Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 232
dicembre 1996 - gennaio 1997


Rivista Anarchica Online

A Mostar, a Mostar
di Associazione Laminaire

Dopo quattro anni di interruzione causata dalla guerra, si è svolto a Mostar, dal 30 agosto al 3 settembre 1996, la 17a edizione del festival internazionale Pozorista autorske poetike «Dani Teatra Mladih». Durante il festival si sono tenuti due laboratori ai quali hanno partecipato, oltre alle compagnie ospiti, attori belgi, sloveni, polacchi e bosniaci. Le rappresentazioni si sono svolte all'interno dell'Omladinski Centar, all'ex Hotel Ruza, al Pecina u starom gradu e in spazi all'aperto. Il programma del festival comprendeva compagnie provenienti da Bosnia Mostarski Teatar Mladih, Lutkarsko Pozoriste Mostar), Spagna (Les Balcaniques), Austria (Vis Plastika), USA (ASF), Italia (Laminarie).
La compagnia Laminarie opera dal 1994. Una parte della sua attività, oltre alla produzione degli spettacoli, è rivolta allo studio e alla ricerca teatrale in campo infantile e adolescenziale.
Dopo aver lavorato per diversi anni con la Societas Raffaello Sanzio, una delle formazioni più interessanti e rigorose della ricerca italiana contemporanea, Febo Del Zozzo, Bruna Gambarelli e Fabiana Terenzi hanno intrapreso un percorso artistico autonomo, in cui la lezione della
«crudeltà», così tipica dell'esperienza scenica della Raffaello Sanzio, si mescola alla dimensione sapienziale dell'esplorazione delle cose e del sé. Al festival di Mostar, dove sono giunte in modo del tutto fortunoso, le Laminarie hanno presentato Tu, misura assoluta di tutte le cose, uno spettacolo che annoda le tracce biografie di Kafka e Simon Weil in uno spazio claustrofobico, dove due figure immerse nel fango consumano una relazione senza tempo né esito possibili, consegnando ai suoni spezzati e distorti delle loro voci, e alla quasi immobilità dei loro corpi il grido di un'oppressione che trova le parole della lettera al padre di Kafka per esprimersi.
Di ritorno da Mostar, dove sono stati premiati per il coraggio di una ricerca artistica non compromessa , Febo, Bruna e Fabiana hanno sentito l'urgenza di raccontare l'esperienza di un paese ancora scosso dalle granate, eppure capace di trovare nel teatro un luogo di incontro autentico, e dove fare teatro è importante quanto ricostruire le case. Perciò hanno scrtitto questo resoconto di viaggio, che hanno intenzione
di inviare a tutte le testate interessate ad ospitarlo. Ed è proprio con questo spirito che ci piace pubblicarlo: rinunciando volentieri all'esclusiva a favore della diffusione (se ci sarà).

Cristina Valenti

Il 22 agosto '96, grazie alla presenza in Italia del regista bosniaco Hamica Nametak, abbiamo saputo che l'organizzazione del festival di Mostar era interessata ad ospitarci con il nostro spettacolo. Le comunicazioni con gli organizzatori sono state molto difficoltose, la linea telefonica è continuamente interrotta, risulta difficile anche l'invio dei fax. Siamo partiti dopo aver svolto le pratiche doganali, sostanzialmente senza sapere dove e come avremmo rappresentato lo spettacolo, né in quali condizioni.
Non sapevamo dell'esistenza di questo festival. Nonostante la massiccia presenza di italiani a Mostar Ovest (ossia nella parte croata della città), le notizie sull'attività culturale di questa città in Italia non arrivano. Sia durante le fasi di emergenza, sia ora, nella fase di ricostruzione della città, la Cooperazione Italiana e l'I.C.S. hanno svolto un ruolo preponderante, se confrontato con l'attività di organizzazioni simili di altri paesi europei. Ci sembra strano, però, che all'efficienza nell'organizzazione degli aiuti umanitari, non corrisponda un passaggio di informazioni su ciò che sta succedendo, non solo culturalmente, a Mostar. Rispetto ai gruppi teatrali provenienti dagli altri paesi, che da più di un anno lavoravano, in collaborazione con gli operatori di Mostar, per realizzare la nuova edizione del festival, noi sembravamo arrivati per caso (si può arrivare per caso a Mostar?). Nessun giornale italiano ha dato notizia di questo festival, e anche dopo il nostro ritorno i tentativi per trasmettere informazioni sul festival sono stati vani. Perché?
Da quattro anni la guerra continua ad appartenerci solo attraverso immagini e resoconti giornalistici. Abbiamo conosciuto, digerito ed espulso il problema della Ex-Jugoslavia non sapendo effettivamente nulla di ciò che realmente è stata ed è questa guerra. Siamo consapevoli di possedere un surrogato di conoscenza composto da un'enorme mole di informazioni che, faziose o no, non siamo più in grado di leggere. Conoscere attraverso i fatti e non attraverso la loro riproduzione ci ha dato l'occasione di renderci conto di quanto sia profonda la nostra ignoranza. Siamo arrivati a Spalato via mare, abbiamo percorso circa cento chilometri di strada costiera in territorio croato, poi, a Ploce, abbiamo cambiato direzione e ci siamo diretti a Metkovic. A Metkovic ci si lascia alle spalle lo stato croato. Allora perché, lasciando questo stato, paghi un'assicurazione di 60 DM timbrata Croazia? Si lascia la Croazia, non si entra in Bosnia Herzegovina, ma in Herzeg-Bosnia, in
uno stato nazionalista croato che cerca di affossare gli accordi di Dayton, erodendo alla Bosnia altro territorio; e, a giudicare dal numero di bandiere appese ovunque, sembrano convinti di riuscire nel loro intento.
Pochi chilometri dopo la dogana, vediamo le prime case distrutte, interi villaggi rasi al suolo e boschi bruciati. Metkovic dista circa sessanta chilometri da Mostar. Durante tutto il percorso abbiamo incontrato solo battaglioni militari a piedi, carri armati ed altri mezzi bellici dell'IFOR. Giungiamo a Mostar entrando dalla parte Est della città: la zona di cultura mussulmana.
Non parlavamo da chilometri e chilometri; giunti qui, però, dovevamo farlo, perché bisognava trovare la strada per giungere all'Omladinski Centar, dove ci aspettavano i ragazzi del festival. Eravamo come «insaccati», non riuscivamo ad essere come si è di solito, cioè a scendere dall'auto e chiedere informazioni: il contesto ci aveva assorbito. Percorriamo la strada principale della città. Le case che la costeggiano sono
completamente distrutte: non rase al suolo, ma distrutte con accanimento da cecchino che deve sparare lì fino ad erodere ogni centimetro. I palazzi mantengono il loro scheletro architettonico; si intuisce che la città era bellissima. Adesso vogliamo capire tutto e subito, nello stesso
tempo siamo così turbati da rimanere immobili. Si accavallano, per la prima volta e in modo molto lucido, domande alle quali non c'è il tempo di rispondere o forse alle quali è meglio non rispondere. Il primo pensiero è - perché siamo qui?-
Dopo aver chiesto informazioni a qualche persona, riusciamo ad arrivare all'Omladinski Centar. In quel momento ci sembra strano che questo centro abbia sede in uno stabile appena ricostruito, bianchissimo, con uffici, telefoni, fotocopiatrici e computer e sale nelle quali si tengono corsi di danza, di recitazione, di inglese, di informatica. Scarichiamo la scenografia con l'aiuto di alcuni ragazzi bosniaci e veniamo accompagnati nella
casa dove dormiremo. L'accoglienza è gentile e soprattutto molto organizzata. Le strade, su cui si affacciano bar con musica ad alto volume, sono piene di persone. A cena cerchiamo di capire quali sono le motivazioni del festival, vogliamo sapere quali sono i gruppi che vi partecipano
e molte altre cose, quando distinguiamo nettamente un'esplosione, ci guardiamo intorno e vediamo solo un attimo di esitazione, poi tutto riprende come prima. Noi invece abbiamo paura e non riusciamo né a nasconderla, né a continuare a mangiare. I nostri ospiti cercano di tranquillizzarci, ci invitano a continuare a mangiare, altrimenti saranno costretti a chiedere, per noi, agli abitanti di Mostar Ovest di buttare granate solo dopo cena.
Durante tutti i giorni della nostra permanenza sentiremo esplodere altre granate, una nel pomeriggio a pochi metri dall'Omladinski, sul bulevar, il confine che divide la città in due parti. A Mostar esiste una netta separazione fisica tra le persone di cultura croata, che vivono a Ovest, e quelle di cultura mussulmana, che vivono a Est.
Siamo andati solo una volta a Ovest. Era l'ora di cena, la polizia ci ha fermato e controllato i documenti. Le strade erano deserte e buie, la gente vive in casa con le serrande abbassate. Le case e i palazzi non sono stati molto danneggiati rispetto alla parte Est della città. La tensione tra Est e Ovest, le esplosioni, la militarizzazione, le stesse case distrutte man mano ci diventano abituali.
Nei giorni successivi al nostro arrivo il pensiero della guerra sarà, anche se sempre presente, in secondo piano. Ci infastidisce dover ammettere che, dopo lo shock iniziale, ci siamo abituati a Mostar.
Siamo coinvolti nel vero clima della città. Il contesto di Mostar è più forte della sua immagine. I volti delle persone che si incontrano nelle strade comunicano energia. Mostar è una città in cui si intrecciano relazioni umane per strada. La stessa energia l'abbiamo trovata all'Omladinski Centar. Questo centro è gestito da ragazzi (il più vecchio fra loro ha 28 anni) che si sono assunti, in collaborazione con alcuni gruppi teatrali, la responsabilità di organizzare e gestire completamente il festival. Questa edizione del festival risponde quindi a una forte esigenza di riportare a Mostar il teatro. (Prima della guerra l'attività culturale, e in particolare quella dei teatri, era molto attiva a Mostar).
In pochi giorni, durante il festival, sono nati progetti per il futuro teatro di Mostar, scambi tra le compagnie ospiti, lavori di gruppo tra attori austriaci, polacchi, spagnoli e mostarini. Tutti gli spettacoli del festival sono stati visti da moltissimi spettatori, gli stessi che si fermavano poi al
centro per ascoltare gli incontri che seguivano gli spettacoli. Durante questi incontri, i componenti delle compagnie che avevano rappresentato il loro lavoro venivano interrogati sui motivi del loro fare in modo esplicito, senza frasi di circostanza, a volte criticando in modo diretto le scelte delle compagnie. Tra le compagnie ospiti e il pubblico il confronto è stato molto interessante e chiaro.
C'è stata una grande collaborazione anche durante le fasi di montaggio e smontaggio delle scenografie. La stessa forza e radicalità che si vede nei mostarini l'abbiamo ritrovata negli spettacoli bosniaci, la potenza dei corpi e dei volti degli attori era molto incisiva e presente sulla scena.
Il festival è iniziato la sera del 30 agosto con lo spettacolo bosniaco Pax Bosniensis della compagnia Mostarki Teatar Mladih; in scena venti attori e attrici che visualizzavano, attraverso movimenti corporei, dinamiche inerenti alla guerra. Nell'incontro successivo allo spettacolo, la drammaturga Ljubica Ostojic, ha affermato che questo spettacolo ha per gli attori una importante valenza terapeutica in quanto, probabilmente, la maggior parte di essi ha assistito a uccisioni o ha ucciso a sua volta. Il secondo lavoro bosniaco, Jedno Putovanje Kroz Teatar, è stato allestito in una grande grotta nel centro di Mostar: il regista Hamica Nametak, ha lavorato con attori di 17-18 anni. Gli attori si muovono sulla scena con movimenti non evidenti ma precisi, trasmettono al pubblico una forza che non è di impatto, ma è avvolgente, non scadendo mai nella recita. All'Ex-Hotel Ruza si è svolto uno spettacolo di Teatrasca Radionica dal titolo Podrum, con attori giovani delle parti Est e Ovest della città. La compagnia spagnola Les Balcaniques ha messo in scena il poema epico dell'autore Albert Herranz.
Non siamo riusciti a vedere gli altri spettacoli perché eravamo impegnati nell'allestimento del nostro lavoro.
La caratteristica di questo festival è stata la compressione dei tempi. Gli spettacoli si susseguivano e gli incontri delle compagnie con il pubblico erano molto a ridosso delle rappresentazioni e duravano a lungo. C'era la necessità di trovare momenti comuni tra le compagnie per discutere, senza conformismi, del proprio lavoro e per confrontarsi sui progetti futuri. Hamica Nametak ci ha invitato a realizzare, insieme agli attori della sua compagnia, un laboratorio teatrale, nel quale stabilire una relazione prolungata e articolata nel tempo tra noi e i ragazzi, creando un contesto di relazioni umane orientato all'attività teatrale. Il nostro ritorno a Mostar è previsto verso la fine di novembre. Svolgeremo, per un periodo di circa 15 giorni, la prima parte del laboratorio teatrale. In seguito ci recheremo a Sarajevo e a Tuzla: cercheremo le realtà teatrali di queste città.
Per noi ora è importante tornare. La natura del nostro desiderio di ritornare può essersi determinata dal confronto con la desolante situazione del teatro «di ricerca» italiano, stagnante, arroccato nei suoi circuiti e sottocircuiti, predeterminati chissà quando e da chi; oppure è un desiderio che nasce dall'egoistica necessità di sfruttare l'energia che trasmette questa città, nella quale la cultura ha un ruolo di rilievo. (Basti pensare che stanno ricostruendo scuole, teatri, conservatori e musei prima delle case).
Nell'ultima sera del festival, una giuria composta da intellettuali di Sarajevo, ci ha assegnato il premio «Mravac»: «per il coraggio, per la ricerca non compromessa, per l'alta concentrazione e per la fede nel teatro». Queste parole descrivono con precisione coloro che hanno voluto fortemente questo festival: segnale importante dell'attività culturale di Mostar, ma soprattutto centro intorno al quale si concretizzano progetti artistici veri.

Bologna, 23.09.96