Rivista Anarchica Online
Alla ricerca della libertà
di Francesco Codello
Anche nell'educazione dei bambini è centrale il rapporto mezzi-fini
Uno dei più gravi limiti che si impone al nostro atteggiamento e al nostro comportamento di relazione con gli altri,
deriva
da un modo di intendere il rapporto che intercorre tra l'identificazione di un determinato problema e l'individuazione della
soluzione per risolverlo. Tra il problema (P) e la soluzione (S) intercorre sempre una certa dose di ansia. L'operazione
che spesso facciamo è quella
di trovare una soluzione all'ansia invece che risolvere il problema. E' la scorciatoia dell'intervento immediato ma
superficiale e molto spesso allontana la vera soluzione al problema dato. Quando, di fronte ad un atteggiamento di un
bambino che non trova la nostra approvazione, la reazione che mettiamo in
atto è di reprimere questa manifestazione noi ci comportiamo esattamente così. Troviamo cioè
una soluzione ad un' ansia (quasi sempre a forte contenuto sociale e culturale) ma non rispondiamo in modo
positivo ad un segnale o ad una richiesta precisa. Diventa dunque fondamentale, nell'educazione, capire e comunicare
in modo corretto. Il problema vero dunque è «essere» non certamente «fare» i bravi genitori. La
dimensione esistenziale deve prendere il sopravvento su quella produttiva (cioè sul produrre comportamenti) in
una
prima fase. Di fronte ad un problema che si manifesta abbiamo il dovere di capire e conoscere, non certamente in un senso
teorico ma di condivisione delle emozioni e dei sentimenti che ci sono, che «esistono» dentro i nostri figli. Occorre
cioè rivivere dentro di noi determinate esperienze per capire come un figlio soffra in determinate situazioni. Fare
uno sforzo per «ricordare» che cosa abbiamo «sentito» noi in quella determinata circostanza. Prendere coscienza che
un certo atteggiamento di nostro figlio ci procura fastidio o rabbia perché l'abbiamo e lo
produciamo anche noi, ci può aiutare a capire profondamente che il fastidio o la rabbia che proviamo riguarda noi
più che
nostro figlio; e cioè che il problema sta prima di tutto in noi e solo secondariamente in lui. L'assunzione di
questo stile, di questa prospettiva esistenziale e metodologica, farà sì che i bambini si sentano più
sicuri
e accettino più facilmente di essere «guidati» dai genitori perché avvertono che questi agiscono con
naturalezza e
autenticità e in base alla loro esperienza. L'interpretazione che ogni bambino si fa del mondo (la sua
conoscenza) deve molto a come il genitore vive nel profondo
un determinato evento. L'educazione, in sostanza, è soprattutto esempio e condivisione di
esperienze. Dobbiamo in verità essere in grado di abbandonare (temporaneamente e per poter sviluppare una
analisi e una ricerca
autentiche), di fronte ad un determinato problema causato dal figlio, il nostro schema di riferimento per entrare nel
suo. Il comportamento è lo strumento con cui influenzo gli altri. È necessario che la parte aperta di
ognuno di noi (ciò che è noto
a me e noto agli altri di me stesso) sia sempre più allargata e estesa sia verso la parte cieca (ciò che
è ignoto a me ma noto
agli altri) che verso la parte nascosta (ciò che è noto a me ma ignoto agli altri) e al contempo lavorare su
se stessi su ciò
che è ignoto a me e anche agli altri (inconscio). Il timore che abbiamo di fare ciò deriva dalla non
conoscenza delle reazioni dell'altro, di come cioè egli userà il suo potere
nei nostri confronti. Occorre sfidare queste paure e sconfiggerle restando noi stessi e immergendosi nel mondo degli
altri, condividendo le loro
realtà, i loro sogni, le loro paure e le loro ansie. I bambini crescono a immagine e somiglianza dei
comportamenti degli adulti. La società nella quale viviamo produce
modelli di riferimento fortemente autoritari o fortemente permissivi, in sostanza modelli di illibertà. Come si
può pretendere che un bambino socializzi, sia aperto al mondo esterno, sorrida alla vita se la sua famiglia è
rigidamente chiusa e guarda in cagnesco il mondo intero. Occorre capovolgere i nostri atteggiamenti, scoprire in ogni altro
un viso, un corpo, delle emozioni, dei comportamenti. Come è possibile pensare che un bambino impari, si
autoeduchi, se dalla scuola scompare tutta la condizione della scoperta,
della ricerca, della curiosità; se nella scuola si mortifica il suo naturale desiderio di muoversi e di esprimersi. Si
impara in realtà solo ciò che si desidera imparare. Oppure ci si addestra, che è comunque tutta
un'altra cosa, che niente
ha a che vedere con la vera istruzione e la vera educazione. Gli adulti devono quindi aiutare il bambino ad imparare
non insegnargli nulla. Devono favorire il suo essere, aiutarlo a far
sì che acquisisca le necessarie abilità più che trasmettergli contenuti. Devono consentirgli di fare
esperienze nella
convinzione che ognuno deve farsi la sua esperienza perché non esiste al mondo un modo proficuo per trasmettere
esperienze ma tanti modi per fare nuove esperienze. Certamente è assolutamente dannosa per una vera
educazione l'intenzione, più o meno esplicitata, di manifestare se stessi
o, peggio, realizzare se stessi attraverso i bambini. Questo fenomeno, non certamente nuovo nel palcoscenico della
storia, è oggi ancor più presente. L'unione tra due individui e la procreazione sono oggi indubbiamente
il frutto di una scelta culturale, un aspetto (anche
se non l'unico) della realizzazione del sè e ciò produce un carico di aspettative nei confronti dei bambini.
Tutto questo può
produrre alcuni effetti negativi: l'aumento della sensazione di proprietà del bambino; il desiderio che sia felice,
bravo,
stimato come proiezione dell'io come bravo genitore; l'aumento della sensazione di essere indispensabili; l'aumento della
insicurezza affettiva, il bisogno di conferme e la culturalizzazione del «mestiere genitoriale»; l'aumento del processo di
«adultizzazione» del bambino e la «bambinizzazione» dell'adulto e ciò produce la diminuzione dello specifico
dell'adulto
e quello del bambino, quindi la possibilità di trasgredire. Viviamo con una generazione di bambini scarsa di
numero e di relazioni tra loro. Il tempo della vita di ogni bambino è
segnato dal tempo degli adulti. Non ci sono più (tranne pochi casi) momenti nei quali i bambini stanno tra loro
senza la
presenza della figura adulta sia essa rappresentata dal genitore, dalla televisione, da tutte le attività strutturate e
fortemente
adultizzate. I genitori infine sono portati a vivere con grandi aspettative le «performance» dei figli mettendosi nella
condizione di vivere
il rapporto con i figli con crescente attese, ansie, maggiore fatica ad accettare l'errore, l'incertezza e
l'insicurezza. Questa adultizzazione del bambino produce certamente più aspettative, più richieste di
prestazioni ma sicuramente meno
scoperte autonome e libere e l'aumento dell'offerta di stimoli culturali, affettivi, relazionali rischia di soffocare
l'individualità e di produrre un rapporto mai così strutturalmente autoritario. Occorre invece lasciare
più spazio ai bambini e alla loro naturale curiosità: anche la fatica, l'impegno, lo sforzo, la
conquista e l'errore sono elementi positivi per la crescita che deve prevedere anche la possibilità di
ribellarsi. Nessuna disciplina può essere imposta con la forza. Non vi è dubbio alcuno che il modo
migliore per diventare persone
disciplinate è emulare l'esempio di qualcuno che si ammira, e non certo quello di sottoporsi ad una istruzione
verbale, ne
tanto meno quello di essere indotti ad un determinato comportamento con le minacce, con la logica dei premi e delle
punizioni. L'unica cosa che le punizioni insegnano ai bambini è che forza e diritto coincidono e quando saranno
abbastanza grandi
per poterlo fare e abbastanza forti per imporsi, cercheranno di rifarsi: ecco perché molto spesso tanti bambini
«puniscono»
i loro genitori assumendo comportamenti che addolorano i genitori. Vi è quindi anche nell'educazione la
centralità del rapporto mezzi-fini. Questione essenziale per l'anarchismo ed anche
per la pedagogia libertaria. In questo contesto va ribadita l'importanza fondamentale dell'esempio. Ciò non ci esime
dal
disapprovare un determinato fatto, ma mai estendere la disapprovazione alla persona («quello che hai fatto non mi piace,
non tu non mi piaci!). Lasciare una porta aperta al dialogo spiegando ad un bambino che, pur disapprovando quello
che ha fatto, ci rendiamo
conto che secondo il suo punto di vista era giustificato, è molto più produttivo e giusto che non risolvere
tutto con lo
schema tradizionale della colpa e del peccato. Questo perché questo modo di comportarsi da parte dei genitori
non intacca il rispetto di sè e l'amore che ha per noi. Solo l'esempio che possiamo dare del nostro modo di
essere e di agire indurrà i nostri figli a integrare nella loro personalità
anche lo stesso tipo di comportamento: solo il nostro esempio conta, a condizione però di essere autentici, e di non
imporre
loro i nostri valori, né di pretendere che seguano il nostro esempio prima che siano pronti a farlo, nel rispetto della
loro
naturale evoluzione. Dobbiamo infatti mantenere intatta, sempre, in ogni momento la convinzione della loro
bontà, riconoscendo che occorre
tanto tempo perché crescano insieme a noi. È necessario infine che non ci venga mai meno la
disponibilità e la capacità di soppesare dentro di noi le possibili
motivazioni dei bambini che vivono con noi, se vogliamo cogliere le ragioni del loro comportamento, le cause che lo
determinano, gli scopi che si prefiggono. E' l'empatia l'essenza del rapporto educativo. È importante che l'adulto
possa comprendere un bambino. Per farlo bisogna
considerare l'altro come pari e diverso al tempo stesso. Non uguali per il sapere, l'intelligenza o l'esperienza e men che
meno per l'insieme delle risposte date ai problemi della vita. Simili invece rispetto ai sentimenti e alle emozioni che ci
muovono tutti, adulti e bambini. Questo comporta che si abbia familiarità con tutta la gamma dei nostri sentimenti,
anche
con quelli che non ci sono abituali o con quelli che si mettono in atto al momento. Instaurare un rapporto di empatia
significa mettersi nei panni dell'altro, intuire non solo le sue emozioni ma anche le sue motivazioni. Significa capire e
comprendere l'altro dall'interno non certo capire i motivi dell'altro con l'intelletto.
Alcuni suggerimenti bibliografici
- Bruno BETTELHEIM - Un genitore quasi perfetto - Feltrinelli
- Alexander S. NEILL - Il genitore consapevole - Forum Editoriale
- Marcello BERNARDI - Gli imperfetti genitori - Rizzoli
- Roberto DENTI - Conversazioni con Marcello Bernardi -
Eléuthera
- Michel GHAZA - Mangia la minestra e...taci! - Ed. Gruppo Abele
- H. BESSEL, T.P. KELLY jr - Puoi contare su di me - Red Edizioni
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