Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 142
dicembre 1986 - gennaio 1987


Rivista Anarchica Online

Emma coi baffi
di Daniela Bognolo

Daniela Bognolo (Venezia, 1946) vive a Milano, dove lavora come insegnante. Tra le sue mostre personali ricordiamo "I malfattori. Fatti e personaggi dell'anarchismo". Ha collaborato in passato alla grafica di "A".

Perbacco! Mi sono detta. Perbacco! Rispondere ad un questionario sull'arte e, per di più, dalla parte dell'artista!
Tante belle domandine in fila a cui dare risposta con la competenza e la serietà del ruolo.
Dunque: cosa significa per lei l'arte?
Oh dio è il "lei" che mi preoccupa!
I compagni di "A" che mi danno del lei?
Vuoi vedere che è una cosa di quelle ufficiali?
Allora è meglio documentarsi!
Prendiamo il breviario mai superato "Arte e Anarchia" del Wind e rispolveriamo i concetti base: è sempre meglio farsi vedere allineati! Attira simpatia e dà un certo non so ché di affidabilità.
Poi ci penso e mi dico: ma a che cosa serve?
Basta acquistarlo il Wind; è più affidabile della sottoscritta con tutte le sue puntuali interpretazioni ed è senz'altro più chiaro delle mie elucubrazioni.
Lui si che sa cosa vuol dire arte!
Io che l'artista la faccio a tempo (quasi) perso e che i consensi che ho, se li ho, li ottengo dai compagni che si identificano con il mio disegno della barba di Bakunin o del profilo di Cafiero, cosa posso mai sapere?
Eppure ogni tanto fa bene mettere in fila le proprie sensazioni, idee ed opinioni: ora ci provo e vedo cosa ne viene fuori.
Però lo faccio a modo mio senza badare alla sequenza delle domande.
Perché faccio dell'arte?
"Quando la vita è romanzo!"
Beh la mia mamma lo diceva sempre che ero portata per il disegno! E poi il benevolo consenso dei parenti: "è proprio bravina, bisogna assecondarla, per lei ci vorrebbe una scuola ad indirizzo artistico" e simili altre baggianate.
Così una comincia: "guarda com'è somigliante il ritratto dello zio Argeo; due linee qua e due ombreggiature là e sembra proprio lui; tutta suo nonno (artista di fama, anarchico, perseguitato dai fascisti e morto giovane)".
E poi, a natale, mentre gli altri trovavano il Monopoli o la bambola Lenci, per me c'erano il blocco dei fogli da disegno e la scatola (carissima per le possibilità della mia famiglia) di tempere o di colori ad olio.
Gli acrilici, vennero molto tempo dopo!
Che fare allora?
L'unica cosa era usare gli strumenti che mi erano stati messi a disposizione.
Così iniziò l'avventura!
La comunicazione attraverso il segno anziché attraverso la parola.
Il disegno come padronanza della realtà: un modo di farla propria, anziché parlandone, disegnando.
Così mi sono trovata un'altra realtà, quella mia, mediata dallo sfratto fresco fresco e dal cerchio cromatico di Ostwald, dalla battaglia per entrare, alle otto del mattino, nell'autobus n° 56, strapieno, e dal mio partner che (anche lui!) pensa che non mi dedico sufficientemente all'espressione artistica!
Risultato?
Una definizione di "arte" un po' sbilenca e rattoppata, a metà tra il messaggio, la creazione ideale pura e la pulizia del vetro dell'auto che nel frattempo (grazie al mio stipendio di insegnante) mi sono potuta comperare.
Anche il segno che lascio ogni mattina sul parabrezza ha una sua logica comunicativa no?
Ma ha anche un'altra logica, precedente; quella di idea che si forma prima di diventare segno!
Che delusione poi la realtà!
Non per via della mancanza di consenso che c'è in tutti gli aspetti quotidiani e neanche per la ipotetica non corrispondenza tra idea e forma, ma perché manca la valutazione oggettiva come la vorrebbe l'artista (?) sul prodotto finito.
Cosa vuol dire?
A me per esempio piacerebbe che non si liquidasse il problema critico con un giudizio della serie: "il risultato cromatico è convincente" oppure, "l'equilibrio nella costruzione formale è degno di nota", ma che si potesse dibattere (ma si può?), demistificando, l'ideale contenuto artistico (due milioni di anni di imbroglio critico), sul significato concreto dell'elaborato e sulla sua relazione con l'esperienza umana.
Si, è vero, puzza di sociologia ed il delirio interpretativo critico non può certo accettare che si volgarizzi il contenuto "dell'opera d'arte", ma è una vita che ci provo e, prima o poi, qualcuno lo troverò che accetta questo confronto!
Che sia un modo "diverso" di giudicare "l'opera d'arte"?
Oh dio è pericoloso buttarsi su questa strada perché, qualche collega "artista" me lo rinfaccerà, si finisce per non definire più il sottile, sottilissimo, inconsistente confine tra arte e artigianato.
Messa alla pari di un madonnaro della Val Lagarina? Di quelli che per tutta la vita fabbricano quelle deliziose statuette di legno stilizzate della madonna a mani giunte?
Ma scherziamo?
C'è una bella differenza!
Innanzitutto... Innanzitutto cosa? La manualità ce l'ha migliore lui di me; poi lui è polivalente: scolpisce e colora; poi lui produce simboli della società e, per quanto mi riguarda, è tutto da stabilire che documentare la caduta (si fa per dire) di Giuseppe Pinelli del quarto piano di Fatebenefratelli sia una necessità sociale.
Mentre la madonnina di legno con le mani giunte, non mi pare che sia il caso di contestarlo, lo è e come!
Me lo lasciate dire, vero?, che questa universalità è un mito per la produzione artistica con il marchio di garanzia se si continua a considerare l'arte una parrocchia dai contenuti elevati ed illuminati?
E resterà, a mio giudizio, un mito anche in presenza di fenomeni massificanti che di universale hanno il fine puramente e bellamente commerciale e ben poco di effettivamente educativo.
Una parentesi: ho detto "poco"; però per un certo verso importante. A volte infatti la cosiddetta massificazione impone che si esca dall'equivoco puramente estetico ed alla moda per entrare nel campo dei contenuti: ecco questo è importante. Pericoloso, ma importante!
Pericoloso perché diventa facile contrabbandare per cultura un'azione commerciale, ma importante perché, dovendo giustificare un'operazione commerciale, si tenta di vestirla di contenuti.
Allora l'immaginazione si pone in rapporto con la realtà e riconduce il suo significato a contenuti critici, di rottura o di sperimentazione che è costretto a spiegare.
Cosa si vuole di più?
Il linguaggio è universalizzato ed il cosiddetto artista deve adeguare le sue ipotesi ideali alle necessità del suo mercato (solo per quanto riguarda l'atto della fruizione, come si dice in gergo).
Qui bisognerebbe aprire il discorso delle avanguardie: ci provo?
Per me non c'è nessuna differenza tra qualsiasi movimento istituzionalizzato e avanguardia: quest'ultima, essendo momento di maturazione "tecnica" destinato a diventare presto istituzione, va considerata un contributo al/del contesto sociale in cui si manifesta.
La libertà che consente la manifestazione dell'ipotesi di avanguardia è fondamentale, ma, mi pare, non si debba discutere che gli stimoli, anche all'avanguardia, vengono dal sociale.
Non so se sono riuscita a spiegarmi perché, è risaputo, ho dei limiti alla chiarezza, però il concetto di fondo che mi piace ribadire è quello della libertà.
Io, quando produco (parlo per me), penso sempre di riuscire a farlo in termini definitivi, poi, quando ho prodotto, mi accorgo di non aver capito me stessa e di aver prodotto un venticinquesimo di quello che volevo, e neanche tanto bene.
La mia produzione rimane tuttavia un momento di libertà inspiegabile e, almeno per me, è un momento di contenuto curioso e sempre innovativo.
Penso che lo sia per tutti quelli che producono qualcosa, di questo e di altri generi, ma, nel dubbio, mi piacerebbe saperlo.
Così come mi piacerebbe conoscere fino in fondo il giudizio, al di là della gratificazione, del famoso "fruitore".
Io faccio i baffi alla Emma Goldman vestita da centurione romano, con in mano la lattina della Coca Cola, appoggiata ad una Lancia Stratos, mentre sta guardando i risultati del campionato di calcio alla televisione, ma sono riuscita a spiegare che quello che voglio comunicare è la continuità di una società che vive le sue contraddizioni quotidianamente e che tutti questi simboli sono, per me, la dinamica di una cultura approssimativa in cui la Emma è il solo punto fisso?
Beh, io non lo so; e voi?