Rivista Anarchica Online
Scuola, oltre il dualismo
di Michele Polizzi (del Collettivo Studenti Anarchici - Milano)
E' interessante notare quanto rilevante sia stato il cambiamento dell'istituzione scuola dal
dopoguerra ai giorni nostri. Questo ha prodotto delle grosse contraddizioni che ancor'oggi sono
riscontrabili. Dopo il miracolo economico degli anni '50, nel decennio seguente assistiamo ad una
scolarizzazione sempre più massiccia. Ma questa ondata di nuovi scolarizzati ha prodotto delle
grosse rotture, concretizzatesi con il fatidico '68. La scuola della riforma Gentile non poteva per
forza di cose essere in grado di servire ad un nuovo tipo di status quo. Negli anni '70 s'è tentato di
dare uno sbocco a questo squilibrio tra scuola e società. E' stata questa la posizione dei partiti di
sinistra, una posizione che mira a ricreare un equilibrio dentro questa spaccatura. Si sono dunque
scontrate le due anime d'uno stesso progetto, quello della scolarizzazione di massa. La prima anima, quella reazionaria, mira ad una conservazione di questo sistema scolastico
difendendo implicitamente la concezione idealistica hegeliana che ha guidato Gentile nell'applicare
la sua riforma. La seconda anima, che chiameremo progressi sta, è quella che tenta di riformare la
scuola per renderla funzionale ai nuovi processi di cambiamento in corso nella società. Non ho
volutamente parlato della terza anima, quella borbonica, che penso abbia un'importanza irrilevante
poiché l'alfabetizzazione è ormai quasi da tutti considerata un fatto positivo. Ma anche quella che ho considerato contrapposizione, non è tale se analizziamo la sostanza del
problema. Infatti quasi tutti i partiti sono stati concordi nell'approvare la nuova riforma scolastica
che sembra possa adeguare parzialmente la scuola italiana a quella delle altre nazioni europee.
L'anima extraparlamentare presente negli anni passati è praticamente scomparsa, e su questo
bisogna fare una breve riflessione. In primo luogo ci si può chiedere come questo movimento, tanto forte fino al '78-'79, sia crollato
così velocemente. La risposta che posso dare è che l'ala più dura, quella dell'autonomia operaia è
crollata con il blitz del 7 aprile, mentre il movimento, nella sua componente più vasta, non avendo
potuto o saputo sviluppare chiare proposte, chiari contenuti e strategie, si è ripiegato su se stesso
lasciando un vuoto che come libertari dovremmo interessarci a riempire in modo più serio e
creativo. Oggi la scuola, come del resto tutta la società, vive un momento di transizione che non scalfisce
però alcuni suoi tratti fondamentali. Se c'è stato un cambiamento, questo è stato indirizzato nel
segno della democratizzazione. Attraverso le elezioni scolastiche, le assemblee dei genitori, degli
studenti, dei professori, si sta giungendo ad una forma di cogestione della scuola, che possa
garantire alle scelte operate il consenso più ampio. Per ora le decisioni fondamentali sono ancora
prese dal preside e dal consiglio d'istituto, ma è chiaro che sempre di più avverrà quella
frantumazione del potere centrale attraverso la creazione di diversi centri di potere, ognuno con le
medesime caratteristiche. Questo fenomeno di complessità nell'organizzazione scolastica, non fa
che ricalcare la complessità sociale dell'esterno. Sebbene continueranno ad esistere organi di
maggiore importanza ed organi meno considerati per il potere decisionale, non esisterà più il cuore
o il centro del potere (se mai c'è stato). Il fatto che, pur se lieve, inizia a sorgere un maggiore interesse per le elezioni studentesche, è la
dimostrazione che agli studenti non interessano per ora proposte di cambiamenti radicali o per la
mancanza d'ideali o di spinte emotive o per quella volontà illusoria di voler autogestire la propria
vita solo nella quotidianità (e quindi nelle scelte più piccole), eludendo poi una problematica ben
più vasta e complessa che sta alla base di ogni reale discussione sull'autogestione. Nei sistemi
come quello italiano, a capitalismo maturo, o in certi casi di post-capitalismo, i consensi si raccolgono non più sui contenuti concreti ma su procedure formali: non è ciò che il sistema
esprime, ma come lo esprime che raccoglie legittimazione dalla gente. Così anche nella scuola si può giungere al paradosso: il potere che si decentra nella propria
gestione e nel contempo s'accentra enormemente. Sono proprio le procedure di decentramento,
spogliate di ogni ideologia esplicita ed in nome di un'asettica democrazia, a suscitare il consenso. La scuola oggi sta perdendo quella che era una delle sue più grandi peculiarità, quella di preparare i
giovani per un lavoro. Quest'ultima funzione, che la nuova riforma vorrebbe rivalutare, è ormai
svolta in altri ambienti. Si sta invece sempre più rafforzando la funzione della scuola come agenzia
di integrazione, ovvero di luogo in cui si è educati ad accettare la prassi e la mentalità dominante.
Ciò che più interessa non è tanto che s'apprenda un determinato numero di nozioni ma che si accetti
completamente la codificazione delle norme di comportamento. Purtroppo negli anni passati c'è
stato quel bagno di cultura marxista che ancor oggi pervade sempre di più tutta la società. S'è
tentato di rompere con la logica selettiva meritocratica, s'è lasciata intatta la scuola, s'è tentato di
eliminare un tipo di cultura, magari sorpassata e nozionistica,per sostituirla con una ancora più
conformista e soffocante, oppure, ed è questo che è avvenuto in molti casi, non s'è cercato
nemmeno di sostituirla. La scuola, così come è quella attuale, ovvero la scuola di stato, non deve
interessarci, poiché cercando di muoverci in essa si resta legati in un circolo chiuso che ci svia da
quello che è il nodo centrale di tutto il discorso: quello pedagogico culturale. Il discorso culturale deve portare ad una uscita dallo schema mentale, peraltro superato sotto altre
forme dagli stessi mass-media, che vede la scuola come ambito privilegiato per la diffusione della
cultura. Nella scuola si assiste al deprimente fenomeno dell'omologazione culturale,
dell'emarginazione delle culture nella loro pluralità, nella divisione tra le culture più o meno nobili,
in quella fra le culture manuali ed intellettuali, nel tentativo ultimo di ricondurre tutto ad un'unicità,
che pur presente nel cammino della cultura occidentale, è in questo ambito peggiorata e denudata
nella sua presunzione e sopraffazione. A questa cultura dobbiamo rispondere con la ricchezza del
pensiero e della prassi libertaria. Non vogliamo una società dominata esclusivamente dalla cultura
propriamente anarchica, ma una società in cui il metodo libertario nell'apprendimento divenga un
fatto comune. Il discorso pedagogico sarebbe troppo lungo e complesso per esaurirlo in poche righe, mi limito qui
a sottolineare che solo attraverso il superamento del dualismo che si è venuto a creare nella civiltà
occidentale fra fruitore ed emittente, alunno e maestro, spettatore ed attore, lavoratore e padrone, si
potranno porre le basi per una pratica pedagogica libertaria diffusa e conosciuta. Si tratta di
compiere una rivoluzione non solo politica ed economica, ma anche e soprattutto culturale ed
antropologica, ed è questo enorme cambiamento il motore dell'utopia anarchica, ed è in questa
prospettiva che dobbiamo agire. La parola greca scolé aveva come primo ed originario significato: tempo libero, riposo. Oggi la
parola scuola non ha più questo valore. Solo ritornando al suo significato originario, la scuola sarà
ancora un'ipotesi possibile, solo cioè togliendo ad essa il carattere di impegno lavorativo ed
alienante che in seguito ha assunto. Ma a questo punto dovremmo augurarci che il significato di
scolé, ovvero ozio, abbracci tutta la società, perché infine non ci sia più la divisione fra tempo
lavorativo e tempo libero, ma si realizzi una società in cui tutto il tempo sia libero: si realizzi
insomma quel progetto di vita che Kropotkin ci descrive in "Campi, fabbriche ed officine".
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