella quotidianità (e quindi nelle scelte più piccole), eludendo poi una problematica ben più vasta e complessa che sta alla base di ogni reale discussione sull'autogestione. Nei sistemi come quello italiano, a capitalismo maturo, o in certi casi di post-capitalismo, i consensi si raccolgono non più sui contenuti concreti ma su procedure formali: non è ciò che il sistema esprime, ma come lo esprime che raccoglie legittimazione dalla gente.
Così anche nella scuola si può giungere al paradosso: il potere che si decentra nella propria gestione e nel contempo s'accentra enormemente. Sono proprio le procedure di decentramento, spogliate di ogni ideologia esplicita ed in nome di un'asettica democrazia, a suscitare il consenso.
La scuola oggi sta perdendo quella che era una delle sue più grandi peculiarità, quella di preparare i giovani per un lavoro. Quest'ultima funzione, che la nuova riforma vorrebbe rivalutare, è ormai svolta in altri ambienti. Si sta invece sempre più rafforzando la funzione della scuola come agenzia di integrazione, ovvero di luogo in cui si è educati ad accettare la prassi e la mentalità dominante. Ciò che più interessa non è tanto che s'apprenda un determinato numero di nozioni ma che si accetti completamente la codificazione delle norme di comportamento. Purtroppo negli anni passati c'è stato quel bagno di cultura marxista che ancor oggi pervade sempre di più tutta la società. S'è tentato di rompere con la logica selettiva meritocratica, s'è lasciata intatta la scuola, s'è tentato di eliminare un tipo di cultura, magari sorpassata e nozionistica,per sostituirla con una ancora più conformista e soffocante, oppure, ed è questo che è avvenuto in molti casi, non s'è cercato nemmeno di sostituirla. La scuola, così come è quella attuale, ovvero la scuola di stato, non deve interessarci, poiché cercando di muoverci in essa si resta legati in un circolo chiuso che ci svia da quello che è il nodo centrale di tutto il discorso: quello pedagogico culturale.
Il discorso culturale deve portare ad una uscita dallo schema mentale, peraltro superato sotto altre forme dagli stessi mass-media, che vede la scuola come ambito privilegiato per la diffusione della cultura. Nella scuola si assiste al deprimente fenomeno dell'omologazione culturale, dell'emarginazione delle culture nella loro pluralità, nella divisione tra le culture più o meno nobili, in quella fra le culture manuali ed intellettuali, nel tentativo ultimo di ricondurre tutto ad un'unicità, che pur presente nel cammino della cultura occidentale, è in questo ambito peggiorata e denudata nella sua presunzione e sopraffazione. A questa cultura dobbiamo rispondere con la ricchezza del pensiero e della prassi libertaria. Non vogliamo una società dominata esclusivamente dalla cultura propriamente anarchica, ma una società in cui il metodo libertario nell'apprendimento divenga un fatto comune.
Il discorso pedagogico sarebbe troppo lungo e complesso per esaurirlo in poche righe, mi limito qui a sottolineare che solo attraverso il superamento del dualismo che si è venuto a creare nella civiltà occidentale fra fruitore ed emittente, alunno e maestro, spettatore ed attore, lavoratore e padrone, si potranno porre le basi per una pratica pedagogica libertaria diffusa e conosciuta. Si tratta di compiere una rivoluzione non solo politica ed economica, ma anche e soprattutto culturale ed antropologica, ed è questo enorme cambiamento il motore dell'utopia anarchica, ed è in questa prospettiva che dobbiamo agire.
La parola greca scolé aveva come primo ed originario significato: tempo libero, riposo. Oggi la parola scuola non ha più questo valore. Solo ritornando al suo significato originario, la scuola sarà ancora un'ipotesi possibile, solo cioè togliendo ad essa il carattere di impegno lavorativo ed alienante che in seguito ha assunto. Ma a questo punto dovremmo augurarci che il significato di scolé, ovvero ozio, abbracci tutta la società, perché infine non ci sia più la divisione fra tempo lavorativo e tempo libero, ma si realizzi una società in cui tutto il tempo sia libero: si realizzi insomma quel progetto di vita che Kropotkin ci descrive in "Campi, fabbriche ed officine".