Rivista Anarchica Online
Foucault e l'anarchismo
di Salvo Vaccaro
"Nei primi due anni di vita a Clermont [1960-62], Michel Foucault stringe amicizia
con Jules Vuillemin.
Fanno lunghe passeggiate per le vie della città vecchia, spesso pranzano insieme, a volte con i colleghi
della
facoltà di filosofia. Tavolate di dieci persone non sono rare. (...) Eppure le differenze tra i due professori
sono
molte. (...) Anche politicamente la distanza che li separa è considerevole: Vuillemin si è
gradualmente
spostato a destra, Foucault è rimasto, bene o male, un uomo di sinistra. Discutono molto fra loro e
Foucault in
genere conclude commentando: 'In fondo, tu sei un anarchico di destra e io un anarchico di sinistra'" (1). Da
quale posizione Foucault può auto-identificarsi in questa maniera? Con quale grado di consapevolezza,
in
particolar modo rispetto ad un'ampia tradizione storica? Quale accezione imprime all'espressione "anarchico
di sinistra", in contrapposizione ad un fantomatico "anarchico di destra" (al di là della persona in carne
ed
ossa)? Solamente una affinità elettiva con l'eretico, il marginale, l'anomalo? E' quanto cercheremo
di comprendere nel corso della ricognizione effettuata in questo articolo. Innanzitutto,
mi si consenta una motivazione autobiografica. Insieme ai teorici della cosiddetta Scuola di Francoforte - testi
quali L'uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, la Teoria critica di Max
Horkheimer, i Minima moralia
di Theodor W. Adorno, La dialettica dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno ancora -
Michel Foucault è
l'autore (filosofo, storico, critico) che mi ha fatto avvicinare all'anarchismo negli anni intorno al 1976-'77;
soprattutto, la sua storia della nascita della prigione, Sorvegliare e punire, e i suoi articoli raccolti
in
Microfisica del potere.
Spiragli inediti Ovviamente, lessi
anche, ma successivamente, i classici del nostro pensiero, ma ancora oggi quella specifica
formazione propedeutica mi offrì e mi offre tuttora l'opportunità di non fossilizzarmi nel solco
tracciato da
Bakunin a Malatesta, per recitare il titolo del noto libro di Pier Carlo Masini. Sopra di ogni cosa, mi è
rimasto
indelebilmente impresso uno stile di lettura, una curiosità di ricerca, un taglio di riflessione: l'uso del
pensare
come una "scatola di attrezzi" da cui prendere ciò che serve al momento opportuno, ogni qualvolta serva
un sostegno per puntellare un proprio percorso di ragionamento, un'autonoma costruzione concettuale.
Bandendo ogni accademismo, Foucault ci ha insegnato, innanzitutto, un uso "anarchico" del testo teorico,
non
estraneo né asservito alla pratica ma utilizzato senza riverenze filologiche o formalismi sistematici, senza
rispetto, vale a dire, dell'autorità del Nome ("Che importa Chi parla?", era solito ripetere), ma affrontando
di
petto il contenuto del pensare e le condizioni socio-storiche entro cui diviene possibile pensare qualcosa e non
qualcos'altro. In cui diviene altresì possibile far maturare un processo di slittamento del pensiero verso
spiragli inediti, su orizzonti prima velati, squarciando vincoli di compatibilità che si riflettono nell'ordine
del
pensare stesso. Nessuna soglia è preclusa, invalicabile, come l'utopia dimostra, sebbene Foucault non la
intraveda in un domani palingenetico di libertà compiutamente acquisita, bensì in un presente
su cui scagliare
le frecce di una critica genealogica (secondo una felice immagine di Habermas) che rintracci, oggi, dinamiche
di sottrazione e liberazione dalle relazioni di potere dominanti. Ma non è del sottoscritto che si
intende fare la storia di un rapporto possibile con il pensiero anarchico, ma di
Foucault, verso il quale il movimento ha sempre ostentato una qual certa diffidenza - ricordo un mio dissidio
con Massimo La Torre su "Umanità Nova" (n. 19 del 21.5.1978 e n. 28 del 30.7.1978, per la precisione)
- che
oggi sembrerebbe dissolversi grazie alle attività del C.S.O.A. Godzilla di Livorno, il quale, tra l'altro, ha
organizzato un paio di convegni dedicati all'autore francese, ha pubblicato gli atti del primo, ed ha promosso
la pubblicazione, presso le edizioni Biblioteca Franco Serantini di Pisa, delle relazioni annuali dei corsi
accademici di Foucault al Collège de France (cattedra di Storia dei sistemi di pensiero, appositamente
creata
per lui nel 1970) (2). L'autoidentificazione di Foucault "anarchico di sinistra" non deve ingannarci: essa
indica meno un
riconoscimento di appartenenza identitaria da sbandierare, quanto una tensione verso quella che poi
chiamerà
"l'insurrezione dei saperi assoggettati". Del resto, nelle migliaia di pagine che, tra libri, saggi, articoli e
interviste, comprendono i suoi "detti e scritti" (3), di anarchismo e anarchici c'è rara traccia. Ad esempio,
Foucault cita una volta sola i nomi di Bakunin (in collegamento con Wagner, in un articolo sulla versione
dell'Anello dei Nibelunghi presentata da Pierre Boulez, noto compositore) (4), e di Kropotkin (una
citazione
dalle Confessioni di un rivoluzionario, segnalatagli da Georges Canguilhem, suo maestro
nonché studioso di
epistemologia) (5). Inoltre, Foucault conosce certamente le figure intellettuali di Etienne de La Boétie
(6) e di Pierre Clastres (7),
mentre altro noto anarchico da lui certamente conosciuto è Noam Chomsky, con il quale ebbe una
conversazione nel 1971 presso un liceo olandese (ad Eindhoven) moderato dall'anarchico Fons Elders (8). Pur
contrastando con le posizioni politiche di Chomsky, dichiaratamente anarchiche, Foucault non cita
l'anarchismo nel corso della conversazione, nemmeno come sottofondo o in chiave polemica. En passant,
accenniamo ad una intervista del 1970 sulla neo-Università di Vincennes, quando Foucault, nel mezzo
di una
polemica governativa contro i docenti di filosofia di sinistra, ricorda come anche agli inizi del secolo si
rimproverasse sempre ai docenti di filosofia di "mettere in giro bande di "anarchici"" (9).
"Non sono anarchico nella misura in cui ... " Per
quanto riguarda un po' più specificatamente l'anarchismo, è rintracciabile una discussione in
occasione di
alcune conferenze sul potere, la verità e le forme giuridiche che Foucault diede dal 21 al 25 marzo 1973
all'Università pontificia cattolica di Rio de Janeiro (10). Nel dibattito successivo alle conferenze, alcuni
interlocutori sembrano vedere in Foucault una certa ritrosia a trasformare il carattere repressivo del potere in
feticcio, senza distinguerlo dall'aspetto produttivo di positività. "Dovrei piuttosto analizzare le condizioni
negative
e quelle positive del potere, poiché, se non facessi questa distinzione, andrei a recuperare semplicemente
una base
anarchica o, in una versione più contemporanea, una versione accademica, erudita di un pensiero hippy"
(11). Alla contestazione che non c'era nulla di cattivo nel pensiero anarchico o hippy - e secondo un
interlocutore
persino il pensiero del filosofo Gilles Deleuze (autore, tra l'altro, dell'Anti-Edipo, insieme a
Félix Guattari) è
hippy e anarchico Foucault precisa la distinzione tra potere oppressivo e potere produttivo, dando preminenza
a quest'ultimo. "lo non approvo l'analisi semplicista che considererebbe il potere come una sola cosa.
Qualcuno ha detto a questo punto che i rivoluzionari cercano di prendere il potere. Ebbene, qui sarei molto
più anarchico. Va detto che non sono anarchico nella misura in cui non ammetto questa concezione
totalmente negativa del potere; ma non sono d'accordo con voi quando dite che i rivoluzionari cercano di
prendere il potere" (12). Foucault riprese successivamente in considerazione l'anarchismo nel corso delle
lezioni del primo trimestre
1976 dedicate al tema: "Difendere la società". Nella lezione del 7 gennaio 1976, a proposito di alcune
lotte
contemporanee contro la giustizia e gli apparati giudiziari e psichiatrici (Foucault, oltre a ripercorrere il filo
storico della nascita della prigione, era personalmente impegnato nei GIP, Gruppi di Informazione sulle
Prigioni, ed era altresì collegato al movimento dell'antipsichiatria di Basaglia, Szasz, Cooper, Laing e
altri),
accanto a quelle legate alla giustizia di classe di tradizione maoista o a quelle di matrice psicoanalitica
risalente alle indicazioni di Reich e Marcuse, Foucault ricorda quelle che "si ricollegavano in modo appena
più precisato ad una tematica anarchica" (13). . Alla fine di quel medesimo ciclo di dodici
lezioni, il 17 marzo 1976, Foucault affrontò problematicamente la
"componente di razza" (nonché razzista) delle diverse forme di socialismo francese del XIX secolo,
incluse
quelle fourieriane e anarchiche (prima e fino all'affaire Dreyfus, Commune inclusa) (14).
Sorvegliare e punire Del resto, più o meno
in quel medesimo periodo, con l'anarchismo collegato alla intrinseca politicità delle
illegalità delinquenziali della seconda metà del XIX secolo, Foucault aveva concluso il suo libro
sul carcere: le
polemiche e le discussioni maturate nella prima metà del secolo, "saranno risvegliate dall'eco tanto vasta
che
rispose agli anarchici quando, nella seconda metà del secolo XIX, posero, prendendo come punto d'attacco
l'apparato penale, il problema politico della delinquenza; quando pensarono di poter riconoscere in essa la forma
più combattiva di rifiuto della legge; quando tentarono meno di eroicizzare la rivolta dei delinquenti, che
non di
deconnettere la delinquenza in rapporto alla legalità e all'illegalismo borghesi che l'avevano colonizzata;
quando
vollero ristabilire o costituire l'unità politica degli illegalismi popolari" (15). Foucault ritornò
poi sull'anarchismo nel novembre 1977, in occasione della subitanea estradizione in
Germania dell'avvocato francese Klaus Croissant, interdetto professionalmente ed accusato di complicità
con
la RAF, rifugiatosi in Francia per asilo politico, arrestato e infine espulso dopo il rinvenimento dei cadaveri di
Baader, Meinhof e compagni (16). Denunciando il tradimento della Francia quale tradizionale terra di
tolleranza e asilo per ragioni politiche, Foucault rintraccia le origini delle misure repressive nel concerto
statuale dei governi a cavallo tra XIX e XX secolo, anni segnati dal "terrore" degli anarchici (nel doppio senso
dell'espressione). Foucault denuncia la continuità di tali politiche nonostante siano nel frattempo
intercorse le
dichiarazioni dei diritti dell'uomo del 1948, la convenzione europea del 1957 e, in genere, leggi
(apparentemente) più liberali rispetto a quelle di fine-inizio secolo. In occasione di una
tournée in Giappone, nel 1978, Foucault diede alcune conferenze sul potere, visto
l'interesse suscitato dalla traduzione giapponese di Sorvegliare e punire e dall'imminente edizione
di La
volontà di sapere. Parlando il 27 aprile sulla "filosofia analitica della politica", Foucault a un certo
punto
tocca un esempio ben attuale al pubblico locale: gli scontri popolari contro la costruzione del nuovo aeroporto
di Tokyo a Narita. In quelle lotte, nota Foucault, non si tratta di far agire i principi leninisti dell'anello più
debole o del nemico più importante. "Sono lotte immediate" che non rinviano ad un momento futuro
liberatorio e rivoluzionario, "la scomparsa delle classi o il deperimento dello stato" ai quali delegare "la
soluzione dei problemi"; "in rapporto a una gerarchia teorica di motivazioni o a un ordine rivoluzionario che
polarizzerebbe la storia e che ne articolerebbe gerarchicamente i momenti, si può dire che queste lotte
sono
lotte anarchiche, iscrivendosi in una storia immediata, che si accetta e si riconosce infinitamente aperta" (17).
Esattamente un mese dopo, il 27 maggio 1978, di fronte ad un uditorio questa volta specialistico, presso la
Società francese di filosofia, Foucault diede una conferenza dal titolo "Che cosa è la critica?",
riferendosi
all'Illuminismo dei giorni d'oro del XVII e XVIII secolo. Interrogandosi sul governo e sulla volontà di
sottrarsi
al governo di qualsiasi tipo, Foucault, sollecitato da un uditore, si ferma sulla soglia dell'"anarchismo
fondamentale", di principio cioè, quale motivazione e orizzonte al contempo della sua analisi genealogica
dell'insorgenza di una attitudine critica e di una "volontà" di non farsi governare - che definisce
l'anarchismo
in quanto tale. Foucault non dice di non saperlo, ma di "non escluderlo assolutamente", pur non volendosi
spingere sin lì, non essendo la sua prospettiva (18). Infine, in una intervista data in Belgio il 22
maggio 1981 durante una serie di sei conferenze presso la facoltà
di Legge dell'Università cattolica di Lovanio, Foucault a un certo punto ebbe a rilevare come una certa
sinistra
francese ed europea si sia schierata con il sottoproletariato, mentre un'altra abbia preso le parti del
proletariato, rinnegando una potenziale solidarietà, specie in date sfere quali gli stili di vita e le preferenze
sessuali. A tale proposito, disse Foucault, "risulta vero che ci sono state due grandi famiglie ideologiche che
non sono mai riuscite ad intendersi: da un lato, gli anarchici, dall'altro i marxisti". E quando in coda gli
intervistatori azzardano un parallelo, con l' "anarchico libertario", Foucault replica: "E' quanto vi augurereste.
No, io non mi identifico con gli anarchici libertari, perché esiste una certa filosofia libertaria che crede
nei
bisogni fondamentali dell'uomo. lo non ne ho voglia, rifiuto soprattutto di essere identificato, di essere
localizzato dal potere" (19)
Eretico, iconoclasta, libertario A quanto mi risulta,
solo questi sono i luoghi in cui Foucault esplicita, cita di passaggio o mostra di conoscere
qualcosa intorno all'anarchismo, senza mai approfondire né, per la verità, dimostrare una
attenzione specifica e
diretta. Peraltro, in una intervista data a Berkeley nel 1983 (un anno prima di morire d'AIDS), Foucault sembra
trascurare le sollecitazioni a dichiararsi politicamente. A più riprese, gli interlocutori gli riferiscono delle
valutazioni "anarchiche" date alla sua opera (ad esempio, gli si dice che Habermas lo consideri "l'erede anarchico"
di Nietzsche, così come Heidegger rappresenterebbe l'erede conservatore); e Foucault, replicando di
interessarsi
maggiormente all'etica, e caso mai ad una politica in quanto etica, sembra fare spallucce ai tentativi contrastanti
di etichettarlo: "Sono stato considerato un tecnocrate, agente del governo gollista, dai democratici mentre dalla
destra, gollisti e altri, un pericoloso anarchico; addirittura un docente americano mi ha apostrofato perché
mai un
vetero-marxista come me, sicuramente un agente del KGB, veniva invitato dalle università americane,
e così via"
(20). Allora come giustificare o motivare quell'immagine di sé degli inizi degli anni '60, anteriori
peraltro all'epoca
del suo noto engagement politico (a favore dei reclusi, dei folli psichiatrizzati, dei dissidenti dei
paesi
dell'Europa orientale, dei boatpeople, degli oppositori al franchismo, ecc.)? Soltanto un tipico vezzo
intellettuale? Voglia di épater la bourgeoisie? Al di là di ogni intenzione di
partecipare al concorso mondiale
per etichettarlo, in quale carattere Foucault partecipa di una certa idea di anarchismo? Probabilmente la
risposta non va cercata a partire da un lavoro pure certosino di reperimento bibliografico in
tema o di citazione di anarchici e dintorni, come sin qui sommariamente elaborato. Anche perché, in
misura
sicuramente maggiore, sia per quantità che per qualità dei giudizi, rispetto alla rarità delle
tracce testuali,
intervengono critici e autori (alcuni dei quali conoscenti diretti di Foucault) a testimoniare, in valutazione
positiva o negativa, un qual certo anarchismo teorico e politico al Foucault stesso. Infatti, se alcuni di essi
si limitano a darne una sorta di etichettatura generica e, tutto sommato,
intercambiabile con altri termini più o meno affini, quali "eretico", "iconoclasta" (O'Connor), "libertario"
(Sawicki), o addirittura intendendone un uso critico-peggiorativo (Cohen e Arato, Rorty, Racevskis,
Hacking), altri si sforzano di entrare nel merito delle posizioni (21). Un filone intravede un
"anarco-nietzscheanesimo" (22). Il legame Nietzsche-Foucault è determinato, tra
l'altro, dalla comune impostazione metodologica di ricerca filosofica, storica e, in senso lato, sociale, detta
"genealogia". Questa cerca di rintracciare le condizioni materiali e discorsive di un dato evento nella sua
singolarità, individuando le provenienze delle "parole" e delle "cose" ad esso inerenti (volendo parafrasare
il
titolo di un celebre libro di Foucault). Dove può scattare plausibilmente l'anello di congiunzione tra
il nietzscheanesimo (cioè una posizione teorico-interpretativa che oltrepassa la stretta aderenza al testo
del filosofo tedesco) e l'anarchismo? Probabilmente in
quel luogo che misura la profonda non-dialetticità di Nietzsche e Foucault, i quali non credono né
usano il
metodo dialettico (in una qualsiasi versione: hegeliana, marxiana, storicista) per far derivare dal presente
ciò
che il presente nega o esclude. Se la dialettica istituisce una continuità spezzata tra l'esistente e l'utopia,
tanto
che quest'ultima si alimenta del ribaltamento della prima, Nietzsche e Foucault credono opportuno dover
tagliare ogni legame di continuità affinché il non-ancora-esistente non sia pre-giudicato
conservando elementi
del presente. Si tratta di una interpretazione della possibile lettura anarchica di un certo nietzscheanesimo
contemporaneo
(molto francese, mediata da Deleuze, e rielaborando Heidegger), che viene a scaturirsi dalla combinazione tra
l'uso del testo di Nietzsche e l'accezione foucaultiana. Fine interprete di questa tessitura teorica è
senza dubbio Reiner Schürmann, che ripercorre la linea di
formazione del soggetto nel pensiero foucaultiano. In esso, il soggetto è effetto di un duplice processo
di
assoggettamento, secondo un esercizio di potere attivo ed uno passivo. Negando entrambi questi momenti,
Foucault delinea una prospettiva di cura libertaria di sé, che non si lasci assoggettare né assoggetti
altri (in
differenza rispetto al sé greco della polis, il cui cittadino padrone maschio uomo pubblico domina la
donna
moglie nell'oikos). Il soggetto "anarchico", secondo Schürmann, è colui/colei che si autocostituisce
nelle lotte
contro i dispositivi disciplinari di potere e analitici di verità, quelli cioè che determinano la
torsione delle
relazioni sociali su base gerarchica e autoritaria, fissando cosa sia possibile o meno, cosa sia lecito perché
vero o meno (23). Foucault intende dichiarare la "morte dell'uomo" quale sovrano accentratore metafisico:
i soggetti si
costituiscono all'interno di relazioni di sapere e potere prefisse, che ciascuno trova ed eredita, e dalle quali
è
necessario appunto liberarsi senza ripristinare una ennesima posizione di sovranità accentrata da cui
dominare
e filtrare qualsiasi processo sociale e culturale.
Per una politica a-statuale Esiste poi un altro filone
che scorge in Foucault un "anarco-esistenzialismo". Una scrittrice femminista inglese,
Kate Soper, ad esempio, fa coincidere la "dimensione anarco-esistenzialista" di Foucault con la "logica
emancipativa e utopica del femminismo", in quanto sia questo che, soprattutto, Foucault aspirano "a una
libertà
anarchica dal dominio" (24). Hayden White paragona alcune pagine foucaultiane sulla difesa dell'individuo
dallo stato a quelle di Albert
Camus sull'"uomo in rivolta", nelle quali ci si oppone "al totalitarismo prospettando quale alternativa
auspicabile una amabile anarchia" (25). Philip Knee, per parte sua, mette addirittura in parallelo un preteso
anarchismo sartriano e quello "nichilista"
di Foucault, il primo "d'ispirazione marxiana, nel senso dell'anarchismo antipolitico del giovane Marx
allorquando critica la separazione della politica in una sfera distorta dell'economia. (...) E in ciò è
molto
vicino all'idea anarchica di una politica a-statuale, senza governo né legge, come si trova, ad esempio,
nella
critica di Proudhon a Rousseau". In tal senso la congiunzione con l'anarchismo "nichilista" di Foucault, che
esalta gli esclusi, le resistenze al potere (comunque esse siano), la provocazione permanente di una sfida
libertaria (26). Infine, Alex Callinicos, riprendendo l' "anarconietzscheanesimo", distingue "da precedenti
tipi di anarchismo -
specialmente la versione atomistica di Stirner. .. La differenza consiste nel fatto che Foucault e Deleuze hanno
sostituito il soggetto individuale, la cui sovranità e unità sostanziale. Stirner e compagni non solo
mantenevano ma spingevano all'estremo, con una molteplicità di soggetti" (27). Sembra una differenza
da
poco, ma in questione non è solo la pluralità, bensì la qualità dei soggetti: nella
teoria di Foucault e,
maggiormente, di Deleuze, il soggetto può ricostituirsi solamente acentrato, nomade, senza farsi
reinscrivere
nel cerchio magico della sua istituzionalizzazione simbolica e giuridica. Anche Wolfgang Essbach tesse un
legame Stirner-Foucault, ripreso da Urs Marti, che addirittura imputa a
Foucault "simpatie anarchiche", rintracciandole in quei (rari) luoghi in cui Foucault ha parlato di anarchici,
oltre che per la predilezione, la solidarietà con gruppi spontanei e movimenti esperienziali, tipici del '68
(28). Lo storico francese Jacques Léonard, che ebbe una polemica con Foucault relativamente alla
metodologia
storica, non ha esitazione a sostenere che "l'autore di Sorvegliare e punire si situa in quella linea di
pensatori
politici individualisti che criticano fermamente tale nozione [di potere]. Non sarebbe difficile indicare i suoi
precursori in quegli anarchici del XIX secolo che denunciano con intransigenza quasi tutti i poteri: padronale,
statale, militare, poliziesco, giudiziario, clericale, medico, giuridico, paterno, coloniale ... ". E in nota ricorda
gli articoli di Sébastien Faure in "Le Libertaire", di Jean Grave in "Les Temps modernes", di Paul Robin
e di
Albert Thierry, oltre a riprodurre per intero la celebre invettiva di Proudhon "Essere governato significa ... ", a
cui risuona indirettamente la critica foucaultiana delle relazioni dominanti di potere (29).
Politica e/è etica L'individualismo
rivendicabile da Foucault, tuttavia, non è certamente politico, ma etico; la possibilità che
ciascuno ha di disegnarsi il tragitto della propria esistenza non come un elemento di una strategia politica, che
surroga e depotenzia al tempo stesso la violenza bellica mimandone logiche distorsive e dissuasive, ma come
opera d'arte: la vita come creazione estetica individualizzata che comunica solidalmente e in reciprocità
le diverse
forme di cura di sé non egemone. Dana Polan si interroga, quindi, se la posizione foucaultiana
consista "in un'anarco-politica in cui tutto ciò che
è non sistematico è valorizzato in quanto sovversivo, ovvero in una ironia infinita spesso
prossima ad un
gelido nichilismo" (30). Quasi a dialogare, Alan Megill sostiene che "il rifiuto del sistema da parte di Foucault
potrebbe indurci a considerarlo anarchico, sebbene il suo anarchismo non presuma, come l'anarchismo
classico, un ordine soggiacente che debba essere solamente espresso affinché prevalga l'armonia. In
Foucault
non esiste un ordine naturale, né un'armonia possibile" (31). Richard Rorty rivendica, d'altro canto, "la
sua
politica anarchica", "indissociabile dal lavoro storico": "si tratta di denunciare la sottigliezza dei meccanismi
repressivi attivati dalle classi dirigenti" (32). "Ma Foucault è davvero un propugnatore del suo
atteggiamento anarchico-nichilista?", si chiede Michael
Walzer. Credendo di trovare in lui una forbice tra la posizione teorica e il suo fattivo engagement
politico,
Walzer critica in buona sostanza l'incongruenza tra espressione ed impegno, tra teoria critica, incompleta e
contraddittoria a suo parere, e lo slancio generoso sensibilmente avvertibile. "Quando Foucault è
anarchico lo
è sia da un punto di vista morale che da un punto di vista politico; morale e politica per lui vanno di pari
passo: la colpa e l'innocenza vengono create dal codice giuridico, la normalità e l'anormalità dalle
discipline
scientifiche. Abolire i sistemi di potere significa abolire d'un colpo anche le categorie giuridiche, morali ed
anche scientifiche. Ma che cosa rimane, allora? Foucault non crede, come ritenevano i primi anarchici, che il
soggetto umano libero sia un soggetto di un certo tipo, buono per natura e sinceramente socievole; anzi, è
convinto che non esiste un qualcosa che si possa definire un soggetto umano libero, che non esistano uomini o
donne naturali. Uomini e donne sono sempre creazioni sociali, il prodotto di codici e discipline. E così
il
radicale abolizionismo di Foucault, se è serio, non è tanto di carattere anarchico quanto nichilista"
(33).
Nel '68 José Merquior sembra concordare
con quest'ultima valutazione, parlando addirittura di "nichilismo da cattedra"
(come un tempo si diceva "socialismo da cattedra", invettiva lanciata dai marxisti rivoluzionari di inizio secolo
ai teorici riformisti e socialdemocratici). Merquior però individua un neo-anarchismo in Foucault: "Quella
di
libertario, effettivamente, è la migliore etichetta per indicare Foucault quale teorico sociale. Più
esattamente, egli
è stato (anche se non ha utilizzato questa parola) un anarchico moderno" (34). Secondo Merquior, sono
"almeno
tre [i] momenti in cui Foucault aderì all'atmosfera di fervido anarchismo che ispirava la rivolta degli
studenti (e
fece innalzare la bandiera nera dell'anarchia nella Sorbonne occupata del maggio 1968)": la simpatia per le
formazioni politiche decentrate, spontanee, concentrate inoltre su esperienze particolari, più che sulla
globale lotta
di classe e, "per finire, e in sintonia ancora più stretta con la tradizione anarchica più pura,
Foucault era
irremovibile nella sua mancanza di fiducia nelle istituzioni" (anche di quelle rivoluzionarie, come dimostra il
dissidio con i maoisti in merito alla giustizia rivoluzionaria, concepibile solo al di là di riti, strutture,
tribunali e
coreografie tipiche della borghesia) (35). "Ma Foucault non si limitò a seguire l'anarchismo. In
realtà ciò che lo rese un neo-anarchico era l'aggiunta di
due nuovi aspetti alla teoria classica dell'anarchia. Innanzitutto il suo netto antiutopismo. I principali pensatori
anarchici del XIX secolo erano anche dei grandi utopisti. Benché guardassero con profondo sospetto le
istituzioni impersonali, badarono a proporre nuove forme di vita economica e sociale, come il mutualismo di
Proudhon o le cooperative di Kropotkin. Il neoanarchismo di oggi, al contrario, sembra del tutto negativo.
Sembra non avere alcuna pars costruens, le sue credenze consistono interamente in ciò che
rifiuta, non anche
in idee positive" (36). In secondo luogo, Merquior rileva il predominio della componente irrazionale sulle
"basi scientifiche" che
inorgoglivano Kropotkin, probabilmente riflesso del nichilismo della modernità. Negativismo e
irrazionalismo, conclude Merquior, sono gli elementi di fondo della critica radicale della controcultura
contemporanea, che Foucault e Marcuse rappresentano appieno officiandone il suo matrimonio con
l'anarchismo, a scapito (ahi lui!) del marxismo. Occorre, tuttavia, far rilevare il motivo per cui Foucault non
concede sconti all'utopismo. Come si evince
dalla conversazione con Chomsky (da poco disponibile in traduzione italiana, si è detto), il timore che
la
prefigurazione fantastica di una società altra contenga fantasmaticamente (cioè di ritorno, in senso
psicanalitico) elementi di pensabilità già presenti nella costellazione di idee, discorsi, valori che
pur si intende
negare, gli suggerisce innanzitutto di rigettare in toto "l'insieme di questa società" pure come fonte
originaria
da cui distaccarsi. Solo la distruzione della "legge del "fino ad oggi"" (37) potrà almeno apprestare un
terreno
sul quale operare una differente articolazione delle relazioni sociali non correlate a gerarchie dominanti ed a
formazioni egemoni di sovranità. Comunque, sono le lotte del presente a costituire il crinale possibile
del cambiamento, giacché per Foucault
significative sono le pratiche che codeterminano gli assetti: il percorso dal generale al particolare tipico di
ogni aspirazione al potere dalla cui cima mutare la qualità della vita, in Foucault è drasticamente
rivoltato, nel
senso di una attenzione specifica alla microfisica delle relazioni di potere il cui esercizio colpisce e attraversa
individui in carne e ossa, potenziali vettori di altre pratiche e di altri discorsi dissonanti.
Nuove forme di soggettività Alla fine di
questa ricognizione, è possibile trarre sinteticamente alcune conclusioni (parziali) intorno al rapporto
Foucault-anarchismo, che vanno al di là dell'identificazione o dell'appartenenza. Fedeli alla ricerca di
"outils"
nella "boite" del suo pensare, è possibile così evidenziare cosa di Foucault stesso è utile
per una elaborazione
contemporanea dell'anarchismo. E indubbiamente l'analitica del potere disegna alcune mappe di relazioni
di potere asimmetriche, gerarchiche,
reversibili, biunivoche, che più si avvicinano a una sensibilità libertaria (mutuata, ad esempio,
dal pensiero
radicale delle donne) e più si prestano ad una critica del dominio di segno anarchico. Foucault non
ci dà una teoria generale, poiché ritiene che il potere non consista in una sostanza posseduta da
far valere, bensì in un particolare rapporto topologico, cioè una relazione tra soggetti in
riferimento ad uno
specifico campo di possibilità sia materiali (pratiche, comportamenti, vincoli normativi, ecc.), che
discorsivi
(idee, valori, immaginari, ecc.). La relazione di potere così disegnata coglie appieno alcuni elementi tipici
del
dominio moderno: anonimato, trasversalità, trasferibilità, integrabilità, fascinazione. Non
esiste, vale a dire,
alcuna garanzia assoluta di esenzione dall'esercitare rapporti di potere, poiché sono le pratiche in cui
ciascuno
è immerso a dettare la posizione individuale nel campo di tensione preso in considerazione (famiglia,
scuola,
prigione, ospedale, ecc. ecc.). Importante, allora, diventa mutare comportamento, cambiare pratiche, adottare
stili di vita diversi, sottrarsi
alla griglia disciplinare che regolamenta l'esistenza singolare e collettiva degli individui nei vari e specifici
ambiti della vita quotidiana e istituzionali. Non è vero che Foucault non indica percorsi in positivo.
Quando enuncia la nota sentenza sulla "morte
dell'uomo", intende riferirsi alla dimensione storico-moderna del soggetto sovrano che ha
sovraistituzionalizzato corpi e desideri di ciascun individuo, sciolto da vincoli di genere, identità,
appartenenza etnica. L'Illuminismo ci aveva promesso il riscatto dell'uomo dalla minorità cui era stato
relegato, consentendogli di pervenire a quella autonomia desiderata nella sfera intellettuale, politica e sociale.
Le relazioni di potere non sono estranee a questa strategia capziosa che utilizza la libertà per ritorcergliela
contro: "la posta allora è questa: in che modo è possibile distaccare lo sviluppo delle
capacità
dall'intensificazione dei rapporti di potere?" (38). Sottrarsi alle relazioni di potere diviene praticabile solo
per singolarità che non inseguano gli stessi orizzonti
costitutivi dell'individualismo moderno (in ultima analisi sempre borghese perché proprietario). Allora
soggetti nomadi (prendendo a prestito Deleuze) segnerebbero la presenza di un corpo e di un desiderio che
non si fissano a nulla, ma non nel senso nichilista che vogliono il nulla, bensì in quello per cui non
vengono
costituiti da qualcosa ma si costituiscono autonomamente a partire da una "cura di sé" non
asimmetrica ad una
interpenetrazione reciproca e orizzontale con l'altro. "Senza dubbio ai nostri giorni l'obiettivo principale non
è quello di scoprire che cosa siamo, ma di rifiutare
quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire quello che potremmo essere, per liberarci di questo tipo
di "doppio legame" politico che sono l'individualizzazione e la totalizzazione simultanea delle moderne
strutture di potere. La conclusione sarebbe allora che il problema politico, etico, sociale, filosofico dei nostri
giorni non è quello di tentare di liberare l'individuo dallo stato e dalle istituzioni statali, ma di tentare di
liberarci noi sia dallo stato sia dal tipo di individualizzazione che è legata allo stato. Dobbiamo
promuovere
nuove forme di soggettività rifiutando il tipo di individualità che ci è stato imposto per
tanti secoli" (39).
1)
Didier Eribon, Michel
Foucault, trad. il.
Leonardo, Milano, 1991, p.174.
2) Rispettivamente, A partire da Foucault. Studi su potere e soggettività,
a cura di Andrea Grillo,
La Zisa, Palermo, 1993; e Resumés
des cours -
1970-1982,
BFS, Pisa, 1994.
3) Recente è la raccolta completa, appunto intitolata, Dits et écrits, curata da Daniel Defert e François Ewald,4 volI., Gallimard,
Paris,
1994.
4) Miche! Foucault, L'immaginazione dell'Ottocento, in "Corriere della sera", 30.9.1980, n. 223, p. 3.
5) Michel
Foucault, Sorvegliare e
punire (1975), trad. it.
Einaudi, Torino, 1976, p.206.
6) Michel Foucault, Monstrosities in Criticism, in "Diacritics", I, n. 1, 1971.
7) Michel
Foucault, As malhas do
poder (1976), in
"Barbarie", n. 4-5,1981182.
8) Noam Chomsky - Miche! Foucault, Giustizia e natura umana, a cura di Salvo Vaccaro, trad. it. ILA Palma/
Associate,
Palermo/Roma, 1994.
9) Le piège de Vincennes, intervista di P. Loriot, "Le Nouvel
Observateun>, n. 274,9-15 febbraio 1970.
10) Di queste conferenze,
esiste una versione italiana, curata da Lucio D'Alessandro, La verità e le forme giuridiche, La città del sole,
Napoli, 1994, che tuttavia non riporta l'ampia discussione, rinvenibile in Dits et écrits, cil., v. II, pp. 623-646.
11)
Ibidem, pp. 641-2.
12) Ibidem, p. 642.
13) Michel Foucault, Difendere la società, trad. il.
Ponte alle Grazie, Firenze, 1990, p. 21. Nel 1983, Foucault vi ritorna su in modo
più dettagliato, descrivendo alcune tipologie comuni di lotte antiautoritarie di opposizione al potere, anzi
"lotte anarchiche",
precisa: "trasversali", "immediate" (sia nel senso che colpiscono l'aspetto del potere più vicino agli
individui, sia nel senso che non
rinviano al futuro), legate agli "effetti di potere in quanto tali" (cfr. Perché studiare il potere: la
questione del soggetto, in "Aut
aut", n. 205,1985, pp. 2-10, spec. p. 5).
14) Ibidem, pp.
170-2. La trascrizione delle lezioni mostra l'argomentazione della tesi foucaultiana, senza provarla o verificarla
attraverso testi d'epoca. Pur sembrando stravagante uniformare i diversi socialismi dell'ottocento, sarebbe
interessante investigare la
plausibilità e veridicità dell'antisemitismo, che afferirebbe pure l'anarchismo.
15) Michel Foucault, Sorvegliare e punire, cil., p. 323.
16) Michel Foucault, Va-t-on extrader Klaus Croissant?, in
"Le Nouvel Observateuf", n. 679, 14-20.11.1977.
17) Michel Foucault,
Dits et écrits, cit., p. 546.
18) Michel
Foucault,Qu'estce que la Critique?, séance du 27 mai 1978, "Bulletin de la
Société Française de Philosophie",
LXXXIV, n. 2, avril-juin 1990, spec. p. 59. Di recente, ha ricordato tale momento Wilhelm Schmid, De
l'éthique corrtme
esthétique de l'existence, "Magazine littéraire", n. 325, ottobre 1994, pp. 36-9, spec. p. 38.
19) Michel Foucault, Dits et écrits, cit., p. 664 e
p. 667.
20) Politics and Ethics: an Interview, in Paul
Rabinow (Ed.), The Foucault Reader, Penguin, London, 1984, p. 373 e p. 376. In un
intervista concessa a Paul Rabinow nel maggio 1984, appena un mese prima di morire, analogamente Foucault
snocciola in maniera
ironica la sfilza di etichette politiche affibbiategli nel corso degli anni, aggiungendo: "Nessuna di queste immagini
è importante in
sé; prese insieme, d'altro lato, significano qualcosa. E devo ammettere che mi piace abbastanza quel che
vogliono intendere"
(Polemics, Politics and Problematizations: an Interview, in ibidem, p. 384).
21) Si vedano, rispettivamente: Tony O'Connor, Foucault and the
Transgression of Limits, in Hugh Silverman (Ed.), Philosophy
and non-Philosophy since Merleau-Ponty, Routledge, London, 1988, pp. 136-151, spec. p. 136; Jana
Sawicki Disciplining
Foucault, Routledge, New Yòrk, 1991, spec. p. 34; di "errore anarchico" parlano Jean Cohen
Andrew Arato, Civil Society and
Politica l Theory, MIT Press, Cambridge, 1992, spec. p. 462; Richard Rorty, Foucault et
l'épistémologie, in David Couzens Hoy
(Ed.), Miche! Foucault. Lectures critiques, De BoeckWesmael, Brussels, 1989, pp. 55-63, spec. p.
62 (dove si trova scritto
addirittura di una "civetteria radicale compiacente"); Karlis Ra-. cevskis, Miche! Foucault and the
Subversions of Intellect, Cornell
U. P., Ithaca, 1983, spec. p. 101 "retorica di egualitarismo e libertarismo"); Ian Hacking,
L'archéologie de Foucault, in David
Couzens Hoy (Ed.), op. cit., pp. 39-53, spec. p.52.
22) Si
vedano Terry Hoy, The moral Ontology of Charles Taylor: contra Deconstructivism, in "Philosophy
and Social Criticism",
XVI, n. 3, 1990, pp. 207-225, spec. p. 215; Harry Redner, The Infernal Recurrence of the Same: Nietzsche
and Foucault on
Knowledge and Power, in Marcelo Dascal Ora Gruengard (Eds.), Knowledge and Politics,
Westview Press, Boulder, 1989,pp. 291-315,spec. p. 300 e p. 307; John Raichman, Nietzsche,
Foucault and the Anarchism of Power, in "Semiotexte", III, n. 1,1978, pp.
96-107.
23) Cfr. Reiner Schü?rmann, Se constituer
sof-meme comme sujet anarchique, in "Les Etudes philosophiquesh, n. 4,1986, pp.
451-471: "Il soggetto anarchico si costituisce attraverso micro-interventi diretti contro le configurazioni ricorrenti
della soggezione
e dell'oggettivazioneh (p. 470).
24) Kate Soper, Productive
Contradictions, in Caro li ne Ramazanoglu (Ed.), Up Against Foucault, Routledge, London,
1993, pp.
29-50, spec. p. 37. In relazione all'utopia del cambiamento, la somiglianza tra Foucault e l'utopismo socialista e
anarchico, come ad
esempio quello di Charles Fourier, è messa in discussione da Alan Megill, che fa notare come in Foucault
non esista una visione
finale di liberazione o di felicità (Alan Megill, Prophets of Extremity, University of
California Press, Berkeley, 1985, p. 197).
25) Hayden White,
Foucault's Discourse: The Historiography of Anti-Humanism, in The Content of the Form,
Johns Hopkins U.
P., Baltimore, 1987, p. 128.
26) Philip Knee, Le problème
politique chez Sartre et Foucault, in "Laval théologique et philosophique", XLVII, 1, febbraio
1991,
pp. 83-93, spec. pp. 90-1.
27) Alex Callinicos, Is There a Future
for Marxism?, McMillan, London, 1982, p. 111. Vi torna sopra Fred R. Dallmayr,
Democracy and Post-modernism, in "Human Studies", X, 1986, pp. 143-170, spec. p. 166.
28) Wolfgang Essbach, Gegenzilge, Frankfurt, 1982; Urs
Marti, Michel Foucault, Beck, Miinchen, 1988, spec .. pp. 125-7.
29) Jacques Léonard, Lo storico e il filosofo, in Michelle Perrot (a cura di),
L'impossibile prigione, trad. it. Rizzoli, Milano, 1981,
p. 20 e nn. 17 e 18 a p. 240.
30) Dana B. Polan, Fables of
Transgression: The Reading of Politics and the Politics of Reading in Foucauldian Discourse, in
"Boundary 2", X, n. 3, primavera 1982, p. 369.
31) Alan Megill,
op. cit., p. 255. Per parte sua, Edith Kurzweil afferla che "il suo pensiero è completamente
anarchico" (Edith
Kurzweil, Michel Foucault's History of Sexuality as Interpreted by Feminist and Marxists, "Sodal Research", LIII,
n. 4, inverno
1986, p. 657).
32) Richard Rorty, Foucault et
l'épistémologie, ci!., p. 61. "Nella misura in cui è possibile attribuire una politica
al Foucault
francese, si deve parlare di credenze anarchiche più che liberali. ( ... ) Sono questi passi "anarchici" che
i suoi ammiratori francesi
sembrano gradire di più,) (Richard Rorty, Identità morale e autonomia privata: il caso
Foucault, in Scritti filosofici Il, trad. il.
Laterza, Bari, 1993, p. 261 e p. 263). Si veda altresì J. Simpson, Archaeology and Politicism:
Foucault's epistemic Anarchism, in
"Man and the World", XXVII, n. 1,1994.
33) Michael Walzer, La
politica di Foucault, in L'intellettuale militante, trad. il. Il Mulino, Bologna, 1991,
rispettivamente p. 258 e
pp. 257-8. Si veda anche l'Introduzione di David Couzens Hoy alla raccolta di testi da lui curata,
cit., p. 22
34) José G. Merquior, Foucault,
trad. il. Laterza, Bari, 1988, p. 162.
35) Ibidem, pp.
162-3. L'autore si riferisce ad una discussione del 1972, rintracciabile in Michel Foucault, Microfisica del
potere.
Einaudi, Torino, 1977, pp. 71106. Contrariamente a quel che si può immaginare, Foucault non
era in Francia nel maggio '68 (ma a
Tunisi) e non ebbe allora alcuna influenza sul movimento, bensì solo successivamente.
36) Ibidem, p.163-4. "Il fantasma di Bakunin, il romantico incendiario
che in cuor suo amava voluttuosamente la distruzione, ha
forse alla fine prevalso sul sano e umano spirito di Kropotkin?..." (p.164)
37) Intervista con Michel Foucault ("Actuel", 1971), trad. it. in AA. VV.,
Aspettando la rivoluzione, Guaraldi, Firenze, 1975, pp.
1938, spec. pp. 37-38.
38) Michel Foucault, What is
Enlightenment?, in Paul Rabinow (Ed.), op. cit., p.48.
39) Michel Foucault, Perché studiare il potere, cit., pp. 910 (trad. it. leggermente
modificata).
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