Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 109
aprile 1983


Rivista Anarchica Online

In una notte piovosa...
di Fernando Ainsa

In una notte piovosa dello scorso mese di febbraio un professore di storia, amico mio, mi chiese di aiutarlo a caricare su di un camioncino parte della sua biblioteca. Bisognava portarla in un piccolo villaggio della costa normanna. Mentre stavamo ammonticchiando in disordine i libri, mi accorsi con sorpresa che titoli, autori e case editrici mi erano familiari. Fui sorpreso non tanto dal fatto di riconoscere i libri (quanti ne abbiamo visti nello scorrere della nostra vita!), ma proprio quei libri, che non avevo più visto da quando, dieci anni fa, avevo lasciato un lontano paese dall'altra parte dell'Oceano. Li avevo dimenticati. Erano libri che mai e poi mai mi sarei immaginato d'incontrare al di fuori dell'ambito in cui erano stati stampati e che ora mi apparivano sradicati dal loro contesto naturale. Dietro i loro dorsi invecchiati e le copertine ingiallite, mi sembravano anche loro vivere la vita triste e forzata degli esuli.
Nel vederli e nel riconoscerli dopo tanti anni non potei evitare la nostalgia, non disgiunta però dall'allegria. Non sono questi, normalmente, libri che circolano a livello internazionale - mi dissi esaminando titoli ed autori. Questi sono libri che hanno contribuito a formare ed a segnare una generazione, la mia, durante quegli agitati (ma stimolanti) anni sessanta. Ora si trovavano a Parigi, lontani dal sol natìo, pronti senza dubbio a riprendere l'esodo, questa volta in direzione di un piccolo paese di provincia.
Invecchiati e senza radici erano purtuttavia vivi e pronti ad esser letti da chi desideri ricostruire quella che era stata la vita intellettuale attiva dei nostri paesi - Cile, Uruguay e Argentina - fino al 1973. Oggi siamo in grado di comprendere che questo esilio è stato l'unica garanzia per questi libri di salvarsi da quello che fu il destino naturale di intere biblioteche: la distruzione.
Dopo la pubblicazione di Farenheit 451 nel 1953, tutti sappiamo a quale temperatura bruciano i libri. Nel '73 abbiamo avuto l'occasione di verificarlo in Uruguay ed in Cile, nel '75 in Argentina. Come spesso accade, la realtà superò di gran lunga l'anti-utopia di Ray Bradbury. Migliaia di libri di storia, saggi, poesie e romanzi bruciarono in grandi falò alimentati da collezioni intere di periodici e di riviste. Alcune volte i libri erano bruciati ufficialmente, altre volte ufficiosamente, in qualche caso erano i proprietari stessi di queste biblioteche a farlo nel timore di incursioni poliziesche. Nelle stufe o in fuochi improvvisati in cortile o in giardino, molti libri divennero cenere sotto l'accusa o il sospetto di essere «sovversivi», nonostante il giorno prima li si potesse tranquillamente comprare in qualsiasi libreria.
Chi tra noi era in possesso di una biblioteca viva, cioè che rifletteva l'attualità dei nostri paesi, ebbe questa amara sensazione: bisognava far sparire molti libri e riviste attraverso la via purificatrice del fuoco oppure avviarli ad un nuovo destino. Biblioteche intere furono letteralmente sotterrate in oscuri scantinati o trasportate in luoghi dimenticati. Altre, debitamente imballate, presero la via dell'esilio, accompagnando i loro proprietari in una peregrinazione internazionale che ha portato cileni, argentini e uruguayani in tutti gli angoli del pianeta.
Di fronte a queste biblioteche, che bisognava lasciarsi dietro, il momento della scelta dei titoli che potevano accompagnarci fu drammatico. Bisognava fare una selezione, non si poteva intraprendere il viaggio con tutto il passato addosso, bisognava decidere quale libro aveva diritto all'esilio, quale alla distruzione nel fuoco e quale ancora a rimanere «sotterrato» nel paese. Già il potersi porre questi interrogativi era un privilegio che altri non avevano: molti latino-americani salvavano a mala pena la pellaccia loro e dei loro familiari, lasciandosi indietro i libri, alla mercé degli inquisitori di turno.
Nel corso di questi anni ho avuto molte volte l'occasione di ricostruire con colleghi ed amici i momenti di questa scelta e la dilacerante sensazione di abbandonare al loro destino dei libri che ci avevano entusiasmato, che avevamo sottolineato, annotato e citato. Lasciarceli alle spalle costituiva un tradimento verso questi compagni leali, e ce ne rendemmo conto quando decidemmo arbitrariamente di lasciare o di distruggere quei libri che credevamo di interesse strettamente nazionale o comunque limitato. Ingannammo con noi anche gli autori con respiro internazionale, senza renderci conto che sarebbero stati salvati dall'oblio o dal complice silenzio grazie all'opera di altre case editrici in Messico, in Spagna o in Venezuela. Abbandonammo alla loro sorte quelli che non avevano più bisogno dell'esilio e li condannammo a morte definitiva. Così rimasero indietro quei nomi, quei titoli e quelle case editrici che il tempo, poi, ci ha aiutato a dimenticare.
Ecco perché averli ritrovati in una notte d'inverno, in una strada piovosa di Parigi, salvati dallo zelo di un professore di storia che ha saputo vedere con maggiore lungimiranza che cosa aveva bisogno dell'esilio, mi ha provocato questa nostalgia non disgiunta da allegria. Il fatto è che averli visti mi ha richiamato alla memoria un ambito definitivamente perso e da quel momento ho cominciato a sentirne la mancanza. Ho voglia di riprendere a tenermeli vicino, per consultarli o per leggerli o semplicemente per passare lo sguardo sui loro dorsi familiari, per non sentire con tanta acutezza quello che è comunque un fatto definitivo: la difficoltà di tornare ad affondare le radici spezzate nella lontananza e nel passato.