Rivista Anarchica Online
La vita a Fuzzy
di Filippo Trasatti
A volte basta un aggettivo per rendere gradevole un prodotto. Ricordate come era simpatica la Panda «comodosa e
risparmiosa»? Oppure l'acqua Ferrarelle «effervescente naturale»? Fuzzy è uno di questi aggettivi gradevoli che
riescono
a rendere gradevole ciò di cui si parla. Anche in italiano suona bene. Allora vediamo di che si tratta. Fuzzy significa
in
inglese «sfumato», «vago», «chiaroscurale»; a tutto ci si aspetterebbe di veder applicato tale aggettivo meno che alla
logica
e invece è proprio questo il suo campo di applicazione. Bart Kosko uno dei maggiori teorici di questa logica fuzzy
ha scritto
un libro, di recente tradotto in italiano, per diffondere il nuovo aggettivo: Il Fuzzy-Pensiero.Teoria e applicazioni della
logica fuzzy Baldini & Castoldi, Milano, 1995. La Logica-Fuzzy rientra in quel mare magnum di idee che si ispira,
da
vicino e da lontano,alla teoria dei sistemi e alla cibernetica. La sistemica è, detto in pillole, un tentativo di tradurre
a livello
epistemologico la svolta nella concezione della scienza a cavallo di questo secolo; il tentativo di superare una visione
meccanicistica e riduzionistica del mondo in direzione di un approccio transdisciplinare più globale (olistico) alla
complessità del mondo. La teoria della logica-fuzzy nasce ad opera di un ingegnere elettronico, Lofti Zadeh,
studioso di
sistemi e appassionato di logica e riprende le intuizioni e le elaborazioni di logici come Jan Lukasiewicz sulla logica
polivalente. Normalmente la logica che si impara a scuola, dalle elementari all'università, è una logica
bivalente, cioè è
basata su enunciati che ammettono due soli valori: vero o falso. Alla base di questo modo di concepire la logica sta uno
dei fondatori del pensiero occidentale, nientemeno che Aristotele che nella Metafisica enuncia il «principio di
contraddizione»: è impossibile che un medesimo attributo appartenga e non appartenga nello stesso tempo e sotto
il
medesimo riguardo a una medesima cosa. Da questo principio deriva l'altro detto del terzo escluso: di due proposizioni
contrarie una è necessariamente vera, l'altra necessariamente falsa. Naturalmente ciò non vale per tutte le
proposizioni,
ma solo per quelle di tipo assertorio: io dico che la tal cosa sta così richiede e ammette verifica di verità
o falsità. Ma
pensiamo ad esempio a una proposizione di tipo diverso: «uccidere è ingiusto»; è vera o falsa? Dipende,
si dirà dal contesto
di riferimento e dal sistema di valori. Ma anche in un campo di proposizioni più semplici relative ai cosiddetti
«futuri
contingenti», del tipo «domani pioverà», la risposta alla domanda vero/falso è impossibile ora; forse si
può dire che è
indeterminata. La logica fuzzy sostiene che i casi di proposizioni vere o false al 100% sono eccezioni, il resto è
invece
questione di misura, di maggior o minor accuratezza della misura. Tradotta in termini di insiemi, un insieme fuzzy è
inclusivo e non esclusivo. Contiene elementi dotati di una certa proprietà non al 100% , ma in una certa misura.
Uno degli
slogan fuzzy dice appunto che: «tutto è questione di misura»; oppure «il mondo non è in bianco e nero,
solo la logica lo
dipinge così». Anche negli enunciati fattuali del tipo «la mela è rossa», la qualità «rosso» è
questione di misura, come la
qualità «grande», oppure quella di «buono», o «ricco» e così via. In altre parole è come dire che
gli insiemi fuzzy, come
la realtà che ci circonda, non ha contorni netti, è fatta di sfumature, di qualità che si mescolano,
di punti di vista e di sistemi
di riferimento. «Secondo la logica bivalente il mondo è costituito di entità che sono discontinue, senza
nulla tra loro che
scavalchi i grandi e piccoli golfi invalicabili che le separano le une dalle altre. Il mondo diviene per noi una collezione di
disiecta membra, private di tutte le unioni o mutue relazioni, morte, sterili, inattive, inintelligibili» . (164) Sembra la
protesta di un filosofo romantico contro il meccanicismo della scienza e in effetti questo nuovo olismo ha non pochi debiti
verso quel modo di vedere il mondo. Fin qui si dirà siamo nel campo del bizzarro; chi mai dovrebbe occuparsi di
questa
logica fuzzy? Qualche filosofo dimenticato in qualche polveroso dipartimento. Risposta sbagliata. Se ne occupano
nientemeno che le multinazionali giapponesi. Si, perché la logica fuzzy è stata adottata dal Giappone come
una sorta di
rivincita contro la logica occidentale (Budda contro Aristotele, come recita un altro degli slogan del libro), ma anche
perché permette di produrre macchine sofisticate dotate di una logica interna più fluida e che perciò
si adattano meglio alla
realtà. Già nel 1989 il ministero giapponese per l'industria e il commercio estero ha inaugurato il LIFE
(Laboratory for
International Fuzzy Engineering Research) a Yokohama con un finanziamento di 70 milioni di dollari. L'anno dopo
è nato
un rivale l'FLSI nel Sud del Giappone e la gara continua. Di questo cartello fanno parte ditte come Sony, Toyota, Honda,
Mitsubishi, tanto per citare alcune tra le marche più conosciute da noi; ciascuna di queste ha già
commercializzato prodotti
fuzzy: il tostapane Sony, la lavabiancheria Hitachi, le copiatrici Canon e via con una lista lunga tre pagine. Un altro campo
di ricerca promettente è quello delle reti neurali applicate ai computer di nuova concezione. Non m'intendo molto
di
ingegneria ma ho come l'impressione che, al di là delle parole altisonanti e dello scintillio ad uso mercato, il
principio
comune di questi prodotti sia abbastanza semplice: l'autoregolazione, uno dei fondamenti della cibernetica. Un semplice
termostato lavora così: a <20°C accendi la caldaia a >20°C spegnila; immagino che un sistema fuzzy sia in
grado di
controllare la caldaia su un numero di stati maggiori, che sia dunque più intelligente e sfumato di una macchina
semplice
si/no. Ma che ha a che vedere tutto questo con la filosofia o addirittura con una nuova visione del mondo? Perché
ciò che
l'autore ci propone, senza darsene troppa pena, è proprio una nuova visione del mondo in tonalità NEW
AGE. In questo
clima più californiano che giapponese il creatore della teoria fuzzy diviene un guru con migliaia di seguaci e fedeli
con
l'occhio attento al cuore, alle nuove tecnologie e al portafoglio. La dottrina porta alla liberazione dei seguaci e qui
stranamente la logica fuzzy non vale più: «Zadeh (l'inventore della logica fuzzy) sembrava dire che o aveva ragione
lui
o aveva ragione gran parte della scienza o della cultura occidentale. Delle due o l'una o l'altra e la scelta sembrava ovvia
«(178). La salvezza personale viene perseguita (e descritta) con meticolosità, cosicché veniamo a sapere
delle sue numerose
attività e riconoscimenti in tutto il mondo e infine che il buon Kosko è «uno dei trecento che ha
sottoscritto per essere
ibernato e ha optato per la sospensione completa di tutto il corpo» (290). In questo scenario così flou, così
spirituale, dove
le tensioni e i conflitti scompaiono grazie alla logica fuzzy, dove il mondo riacquista finalmente le sfumature, i chiaroscuri,
le tinte acquerellate, una frase ci risveglia alla realtà e ci agghiaccia. Il nostro sta beatamente delineando un futuro
in cui,
grazie alla logica fuzzy ormai incorporata ovunque, saremo sostituiti dalle macchine intelligenti che lavoreranno al posto
nostro. Inoltre saremo tutti intelligenti grazie alle pillole AQI. «In conclusione ci adatteremo alle pillole AQI come ci
siamo adattati alle automobili, ai telefoni, ai cibi congelati. Una società con un più alto QI (per QI si
intende nei test
psicometrici il cosidetto Quoziente Intellettivo n.d.r.) non ci pioverà addosso all'improvviso, ma si evolverà
gradualmente»
(p.326, riga 4). Ciò che ci piomba addosso è invece la frase successiva. «Consideriamo ora le armi pesanti.
Armi ad alto
QI di per sè possono essere sia un fattore di stabilizzazione che di destabilizzazione delle relazioni internazionali.
Le nostre
prime esperienze con armi intelligenti nella guerra del 1991 contro l'Iraq sono state relativamente positive. I missili di
crociera e i razzi intelligenti avevano un QI di macchina molto basso. Tuttavia da un giorno all'altro l'innalzamento del
QI di macchina è divenuto la nuova posta in gioco della corsa agli armamenti» (idem). Ciò che preoccupa
questo idiota
ad alto QI non sono i bombardamenti, o poniamo pure, le ragioni dei bravi berretti verdi. No. Ciò che lo preoccupa
è che
le bombe non erano abbastanza intelligenti, ossia non erano fuzzy, ossia non portavano soldi alle sue tasche e alle
multinazionali che lo foraggiano. È il risultato di un superamento del conflitto non attraverso «il lavoro del
concetto», come
direbbe Hegel, ma con un salto in un mondo flou, in una sera grigia in cui non esistono poi così tante differenze
tra uomini,
aspirapolveri e missili intelligenti. Purché siano intelligenti. Ci sfugge al momento che ne sarà dei meno
intelligenti, di quei
tapini che nel suo mondo ideale, nonostante la pillola, non avranno raggiunto un QI adeguato. D'altronde, chi pretende di
rifondare da sè l'intera logica occidentale e ritiene di avere una missione da attuare ad ogni costo, non può
certo occuparsi
dei Forrest Gump che incontra sulla sua strada. Salvo che per farne dei film per far soldi.
|