Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 24
ottobre 1973


Rivista Anarchica Online

Anarchismo come educazione
di N. B.

La dimensione pedagogica del pensiero anarchico in due studi recenti

Tra i vari aspetti dell'anarchismo quello educazionista ha conservato a tutt'oggi una forte carica problematica. La sua ricorrente attualità consiste, a nostro avviso, nella natura dei problemi posti, che investono alcune questioni di fondo della metodologia anarchica, sia sul piano della lotta immediata, sia su quello a lungo respiro di una strategia più generale. L'argomento principale degli "educazionisti", infatti, è che anarchismo ed educazione sono termini sinonimi; l'anarchismo sarebbe una teoria rivoluzionaria che, fatta propria dagli oppressi, si trasforma in prassi autopedagogica collettiva mirante all'emancipazione integrale di tutti.
Questa prospettiva teorica contiene una implicazione strategica di notevole importanza: che è possibile raggiungere l'emancipazione solo attraverso un'opera educativa generale in cui l'autocoscienza popolare gioca un ruolo di primo piano. Se, invece, diversamente pensiamo che anarchismo ed educazione sono termini non sinonimi ma complementari, allora è possibile sviluppare una prospettiva in cui l'ammonimento di Pisacane "non saremo liberi quando saremo educati, ma educati quando saremo liberi", riacquista interamente il suo significato di attualità e di polemicità.
Comunque, partigiani dell'una o dell'altra tesi, ci è utile ora illustrare brevemente due testi che aiutano ad illuminare tutta la tematica anarchismo-educazione, e a focalizzare maggiormente i nodi del dibattito fugacemente sopra accennato.
Il testo che ci propone Carmela Metelli di Lallo "Componenti anarchiche nel pensiero di J.J. Rousseau", contiene alcuni temi di grande interesse teorico i quali implicano, per la loro prospettiva generale, una visione che supera il contesto pedagogico dell'anarchismo.
È noto che uno degli aspetti più qualificanti del pensiero rousseauviano verte sull'antitesi natura-società, intendendo con il primo termine il campo della libertà originaria dell'uomo, con il secondo (società storica) quello della ingiustizia, del potere e dell'alienazione umana. La soluzione proposta da Rousseau sarà quella di concepire una società che ridia in altra forma, attraverso le istituzioni, la libertà originariamente perduta.
Quali sono le conseguenze per una "lettura anarchica" di questa impostazione? Vediamone alcune.
La prima considerazione da fare è che, se identifichiamo la natura umana come fonte spontanea e come ricettacolo primitivo della libertà e dell'uguaglianza, lo sviluppo e le modalità stesse della loro costruzione divengono possibili a qualsiasi livello storico dell'uomo. In altri termini esse non scaturiscono da precise condizioni attraverso cui il processo storico si dà, ma sono prima concepite e poi poste, indipendentemente o, se vogliamo, contro di esso.
È vero che non si deve qui concepire la natura umana come "statica e, pertanto, incompatibile con un succedersi di forme e di eventi in sviluppo, nel corso di una possibile storia dell'uomo", e neppure "una concezione naturalistica dell'uomo, nel senso grezzo di un appiattimento delle sue caratteristiche ad un livello fisico-biologico" (1). Ma è pur sempre vero che il punto costante di riferimento costruttivo per la libertà e l'uguaglianza rimane la natura umana originaria tendente spontaneamente alla sua perfettibilità e quindi all'emancipazione. È questo, fra l'altro, un tema ripreso "deterministicamente" da Kropotkin e che la Metelli chiama impropriamente, a nostro avviso, neodarwinismo sociale.
Se dunque è possibile, in un certo modo, leggere in Rousseau una contrapposizione tra natura e storia, il significato del modello rousseauiano è evidente: la sua possibilità si dà attraverso una costruzione artificiale. Si può mutare così un discorso che, sebbene risenta del clima culturale ottimistico dell'illuminismo, è tuttavia attuale rispetto all'esperienza teorico-storica dell'anarchismo.
E il duplice confronto estremamente interessante che la Metelli ci dà, tra quello anarchico e quello rousseauiano, conforta questa tesi: alle origini di essi vi è implicitamente una volontà non identificabile con condizioni storiche precise. Una seconda considerazione attinge al modello stesso di ricostituzione sociale che discende dalla contrapposizione natura umana-società storica; scrive la Metelli che per Rousseau tale modello deve basarsi su una ricostituzione che comporta, come dice la Metelli di Lallo, "il rifiuto totale delle forme in cui essa (la società) si è finora attuata, per non compromettere l'esito della ricostituzione".
Ora, questa ricostituzione si basa su alcuni punti qualificanti che investono il confronto tra la concezione pedagogica di Rousseau e quella anarchica. La possibilità da parte di quest'ultima di riconoscersi in parte nella prima, è data ancora dal punto comune di riferimento della natura umana.
Essa, per il suo sviluppo integrale, comporta una prassi educativa che si riconosca in una molteplicità di libere esperienze, in una polivalenza di proposte e di situazioni che implicano una struttura pluralistica della società umana. E questo pluralismo, che sta alla base della società libertaria concepita come utopia positiva (2), è riscontrabile chiaramente nel testo della Metelli quando vengono focalizzati gli aspetti significativi della concezione anarchica della società. Un punto estremamente importante a questo riguardo è quello del rapporto egualitarismo-intelligenza che la Metelli acutamente rimanda alla concezione "ambientalistica" dell'educazione propria dell'anarchismo. Vorremmo qui brevemente sottolineare che questo problema è stato, a nostro avviso, genialmente affrontato dal pensiero anarchico cento anni fa e che, giustamente, è stato ripreso dall'anarchismo contemporaneo (3).
La concezione pedagogica dell'"Emilio" anticipando il radicale "ambientalismo" di quella anarchica, getta un ponte di continuità tra Rousseau e l'anarchismo. Questo ponte sottintende il problema più generale della libertà che non nasce dalle condizioni storiche, ma che al contrario va costruita pragmaticamente malgrado esse. Ed è a questo punto che si può parlare di quella volontà implicita nel modello di ricostituzione sociale quando, facendosi soggetto storico, attraverso l'anarchismo, si costituisce in punto di riferimento operativo perché la "natura umana", con l'emancipazione integrale, si riconosca finalmente in se stessa.
"Ideologie libertarie e formazione umana" di Tina Tomasi è il secondo testo che vogliamo discutere. Si tratta di una storia dell'aspetto educazionista dell'anarchismo, sia sul piano del pensiero sia su quello dell'azione. Il titolo del testo ci dice subito, però, che propriamente si tratta di una storia del libertarismo, e quindi esso abbraccia un panorama più vasto e con implicazioni ideologiche assai diverse.
Questo non toglie che l'interesse sia prevalentemente rivolto alla pedagogia anarchica, che la Tomasi ricava dal pensiero globale dell'ideologia, "leggendo" quest'ultima in chiave educazionista. Vi è infatti nella stessa militanza anarchica una palese conseguenza didattica di continuo esempio e insegnamento derivante dalla posizione ideologica, necessariamente intransigente, propria dell'anarchismo.
E tra gli oggetti specifici dell'attenzione teorica di quest'ultimo vi è il noto rapporto tra emancipazione integrale e problema del lavoro. Rapporto che la Tomasi pedagogicamente trasforma tra istruzione integrale e prassi educativa. Rispetto alla tematica emancipazione-istruzione integrale, per gli individualisti come per i societari, per i collettivisti come per i comunisti, ecc., la prospettiva e l'obiettivo rimangono comuni anche se le motivazioni teorico-ideologiche sono diverse; come comune rimane la radicale intransigente posizione atea e antireligiosa (salvo il caso di Tolstoj).
Sì può individuare così uno sviluppo costante e continuativo, pur nella pluralità delle posizioni, in rapporto ai temi sopra accennati: temi che sottintendono sempre una dimensione libera e creativa della concezione pedagogica. Oltre ai notevoli spunti in Godwin e nei socialisti "utopisti" francesi, si può osservare ampiamente in Proudhon, nel problema dell'autogestione operaia. Scrive la Tomasi: "Altrettanto ferma è la convinzione (quella di Proudhon) che occorra cancellare la separazione tra umanesimo e tecnica, tra lavoro intellettuale e manuale.... Né può essere altrimenti perché l'organizzazione scolastica è lo specchio di quella sociale; là dove la divisione del lavoro esige da un lato una aristocrazia di dirigenti e dall'altro una massa anonima di manovali. In una società libertaria l'istruzione deve essere tutt'altra cosa, cioè uguale per tutti e prolungata per l'intera vita (4).
Si delinea in questo modo la funzione pedagogica dell'ideologia libertaria: la "formazione umana" passa per lo sviluppo onnilaterale e armonioso di tutte le sue potenzialità. Sarà poi Bakunin e più tardi Kropotkin a legare questo problema al nodo cruciale della lotta rivoluzionaria, identificando la divisione del lavoro con la divisione in classi sociali. Un paragrafo infatti è dedicato dalla Tomasi al concetto dell'istruzione integrale in Bakunin (lasciamo perdere il solito ritratto para-romanzesco che ci dà di quest'ultimo). Il rapporto tra istruzione integrale e attitudini individuali è ben centrato dalla Tomasi quando scrive: "Infatti, premesso che neppure in una società perfetta ed assolutamente priva di privilegi può esistere un'assoluta uguaglianza, sta di fatto che gli individui differiscono per doti intellettuali assai meno di quanto un'interessata convinzione vorrebbe far credere; nella stragrande maggioranza si equivalgono, pur non essendo identici. L'istruzione integrale, partendo da quest'ultimo presupposto, mira a formare non già una ristretta élite di scienziati ed un esercito di manovali ma degli "uomini capaci di usare ugualmente le mani e l'intelligenza per il bene collettivo". Anche dal punto di vista della realizzazione pratica questo discorso fu portato avanti in alcuni esperimenti di scuole libertarie; oltre alla famosa "Escuela Moderna" di Ferrer, quella assai meno nota dell'orfanotrofio di Cempuis fondata da Poul Robin. Egli raccolss in alcuni articoli e saggi sotto il titolo "L'enseigmement integral" la riflessione teorica sull'esperienza pratica direttamente vissuta come promotore e insegnante.
Ma per comprendere maggiormente la dimensione pedagogica dell'anarchismo, la sua straordinaria attualità (tutta la pedagogia "progressista" e "rivoluzionaria" contemporanea ha saccheggiato a piene mani i temi classici dell'educazionismo libertario), occorre andare al cuore della sua ideologia. I tempi, i modi, le forme, lo sviluppo, i mezzi, i fini della libertà concreta, materiale, reale, nella misura in cui essa non rimane solo un obiettivo, ma costituisce la prassi stessa dell'agire storico dell'anarchismo. In questo modo è un intero soggetto storico che si fa campione ed esempio dello sviluppo e dei fini della "formazione umana".

N. B.

(1) Carmela Metelli di Lallo "Componenti anarchiche nel pensiero di J. J. Rousseau", ed. La Nuova Italia, Firenze, 1970, pag. 35 e 13.
(2) AA. VV. "Anarchismo '70", Cesena 1973, pag. 13.
(3) A. B. (Amedeo Bertolo), "La meritocrazia come ideologia del feudalesimo industriale", in "Lavoro manuale e intellettuale 'Collana' La Rivolta", Ragusa, 1968, pag. 46.
(4) Tina Tomasi "Ideologie libertarie e formazione umana", ed. La Nuova Italia, Firenze, 1973, pag. 109 e sgg.