Rivista Anarchica Online
Cittadella e Cecilia
di Franca B.
Il socialismo sperimentale di due comunità libertarie del secolo scorso
Maggio 1886. Esce a Brescia il primo numero del giornale "Lo
Sperimentale". Nel programma la
redazione afferma: "Propugneremo la fondazione in Italia di un gruppo modello o colonia socialista
sperimentale, nel quale siano possibili su più vasta scala i tentativi e le prove di una nuova vita
sociale...". "Lo Sperimentale" uscirà a fino al febbraio 1887 e continuerà la
propaganda della colonia unendola alla
pubblicazione delle biografie dei maggiori teorici di nuove forme associative, come Owen, Cabet,
Babeuf, Fourier, Bakunin, e dando notizie dei tentativi sperimentali condotti all'estero, in Spagna,
Serbia,
Stati Uniti, Francia, ecc. Il fondatore di questo giornale è Giovanni Rossi (il suo
pseudonimo è Cardias), anarchico, nato a Pisa
nel 1855, veterinario a Gavardo, in provincia di Brescia. Egli, sin da quando diciottenne ha aderito
all'anarchismo, è sempre stato un appassionato assertore del socialismo "sperimentale" e tale
resterà per
tutta la sua vita, che trascorrerà nello sforzo continuo di realizzare praticamente le sue
idee. Ancor più di Bakunin, che riteneva vi fosse altrettanta potenzialità
rivoluzionaria nei contadini che negli
operai, per Rossi il punto di partenza per la rivoluzione sociale era il mondo contadino. Così
egli scrive
in un appello per la fondazione di colonie socialiste: "Le colonie agricole socialiste, se organizzate con
intendimenti moderni e sinceramente sperimentali, saranno punti di sicuro orientamento sociale e
politico; gli uomini cresciuti nella vita socialistica delle colonie saranno i fermenti, che fanno lievitare
la
pasta della rivoluzione...". Già nel 1878 Rossi aveva pubblicato un opuscolo intitolato "Un
comune
socialista" in cui faceva la storia, attraverso tutte le tappe, della trasformazione di un immaginario paese,
Poggio al Mare, in un comune socialista, ponendosi e risolvendo brillantemente tutti i problemi e gli
ostacoli derivanti da questa trasformazione.
Cardias trova in un gruppo d'amici cremonesi, composto da Giuseppe Mori, Bissolati, Sacchi ed
altri,
profondo interesse per le sue idee. Bissolati, socialista, sostiene che le cooperative di produzione sono
uno degli strumenti più efficaci per i contadini per migliorare le proprie condizioni. Giuseppe
Mori,
mazziniano, possiede un podere chiamato Cittadella, a Stagno Lombardo, composto da 120 ettari di
terreno e da una ventina di case coloniche con corrispondenti costruzioni agricole. Egli già da
tempo
accarezzava l'idea di migliorare le condizioni di vita dei suoi contadini e l'incontro con Rossi lo convince
a tentare la costituzione di una cooperativa tra i contadini di Cittadella. Già da questo primo
incontro
(1886), di comune accordo, Rossi e Mori escludono la pura e semplice partecipazione agli utili dei
lavoratori, poiché essa non garantirebbe la loro indipendenza e libera iniziativa nella
organizzazione del
lavoro. Optano quindi per offrire Cittadella in appalto ai contadini che la lavorano come
salariati. L'elaborazione delle condizioni d'appalto e dello statuto organico e il superamento dei gravi
problemi
inerenti al progetto (tra i quali il reperimento del capitale d'esercizio che sarà risolto dal Mori
anticipando
egli stesso il denaro per le spese giornaliere e il salario quindicinale) portano via un altro anno.
Finalmente si giunge alla fase più delicata: la propaganda del progetto fra i contadini di
Cittadella, che
si dicono ben lieti di accettare una proposta per loro tanto vantaggiosa. Le prime difficoltà
nascono
quando ai contadini viene proposto il progetto di Statuto organico, completamente comunistico ed
egualitario; comincia allora ad evidenziarsi il loro attaccamento alle consuetudini. Scrive il Rossi in
proposito: "Quando Bissolati ed io spiegammo i vantaggi di questi orientamenti, i contadini di Cittadella
non ne vollero sapere e modificarono il progetto dello Statuto organico in modo tale che dettero
all'Associazione un'impronta puramente collettivistica, che differisse il meno possibile dal loro abituale
tipo di vita e di lavoro". L'atto costitutivo della Associazione Agricola Cooperativa di Cittadella
porta la data dell'11 novembre
1887. Lo Statuto della Cooperativa prevede che le decisioni vengano prese dall'Assemblea Generale
dei soci
che si riunisce il primo e il terzo sabato sera di ogni mese. A una commissione amministrativa, composta
da un socio eletto anno per anno dall'Assemblea, da un rappresentante del Mori e dal Segretario
(Cardias), spetta la tenuta dei libri contabili, la preparazione e la presentazione dei bilanci, l'acquisto e
la vendita dei prodotti. A una commissione tecnica, composta di tre soci eletti dall'Assemblea (e che
durante la giornata lavoreranno come tutti gli altri nella fattoria) spetta di riunirsi ogni sera per decidere
i lavori da farsi l'indomani e la divisione degli stessi fra tutti i contadini. Viene comunque salvaguardata
la libera iniziativa di ciascuno, poiché chiunque si trovi in disaccordo con le decisioni della
commissione
tecnica avrà a disposizione un'apposita superficie di terreno per sperimentarvi le proprie
idee. Purtroppo i contadini decidono anche di mantenere categorie diverse per l'assegnazione dei
salari, pur
se mantengono le differenze entro limiti ragionevoli (300 lire per la categoria più bassa, i
braccianti
obbligati, e 360 lire per la più alta, i capi stalla, i capi braccianti, e il segretario). Questi salari,
confrontati
con quelli richiesti durante le agitazioni contadine del 1885, risultano superiori, anche se non di
molto. Ad ogni famiglia viene assegnata una casa, un orto, un cortile per uso allevamento, due
quinti del
prodotto dei bachi da seta, metà del valore di un maiale da ingrasso, un terzo del prodotto della
parte
a granoturco e a lino assegnata in parti uguali. Una volta riscattato il capitale agrario, il 40% degli utili
netti andrà ad aumentare il capitale comune indivisibile, mentre il 60% sarà assegnato
proporzionalmente
ai soci. Un'altra clausola particolarmente significativa è quella che riguarda l'eventuale
scioglimento della società
cooperativa deciso dall'Assemblea Generale; in questo caso sarà liquidata la società, ma
si conserverà
il capitale sociale a disposizione di altri lavoratori che accettino l'Atto di Costituzione e lo Statuto
organico: viene cioè esclusa assolutamente la divisione del capitale sociale tra i soci. La vita
dell'Associazione, così organizzata, si sviluppa in modo estremamente positivo, per lo meno in
un primo tempo; i contadini, ormai senza padroni, lavorano con grande impegno, e, grazie
all'introduzione di tecniche e strumenti allora all'avanguardia in campo agricolo, la cascina ottiene degli
ottimi risultati, tanto da venire premiata con una medaglia d'argento all'Esposizione di Parigi del 1889.
Questi risultati sono costati non poche amarezze al povero Cardias: egli ha infatti dovuto combattere
a lungo contro la resistenza al cambiamento dei contadini, ostili per abitudine a qualsiasi innovazione.
Egli stesso scrive in proposito: "... Concimi chimici, anche se avuti in regalo, rape da foraggio, impiego
dell'aratro fisso nella coltivazione del mais, trattamento delle viti con solfati contro la peronospora,
sgranatura meccanica del mais, centrifugazione del latte per la produzione del burro, uso dell'aratro
Sack, conservazione dell'erba in grandi covoni, ecc.... mi sono costati discussioni e dispiaceri a non
finire. Si procedeva all'esperimento col desiderio di vederlo fallire.... Tuttavia nuovi metodi e nuove
attrezzature che, nonostante la cattiva volontà di quelli che li sperimentavano avevano portato
a
splendidi risultati, sono rimasti a segno di un progresso della produzione agricola in questa
regione...". Nel frattempo Rossi non ha abbandonato il suo progetto di sempre: la creazione di altre
colonie socialiste
sperimentali, e a tale scopo l'11 dicembre 1888 si costituisce a Cittadella la "Unione Lavoratrice per la
colonizzazione sociale in Italia"; nel 1889 Rossi si interessa attivamente alla costituzione di una Colonia
agricola a Torricella di Sissa (Parma), centro abitato da molti contadini socialisti che, proprio a causa
delle loro idee "sovversive", non riuscivano ad avere lavoro dai padroni e vivevano quindi nella miseria
più nera. È sempre Cardias a trovare la soluzione per reperire il capitale necessario
all'acquisto del fondo (150.000
lire), costituendo una società per azioni ed emettendo 300 azioni da L.500. Tra i primi
sottoscrittori
appaiono ancora il Mori, il Bissolati, il Sacchi. Ma Rossi non ha ancora abbandonato l'idea di
trasformare la cooperativa di Cittadella in una colonia
socialista, anche se i contadini continuano ad essere preda dei loro pregiudizi, della loro ignoranza, e
rifiutano quindi a priori le idee egualitarie. Egli pensa allora di inserire nella cooperativa un nucleo di
socialisti che possa dare l'esempio ai contadini di come sia possibile, anzi auspicabile, oltre che lavorare
insieme, anche vivere insieme. Egli stesso entra a far parte di questo nucleo, composto da 16 persone,
che si stabilisce a Cittadella nel maggio 1889. Tutti lavorano e mettono in comune ciò che
guadagnano.
Le donne che, a turno, non si occupano della casa, lavorano nei campi. Anche questo esperimento
non dà i frutti sperati; i contadini non accettano il gruppo socialista perché,
come tutte le cose nuove, fa loro paura e, in secondo luogo, perché temono di essere mandati
via e
sostituiti con altrettanti socialisti; sfogano quindi il loro malumore sul povero Rossi, promotore
dell'iniziativa, che si convince dell'impossibilità di trasformare Cittadella in una vera e propria
comunità
anarchica. A questa situazione di malumore generale si aggiungono poi gli intrighi e le contese
provocati dall'antico
fattore, desideroso di rioccupare il vecchio posto di comando nella fattoria. Rossi decide di andarsene,
ormai convinto che una colonia libertaria può essere fatta solo da anarchici, e quando il
compagno
Achille Dondelli gli propone di andare in Sud America per fondarvi una colonia socialista, accetta con
entusiasmo. L'esperimento di Cittadella è ormai alla fine. Mori, alla fine del 1889, decide di
disdire il
contratto di appalto della società e solo dietro richiesta di tutti i soci torna sulle sue decisioni.
Comunque
la società si scioglie l'11 novembre 1890, tre anni dopo la sua costituzione, per decisione di
Mori,
proprio nel momento della sua maggior prosperità. È difficile stabilire le molteplici
cause del suo scioglimento; tuttavia gli errori fondamentali furono
commessi all'inizio dell'esperimento, quando si pensò di poter costituire una colonia socialista,
formata
da contadini assolutamente digiuni di qualsiasi nozione politica e sociale, sia perché non si
cercò di
insistere perché fosse approvato uno statuto decisamente libertario, sia perché durante
i tre anni della
sua esistenza non fu affatto curato l'aspetto pedagogico, cioè non si cercò di dare ai
contadini quelle
nozioni tecniche sociali e politiche che avrebbero potuto trasformarli in tanti rivoluzionari.
La partenza di Rossi, con pochi compagni, per l'America Latina, avviene il 20 febbraio 1890. Questa
piccola comunità si stabilisce nel Paranà (Brasile) nelle vicinanze di Palmeiras, in una
baracca di legno
trovata sul posto. I pionieri non possiedono nulla, nemmeno le coperte per scaldarsi la notte: li attende
un lavoro durissimo, nelle condizioni più disagevoli, il tutto aggravato dalla loro inesperienza.
Nel giro
di pochi mesi rendono abitabile la baracca, coltivano un orto, costruiscono steccati di difesa contro il
bestiame vagante, impiantano una vigna, preparano il legname per la costruzione di un'altra casa. Il
lavoro viene svolto senza alcuna organizzazione sociale, accordandosi così semplicemente o
facendo
ciascuno il lavoro scelto. Del gruppo fa parte una sola donna e questo fatto provoca non pochi
malumori, che però non degenereranno mai. Nel corso della primavera 1891 arrivano molti
altri coloni, tanto che la popolazione della Colonia Cecilia
(così era stata chiamata) raggiunge i 150 individui; non esistono però le strutture
necessarie per
accoglierli: dormono tutti in un grande baraccone, non c'è cibo sufficiente per tutti; molti
lavorano per
il governo sulle strade coloniali e col loro guadagno si riesce ad andare avanti, ma i bisogni superano
di
gran lunga i mezzi per soddisfarli e questa situazione provoca malcontento, rivalità e
contese. Nella famiglia come nucleo sociale Cardias identifica l'origine di tutti gli egoismi che
avvelenano la vita
sociale comunitaria: "... Ma peggio è per la famiglia. Le donne, che per l'arretrato sviluppo
intellettuale
sono energicamente conservatrici e poco accessibili agli ideali di rinnovamento umano, in generale
rappresentano nella Cecilia l'egoismo domestico. Installate nella cucina e nel magazzino hanno sempre
fatto a gara nel profittare della cosa comune.... Hanno visto di mal animo l'arrivo di nuove persone, che
sembrava loro venissero a diminuire i pochi mezzi di esistenza. Ed hanno accolto le nuove compagne
con freddezza, prodigando loro sgarbi di ogni modo. Queste maltrattate hanno portato nelle loro
famiglie
i loro risentimenti, ed hanno così indispettito i rispettivi mariti (...). Il disfacimento progressivo
e
spontaneo della famiglia monogamica prepara il terreno al trionfo dei nostri ideali". Il libero amore
è per Rossi l'unica soluzione nei rapporti tra i due sessi e proprio su questo argomento
egli scrive l'opuscolo "Un episodio d'amore alla Colonia Cecilia", in cui analizza l'unico episodio di
pratica del libero amore verificatosi alla colonia e che ha come uno dei protagonisti lo stesso
Cardias. I coloni cadono nell'errore di voler organizzare tutto, col risultato di perdere moltissimo
tempo in
continue assemblee, nel fare e disfare commissioni, nel proporre e approvare regolamenti. Tutti
questi problemi inducono le sette famiglie che avevano cominciato per prime l'esperimento ad
andarsene, ma esse se ne vanno portando con loro il capitale sociale della Colonia con il pretesto di
voler
ricostruire altrove e con migliori elementi un'altra colonia. La maggior parte degli altri si sbanda e si
disperde ritornando alla vita individuale. Resta soltanto il cocciuto Cardias con un gruppo di uomini,
tutti
operai; si prefiggono l'obiettivo di lavorare fino a garantire i mezzi necessari al mantenimento di altre
famiglie. E così fanno. Senza darsi alcuna rigida organizzazione, questo gruppo svolge una mole
di
lavoro enorme e si prepara all'arrivo di altri coloni. Nel mese di novembre 1891 arrivano due gruppi di
famiglie di contadini. Il primo se ne va dopo pochi giorni (non erano anarchici e non sapevano nemmeno
di trovarne alla colonia), il secondo resta e si integra perfettamente con gli anarchici trovati. Tutti
insieme lavorano alacremente, chi alla coltivazione del terreno o dell'orto, chi alla costruzione di steccati
di protezione, chi alle strade coloniali, chi alle abitazioni. Il 31 dicembre 1892 la colonia Cecilia conta
64 abitanti e il suo bilancio è in attivo di 7.020.080 reis. Ai lavori tradizionali si aggiunge poi
la
fabbricazione di barili, che vengono venduti alla vicina Palmeiras. Cardias scrive, nell'opuscolo
"Cecilia, comunità anarchica sperimentale": "... Il saperci liberi ed eguali
ha impresso una maggiore franchezza ai nostri caratteri; la vita in comune ci ha cominciato ad abituare
un po' al compatimento reciproco delle nostre debolezze; la solidarietà degli interessi, se da una
parte
fa pesare sopra uno il controllo di tutti, e sopra tutti il controllo di ciascuno, d'altra parte interessa
ciascuno di noi al benessere di ciascun altro; finalmente l'applicazione pratica del concetto di
libertà, ha
portato maggior rispetto nel modo reciproco di trattarci, ed è riuscito anche a diminuire
notevolmente
gli atti di prepotenza che ordinariamente si compiano nelle relazioni di famiglia". La colonia Cecilia
muore dopo tre anni di vita perché, scrive Cardias, "eravamo stanchi di quella
solitudine. Per noi l'esperimento era fatto e a noi bastava". Si conclude così, per un insieme
di motivi, un altro tentativo di realizzare il socialismo attraverso le
comuni. Senza dubbio Cardias e gli altri coloni hanno dimostrato la possibilità di vivere e
lavorare
insieme, di superare e liberarsi dei grossi ostacoli costituiti dai pregiudizi inculcati in ciascuno e
dall'educazione autoritaria ed egoistica; hanno dimostrato che è possibile produrre,
organizzandosi
libertariamente, in campo agricolo e non, come e forse meglio che in una società organizzata
autoritariamente; hanno infine dimostrato che, malgrado secoli e secoli di sfruttamento e
condizionamento tendente a mettere gli individui gli uni contro gli altri, l'uomo è rimasto un
animale
socievole, fatto per vivere insieme ad altri uomini. Tutto questo è già molto. Ma, a
nostro avviso,
Cardias e gli altri compagni hanno commesso l'errore di pensare e vedere sempre la Colonia Cecilia
come
un'isola, al cui interno si poteva essere felici perché non esistevano né padroni,
né poliziotti, né preti, né
tribunali; essi, a quanto risulta, non hanno cercato né attuato un collegamento continuo con le
realtà
sociali vicine; non hanno pensato cioè che la colonia avrebbe potuto e dovuto continuare ad
esistere, e
probabilmente avrebbe dato vita ad altre colonie, se fosse stata in contatto con gli abitanti delle zone
vicine, se avesse partecipato attivamente alle lotte che vi si svolgevano, se avesse cercato di
propagandare l'idea libertaria al di fuori della colonia. Solo così essa poteva diventare un punto
di
riferimento significativo per tutti i rivoluzionari e gli sfruttati del luogo.
Il movimento anarchico, allora come oggi, era diviso in due fronti a proposito degli esperimenti
comunitari: da un lato chi, come Rossi e altri, credeva fermamente nell'utilità di questo
strumento e
dall'altro chi lo riteneva inutile, se non addirittura dannoso, per l'emancipazione degli sfruttati
poiché
distoglievana dei compagni dalle lotte in corso. Tra questi ultimi espressero il loro parere negativo
Errico
Malatesta sulla Rivendicazione (Forlì, 1891), Jean Grave su La
Révolte (Parigi, 1893) e Pietro
Kropotkin su Temps Nouveaux (Parigi, 1896). Riteniamo opportuno citare l'opinione di
Malatesta sia
perché si riferisce direttamente alla colonia Cecilia, sia perché è la posizione
più dura e, a nostro avviso,
ingenerosa nei confronti del Rossi in particolare e dell'idea sperimentale comunitaria in generale: "...
Dovere dei rivoluzionari è quello di fare ogni sforzo per far comprendere ai miseri che la miseria
esiste
là come qua, e che il rimedio, se vogliono, possono trovarlo restando dove sono e ribellandosi
contro
il governo e contro i padroni per ripigliare quella roba che essi stessi hanno prodotto. Questo per
l'emigrazione in generale. In quanto poi all'impresa del Rossi, io la deploro. Essa produce tra noi, in
più
piccola scala per fortuna, il danno che ha prodotto il parlamentarismo poiché offre agli oppressi
una vana
speranza di emanciparsi senza bisogno della rivoluzione.... In ogni modo se il Rossi vuol fare
l'esperimento, lo faccia pure; ma lasci stare i socialisti, lasci stare i rivoluzionari, e raccolga dei poveri
lavoratori, cui non è giunto ancora il verbo redentore del socialismo. Preferisca anzi, come
Roberto
Owen, i più degradati, i più abrutiti, e faccia il nobile tentativo di elevarli a
dignità umana.... Vada pure
il Rossi al Brasile a ripetere tardivamente, quando già il problema sociale è fatto gigante
e reclama
urgente e generale soluzione, gli esperimenti da dilettante, con cui i precursori del socialismo riempirono
la prima metà di questo secolo. I rivoluzionari restino al loro posto di battaglia. Quando la fame
piglia
alla gola il proletario, e la rivoluzione si presenta come dilemma di vita o di morte innanzi
all'umanità,
ritirare la sua posta dal gioco è cosa da pusillanime. A me pare che oggi chi parte, diserta
innanzi al
nemico, al momento della mischia". Che in realtà Rossi e gli altri anarchici che avevano
partecipato all'esperimento della "Cecilia" non
fossero dei disertori ma dei combattenti su un altro fronte con altri mezzi, ci pare dimostrarlo il fatto
che
la maggior parte di essi, dopo il fallimento della colonia, si sparsero per il Brasile e ripresero la militanza,
formarono gruppi, parteciparono alle lotte sociali, contribuendo notevolmente alla nascita del
movimento
anarchico brasiliano.
Franca B.
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