Rivista Anarchica Online
Scarcerato Babar
a cura della Redazione
Dopo quasi cinque mesi di detenzione nel carcere di Mokotow, a Varsavia, l'anarchico belga
Roger Noël «Babar» è stato processato e condannato a tre anni di carcere annullabili dal
pagamento di una pesante cauzione. La cauzione è stata subito pagata e quindi Babar, il 26
novembre, ha potuto finalmente far rientro a Bruxelles. Pochi giorni prima i suoi compagni del
Gruppo autonomo libertario e dell'Associazione «22 marzo» avevano organizzato nella capitale
belga un concerto di solidarietà con Babar, protagonista il cantautore anarchicofrancese Leo
Ferré. Come si ricorderà, Babar era stato arrestato la sera del 2 luglio mentre stava per consegnare ad
elementi del dissenso polacco una radio-trasmittente, che era riuscito a portare con sé da
Bruxelles camuffandola come apparecchio per la misurazione del tasso d'ossigenazione del
sangue. Egli era infatti partito dal Belgio alla guida di un furgoncino carico di medicinali. In
sostegno con la sua azione di solidarietà internazionalista - ben chiarita nello stralcio dalla sua
lunga «lettera aperta agli amici della libertà» scritta in ottobre dal carcere (e pubblicata
integralmente sul n. 46 del Bollettino dell'Associazione «22 marzo») che pubblichiamo qui di
seguito - si è sviluppata una campagna di solidarietà che in Belgio ha coinvolto molte forze
politiche e sociali. Anche all'estero si sono avute iniziative di solidarietà.
I motivi che mi hanno spinto a lottare a fianco dei compagni di Radio Solidarnosc sono semplici.
Avendo io stesso conosciuto il periodo (molto meno pericoloso) della lotta illegale in Belgio,
conosco il valore di un aiuto esterno. La mia coscienza mi impediva di lavorare nella radio locale a
Bruxelles, sprofondato nella mia poltrona, sapendo che a soli 1.000 chilometri di distanza vi erano
persone che rischiavano la prigione per lo stesso ideale. Aldilà delle vane parole che venivano
riversate sul cadavere di Solidarnosc, in vari ambienti politici, sentivo il bisogno di andare oltre le
parole e di mettere in pratica la mia solidarietà. Bakunin scriveva «non posso essere libero finché vi
sia un individuo che non lo è». Questo principio è stato fondamentale durante la mia vita. Non ho mai avuto l'intenzione di
diventare un martire per il sindacato polacco, ma le riunioni collettive, le manifestazioni e le feste
di solidarietà a Bruxelles non potevano bastarmi. Il mio obiettivo non era presuntuoso. Intendevo
semplicemente aiutare, con i deboli mezzi in mio potere, un movimento autogestionario,
schiacciato sotto i colpi militari, ma non ancora abbattuto. Dai primi interrogatori la polizia polacca
ha cercato di cucirmi addosso un abito che non mi si addice per nulla. Da agente del ministro degli
affari esteri belga a quello di intermediario ad alto livello di una rete internazionale che riunisce i
settori interni ed in esilio del sindacato, i militari non possono concepire che avrai potuto agire di
mia iniziativa e senza l'ordine di nessuno. I luogotenenti dell'ideologia comunista non possono
concepire che un lavoratore belga possa fare un gesto di internazionalismo concreto verso i suoi
compagni polacchi. Non sono mai stato membro di Solidarnosc, né qui né altrove, sono sempre stato un collaboratore
esterno, le mie critiche libertarie verso il sindacato sono ben conosciute dai miei amici e non credo
che sia questo il momento di spiegarlo. Ma sia ben chiaro, io non sono l'agente di nessuno. Gli atti
di solidarietà individuale esisteranno sempre, anche e soprattutto quando se ne collettivizza lo
spirito. L'impegno personale e concreto si manifesteranno malgrado l'obiettività delle buone
coscienze. Quando un uomo è schiacciato a terra dal suo boia, niente è peggio della neutralità. Durante tutta la fase istruttoria ho avuto la sgradevole impressione che le autorità polacche non
fossero per nulla daccordo fra loro sulla mia sorte, per questo le promesse si sono succedute una
all'altra senza sboccare in nulla di concreto. Promesse di liberazione su cauzione a fine agosto, poi
inizio settembre, poi fine settembre, poi inizio ottobre ... fino a quando il Procuratore incaricato
dell'inchiesta mi dava per certo verso il 25 settembre che ora mi «era cosa di giorni». Oltre la
tradizionale tattica poliziesca (dicci tutto e penseremo noi a sistemare le cose), penso che si tratti
soprattutto di un disaccordo a più alti livelli politici polacchi sul possibile uso strumentale del mio
arresto. Stando alle ultime notizie, sembra che ormai la scelta del processo si sia imposta. L'analisi
che segue è al condizionale, dato che non possiedo nessuna informazione benché debole che ne
garantisca l'esattezza. Due tendenze si sarebbero affrontate fino ad arrivare a questa decisione (indubbiamente avvenuta il
1° ottobre). Il Ministro degli interni (MSW) riteneva i 3 mesi di carcere e il pagamento di una
cauzione, una pena sufficientemente dissuasiva. Dal canto suo, invece, la procura generale
(giustizia militare) giudicava indispensabile una condanna formale dopo la comparsa davanti alla
corte militare. Quest'ultima opzione merita un discorso più approfondito. E' evidente che il mio processo è principalmente destinato a un utilizzo pubblico e di propaganda.
Ciò che è meno evidente, di primo acchito, è che non è direttamente la società polacca ad essere
presa di mira con questa operazione. Certamente la sentenza del tribunale permetterà di riaffermare
di fronte alla popolazione l'autorità dello stato ma ... è il segreto di Pulcinella che numerosi turisti
venuti dall'Ovest forniscono (a titolo individuale) un aiuto logistico indispensabile a «Solidarnosc»
(materiale da stampa, carta, inchiostro, pubblicazioni .. .) e fanno sì che al loro ritorno si abbiano
informazioni sulla situazione reale in Polonia. E saranno questi il bersaglio al mio processo. Fare
un esempio per intimidire ed esportare la paura aldilà delle frontiere sarà il movente dello
spettacolo giudiziario. I militari vorranno tramite la mia persona frenare l'aiuto ai lavoratori
polacchi. Non lasciatevi quindi paralizzare, la vostra perseveranza in un aiuto concreto (morale e sociale) a
«Solidarnosc» sarà, in definitiva, il vero giudizio. Qualunque sia la sentenza, non lasciate scalfire il
vostro coraggio e la vostra coscienza che vi spingono a sostenere concretamente la speranza
autogestionaria della società polacca. ( .. .)
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