Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 109
aprile 1983


Rivista Anarchica Online

A destra si svolta
di Maria Teresa Romiti

In Germania, in fondo, non è stata una sorpresa. E' stato solo l'atto ufficiale che ha sancito la caduta, già avvenuta, del partito socialdemocratico. In Francia è stata più traumatica: la sconfitta elettorale ha quasi travolto il governo che solo a stento, nel secondo turno elettorale, è riuscito ad arginarla. Il fatto non è stato però cancellato: la sinistra è stata sconfitta. Una solenne batosta dopo i trionfi di solo due anni fa.
Cercare di capire le ragioni, se di ragioni si può parlare, dei cambiamenti elettorali è sempre difficile. O meglio, è un'operazione a posteriori che cerca di razionalizzare il risultato: la dimostrazione più lampante è proprio la difficoltà di azzeccare previsioni. E' quasi impossibile precisare cosa ha spinto moltissime persone, nello stesso momento, a cambiare un segno sulla scheda, quali percorsi, consci od inconsci, hanno fatto cambiare la loro opinione. Il voto, noi lo sappiamo, è un gesto vuoto, inutile, non può cambiare nulla, è un simulacro e nello stesso tempo uno dei riti più importanti della nostra società: un gesto carico di simboli, il segno della democrazia, la sua povertà nel reale è caricata nell'immaginario di potenza favolosa. Si creano così interazioni simboliche che riempiono il vuoto, lo rendono ancora più difficile all'analisi. Dietro le razionalizzazioni dei giorni scorsi non c'è quindi molta possibilità di comprendere, ma emergono alcuni temi importanti.
Prima di tutto c'è il «logorio del potere». Specialmente durante i periodi di crisi, ci spiegano i politologhi, la gestione del potere è perdente. Sul governo si scaricano rabbie, angosce, difficoltà quotidiane e quindi parte dell'elettorato, la meno fedele, si distacca, si nausea, non ci sta più. Ma c'è una contraddizione più grossa, tipica dei partiti di sinistra, messa bene in luce da Wolf Dieter Narr, professore all'Università di Berlino: «Se, comunque, vogliamo cercare le cause della crisi delle socialdemocrazie europee possiamo trovarle dentro loro stesse, nella loro strategia riformista. Nell'accettare, cioè, pienamente il tradizionale modo di essere dello stato, con il suo sistema economico, e all'interno di questo quadro garantire un po' di giustizia in più. Ciò non le rende certo in grado di offrire delle reali alternative ai partiti conservatori».
La contraddizione dei partiti di sinistra si può considerare interna, consiste cioè nel loro accettare la strategia riformista e con questa le regole del gioco stabilite dagli «altri». Una volta giunti al potere, nella stanza dei bottoni, il trucco si svela, non è possibile mantenere le promesse. Sono cambiati i suonatori, ma la musica è sempre la stessa. La macchina Stato ha le sue leggi, è possibile usarla in un solo modo. Da qui la rabbia, il rifiuto, la ricerca di cambiamenti e nuove delusioni. Non è certo una novità, ma può dare una buona spiegazione delle sconfitte che hanno lasciato l'Europa scossa. E poi Narr prosegue delineando il quadro della società del futuro divisa in due gruppi: i ceti medi, tecnici, da una parte, e gli emarginati, gli sconfitti dall'altra.
La tendenza è una vera e propria trasformazione sociale alla quale stiamo assistendo senza muovere dito.
Proprio da questo punto di vista andrebbe allargato il quadro, anche per riuscire a capire perché queste sconfitte scuotono l'Europa tanto da dover rassicurare: non cambierà nulla, in fondo Kohl non è poi molto diverso da Schmidt, in fondo lo Stato ha le sue leggi. Vero. Tutto vero, fin troppo. Ma perché bisogna rassicurare?
Forse perché sotto ad una sconfitta elettorale c'è qualcosa di più grosso, come nota La Repubblica: «Ancor più determinante è stata la campagna dell'opposizione sul problema degli immigrati, lo sfruttamento delle animosità razziste che vengono a galla in tempo di disoccupazione». Ciò che, in fondo, molto in fondo, non lascia tranquilli è la coscienza che questa è solo la punta di un iceberg che sta affiorando: ordine, disciplina, militarismo, patria, eroi. E' il ritorno in grande stile della reazione, una reazione che ancor prima che epidermica è culturale e per questo forse ancora peggiore.
Il dato più importante nelle elezioni francesi è stata la paura, la richiesta, soprattutto nelle grandi città, di ordine e tranquillità, il razzismo contro gli immigrati e gli emarginati. In parte forse provocato dalla paura che serpeggia nei grandi centri urbani, dal degrado dei rapporti che fa della violenza la quotidianità.
Ma oltre il cambio è culturale, è il revival di moda che spesso nasconde solo il recupero del passato. E' il ritorno di temi e ideologie che si pensavano sepolte. Non è un caso che proprio in questi giorni due dei film di maggior successo sugli schermi mondiali siano «Rambo» e «Ufficiale e Gentiluomo», che riprendono temi cari al vecchio John Wayne. Ma è anche il ritorno delle commedie-tutte-buone-sentimenti, delle soap-opera che profumano di sapone come le case a cui fanno pubblicità. E' il trionfo di una scienza, la sociobiologia, a dir poco ideologica. E' il riaccendersi di vecchi dibattiti, che sembravano superati, come quello antropologico fra cultura/natura. O la battaglia di alcune associazioni americane per insegnare nelle scuole la teoria creazionista. Un ritorno alla grande.
Bisogna cancellare il ventennio appena trascorso, con i suoi miti, le sue trasgressioni, cancellarne anche la memoria perché è la testimonianza della possibilità di idee diverse, di cose diverse. In fondo, a pensarci bene, l'errore è stato proprio il periodo trascorso, la reazione è il modo normale di vivere dell'uomo. Del piccolo, stupido, grigio ometto che non è cattivo, ma non sopporta il vicino, il diverso, che è conformista fino alla pena, chiuso nella sua corazza da dove non vuole uscire perché ha paura.
Solo ogni tanto, come sprazzi di luce, la corazza si apre, si fanno avanti concetti più ampi, si torna a respirare l'aria pura, la tensione si alza. Ma sono solo attimi da prendere al volo prima che l'ometto si spaventi di se stesso e si ritiri nuovamente nel guscio. Bisogna scardinare la paura, togliere la corazza, perché l'uomo si accorga che può respirare con i propri polmoni. Anche questa volta, invece, non è successo così, la difficoltà di pensarci ci ha dato la vertigine, la paura ci ha soffocato. E il terrore ha ricominciato subito a serpeggiare: il terrore sottile del nuovo conformismo. Il terrore corposo della violenza gratuita, il terrore antico della vendetta, il terrore nuovo dell'ideologia. I mostri sono usciti nella città, hanno invaso i nostri cuori e richiuso le corazze.
I piccoli uomini grigi hanno continuato i loro cambiamenti. Piano piano tutto è tornato come prima, senza riso, senza gioia. La piccola grigia vuota vita dei tecnoburocrati.