Rivista Anarchica Online
A come arte
di Marina Padovese / Fabio Santin
Nel dibattito intorno alle
problematiche che l'arte pone, già affrontato su queste pagine
con diversi articoli e interviste, ben si inseriscono, a nostro
avviso, i due ultimi titoli pubblicati da Elèuthera: Sotto
il Beaubourg (pagg. 179, lire 18.000) di Albert Meister e Cose,
fatti e persone (pagg. 226, lire 22.000) di Enrico Baj.
Baj, uno dei più noti pittori
italiani contemporanei, costantemente intreccia la sua attività
creativa con una profonda riflessione sull'arte. Ed è col
linguaggio divertito e ironico di sempre, questa volta in versione
scritta, che, quasi fosse cronista dell'arte del nostro tempo, ci fa
esplorare momenti artistici di estrema importanza come Surrealismo,
dadaismo e Patafisica o ci parla di straordinari personaggi come
Duchamp, Munari, Lévi-Strauss, Kantor e altri ancora. Ciò
che ne risulta, oltre alle divertenti note di costume, è un
insieme ricco di stimoli per una sempre più profonda
riflessione sull'arte, che è sì creazione
dell'immaginario, "zona" del fantastico, ma, come ogni
altra attività umana, si presta a speculazione e a
contraffazione.
Può essere depositaria di
messaggi, di valori, di ciò che potrebbe corrispondere bene o
male a quell'ideale superiore di bellezza a cui noi tutti, anche
vagamente, aspiriamo senza pretendere di raggiungerlo, ma può
anche essere un ideale che oggi sostituisce altri ideali, miti o
religioni (è proprio un caso che oggi, sopra il nostro letto,
non ci sia più un crocefisso, ma un poster o una litografia
di...?). "La disposizione tendenziale del potere" ci
avverte Baj "spazza via significati e significanti; annulla
differenze, impulsi e espressioni; cancella il significato delle
cose, dei fatti e degli individui". Assistiamo sempre più alla
separazione dell'arte dalla rappresentazione dei fatti della vita,
cosicché l'arte finisce per non avere più nessun
referente.
Probabilmente Piero Manzoni,
denunciando ancora negli anni '60 certa arte che minacciava di essere
travolta da nuovo conformismo, compiva l'ultimo grande gesto dada:
riempì scatolette di metallo di merda (sarà vero?),
pose un'etichetta, le firmò, le numerò e le mise in
vendita quale estrema opera d'arte: "merda d'artista",
concludendo così la parabola iniziata da Duchamp con il famoso
"orinatoio".
Ma, partendo dal principio di
negazione, Baj afferma che "l'arte non è un ordinamento
vuoto e che non coincide con la glorificazione dell'effimero. L'arte
è un sistema di conoscenze e di aspirazioni che tende a
migliorare la qualità della vita: per una ecologia del sogno". Albert Meister, ricercatore
all'Istituto di Studi dei Movimenti sociali all'Ecole des Hautes
Etudes di Parigi, è per lo più conosciuto come autore di
numerosi saggi sui problemi dell'autogestione, dello sviluppo e dei
fenomeni associativi o forse qualcuno di noi ricorda la sua
partecipazione al convegno di studi sull'Autogestione, a Venezia nel
'78. Leggendo "Sotto il Beaubourg", scritto nel '76, si
potrà invece conoscere un altro aspetto dell'autore: non il
puntuale sociologo ma, con divertita sorpresa, si vedrà
emergere un Meister ironico, irriverente, "ribelle". "A
me non tocca dire il vero, non ho verità da proclamare, tutto
quello che ho cercato di fare è stato di dire: attenzione, non
fatevi prendere".
Chi parla è Gustave Affeulpin,
cioè Meister con uno dei molti pseudonimi da lui usati a firma
dei numerosi articoli di collaborazione alla rivista "Le Fou
parle".
Se il Meister ricercatore dedica
dapprima il suo impegno alla analisi delle comunità delimitate
e delle forme di autogestione, col tempo tende ad occuparsi delle
trasformazioni su scala nazionale e continentale, arrivando ad
analizzare il sistema del denaro e le trappole del consumismo.
Con pessimismo, non potrà dunque
che constatare quanto ridotto sia alla fine, per l'uomo ormai
ingabbiato, il margine per una utopica liberazione. Tocca quindi
all'altro Meister, a Gustave Affeulpin, o meglio ancora a Gustave
Joyeux (così si fa chiamare il protagonista del libro) trovare
la via d'uscita all'accerchiamento totale ed è con
appassionato ottimismo che afferma: "Ormai la libertà
umana si trova unicamente nelle imperfezioni della programmazione,
negli interstizi del tessuto sociale non ancora toccato dalla
benevola sollecitudine degli apparati di integrazione". E a testimonianza di quanto affermato
ecco la precisa e attenta cronaca dell'esperienza e della nascita di
una "cultura alternativa che non sia fatta tanto di forme e
contenuti diversi quanto di senso e segno diversi,
nella negazione di ogni Accademia, di ogni Autorità, di ogni
Gerarchia".
In "Sotto il Beaubourg",
Meister-Gustave inventa quindi una gioiosa, ma tutto sommato
realistica, utopia giocata sulla critica della Cultura con la
Maiuscola, della Cultura Ufficiale, e cosa c'è di più
dissacrante che ambientare la nascita di questa "controcultura"
addirittura in una vasta serie di piani sotterranei, esattamente
sotto al simbolo francese della Cultura Ufficiale, il Centre National
d'Art e de Culture George Pompidou, più conosciuto come il
Centre Beaubourg?
"Per cambiare la società,
bisogna cominciare a liberare dentro di noi tutte quelle forze
libertarie che vorremmo veder trionfare nella società futura.
(...)
Allontanarsi da tutto quanto è
della società borghese: la proprietà, la lotta per il
potere e per la politica, la rispettabilità, l'igiene
ossessiva, i giochi inutili dell'intellettualismo. Anzi smettere di
contestarla, per meglio allontanarsene e costruire al di fuori la
nostra. Siamo mutanti che ormai non appartengono più al vostro
mondo".
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