Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 34
dicembre 1974


Rivista Anarchica Online

La società gerarchica, non la natura, fa l'uomo aggressivo
di Mathilde Niel

Lo psicologo Erich Fromm contesta le teorie pseudoscientifiche.
In un nuovo libro, ancora inedito in Italia, il noto psicologo nega che l'aggressività distruttiva sia innata nell'uomo. La natura umana è un fatto insieme genetico e culturale. La società di classe devia gli istinti vitali in forme omicide e suicide. Bisogna spezzare il cerchio infernale per cui una società "malata" produce individui "malati" i quali a loro volta tendono a riprodurre la malattia cioè la violenza, la gerarchia, l'oppressione, lo sfruttamento. Il dilemma rivoluzionario del rapporto dialettico tra strutture sociali e strutture psichiche.

Una società radicalmente nuova sarà una società nella quale gli uomini saranno aperti gli uni agli altri e le diverse collettività aperte le une alle altre. Sarà una società dove l'uomo sarà giunto alla fine della rivalità, della violenza contro gli uomini, contro se stesso e contro natura; in una parola sarà una società dove regnerà una nuova forma d'amore.
Dopo i milioni di morti delle ultime due guerre mondiali, dopo tutte le crudeltà, tutti i sadismi, tutti i misfatti dell'uomo che si manifestano quotidianamente nel mondo, ci pare irresponsabile parlare di rivoluzione senza aver risolto il problema dell'ingiustizia, del conflitto, della violenza. Voler fondare una società di uomini nuovi senza conoscere l'uomo e senza conoscere se stessi, particolarmente senza sapere perché l'uomo diventa così facilmente un nemico impietoso verso il suo simile, è andare contro all'insuccesso che hanno avuto tutte le rivoluzioni succedutesi fino ad oggi. E' pertanto verso questo insuccesso (che sarà a sua volta accompagnato da milioni di vittime) che vanno incontro tutti coloro che vogliono accontentarsi di cambiare le strutture sociali, senza conoscere e senza cambiare quelli che le hanno create, cioè gli uomini.
In un'opera monumentale lo psicologo e sociologo Erich Fromm (1) ha tentato di studiare in ogni suo aspetto il problema della distruttività umana. Ci si troverà anche l'analisi del carattere di alcuni grandi "distruttori" di sinistra memoria: Hitler, Himmler, Stalin, von Salomon. Quest'opera è tanto più importante in quanto appare nel momento in cui certi sapienti (etologi e psicologi) diffondono la tesi scoraggiante che l'aggressività è un istinto, un impulso innato, biologico, filogeneticamente programmato - dunque che l'aggressività, la violenza e la guerra sono insite nella natura umana e che sono una fatalità per la specie. Ci riferiamo particolarmente alle opere di K. Lorenz, di D. Morris, di R. Ardrey, di J. Eibl-Eisbesfeldt (2).
Questi lavori sembrano confermare le teorie di Freud. Negli ultimi anni della sua vita lo psicologo viennese avanzò l'ipotesi di un istinto di morte, opposto all'istinto di vita: tutti gli esseri viventi, compresi gli uomini sarebbero, secondo Freud, sottomessi all'istinto di morte, cioè ad un istinto che farebbe loro desiderare il ritorno allo stato inorganico. Questo istinto trascinerebbe l'uomo a distruggere sia se stesso sia gli altri: l'aggressione sarebbe dunque profondamente insita nella natura umana e la civiltà ne sarebbe continuamente minacciata.
Tutte queste teorie sono egregiamente funzionali alle forze conservatrici. In effetti, se è vero che la violenza scaturisce dalla nostra natura animale, allora le divisioni tra gli uomini, la rivalità, le torture, le guerre trovano giustificazioni nella scienza. Perché si cercherebbe allora di cambiare il sistema sociale e di trasformare se stessi? Reprimerebbe la propria aggressività diventerebbe addirittura nocivo, e, secondo Lorenz, "non ci sarebbe amore senza aggressione". In più, studiare seriamente le cause reali della distruttività, mostrare che questa non è una fatalità che pesa sulla specie e che un nuovo modello di società fraterna è possibile, significa mettere in causa tutto il nostro sistema sociale, significa violare i tabù che si nascondono dietro alcune frasi come difesa del territorio, onore nazionale, patriottismo, ecc. Tutti coloro che hanno interesse ad elevare delle barriere tra gli uomini e tra le collettività, tutti coloro che vogliono conservare i blocchi rivali, le frontiere nazionali, di classe, di razza, di sesso, di ideologia, ecc., trovano in questi lavori pseudo-scientifici una giustificazione ai loro desideri di mantenere la società tal quale e di non trasformarsi essi stessi.
Secondo gli "istintivisti", l'uomo avrebbe dunque un comportamento aggressivo biologicamente determinato; secondo un'altra scuola di psicologia che furoreggia negli Stati Uniti, la scuola "neo-behaviorista" di B.F. Skinner, l'uomo avrebbe un comportamento socialmente determinato, completamente appreso.
Lo scopo della psicologia di Skinner è di rendere l'uomo più umano rinforzandone i comportamenti corretti con un sistema di ricompense e di punizioni (soprattutto di ricompense). Certamente saranno necessari degli "ingegneri sociali" incaricati di fare il "disegno" di una società migliore, di "pianificare" la società e l'uomo futuro. Sarà il "socialismo scientifico" opposto al "socialismo utopistico". Secondo gli psicologi del comportamento, l'uomo non ha bisogno di essere autonomo e solidale, non ha bisogno di giocare un ruolo attivo, responsabile, né di creare; egli è un essere fondamentalmente egoista del quale bisogna soddisfare l'egoismo, ma facendo in modo che questo egoismo non sia pericoloso. Perciò si utilizzerà un sistema di ricompense appropriate che lo renderà migliore e meglio adatto. Naturalmente Skinner non ci dice esattamente a cosa le persone saranno condizionate né chi le condizionerà. Non è certo difficile immaginarci che uso potrà fare delle teorie interventiste e bheavioriste un consesso di ingegneri di anime in tutto e per tutto devote ad un regime dittatoriale.
Sulle tracce di altri sapienti come Alexander Alland (3), Erich Fromm propone una terza via. Il comportamento distruttivo non è più innato di quanto lo sia il comportamento cooperativo; secondo A. Alland, "la natura umana è largamente aperta ed è questa apertura che dà alla specie il suo grande vantaggio nel mondo biologico".

L'aggressività programmata

In altri termini, l'uomo non è un animale come gli altri. L'errore di Lorenz, secondo Fromm, è di aver applicato ad un essere complesso come l'uomo delle osservazioni che non concernono che il mondo animale. Se "l'uomo è il solo primate che uccide e tortura i membri della propria specie, senza ragione, sia biologica, sia economica, e che prova piacere nel farlo, è perché ha un problema esistenziale da risolvere, problema che gli è specifico e che gli altri animali non hanno". Certamente, come tutti gli animali, l'uomo è capace di aggressività biologicamente programmata, quando si tratta della sua sopravvivenza e di quella della specie. Ma questa forma benigna di aggressività è relativamente poco distruttrice. D'altra parte i gruppi umani, secondo la loro cultura, si differenziano molto in quanto al grado di aggressività. I popoli preistorici, che praticavano il raccolto, la caccia, l'agricoltura, erano relativamente poco aggressivi, non più di quanto lo siano certe popolazioni dette "primitive" contemporanee come gli Zuni, gli Arapesh, gli Mbutu e gli Eschimesi. Per esempio gli Zuni costituiscono una società dai costumi molto dolci. La religione è fondata sull'amore della vita; gli Zuni non conoscono la guerra, l'assassinio è un'eccezione; gli individui cooperano e la sessualità è vissuta senza l'idea del peccato.
Gli individui considerati come normali sono quelli che hanno "un approccio piacevole, una disposizione accomodante ed un cuore generoso"; al contrario gli individui competitivi e aggressivi sono considerati come aberranti. Sfortunatamente, con lo sviluppo della civilizzazione tecnica e delle società patriarcali, il grado di aggressività non ha fatto che crescere.
Se l'uomo è capace di aggressività maligna (piacere di fare del male, di uccidere, di torturare), è perché il suo comportamento è il risultato di una interazione difettosa tra le condizioni sociali ed i suoi bisogni esistenziali. Fromm non nega l'importanza considerevole della cultura sul comportamento umano, anzi. Ma l'uomo non è solo una pagina bianca sulla quale la cultura scriverebbe liberamente il suo testo, come vorrebbe farci credere l'antropologia culturale; esso è dotato di una natura che gli è propria e che rende il suo comportamento completamente differente da quello dell'animale.
Si possono riassumere così le caratteristiche della "natura umana":
1) la vita umana è un processo; l'evoluzione dell'individuo comincia dalla nascita e dovrebbe, in condizioni normali, durare fino alla morte. Ogni uomo cerca di realizzare la sua natura profonda, di diventare un essere pienamente umano, cioè libero e sociale. Ma fino ad oggi l'uomo non ha ancora creato la forma della società che gli permetterà di realizzare le sue profonde aspirazioni; forse non ci arriverà mai...
2) L'uomo è un animale il cui comportamento non è più interamente guidato dall'istinto; per la maggioranza delle sua azioni, egli deve scoprire da solo la propria strada. E' dunque condannato ad una vita di ricerche, quindi di instabilità e di incertezze.
Grazie allo sviluppo del suo cervello, e particolarmente del neo-cortice, l'uomo è dotato di immaginazione, di ragione, di intelligenza. Sfortunatamente, il suo cervello superiore è influenzato dal suo cervello istintuale, sede dei desideri e delle passioni e ch'esso mal controlla. Così, malgrado le sue possibilità di razionalità, l'uomo si comporta spesso in modo irrazionale.
3) Ma soprattutto, ciò che caratterizza l'uomo, è la coscienza di sé. E' il solo animale che conosce gli oggetti, che si sente separato dal mondo e che "sa di sapere". Così l'emergenza della coscienza di sé (e particolarmente la coscienza che ha l'uomo della sua condizione mortale), dell'immaginazione e della ragione, hanno rotto l'armonia naturale, la vita senza problema esistenziale che caratterizza la vita animale guidata dagli istinti. L'uomo fa parte, come l'animale, della natura, ma la trascende; per lui l'esistenza è un problema da risolvere in ogni istante; e ciò lo mantiene in uno stato costante di squilibrio. Egli non è mai libero dalla dicotomia biologica ed esistenziale tra gli istinti e la conoscenza di sé. Sentendosi come separato dal mondo, egli si sente libero ma solo. E questa libertà lo obbliga a fare una scelta creatrice che gli fa paura; egli ha dunque bisogno di sentirsi unito agli altri uomini. Questo conflitto di base tra separazione e unione, tra autonomia e socialità, è comune a tutti gli uomini. Per restare in buona salute mentale, ognuno deve risolverlo; ma ognuno lo risolve in maniera differente, a seconda del suo carattere e della sua cultura. L'uomo può risolverlo: tramite l'amicizia, la tenerezza, l'amore, l'azione per bisogno di giustizia, la ricerca della verità e dell'indipendenza; oppure tramite la dipendenza, l'odio, il sadismo, il masochismo, la distruttività, il narcisismo (amore idolatra di sé, egocentrismo).
Non bisogna dimenticare che uno dei primi sentimenti dell'uomo fu quello dell'ansietà esistenziale. Il sinantropo di Pechino aveva già inventato una religione ed un rituale.
4) Ogni uomo ha bisogno di riconoscersi nel suo universo naturale e sociale. Ha bisogno di una bussola, di un quadro di orientamento (la stregoneria, la magia, la credenza in un dio hanno coperto questo ruolo). Che importa che il ruolo sia falso, che alieni l'individuo, l'importante è che esso svolga la sua funzione psicologica di riunione all'universo. E' per ciò che le religioni e le ideologie le più irrazionali e fanatiche sono così attraenti.

Verso l'alienazione

Più che di una bussola l'uomo ha bisogno di dare un senso alla propria vita, di avere degli scopi di vita; ma può anche votarsi completamente a un idolo, ricercare il potere, ammassare del denaro che evolverà ad un ideale umanitario. L'uomo può trovare il sentimento d'unità, ridurre la frattura esistenziale, unirsi agli altri uomini, amarli, essendo creativo e indipendente; ma può anche cercare di sfuggire l'angoscia della separazione fondendosi con qualche cosa o con qualcuno, perdendo quindi la sua autonomia, sia per passione amorosa, religiosa o ideologica, sia esercitando una potenza assoluta sugli altri (sadismo), sia sottomettendosi totalmente agli altri (masochismo), sia infine facendo di se stesso il centro del mondo (narcisismo).
L'uomo può fuggire la sua separazione, cercare di dimenticare se stesso, ritrovare l'unità nel trance, nelle orge sessuali, nei rituali, nella droga, nella passione sfrenata, nella distruzione; egli può cercare la fama, identificarsi nel suo ruolo sociale, diventare un oggetto; questa è la via regressiva, la via dell'alienazione, nella quale non si afferma come individuo autonomo e perde se stesso. Ma può scendere la strada progressiva, diventare pienamente umano, senza cercare di fondersi come lo era il bambino nel seno materno. Questa è la strada più difficile, raramente realizzata fino ad oggi.
La nostra società, che non ha saputo sviluppare la via progressiva, né la potenzialità di autonomia e di cooperazione degli individui né la creatività individuale e sociale, sviluppa invece le potenzialità regressive; essa nasconde la noia, il disgusto di vivere, la depressione, l'aggressività, la distruttività. Eppure l'uomo ha in sé le possibilità di diventare un essere autonomo, creatore e sociale, purché le condizioni esteriori favoriscano le sue possibilità. L'aggressività, la distruttività non sono innate; esse sono una delle possibilità che la natura ha dato all'uomo per risolvere il suo problema esistenziale: la distruttività non è che l'alternativa alla creatività. A condizione che una società favorisca le potenzialità di autonomia e di creatività rendendo possibili dei legami affettivi d'uguaglianza, l'uomo perderà i suoi impulsi distruttori che non sono altro che degli impulsi creatori di ritorno; l'amore della vita lo eleverà al di sopra dell'amore della morte.
L'aggressività maligna - specificamente umana - può prendere diverse forme:
a) La vendetta, che proverrebbe da un senso profondamente radicato di una uguaglianza esistenziale: tutti gli uomini sono nati da una madre; sono stati tutti dei bambini indifesi, sono tutti destinati a morire. Ma colui che si vendica ricerca la super-potenza; egli desidera giocare il ruolo di un dio onnipotente;
b) La distruttività estatica: per superare il suo sentimento di debolezza, di separazione, l'uomo può cercare degli stati di trance, d'estasi, di orge sessuali, di relazioni sado-masochiste, perfino degli stati di odio assoluto, di distruttività totale. Di tali esempi ne troviamo presso i Bali, dove nel corso di danze rituali i partecipanti maneggiano una specie di daga - il Kris - col quale colpiscono se stessi ed a volte si colpiscono l'un l'altro, nel momento culminante della trance. Si conoscono esempi di uomini completamente distruttivi, come Keru e von Salomon che nel 1922 assassinarono Rathenau, ministro degli esteri del governo della repubblica di Weimar.
c) Il sadismo: è il tratto del carattere di colui che vuole avere un controllo assoluto su coloro che domina; le sue vittime possono essere un animale, un bambino, un uomo o una donna, dei malati, degli infermi, dei subordinati ecc. Il sadico è un essere sottomesso e pauroso che compensa il suo sentimento di impotenza nel desiderio di super-potenza.
La civilizzazione tecnica ha rinforzato le tendenze sadiche. Il carattere mercantile della nostra civilizzazione e lo sviluppo della tecnica hanno disumanizzato i rapporti tra gli uomini; ormai si possono uccidere migliaia di persone premendo un bottone; la sessualità stessa diventa una tecnica del piacere ed il corpo una "macchina dell'amore"; non dimentichiamo che la distruzione degli ebrei da parte dei nazisti fu organizzata come una produzione di massa con recupero di materiale e riciclaggio. L'uomo cibernetico è una specie di schizofrenico in un universo di cose, un essere cerebrale tagliato dalla realtà affettiva, un uomo che non avvicina gli esseri e le cose affettivamente, con il cuore, ma in termini di efficacia e di rendimento. Questo uomo può sembrare ben adatto e soddisfatto perché divide la sua follia con milioni di altri. Paradossalmente, ai nostri giorni, è la persona sana - quella che rifiuta di diventare una macchina tra le macchine - che può sentirsi estranea al mondo, isolata al punto di diventare psicotica.
Non c'è dunque più speranza? Fromm non sembra così pessimista. Certo, la situazione è grave; ma si vede nascere una reazione, una rivolta, come se le forze della vita si risvegliassero nell'uomo ed egli rifiutasse di lasciarsi andare alle forze della morte. E' per questo che si vedono giovani protestare contro i misfatti della civilizzazione industriale, contro l'inquinamento, contro l'autoritarismo, contro le barriere gerarchiche e le diverse segregazioni, contro la guerra. I bisogni di "qualità di vita" si fanno più pressanti. Alcuni preferiscono un lavoro interessante in miseria a delle soddisfazioni di denaro e di prestigio. L'amore della vita è stato profondamente represso in ognuno di noi, ma ciò che è stato represso continua ad esistere, non è morto e può rivivere.
L'uomo preistorico che viveva in bande come cacciatore e raccoglitore di cibo era relativamente poco distruttore e sapeva mostrarsi amico e cooperante. E' con lo sviluppo della produzione e la divisione del lavoro, con l'accumulazione di un largo surplus e la costruzione di Stati, fondati su un sistema di gerarchie e di élites, che la distruttività ha cominciato ad aumentare. Lo sviluppo della volontà di potenza e delle diverse segregazioni ha accresciuto smisuratamente la crudeltà.
E' possibile pensare che, essendo in crisi la società attuale, l'uomo arriverà a costruire una nuova forma di società nella quale nessuno si sentirà minacciato. Ma bisogna ben riconoscere che per ragioni economiche e culturali queste speranze non si realizzeranno senza difficoltà.

Speranza e rivoluzione

Ciononostante è possibile costruire un mondo nuovo, poiché la forma maligna di aggressione (il sadismo, la necrofilia o amore della morte) non è innata. Ma il nuovo umanesimo deve essere radicale; dei cambiamenti profondi sono necessari nelle strutture politiche ed economiche, nei nostri valori, nella nostra concezione degli scopi di vita e nel nostro comportamento personale. Grazie ad una migliore conoscenza dell'uomo, grazie ad una specie di fede nell'uomo e nella vita, il cambiamento personale è possibile, anche nella nostra società malata. Non si tratta di aspettare passivamente il miracolo di una rivoluzione violenta come desiderano alcuni pseudo-rivoluzionari. Bisogna cominciare da ora a cambiare la società.
Quanto ai mezzi pratici per accelerare il cambiamento e renderlo irreversibile, Erich Fromm li aveva abbordati nella sua opera Speranza e Rivoluzione. La conoscenza di sé e le relazioni umane possono essere migliorate ed anche trasformate grazie all'apporto della psicologia sociale e della dinamica di gruppo. Bisogna moltiplicare i piccoli gruppi nei quali l'individuo impara a spogliarsi delle sue antiche strutture mentali e relazionali e può mettersi a vivere l'autonomia e la cooperazione egualitaria.
L'uomo deve, in effetti, liberarsi delle antiche strutture alienanti e ricreare le nuove strutture che lo renderanno completamente umano. Non potrà non servirsi di una nuova educazione. Senza questa nuova forma di educazione, senza la moltiplicazione dei piccoli gruppi di formazione e di lavoro dove si insegna a vivere diversamente, la pratica dell'autogestione e la società libertaria resteranno allo stadio di utopia.
La lettura dell'opera monumentale di Erich Fromm sulla distruttività umana ci permette di misurare le nostre debolezze e il cammino che dobbiamo percorrere per realizzare il nostro ideale. Ma ci fa vedere che abbiamo in noi le possibilità di metterlo in pratica. Ci incoraggia ad agire da ora e a realizzare ovunque, dove lo possiamo, l'uomo del futuro.

Mathilde Niel

1) Erich Fromm, The anatomy of human destructivity, ed. Holtd -Rinehart - Wiston, New York.

2) Konrad Lorenz, L'aggression, ed. Flammarion, 1974. Desmond Morris, La scimmia nuda, ed. Bompiani, 1968. Robert Ardrey, L'imperatif territorial, ed. Stock, 1967. J.Eibl-Eibesfeldt, Contre l'aggression, ed. Stock, 1972.

3) Alexander Alland, La dimension humaine, ed. de Seuil, 1974.