Rivista Anarchica Online
La libertà in un luogo chiuso
intervista di Filippo Trasatti a Margherita Turroni
Aprirsi alla creatività e alla libera espressione, mettendo tra parentesi le finalità per ritornare alle
fonti del proprio
sè. L'esperienza del Closlieu
«Il segreto del nostro male collettivo è rintracciabile nella
repressione delle capacità creative spontanee
dell'individuo» (H.Read)
Entro nel closlieu con timore e curiosità e scopro che è davvero un luogo chiuso,
piuttosto piccolo, senza
finestre, con le pareti ricoperte da tenui tracce multicolori, migliaia di piccole onde, segnali di energia. Mi
ha portato fin qui Marta, la figlia di un amico, una bella bimba dai riccioli biondi, che per un anno ha
frequentato il closlieu tenuto a Milano da Margherita Turroni. Margherita parla con
passione della sua esperienza e di questo luogo protetto in cui, modestamente, cerca
di far crescere la libertà. É a lei, praticien del closlieu che ho visitato, che chiedo di cercare di
spiegarci di
che si tratta, com'è nato. Il closlieu è un ambiente creato da Arno
Stern un ebreo di origine tedesca. Emigrato in Svizzera con la sua
famiglia, Stern comincia a lavorare in un orfanotrofio che raccoglie bambini di età diverse, con esperienze
diverse.
Suo compito è di occuparsi della parte cosiddetta creativa. Stern aveva già una particolare
attenzione
all'evoluzione del bambino, una disposizione a seguirli con un occhio non prevaricatore. Il disegno a soggetto
obbligato gli sembra un'imposizione inutile al bambino, così prova a esplorare le potenzialità del
disegno libero,
scoprendo che faceva emergere dei materiali di straordinario interesse, senza che ci fosse da parte dell'educatore
nessun suggerimento. A un certo punto l'istituto dovette chiudere, Stern si trasferì a Parigi con la famiglia
e
decise di aprire un laboratorio a cui potessero accedere tutte le persone che avessero voglia di disegnare,
indipendentemente dalla provenienza e dalle capacità. Era l'atelier di pittura, che chiamò
l'Acadèmie du jeudi
perché giovedì era la giornata dedicata a questo lavoro. Da questo laboratorio ricchissimo di
esperienze nacque
in seguito il closlieu. Il closlieu è davvero un luogo chiuso,
molto spartano, perfino freddo e triste per chi lo vede dall'esterno,
per chi non ha provato a viverci. Al closlieu Stern è arrivato
gradualmente, per tentativi, provando e riprovando le diverse soluzioni possibili che
non sono frutto di un'imposizione, ma dell'esperienza acquisita nel lavoro di anni. E io ho potuto sperimentare
direttamente come le sue indicazioni siano in effetti efficaci. Innanzitutto c'è una stanza spoglia, non
troppo
grande, né troppo piccola. Ci sono un gruppo di persone che dipingono su fogli appesi alle pareti e al
centro la
tavolozza dei colori che è lo strumento collettivo, il luogo degli incontri e degli scambi. Il fatto di stare
in piedi
è molto importante perché favorisce la libertà di movimento di tutto il corpo,
perché la postura eretta è più salutare
per il bambino, ma anche per l'adulto, e infine perché consente un gesto molto più ampio e libero
che è anche la
conquista dello spazio. Anche la tavolozza collettiva acquistò gradualmente un senso, perché se
inizialmente era
dettata da ristrettezze economiche, in seguito divenne un luogo centrale del closlieu , che creava
un equilibrio tra
il momento individuale che è legato al dipingere ciascuno sul proprio foglio, al momento collettivo
quando tutti
arrivano alla tavolozza per prendere il colore che serve. Secondo Stern è molto importante che la persona
impari
a essere se stessa, a stare nel proprio spazio personale in mezzo agli altri. La tavolozza collettiva è dunque
un
pretesto per far sì che tutti accedano ad uno spazio comune, rispettando questo strumento, ad esempio
non
sporcando i pennelli (per ogni colore c'è un pennello) che poi servono agli altri. Il foglio è invece
assolutamente
personale, nessuno può interferire. La persona può dipingere ciò che vuole su questo
foglio, in totale assoluta
libertà. Nessun tipo di consegna né di suggerimento. É veramente raro
che dei bambini vengano lasciati in una situazione di libertà così ampia, con delle regole
minime di rispetto, al di fuori della famiglia, in un gruppo misto. Direi quasi che non esiste l'equivalente.
Una bambina esce da scuola alle quattro, dopo che tutto il giorno qualcuno le ha detto che cosa deve fare;
il papà l'accompagna al closlieu e le domanda com'è andata la giornata, che cos'ha
fatto e non fatto, che
cosa deve fare per domani. Poi la bambina entra nel closlieu e all'improvvivo si trova in una sorta
di zona
franca in cui può agire senza essere giudicata, senza dover fare o dover essere qualcosa.
In effetti nel closlieu si crea una situazione particolare, perché è
difficile che soprattutto i bambini vengano lasciati
in questo stato di libertà per fare cose senza nessuno scopo. Di solito c'è sempre un intervento
o per insegnare
o per correggere. Nel closlieu si vuole che la persona attinga esclusivamente da se stessa, lasciando
fuori il mondo
degli altri. La vera creatività, secondo Stern, accade nel momento in cui la persona entra veramente in
contatto
con la propria essenza che non è giudicabile in nessun modo. Non si parte da gradini diversi, chiunque
è in grado
di prendere in mano il pennello per esprimersi. Qui non si fa dell'arte. Stern tiene molto a questa distinzione. Non
vuole creare il piccolo artista che dipinge. Se vorrà lo farà al di fuori del closlieu.
In questo luogo chiuso si devono
escludere, mettere tra parentesi le finalità, per ritornare alle fonti del proprio sé. Per me il
dipingere nel closlieu
è un po' come una meditazione in cui si sta in contatto con se stessi; creare uno stacco con ciò
che sta fuori di me
per entrare in contatto con qualcosa che sta dentro di me. Questo non è finalizzato ad alcunché.
Non devo
comunicarlo ad alcuno. Nessuno deve sapere e indagare su ciò che faccio nel closlieu
neppure i genitori. Ecco
perché i disegni fatti nel closlieu non escono mai da quello spazio. La libertà ha
bisogno di una protezione.
L'espressione libera che accade lì dev'essere preservata dagli occhi del mondo. Che cosa
differenza l'espressione spontanea dall'educazione artistica? Ex-pression significa far uscire
all'esterno il magma vulcanico che abbiamo dentro attraverso la mano e gli
strumenti essenziali. Il pennello è il prolungamento della mano, i colori lasciano le tracce visibili dei
nostri
movimenti. Già la parola «educazione artistica» è un controsenso: significa dare delle direttive
ben precise, tenere
la persona su un sentiero che si ritiene il più giusto. Artistico per me è invece il campo
dell'improvvisazione,
dell'emozione. Anche lasciando da parte l'Arte, con la A maiuscola, secondo Stern non è corretto definire
arte
quella dei bambini. Il bambino fa solo ciò che può fare, non inventa delle cose, non esplora nuovi
territori. Il
bambino in uno spazio libero fa solo ciò che può, non va oltre le proprie capacità ma le
approfondisce, le saggia
in tutti i limiti. Una delle caratteristiche più importanti dei dipinti dei closlieu è
chiamata «reiterazione», cioè la
ripetizione di un colore, di un oggetto, di una forma o di un tracciato nel tempo. Per noi la permanenza è
un dato
importantissimo nell'espressione. Vuol dire che la persona si sta affermando. Stern parla di plus-etre, non essere
di più, ma essere di più come già si è con un'intensità diversa.
Dev'essere difficile muoversi in uno spazio del genere, esserci senza urtare nessuna
libertà. É un po' come
camminare in punta di piedi in una cristalleria. Nel mio closlieu ci sono gruppi
che vanno dalle 5 alle 10 persone, di età diverse. La differenza di età è molto
importante perché spezza la competizione. Un bambino di cinque anni non si mette a competere con una
donna
di trent'anni. A poco a poco si creano tra queste persone dei rapporti peculiari: non sono d'amicizia, d'amore o
di confidenza. É come se si mettesse in comune quella parte di se stessi che teniamo in un cassetto
perché è la
parte più fragile, che gli altri tendono a danneggiare. É semplicemente l'imparare a co-esistere,
a essere vicini a
un altro senza giudizio. Una coesistenza di due esseri viventi, al di là delle differenze di età. La
nostra società
segrega per fasce d'età e in questo modo alimenta la competizione. Qui si cerca appunto di andare oltre.
Non c'è
dimensione pedagogica. É un tentativo di ritrovare un'umanità perduta attraverso la
creatività e l'espressione
personale. Per un'ora e mezza queste persone che all'inizio non si conoscono stanno nel closlieu a
lavorare
insieme. Parlano, ridono, scherzano di tutto, tranne che del dipinto. Io intervengo per bloccare ogni
comunicazione che riguardi il disegno. É una regola fondamentale che va rispettata perché possa
esserci libertà
nel lavoro individuale. Io passo da una persona all'altra; vado da chi mi chiama a portare una puntina, o un foglio
perché magari vuole allargare lo spazio del foglio, per togliere una goccia, per preparare un giallo
più intenso. Li
aiuto a preparare le misture. Io sono una praticien, come dice Stern, termine che non ha una traduzione fedele.
Gli si avvicina abbastanza «servitore dei gesti». Qui «servire» sta per essere a disposizione nel favorire i gesti
dell'altro. Non tutti riescono a chiedere, preferiscono fare da soli. I bambini riescono a chiedere più
facilmente,
imparano presto a sfruttare come vogliono un adulto che per certe cose è totalmente a loro disposizione.
Un adulto
che non cerca di manipolarli, che non ha potere su di loro, che li lascia liberi di fare e li aiuta solo se glielo
chiedono. C'è un'evoluzione nel modo di lavorare nel closlieu?
Ogni persona ha un suo percorso. Arriva qui carica delle sue aspettative e pian piano si rende
conto che le
aspettative non si realizzano. Questo è il momento più difficile. Quando si rende conto che qui
non accadono cose
particolari, che io non dò né un giudizio positivo né negativo sull'evoluzione delle
persone. Nell'adulto
facilmente c'è il rifiuto del closlieu perché non sopporta di star qui senza uno scopo
definito. Magari dice non
serve a niente. Il bambino ha chiaramente un'aspettativa diversa. Può stufarsi, ma non c'è una
proiezione in un
futuro in cui chissà cosa mi darà l'atelier. Invece questo c'è nei genitori. L'ostacolo sono
i genitori che magari
dopo quattro o cinque mesi vengono a un colloquio e mi chiedono: allora a che punto siamo? Io dico: beh, non
siamo a nessun punto, suo figlio viene volentieri, gli piace, questa è la cosa che conta, che si diverta, che
sia
contento di convivere. Ma allora io pensavo, e via con le aspettative. Molti arrivano con la propria idea e se ne
vanno con la propria idee, senza aver capito il senso di questa esperienza. Altri iscrivono i bambini con
superficialità, perché non hanno trovato al momento altro da fargli fare. Ci sono alcuni che invece
credono in
questo tipo di lavoro, ma tra i genitori sono decisamente mosche bianche. Parliamo della teoria
che Stern ha formulato a proposito dei cosiddetti «tracciati». Devo dire che per me
è la parte più difficile da capire, abituato come sono a svalutare il dato «biologico»,
sopravvalutando quello
culturale. Il punto di partenza è l'osservazione compiuta da Arno nel corso di ormai
mezzo secolo. Lasciando libertà
assoluta di dipingere agli individui di ogni età Stern si è reso conto che in realtà
ritornavano sempre gli stessi
tracciati. Per «tracciato» lui intende proprio la struttura dell'immagine. Per esempio il sole è rappresentato
come
un tondo con dei raggi intorno. Lo si denomina «sole»; la struttura, il tracciato è un cerchio con dei raggi.
Se si
guardano i dipinti dei bambini si vedono questi stessi tracciati utilizzati in altri contesti, ad esempio nelle mani
o la testa di un personaggio o i fiori, le ruote ecc. Stern ha cominciato a classificare questi tracciati, a riordinarli
secondo un ordine «evolutivo» che corrisponde a una certa evoluzione della persona. Si parte dal cosiddetto
«scarabocchio» (termine che in realtà Stern rifiuta perché ha qualcosa di dispregiativo), alla forma
a goccia, fino
alla nascita dell'angolo e così via. Ha così cominciato a creare una sorta di grammatica dell'arte
infantile. Non
contento di questo, circa 40 anni fa, andò in giro per il mondo in Perù, in Guatemala, in
Afghanistan, in Africa
cercando popolazioni non scolarizzate per farle disegnare con i colori. Riportando a casa questa mole di materiale
scoprì che le stesse forme, gli stessi tracciati si ritrovavano, pur con pretesti figurativi diversi, nelle
più diverse
popolazioni. Ha cominciato allora a codificarle, a formulare delle teorie. Se tutte le persone, indipendentemente
dalla provenienza sociale o etnica, dall'età, arrivano a disegnare in un contesto di non condizionamento
sempre
questo tipo di forme vuol dire che è un codice innato nella persona, un codice universale. Stern parla
addirittura
di un «codice genetico». Per lui in noi c'è una «memoria organica», una sorta di deposito antichissimo
dove sono
state registrate tutte queste forme. Questi tracciati che escono nel closlieu non sono altro che
l'emanazione di
questa memoria organica. Cioè questo codice univerale che noi ritroviamo solo nel closlieu
è la rappresentazione,
il linguaggio di questa memoria. Eppure ciascuno ritrova la traccia di questa memoria organica attraverso un
percorso assolutamente personale. Una volta che la persona ha lasciato fuori il condizionamento del mondo, il
giudizio su di sé proprio e degli altri, si sente libera e a quel punto ha la possibilità di emettere
questo tipo di
tracciato che è assolutamente intimo, personale e che non uscirà mai dalle quattro mura del
closlieu. Alla fine le pareti si sono dilatate. Questo luogo chiuso è un tramite attraverso
il quale percepiamo qualcosa di
più essenziale della nostra comune umanità profonda: la libertà di esprimersi.
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