Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 109
aprile 1983


Rivista Anarchica Online

L'anima leninista
di Luciano Lanza

«Sono convinto che il Partito esce da questo congresso fondamentalmente unito negli obiettivi principali, e potrà così moltiplicare l'iniziativa politica e il lavoro di massa verso l'alternaiva democratica. Al lavoro e alla lotta, compagni e compagne, al dibattito e allo studio di Marx e di tutto il pensiero moderno, verso più ampi successi, nell'interesse di questa nostra Italia così tormentata e così ricca di energie, e nell'interesse della pace nel mondo». Questa esortazione di Enrico Berlinguer, sommersa da un'ovazione, ha chiuso il XVI congresso del Pci. Un congresso maturato in un vero e proprio clima di suspence. Il congresso della svolta, dello strappo, della democrazia interna. I mass-media hanno per mesi alimentato le aspettative, poi, una volta conclusosi, in molti commentatori è sorto il legittimo dubbio che forse questo congresso non sia stato così clamoroso come ci si aspettava. Il dubbio è legittimo, ma forse non completamente fondato. Le novità ci sono state, anche se diluite, quasi sommerse, nella ritualità, nell'oleografia tipica dei congressi di partito.
Non grandissime novità, certo, ma comunque segni rivelatori di un processo in atto nel partito comunista. Un processo a cui il congresso ha solo alluso. La cronaca, dunque, ci racconta un aspetto parziale, ma da quella si può procedere per investigare la trasformazione, la mutazione dei comunisti italiani.
Innanzitutto è stata sancita e confermata la posizione critica nei confronti dell'Urss e una decisa posizione equidistante tra i due blocchi. Berlinguer, nella relazione d'apertura ha infatti dichiarato: «L'intervento militare in Afghanistan - e ci limitiamo a ricordare il fatto più grave - ha dimostrato che anche l'Unione sovietica ha avuto e può avere comportamenti propri di una politica di potenza e compiere atti contrari alla distensione e al rispetto della sovranità e dell'indipendenza dei popoli». Per arrivare ad affermare che: «Ecco le ragioni, sia di principio che di fatto, che ci inducono a rifiutare l'identificazione della lotta per la pace con lo schierarsi pro o contro uno dei due campi politico-ideologici o blocchi militari».
Con queste chiare parole il Pci ribadisce definitivamente la sua autonomia dal partito-guida sovietico e si presenta sulla scena politica italiana come forza legittimata al governo. I suoi avversari non potranno più invocare la dipendenza dall'Urss, ma dovranno confrontarsi con le sue proposte politiche, economiche e sociali. E le proposte fatte da Berlinguer sono improntate a un pragmatismo di tipo socialdemocratico: dall'analisi della crisi economica internazionale alla ricerca di soluzioni europeiste; dall'analisi del deficit pubblico alla proposta di un'imposta straordinaria sui patrimoni come primo passo per frenarlo; dal fallimento della governabilità fondata sull'asse Dc-Psi all'alternativa democratica. L'elencazione potrebbe continuare, ma non ci direbbe molto di più di quanto potrebbe proporre un qualsiasi partito socialdemocratico dell'Europa del nord, con in più una variante: la tanto famosa «diversità comunista». Anche questa però un po' più annacquata.
A onor del vero una voce, anche se praticamente isolata, si è levata per riaffermare l'autentica «diversità comunista», il richiamo al leninismo e all'alleanza con l'Urss: Armando Cossutta. Con un intervento calibrato e un po' dimesso, Cossutta ha ribadito il succo di tutta la sua «campagna filosovietica» dei mesi precedenti: «Ritengo che da una più compiuta definizione - ha dichiarato Cossutta dal palco del Palasport - in positivo, lungo la via maestra tracciata da Gramsci e da Togliatti, della nostra originale identità di forza rivoluzionaria, non potrebbe derivare che un allentamento del contrasto che vi è stato nel giudizio stesso sulle esperienze e sul ruolo degli attuali paesi socialisti. Allentamento che riprodurrebbe, ritengo, quando i compagni non si trovassero più nella condizione di dover definire la propria identità comunista essenzialmente in negativo». L'intervento di Cossutta aveva i toni del comunismo ortodosso: la fedeltà al partito anche quando questo sbaglia. Le sue critiche al nuovo corso socialdemocratico scaturiscono da una posizione leninista. La sua fedeltà all'Unione è la fedeltà a «una prospettiva rivoluzionaria».
I commentatori politici hanno fatto a gara nel definire superato e isolato il leader comunista. Ma Cossutta, pur relegato in posizione minoritaria, rappresenta qualcosa di molto importante in questo partito che sta cambiando. Non rispetto alle scelte contingenti, certo, ma nella veste più complessa di «analizzatore politico» del Pci degli anni ottanta, come ho recentemente tratteggiato in un articolo scritto prima del congresso (cfr. Pci: è venuto giù l'Armando, Volontà, n. 1/1983). Lo svolgimento del dibattito congressuale ha in buona misura rafforzato quella mia convinzione:
Cossutta ha il pregio di rivelarci il ritmo totalitario a cui batte il cuore del Pci. La relazione di Berlinguer è infatti un esempio di «leninismo socialdemocratico», ibrido connubio che però ha la facoltà di adattarsi molto bene alla situazione socio-politica di questo momento storico. A questo proposito è rivelatrice la frase con cui Ugo Pecchioli, il ministro-ombra degli interni, ha iniziato il suo intervento: «Se oggi ci possiamo muovere in avanti sulla strada dell'alternativa democratica è perché sono state salvaguardate, attraverso le difficili battaglie di questi anni, le condizioni, i presupposti, per poterci dislocare sui nuovi terreni di oggi. Dove sarebbe l'Italia, di quale alternativa democratica sarebbe possibile parlare, se grandi mobilitazioni di popolo (ed un ruolo certo non esclusivo, ma fondamentale esercitato dai comunisti) non avessero bloccato l'attacco terroristico e non fossero stati neutralizzati i tentativi di utilizzare il disegno eversivo e i suoi effetti disgreganti, per operazioni reazionarie?».
Parole, queste, che lette attentamente ci dicono che, secondo Pecchioli, oggi il Pci può portare avanti un programma socialdemocratico perché ha finalmente eliminato quel piccolo, ma fastidioso e rumoroso concorrente leninista: Br e affini. L'essere il solo depositario del leninismo (il Pdup è ormai nulla di più che un fiancheggiatore del Pci) permette a questo partito di dare del leninismo la versione che più gli è congeniale.
La tesi non è peregrina come potrebbe sembrare a prima vista, perché il leninismo è veramente un elemento fondamentale, un elemento costitutivo del partito comunista italiano. Senza di esso il Pci non sarebbe più se stesso, la sua «diversità» si dissolverebbe come neve al sole. Da qui, da questa constatazione bisogna partire per comprendere il senso della trasformazione in atto enunciata nel recente congresso. E da questa angolazione il ruolo di Cossutta assume un risalto che un superficiale esame dei rapporti di forza non ci direbbe. Infatti anche se solo una decina di delegati sui 1.109 presenti al Palasport erano dei cossuttiani, questo non deve trarci in inganno. Intanto va ricordato che la selezione dei delegati ha fortemente penalizzato quell'area composta da cossuttiani, rodaniani e militanti che gravitano attorno alla rivista Interstampa. Nella base del partito questa minoranza è più consistente, la possiamo valutare intorno al 15-20% con punte più elevate nei centri maggiormente industrializzati. La stessa composizione dei delegati non rispecchia la composizione sociale del partito che con un 40% di operai ha visto questa categoria rappresentata solo per il 29% al Palasport. Ma come dicevo prima, non è questione di cifre, perché questa minoranza ha il pregio di rendere palese, chiara, manifesta l'anima totalitaria del partito comunista. Mentre la maggioranza riformista occulta dietro linguaggi e proposte in assonanza con la nuova composizione sociale e la nuova collocazione occidentalizzante l'insopprimibile leninismo del partito. Questo, però, non vuole assolutamente dire che Berlinguer e soci facciano del puro tatticismo, della volgare copertura del loro leninismo, più semplicemente sta a significare che il Pci sta imboccando una versione tutta italiana e occidentale del leninismo classico, cioè di quel leninismo che Cossutta ripropone nella sua formulazione storica.
Ecco il nodo gordiano che i dirigenti comunisti stanno cercando di sciogliere: come rendere compatibile con le regole della democrazia occidentale le regole leniniste della conquista del potere. Compito davvero difficile, perché nel frattempo alcuni esponenti comunisti hanno imboccato senza eccessive riserve la nuova strada riformista, mentre Berlinguer, da saggio mediatore, cerca di non spostare troppo bruscamente l'asse politico del partito. Da partito confessionale il Pci vuole divenire laico, e infatti, forzando i tempi, Pietro Ingrao ha affermato: «Abbiamo recuperato le radici laiche delle nostre fonti. Il dissenso non è più un pericolo: è parte normale della nostra ricerca». Facendo dunque eco ed enfatizzando quanto Berlinguer aveva dichiarato nel discorso di apertura: «Partito nuovo, oggi, ma anche partito aperto e moderno. Aperto al suo interno al dibattito democratico più libero e più schietto; aperto alle critiche e alle sollecitazioni che una società ricca e vivace, che abbiamo contribuito a creare, esercita verso noi stessi. Moderno per il suo stile di lavoro, per la sua efficienza, per la sua capacità di tener conto delle trasformazioni ... ».
Partito nuovo, dunque, ma di quale tipo? Qui la risposta si fa difficile. Il congresso non l'ha chiaramente indicato. Le proposte innovative, la nuova strategia, indicata anche da Napolitano - il più liberaldemocratico -, non sono ancora compiutamente definite. L'analisi si fa più complessa perché, molto probabilmente, stanno divenendo obsoleti gli schemi interpretativi fin qui utilizzati per comprendere l'azione politica del Pci. E' solo grazie all'intuizione che è possibile indicare la nascita di una nuova forma-partito, scaturente dalla non meccanica sovrapposizione tra leninismo e democrazia occidentale, tra totalitarismo e «trasparenza del dibattito», tra oppressione sociale ed emancipazione economica, tra unità decisionale e possibilità del dissenso.
Tutti termini apparentemente e logicamente antitetici, ma che il nuovo corso del Pci pensa di poter coniugare congiuntamente. Sta nascendo il «totalitarismo democratico»?