Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 142
dicembre 1986 - gennaio 1987


Rivista Anarchica Online

Il problema della lettura
di AA. VV.

Voci e opinioni sulle comprensione del messaggio artistico nel passato, nel presente, nel futuro.

Vivere nella realtà

(V. Accame)

È difficile che il narcisismo possa diventare o risultare un buon alleato dell'artista. L'artista vero ha la consapevolezza di quello che sta facendo e l'invenzione comporta sempre una fatica. La "necessità" di creare è la stessa "necessità" connaturata all'uomo, di essere libero. L'artista, più di ogni altro uomo, capisce il senso e il valore della libertà. È evidente che l'artista possa anche provare piacere a "comunicare agli altri le sue emozioni ecc...", ma il fatto più importante è che le "deve" comunicare. Qualunque sia il suo tipo di lavoro, l'artista lavora "per dare poesia al mondo". E in quanto al rapporto tra messaggio e linguaggio, il problema non si pone neppure; perché l'artista non "sceglie" un linguaggio; messaggio e linguaggio si identificano; l'artista comunica soltanto come sa comunicare (in questo è esattamente l'opposto del politico!).
L'artista non può estraniarsi dalla realtà, anzi, deve vivere nella realtà, nella realtà in trasformazione. Non esiste un artista "inconsapevole". L'arte è in continua evoluzione (i "ritorni" sono soltanto mode, speculazioni di mercato, che nulla hanno a che fare con l'arte: perché l'arte è, prima di tutto, invenzione). È difficile comunque configurare una funzione dell'artista (dove? nella società!); e non credo che l'artista sia più "sociale" perché dipinge operai o canta la fatica dei contadini nei campi; o sia più "utile" all'umanità perché dipinge una colomba. Ben inteso: un artista può anche dipingere una colomba, e con questo esprimere un messaggio di pace, ma la colomba ha ben poco a che fare con la sua arte. Se Picasso avesse dipinto una colomba negli anni Dieci, poniamo, nessuno l'avrebbe percepita come un messaggio di pace. Pensiamo del resto a quanti milioni di colombe sono state probabilmente dipinte, a quanti canti di libertà sono stati scritti... senza lasciare alcun segno determinante nel mondo. Sì, quella di modificare il mondo, dandogli appunto "poesia", è una delle più sentite - e recondite - ambizioni dell'artista, e probabilmente è anche la sua unica ragione d'essere; ma il mondo non è sempre... dello stesso avviso. Anzi, diciamo pure che l'artista, nel mondo, è sempre un emarginato, e che una sua "integrazione" comporta una necessità di compromesso che toglie autenticità alla sua arte, fino ad annullarla. Ogni epoca storica, ogni regime sociale, hanno sempre cercato di condizionare l'artista, anche se, ovviamente, in misure diverse. (. .)
Non ritengo libertario nessun "ritorno", nessun rifacimento e nessuna soluzione semplicistica del problema dello stile (cfr. "postmoderno" ecc.); come non sono libertarie le compiaciute proclamazioni di "crisi", di "debolezza" o d'altro, assunte a teoria estetica o filosofica. Libertaria può essere soltanto un'arte "al di fuori del sistema": ma questa è soltanto una premessa, perché, ovviamente, di per sé, non basta. Un'estetica libertaria, del resto, non può che guardare verso il futuro. L'utopia, comunque, è sempre meno improbabile di quanto riusciamo a immaginarla.

Nemmeno sull'astronave

(R. Aricò)

Come fa un artista ad estraniarsi dalla realtà? Neanche vivendo su una nave interstellare ci riuscirebbe. L'artista è un uomo, un uomo che pensa e vive subendo gli "stimoli sociali" come qualsiasi altro uomo che esplica in una qualsiasi altra attività - cos'altro?

Comunicare le proprie visioni

Carla Accardi, pittrice, fin dal 1946 quando si trasferisce a Roma si inserisce attivamente nel movimento artistico europeo. Numerose le sue mostre in tutto il mondo.

Ho creduto molto al compito di allargare ai molti la comprensione riservata ai pochi. Negli ultimi anni però il fenomeno del consumo di massa della cultura ha bloccato quella tensione.
È assurdo supporre che il narcisismo possa scaturire in qualche cosa di creativo; lo vedo infatti come un vero e proprio blocco alla creatività, in quanto ti impedisce di uscire fuori da te. Il momento creativo è lo stadio successivo al narcisismo, il desiderio cioè di comunicare le proprie visioni.
Non spetta a me sapere quale dovrebbe essere il rapporto tra messaggio e linguaggio; questo rapporto o c'è o non c'è arte; non si può codificare.

Il pane e l'estetica

(Aut-Art)

Non esiste un rapporto proporzionale tra la libertà espressiva e le condizioni sociali anche se diverse ipotesi di carattere psicanalitico e sociologico si potrebbero azzardare. Spesso è necessario, per chi si occupa di attività creative, porsi dei limiti affinché si possa analizzare più scientificamente il campo da esplorare.
Anche se la parola "limiti" suona male, è fondamentale come concetto. Fermo restando che più la società è libera più ti permette di creare, è vero d'altra parte che l'operatore deve porsi degli ambiti circoscritti in cui operare. Pasternak diceva: "più catene ho addosso, più mi sento libero". Questo dovrebbe sempre essere attuato da chi opera in campo artistico. Il limite è sempre coscienza di sé e se l'artista non è cosciente, non sarà mai produttore d'arte ma solo un imbonitore. Chi intraprende un processo artistico, inizia quelli che Heidegger chiamava "sentieri interrotti"; se nel momento artistico c'è una componente di godimento, nello stesso tempo ce n'è anche un'altra che fa scattare quella molla creativa per cui devi oltrepassare il punto ove sei arrivato.
La funzione sociale dell'arte si riassume nel bisogno della dimensione estetica. L'essere umano ne ha bisogno al pari della pagnotta. Per quel che riguarda la figura e la funzione dell'artista c'è da dire che in certe situazioni queste sono state tanto in sintonia con i momenti sociali del loro periodo da poterne rappresentare l'"aspetto artistico" ma è stato un caso.

Multa paucis

(E. Baj)

Enrico Baj, neo-dadaista, surrealista, patafisico, svolge la sua attività artistica a Milano dove è nato nel 1924. Tra le sue opere, sempre fortemente satiriche, ricordiamo "I funerali dell'anarchico Pinelli" e la serie dei "Generali".


L'arte può essere considerata come un sistema di memorizzazione e di comunicazione che serve agli uomini per comunicare tra loro anche in epoche diverse. Così attraverso l'arte io posso ancora ricevere informazioni, oggi si dice "bit", dal Cinquecento, sul Rinascimento, ecc... Questo è uno dei tanti aspetti dell'arte, il suo aspetto comunicativo che ne fa un linguaggio. L'arte può essere:
A) rappresentativa e celebrativa, descrivere cioè e glorificare la realtà, la natura, il potere, la gerarchia, le ideologie di asservimento, che cioè servono a controllare e a sottomettere.
B) oppure può, e direi deve, essere arte di immaginazione e di invenzione.
Questo è il tipo di arte che ci interessa poiché coinvolge la creatività e quindi la sua incidenza sul reale: oggi che siamo più condizionati che mai, e quindi più schiavi, di macchine, computer, memorie artificiali, intelligenze a circuiti stampati, codici anagrafici, postali, telefonici, fiscali, assistenziali, eccetera, l'arte rappresenta l'unico linguaggio non controllabile dalle strutture dell'organizzazione. L'arte ci consente ancora una certa clandestinità privata, perché l'arte è un linguaggio non decodificabile a livello amministrativo.
I messaggi artistici, poetici, filosofici, concettuali sono in genere ricchi di idee, ma recepiti da pochi: multa paucis. In genere la pigrizia mentale solletica e sospinge verso manifestazioni esteriori e in sommo grado effimere, come la moda o il campionato di calcio. Si trova caro un libro a lire 20.000 ma non un pieno di benzina a 60.000 lire, un posto allo stadio per lire 100.000 o una cravatta a 50.000. Non c'è bisogno di una società utopica ma molto più semplicemente di un tessuto sociale ove i soldi vengano spesi un po' meglio.

Come Sisifo

(R. Barletta)

L'artista crea perché dal di dentro sente il bisogno di creare: è un impulso non spiegabile razionalmente e biologicamente. Psicologicamente tale impulso è derivato da un misto di narcisismo e di bisogno di comunicare con gli altri. Il rapporto tra messaggio e linguaggio è sempre precario, indeterminabile, evoluzionistico. L'arte è un fluido in movimento dentro il fluido che è la vita storica e collettiva. La normatività nell'espressione artistica è costituita da brevi segmenti.
La creazione artistica dalle caverne preistoriche ai lager moderni è sempre riuscita a prodursi, come il filo d'erba nella roccia riarsa. La pulsione libertaria, la sfida al destino, è parte essenziale dell'arte.
Al contempo, l'artista è dentro e fuori la realtà. Per lui non c'è un "dover essere", c'è una libertà senza limiti; tuttavia la condizione dell'artista è pari a quella di Sisifo.

I vecchi e i postmoderni

(G. L. Bellei)

Storicizzandosi, gli artisti, i movimenti rivoluzionari diventano oggetto di attenzioni e simpatie della nuova intellighenzia borghese che alfine ne appiattiscono il messaggio.
Per questo l'unico termine di paragone che può definire l'artista (anche se oggi i critici lo rinnegano) è l'autenticità del messaggio estetico. Autenticità che è legata al momento storico in cui si opera (ovvero al presente: sempre così sostanzialmente uguale ma diverso dal passato) ed al comportamento dell'artista stesso, crea un proprio "linguaggio" il quale è direttamente connesso con il suo intrinseco ed oggettivo "messaggio". In quest'ottica reazionario appare tutto ciò che è obsoleto o non in diretto rapporto con i propositi libertari di "cambiamento" o meglio di rivoluzione. Obsoleto è quindi anche tutto ciò che risulta storicizzato e di conseguenza amorfo e sterile nelle sue pur apparentemente vive espressioni.
Perciò solo un rinnovamento costante del linguaggio può contenere in sé il germe della contestazione come viceversa la contestazione obsoleta e fine a se stessa risulta alfine sterile e vuota se non è correlata ad un progetto di liberazione che pulsi intrinseco nell'atto del fare arte come nella sua "anima".
Tale progetto può essere altresì insito soltanto in una mente libertaria e, per di più, cosciente e non altrimenti in sé, come l'arte per l'arte e le sue correlate concezioni borghesi.
Ma rinnovamento vuol dire anche consapevolezza della propria ed attuale situazione storica che, oggi come oggi, appare da un lato dominata dai vecchi maestri i quali, incapaci di comprendere una realtà in movimento (o per scarso potere contrattuale nei confronti dei mercanti e dei propri acquirenti che richiedono le stantie - ma paganti sul mercato - opere giovanili rivoluzionarie, o per propria incapacità al rinnovamento), riciclano ossessivamente la loro immagine primigenia e dall'altro lato dai giovani cosiddetti postmoderni.

L'artista come filtro

(M. Bentivoglio)

La creatività non può venire trasformata in merce. Semmai piuttosto il prodotto della creatività, l'opera. Ma il condizionamento, qualsiasi tipo di condizionamento (ai limiti la solitudine dell'individuo, il destino di morte) è all'origine stessa dell'attività creativa. Non dimentichiamo che in una società senza mercato sarebbe il potere politico a condizionare l'artista (e in Italia convivono i due condizionamenti). L'artista ha sempre contrabbandato il livello espressivo in un prodotto che aveva una funzione sociologica. Il livello sociologico è solo uno dei livelli: quindi è possibile la convivenza di prodotto commerciale e messaggio di rottura. Ma è rara e difficile; richiede profonda maturità critica, perfetto equilibrio tra capacità di "sentire" e intelligenza ossia capacità di "relazionare" (...).
L'artista non si chiede perché opera, per la stessa ragione per cui non se lo chiede chi fa l'amore, ma l'amore è stato dato all'uomo per la conservazione della specie. Ebbene l'artista, quando opera, comunica; è il filtro individuale di una cultura prodotta dagli uomini. Quando opera è dentro all'umanità tutta intera, ne è l'espressione e il veicolo espressivo. Nell'opera vitale il rapporto tra messaggio e linguaggio è: identità. In ciò che definiamo (ritengo impropriamente) arte, in ciò che non è mera illustrazione, il linguaggio non è una veste con cui si copre una nudità. Quel messaggio può avere solo quel linguaggio. È il linguaggio a dettarlo.

Specchiarsi negli altri

Claudio Costa, è nato a Tirana (Albania) nel 1942. Vive a Genova dove opera come pittore e scultore. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero.

Premesso che ritengo la creatività innata in ogni uomo e che la società, per poter sussistere deve basarsi proprio sul controllo di tale creatività, riferendomi ad una società dell'Utopia, solleciterei l'io collettivo ad un maggior coinvolgimento nella sfera dell'artisticità, alla sua quotidiana presa di coscienza, forse destabilizzante per la tranquilla sicurezza mondana, ma essenziale per una conoscenza allargata e culturalmente fondata delle capacità umane.
In senso lato, la creatività può essere usata sul piano del mercato ed entrarvi per la carica innovativa che essa rappresenta rispetto a modelli estetici precedenti. Spesso essa si misura coi prodotti di maggior consumo, basta pensare al design, alla moda o alla pubblicità. La creatività, essendo patrimonio comune dell'uomo, viene incanalata dalla società stessa soprattutto verso quegli aspetti che ne possono migliorare l'economia e la sua definizione statuaria. Se ci si vuol riferire alla creatività dell'artista, ritengo che ben difficilmente l'artisticità possa essere trasformata in prodotto commerciale vero e proprio, l'artista ha un suo statuto antropologico diverso e particolare e la sua vita è un tentativo di riallacciarsi continuamente all'assoluto con il suo lavoro. L'artista opera non pensando se sarà recepito dal mercato e quando ciò avviene, si produce comunque su un piano ristretto. È chiaro che nel momento in cui l'artista entra nell'ottica del mercato, ne dovrà subire anche certi condizionamenti che, pure, rimangono diversi da quelli del prodotto commerciale vero e proprio.
L'artista ha a che fare col linguaggio, con la sequenza dei codici infiniti che lo determinano, con le poetiche che lo fanno mutare. Anche se la prima molla motrice può rivelarsi narcisista, sarà quella di un Narciso che si specchia negli altri per trovarvi un atto specifico di comunicazione. Il rapporto tra il messaggio e il linguaggio che l'artista sceglie per comunicarlo è, molte volte, in anticipo sui codici esistenti e spesso gli si può accedere solo a posteriori (...).
Ci sono stati (ci sono e ci saranno) casi in cui l'artista si è estraniato dalla realtà, come casi in cui si è fatto attento "sensore" del sociale, momenti in cui si è rivolto a problemi che riguardano l'uso più specifico del suo lavoro, o situazioni in cui questi atteggiamenti si sono alternati. Dando un'esatta classificazione all'artista per collocarlo in un corollario inquadrabile rigidamente, mi sembra di ridurne il concetto di libertà che è il primo attributo riferibile al suo essere.

Per sconfiggere la morte

(G. di Genova)

Ogni artista è soggetto alla coazione, a ripetere, ad associare ed a simbolizzare, che è comune a tutto il comportamento umano. Tuttavia in ciò l'artista investe più pulsioni individuali di qualsiasi altro. Il comunicare è un momento secondario. La prima spinta di ogni artista è di conoscere se stesso attraverso simbologie espressive (= linguaggio) che si concretizzano nell'altro da sé (= l'opera). Ogni artista tende a restituire in primis a sé e poi agli altri un autoritratto psicologico-simbolico il più completo possibile. E più che per narcisismo o megalomania (componenti, comunque, fondamentali in ogni atto creativo, non solo nel campo dell'arte), fa ciò per sconfiggere la morte, per andare al di là della sua vicenda effimera, del suo transeunte esistenziale. Il vero fine di ogni essere creativo è andare oltre i propri tempi d'esistenza, è insomma l'aspirazione all'eternità, o l'eternità in senso storico-umano. Per la scelta del messaggio e del linguaggio l'artista non è mai libero, in quanto è condizionato dalle sue attitudini, dai suoi bisogni, dalle pulsioni del suo inconscio, tutte cose che sfuggono alla sua volontà e per questo le avverte come estranee, addirittura superiori a lui. Non a caso s'è tanto parlato dell'antichità all'epoca romantica d'ispirazione riguardo all'artista. (...).
Se è vero che l'artista è sempre anarchico, lo è per sua natura e non necessariamente per convinzione. In arte il termine libertario non può avere lo stesso valore che ha in politica. Pertanto è libertario in arte ciò che libera energie creative e simboliche trattenute nell'inconscio collettivo e personale dell'io creativo.

Migliorare il gusto

(P. Euchaurren)

L'artista crea per piacere narcisistico, ma anche per comunicare, anche se comunicare non vuol necessariamente dire comunicare a tutti (...).
Penso che come ogni altro uomo anche l'artista non possa che essere calato nella realtà, ma non necessariamente dicendo questo intendo che occorra produrre opere d'impianto sociale, spesso l'essere inseriti nel mondo reale si esplicita non solo nei contenuti ma nei modi di lavoro, per esempio nella capacità o nella voglia di colorare l'esistenza, o semplicemente di immettere il proprio lavoro nella vita quotidiana, di tentare cioè di migliorare la percezione estetica, il gusto.

Il portavoce "puro"

Renzo Margonari, nato a Mantova nel 1937, è scultore, pittore, incisore, saggista e critico. Ha contribuito alla rivalutazione del surrealismo in Italia.

L'artista crea per la volontà di creare, non può sottrarsi a questo impulso. Usa dei segni. In questa condizione è intrinseca la ricerca della possibilità di comunicare. Ma l'unica possibile problematica dell'arte è l'arte stessa. Essa non può comunicare altro che il senso dell'esistenza, inconoscibile e che tutti cerchiamo di conoscere, il perennemente relativo, il perennemente libero perché non codificabile. Se fosse possibile definire il concetto di arte non sarebbe utile alcun tentativo di produrla.
Però si può cercare di definirne le necessità, anche se ogni condizionamento è contrario al senso stesso di arte: la libertà al di fuori d'ogni finalizzazione se non quella stessa del suo farsi; dunque la completa sincerità. Un messaggio può emozionare solo quando ha la capacità di riprodurre il vero, di scavare sotto l'incrostazione delle convenzioni e di ritrovare l'arché, l'origine. Perciò l'arte dev'essere una scelta non finalizzata a qualsivoglia utilità, affermazione, successo o danaro.
Le sue applicazioni, utilizzazioni, non riguardano l'artista se non come aspetti secondari rispetto alla stretta necessità d'espressione. L'artista per questo suo modo di essere "vero" non è mai estraneo alla realtà, perché "vive" (non "contempla" come vuole la morale borghese) capisce, opera per sé, per la sua vita, dimenticando la relazione sociale e comunitaria ma proprio per questo ne diviene il portavoce "puro".

Come i terremoti

(M. Persico)

Il rapporto che l'artista intrattiene con la realtà tangibile e con la società, oggi non è terapeuticamente conflittuale come un tempo. I meccanismi della società, i ritmi e, soprattutto, le strategie di chi ha sempre dominato sono notevolmente mutati. Gli aculei dell'artista si sono spuntati contro le patine protettive delle nuove burocrazie culturali. Il suo gesto non meraviglia più nessuno dal momento che regole aggiornatissime e capovolte rispetto a quelle del passato lo hanno letteralmente svuotato: lo si assorbe nella duttile e opportunistica logica del "sistema"; lo si colloca nei musei; gli si costruisce una gabbia dorata. Quando, nonostante ciò, qualcosa accade, vi è sempre il silenzio lucidamente organizzato intorno all'irriducibilità di quel gesto.
Non esistono condizioni particolari che permettono la creazione artistica. Questa convinzione riguarda i sociologi dell'arte che, come sempre, cercano di ridurre in formulette segni che non sono imprigionabili a vita nei vari lager enciclopedici da essi pazientemente edificati. "L'arte, come i terremoti, non è inscatolabile".
La pulsione creativa-libertaria vi gioca un ruolo fondamentale, ma non bisogna equivocare sull'aggettivo. Artaud diceva "... la poesia è anarchica, nella misura in cui rimette in discussione tutti i rapporti fra oggetto e oggetto, e fra forme e loro significato. È anche anarchica nella misura in cui la sua apparizione deriva da un disordine che ci riavvicina al caos". Orbene, l'azione libertaria dell'arte scaturirebbe dal disordine esistente nell'artista, disordine cui non è attribuibile necessariamente un'intenzione.

Al di là del linguaggio

(G.G. Spadari)

Le condizioni che permettono la creazione artistica sono all'interno dell'individuo artista. Si possono fare esempi di società autoritarie e limitatrici delle libertà individuali dove si sono create autentiche opere d'arte, mentre non è sempre detto che in una società dove è garantita la libertà di ricerca artistica, sempre si avranno risultati creativi validi. La pulsione libertaria è alla base della creatività artistica anche se l'artista non sempre ne è cosciente. Io credo che tutto quanto si è fatto nella prima parte del nostro secolo è frutto di un'azione libertaria. In particolare il surrealismo e il dadaismo con linguaggi assai differenti si sono posti questo problema. Erano comunque linguaggi di rottura. Ma credo anche che non sia scritto da nessuna parte (quindi non è una verità rivelata) che bisogna adoperare linguaggi di rottura per essere libertari.
Si può essere libertari anche adoperando linguaggi "evolutivi" all'interno della storia dell'arte. Ci sono anche dei linguaggi che in apparenza sembrano nuovi o di rottura e invece sono reazionari. Credo anche che molta "arte astratta" sia reazionaria pur usando un linguaggio nuovo o semi-nuovo, come lo può essere un linguaggio figurativo che fa astrazione o riduce la realtà a significato astratto.

Come un alchimista

Bruno Conte, è nato nel 1939 a Roma dove vive e lavora. Il suo operare, dalla grafica alla costruzione oggettuale si svolge parallelamente ad un'attività letteraria.

L'artista, ma chiunque progetta o fabbrica inventando, dovrebbe trovare, pur nella complicità delle relazioni, l'autenticità del proprio campo. Così il fruitore dovrebbe essere in grado di riconoscere questa autenticità. L'incontro può avvenire in un comune terreno culturale. Che cosa si intende per cultura? Non tanto conoscere l'epoca di un monumento quanto apprezzare le forme dei sassi lungo un fiume o la materia della corteccia di un albero. Apprezzare quindi un monumento con la stessa sensibilità con cui si osserva una roccia vulcanica. Cultura come educazione per ciechi, dal sasso alla cattedrale, dal segno lungo un muro al quadro nel museo. Chi può dare questa educazione, stabilire questo contatto? Il potere politico volta le spalle. La critica d'arte segue il mercato dell'arte e si dedica a collezionare artificiali movimenti storici. I mercanti favoriscono la produzione di ciò che ritengono facilmente vendibile, l'arte precotta che piace in un minuto e già vale di più.
Compio il mio lavoro da alchimista e lascio le mie opere aperte allo sguardo. Non vorrei definire il significato di una mia opera dinanzi a una platea. Ci sono in una platea tante parti di me stesso a cui sento di rispondere ma mi asterrei dal suggerire una definizione che vada bene per tutti. L'opera è stata concepita infatti per una moltitudine di solitari, ognuno ne riceverà in primo luogo una suggestione indefinita (l'opera deve dare, al di fuori di ogni commento letterario, una suggestione) che prenderà poi una forma entro la natura e l'esperienza della personalità. Non ci sono allegorie a priori, ognuno potrà muovere le proprie allegorie rispondenti. Il contatto deve avvenire specchio contro specchio, l'arte del fare e l'arte del vedere hanno lo stesso valore. L'indeterminatezza di un messaggio profondo matura nel tempo con maggiore efficacia di un circoscritto messaggio di superficie.
Chi opera ricercando una verità nel campo dell'arte non sempre riesce, se emarginato dal potere dominante, ad avere forza per modificare il sistema. Può soltanto lasciare il proprio messaggio. è necessario qualche momento di silenzio per raccogliere i messaggi isolati. Il mondo non è in pericolo per una guerra nucleare, È in pericolo per una aridità di immaginazione che può scatenare una guerra nucleare.