Rivista Anarchica Online
Segnali di fumo a cura di Carlo E. Menga
Test clinici dimostrano
Credo sia molto importante e proficuo, per chi si propone il compito di smascherare l'ideologico quotidiano, osservare
e
analizzare la pubblicità in generale e quella televisiva in particolare. Chi, come me, lo fa per passione e non per
mestiere,
non può impedirsi di incorrere nel rischio di procedere per simpatie e antipatie, analizzando questo piuttosto che
quello
spot, indignandosi o entusiasmandosi con modalità che con il tradizionale galateo della ricerca scientifica avrebbero
poco
o nulla a che spartire. Diciamo che mi identifico di più col tenente Ripley, anziché con l'androide che
brigava per
trasportare l'Alieno sulla terra, o con i plutocrati guerrafondai che avevano lo stesso scopo e dei quali l'androide era
strumento. Questo non significa necessariamente aprire il lanciafiamme addosso a certi messaggi della pubblicità.
Ma la
speranza è, comunque, che un'analisi condotta dal punto di vista di un'ideologia, minimale ma indispensabile, che
abbia
come fine la salvaguardia della dignità, dell'intelligenza e della libertà individuali o collettive dell'essere
umano, possa
aiutare a rendere quei messaggi inoffensivi disinnescandone le potenzialità di contagio. Anche se non lo eviti, se
lo conosci
non ti uccide. Nel ciclo più o meno ricorrente delle mie simpatie e antipatie, mi si è di recente ripresentata
una diffusa
reazione immunitaria nei confronti di alcuni prodotti, o meglio, degli stilemi della loro presentazione commerciale, le cui
campagne di vendita hanno, come target naturale, uno dei soggetti più deboli della società: la donna. Si
tratta di varie
marche di assorbenti igienici e di detergenti intimi, che insistono pervicacemente e purtroppo con successo a sbertucciare
con mezzi subdolamente impliciti l'intelligenza femminile, nonostante l'Ipotesi Finocchiaro del «paracadute che non si
apre». Normalmente si vede una donna, ovviamente bella, giovane ed elegante, che si dirige a passo sostenuto, non si sa
verso dove (ma s'intuisce che vada verso le vette più alte delle appetibili carriere maschili), guardando in macchina
e
trasportando sotto braccio un incartamento le cui dimensioni sono accuratamente studiate per non somigliare affatto ai
fascicoli dei nostri tribunali o alle pratiche della nostra funzione pubblica. Tutti coloro che lavorano in un qualsivoglia
ufficio sanno benissimo che per riconquistare qualche minuto di plusvalenza dall'ente o azienda da cui si è sfruttati
col
ricatto della retribuzione legata all'orario di lavoro, il sistema più comodo e semplice è non far niente
pensando ai fatti
propri, simulando dinamicità ed efficienza con l'andarsene in giro per le varie stanze tenendo in mano un foglio
di carta
o un suo equivalente. E sanno anche quali siano le dimensioni «reali» degli incartamenti. Io ormai ci ho fatto un certo
occhio e capisco subito, in presenza di siffatto stilema, prima ancora che se ne alluda anche lontanamente, che di pannolino
o assorbente, interno o esterno che sia, con o senza ali e più o meno sottile, si tratta. Fateci caso anche voi e sono
certo che
potrete guadagnarci anche qualche soldino, scommettendo con i vostri familiari conviventi. Che poi il salmo finisca nella
gloria dell'amica invidiosa pronta a sottoscrivere acriticamente l'affiliazione, o nel tripudio di liquidi rigorosamente azzurri
versati in un ignominioso experimentum crucis compiuto per verificare scientificamente la superiore assorbenza del
pannolino medesimo (tanto, Bacone e Stuart Mill, dalla tomba in cui sono costretti a rivoltarsi non possono replicare in
alcun modo), poco importa. L'importante è che passino i seguenti messaggi: a) Chi usa il tale assorbente è,
o è destinata
a diventare, una donna in carriera; b) Chi è in carriera non ha tempo per fermarsi a pensare ma deve solo agire (vedi
eretismo podistico); c) Chi agisce per la propria carriera non è stressato (vedi incartamento esiguo) ma soddisfatto
(vedi
sorriso incrollabile) e invidiato (vedi amica come sopra); d) Il lavoro maschile è potere, e deve essere la massima
aspirazione di una donna moderna (donna moderna: vedi uso del pannolino reclamizzato. E il cerchio si chiude). A dir
queste cose così si potrebbe anche rischiare l'interdizione e il conseguente internamento istituzionale. Ma facendole
passare
con le studiate tecniche dell'implicazione occulta, approfittando della bassa soglia di attenzione e l'inesistente livello di
guardia di chi riceve il messaggio pubblicitario, non solo vengono recepite ma addirittura funzionano anche. Non è
che la
gente sia stupida, come loro credono e vorrebbero farci credere. Il fatto è che viene presa alla sprovvista. Si ha un
bel
vietare i messaggi subliminali. Il loro implicito ha natura sensoriale. Qui siamo invece nel caso dell'implicito concettuale
e/o psichico, ben più pericoloso giacché da qualche parte della nostra consapevolezza ci sforziamo anche
di condividerlo,
sulla base delle nostre più nascoste (talora comprensibilmente nascoste) aspirazioni. L'operazione esplicita
è quella in cui
l'accento viene innocentemente posto sulle caratteristiche del prodotto, la sua modernità, la sua efficienza, la sua
comodità,
concepite a immagine e somiglianza oltre che a esclusivo beneficio delle donne che «decideranno liberamente» di
addottarlo. Anche tali esplicitazioni hanno però delle conseguenze. Qualcuna di natura tecnica, altre,
ahimè, di natura
epistemologica. Le conseguenze tecniche sono molto interessanti e riguardano la versatilità del mezzo di
comunicazione.
Avete notato, ad esempio, che la presa diretta, lanciata dai detersivi e timidamente raccolta da saponette e pannolini per
l'infanzia, ha cominciato a fare capolino anche nel campo dell'assorbenza igienica adulta? La costruzione del messaggio,
che invece raggiunge altissimi livelli di artificialità, viene spacciata per trance de vie col facile
espediente della
summenzionata presa diretta. Irretito dalla «tv verità», il fruitore non si avvede delle assurde implicanze
campaniliane di
una confezione di assorbenti igienici che si apre a mo' di merendina o di pacchetto di fazzolettini, pronta a distribuire
rapidamente il suo contenuto alla donna moderna di turno. La modernità è data in questo caso
dall'equazione con la
velocità, decantata dal soggetto «intervistato» passando abilmente sotto silenzio il fatto che, congruamente con
il teorema
rapidità, il soggetto dovrebbe anche infilarsi, più veloce della luce, le magnifiche pezze, e progressive, nelle
mutande. Cosa
che, non potendo fare, a tutt'oggi, in pubblico (ma tutti noi speriamo che siffatta inconveniente costumanza,
liberisticamente, presto scompaia), si trova nella necessità comunque di reperire appositi vespasiani o equivalenti
per
indossarle. E addio pie' veloce. Le conseguenze epistemologiche sono però le più succulente, e mi fanno
impazzire. Il luogo
dove più facilmente esse si riscontrano è la zucchinificazione del detergente intimo liquido. Se ancora non
ve ne foste
accorti, vorrei farvi notare che gli «spottemi» (perdonatemi l'apax) denotanti scientificità, tradizionalmente
riconosciuti,
sono: il Grafico, il Camice con la Penna nel taschino, il Pulsante del Computer che, premuto dalla Donna in Camice,
fornisce in un battibaleno il cartone animato della Vittoriosa Dimostrazione della Superlatività assoluta e relativa
del
Nostro Prodotto (abbiamo sempre temuto che si preferisse destinare denaro alla ricerca pro dente piuttosto che a quella
anti cancro), ed altri ancora, tra cui il più famigerato di tutti, ovvero il Test Clinico. Quest'ultimo essendo un
personaggio
squisitamente concettuale, non viene di solito rappresentato in immagine, ma accuratamente nominato con obbligatoria
opzione di autorevolezza, alla stregua di Aristotele nelle dispute scolastiche. E' evidente come da parte degli autori
pubblicitari si ritenga che questo mondo da Alice nel Paese delle Meraviglie sia il non plus ultra dei crismi della
consapevolezza epistemologica e del metodo scientifico. Io avrei qualche dubbio. Nella fattispecie Test Clinici dovrebbero
dimostrare (notate la sottigliezza del plurale senza articolo: generalizzazione, ripetibilità, intersoggettività,
ma al contempo
indeterminazione) che il prodotto in questione, comunque efficacissimo nello svolgere la funzione per cui è stato
creato
è anche capace di svolgerla delicatamente, senza irritare con fastidiosi «effetti collaterali» le parti intime da esso
deterse.
Non può non essere un «test», poiché la parola «esperimento» relativamente al corpo di un essere vivente
fa sorgere
memorie collettive spiacevoli, dal «lager» alla «vivisezione». Non può non essere «clinico», poiché solo
al mostro di
Firenze potrebbe risultare plausibile un esperimento in vitro farebbe pensare a volontari, ma più
facilmente a cavie
prezzolate che difficilmente manifesterebbero la propria anomala prurigine pur di compiacere lo sperimentatore
prezzolante, o peggio farebbe pensare a soggetti «testati» inconsapevolmente o contro la propria volontà. Guai ai
manipolatori (degli altri). Dunque, non resta che la sperimentazione «clinica». Questa parola implica la presenza di un
«medico», notoriamente votato per definizione a combattere e a sconfiggere la malattia, di un «paziente» che si rivolge
al
medico per risolvere i suoi problemi e alleviare le sofferenze, e la fattispecie del «ricovero», ospedaliero o meno che sia
nell'ambito istituzionale e rassicurante del quale l'intera vicenda si svolga. A questo punto si aprono due alternative
decostruttive di tale opzione ipostatizzante della natura della pratica e della funzione del significato della ricerca
scientifica, veicolata dal sintagma «test clinici» e dal contesto cui esso è riferito negli spot. Io ora vi chiedo di
immaginarvele entrambe, prima l'una e poi l'altra. Torme di donne che hanno problemi di igiene intima, non sapendo
più
a che santo votarsi, si precipitano a farsi ricoverare in ospedale, implorando i medici di sperimentare senza remora alcuna
tutti i possibili detergenti intimi conosciuti o meno che siano. Sono allo stremo. Hanno provato di tutto, dai guaritori
filippini al Mago Otelma, e non resta loro che quest'ultima spiaggia per tentare di risolvere il loro drammatico
inconveniente. Il medico, con sorriso lungimirante, stringe con fermezza le loro mani tremanti e le avverte che sarà
una
prova lunga e difficile, ma che se gli faranno dono della propria fiducia e faranno uno sforzo di volontà, potranno
sussistere
speranze di salvezza. Il resto è altrettanto ovvio. Oppure in un ospedale dove sono ricoverate numerose donne
che soffrono tutte di un male sconosciuto e che vengono
considerate irrecuperabili, vengono visitate da un medico, che propone loro di sottoporsi a un estremo tentativo. Ogni
giorno, due volte al giorno, applica loro un nuovo ritrovato della scienza sperimentale, che promette l'abluzione delle parti
intime senza aggravio per il loro sistema immunitario già gravemente compromesso e duramente provato. I test
danno
risultati brillanti. Alla fine le donne muoiano tutte, ma con le parti intime fresche e pulite come le avevano appena
nate. Il bambino ride, e il Re è nudo.
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