Rivista Anarchica Online
In una notte piovosa...
di Fernando Ainsa
In una notte piovosa dello scorso mese di febbraio un professore di storia, amico mio, mi chiese di
aiutarlo a caricare su di un camioncino parte della sua biblioteca. Bisognava portarla in un piccolo
villaggio della costa normanna. Mentre stavamo ammonticchiando in disordine i libri, mi accorsi
con sorpresa che titoli, autori e case editrici mi erano familiari. Fui sorpreso non tanto dal fatto di
riconoscere i libri (quanti ne abbiamo visti nello scorrere della nostra vita!), ma proprio quei libri,
che non avevo più visto da quando, dieci anni fa, avevo lasciato un lontano paese dall'altra parte
dell'Oceano. Li avevo dimenticati. Erano libri che mai e poi mai mi sarei immaginato d'incontrare
al di fuori dell'ambito in cui erano stati stampati e che ora mi apparivano sradicati dal loro contesto
naturale. Dietro i loro dorsi invecchiati e le copertine ingiallite, mi sembravano anche loro vivere la
vita triste e forzata degli esuli. Nel vederli e nel riconoscerli dopo tanti anni non potei evitare la nostalgia, non disgiunta però
dall'allegria. Non sono questi, normalmente, libri che circolano a livello internazionale - mi dissi
esaminando titoli ed autori. Questi sono libri che hanno contribuito a formare ed a segnare una
generazione, la mia, durante quegli agitati (ma stimolanti) anni sessanta. Ora si trovavano a Parigi,
lontani dal sol natìo, pronti senza dubbio a riprendere l'esodo, questa volta in direzione di un
piccolo paese di provincia. Invecchiati e senza radici erano purtuttavia vivi e pronti ad esser letti da chi desideri ricostruire
quella che era stata la vita intellettuale attiva dei nostri paesi - Cile, Uruguay e Argentina - fino al
1973. Oggi siamo in grado di comprendere che questo esilio è stato l'unica garanzia per questi libri
di salvarsi da quello che fu il destino naturale di intere biblioteche: la distruzione. Dopo la pubblicazione di Farenheit 451 nel 1953, tutti sappiamo a quale temperatura bruciano i
libri. Nel '73 abbiamo avuto l'occasione di verificarlo in Uruguay ed in Cile, nel '75 in Argentina.
Come spesso accade, la realtà superò di gran lunga l'anti-utopia di Ray Bradbury. Migliaia di libri
di storia, saggi, poesie e romanzi bruciarono in grandi falò alimentati da collezioni intere di
periodici e di riviste. Alcune volte i libri erano bruciati ufficialmente, altre volte ufficiosamente, in
qualche caso erano i proprietari stessi di queste biblioteche a farlo nel timore di incursioni
poliziesche. Nelle stufe o in fuochi improvvisati in cortile o in giardino, molti libri divennero
cenere sotto l'accusa o il sospetto di essere «sovversivi», nonostante il giorno prima li si potesse
tranquillamente comprare in qualsiasi libreria. Chi tra noi era in possesso di una biblioteca viva, cioè che rifletteva l'attualità dei nostri paesi, ebbe
questa amara sensazione: bisognava far sparire molti libri e riviste attraverso la via purificatrice del
fuoco oppure avviarli ad un nuovo destino. Biblioteche intere furono letteralmente sotterrate in
oscuri scantinati o trasportate in luoghi dimenticati. Altre, debitamente imballate, presero la via
dell'esilio, accompagnando i loro proprietari in una peregrinazione internazionale che ha portato
cileni, argentini e uruguayani in tutti gli angoli del pianeta. Di fronte a queste biblioteche, che bisognava lasciarsi dietro, il momento della scelta dei titoli che
potevano accompagnarci fu drammatico. Bisognava fare una selezione, non si poteva intraprendere
il viaggio con tutto il passato addosso, bisognava decidere quale libro aveva diritto all'esilio, quale
alla distruzione nel fuoco e quale ancora a rimanere «sotterrato» nel paese. Già il potersi porre
questi interrogativi era un privilegio che altri non avevano: molti latino-americani salvavano a mala
pena la pellaccia loro e dei loro familiari, lasciandosi indietro i libri, alla mercé degli inquisitori di
turno. Nel corso di questi anni ho avuto molte volte l'occasione di ricostruire con colleghi ed amici i
momenti di questa scelta e la dilacerante sensazione di abbandonare al loro destino dei libri che ci
avevano entusiasmato, che avevamo sottolineato, annotato e citato. Lasciarceli alle spalle costituiva
un tradimento verso questi compagni leali, e ce ne rendemmo conto quando decidemmo
arbitrariamente di lasciare o di distruggere quei libri che credevamo di interesse strettamente
nazionale o comunque limitato. Ingannammo con noi anche gli autori con respiro internazionale,
senza renderci conto che sarebbero stati salvati dall'oblio o dal complice silenzio grazie all'opera di
altre case editrici in Messico, in Spagna o in Venezuela. Abbandonammo alla loro sorte quelli che
non avevano più bisogno dell'esilio e li condannammo a morte definitiva. Così rimasero indietro
quei nomi, quei titoli e quelle case editrici che il tempo, poi, ci ha aiutato a dimenticare. Ecco perché averli ritrovati in una notte d'inverno, in una strada piovosa di Parigi, salvati dallo zelo
di un professore di storia che ha saputo vedere con maggiore lungimiranza che cosa aveva bisogno
dell'esilio, mi ha provocato questa nostalgia non disgiunta da allegria. Il fatto è che averli visti mi
ha richiamato alla memoria un ambito definitivamente perso e da quel momento ho cominciato a
sentirne la mancanza. Ho voglia di riprendere a tenermeli vicino, per consultarli o per leggerli o
semplicemente per passare lo sguardo sui loro dorsi familiari, per non sentire con tanta acutezza
quello che è comunque un fatto definitivo: la difficoltà di tornare ad affondare le radici spezzate
nella lontananza e nel passato.
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