Rivista Anarchica Online
Anarchici nella Resistenza
di Giampiero Landi
A cinquant'anni esatti dalla sconfitta del nazifascismo e dalla fine della seconda
guerra mondiale, mentre si intensificano
le iniziative per celebrare degnamente I'anniversario con manifestazioni, mostre e convegni di studi, i tempi
sembrano
ormai maturi per una riflessione storiografica seria e approfondita sulla partecipazione degli anarchici italiani alla
guerra
di liberazione. Per fare il punto sulla situazione degli studi e per stimolare nuove ricerche e contributi su un
periodo della
nostra storia su cui resta tutto sommato ancora molto da scoprire, la Fondazione «Anna Kuliscioff» e il Centro
Studi
Libertari - Archivio «Giuseppe Pinelli» hanno organizzato 1'8 aprile 1995 a Milano, presso il Circolo De Amicis,
una
giornata di studi su «Le Brigate Matteotti "Bruzzi Malatesta" e il contributo degli anarchici e dei libertari alla
Resistenza.
1943-1945». Anche se la partecipazione degli anarchici viene sempre taciuta nelle celebrazioni ufficiali e
trascurata o
minimizzata (con poche eccezioni) nei libri di storia della Resistenza, il fenomeno ci fu ed ebbe una certa
rilevanza sia sul
piano politico che su quello strettamente militante. Come dovrebbe essere ormai noto perlomeno ai lettori di
questa
rivista, a Carrara, a Pistoia, in Lombardia e in Liguria durante la Resistenza operarono alcune formazioni
partigiane
composte prevalentemente o esclusivamente da libertari. In numerose altre localita dove non fu possibile fare
altrettanto
per l'esiguita numerica dei militanti o per altri motivi, molti anarchici e libertari scelsero di aggregarisi a
formazioni miste
create da altri partiti: le Brigate Garibaldi (comuniste), le Brigate Matteotti (socialiste), le Brigate Giustizia e
Liberta
(azioniste). Non tutti gli anarchici italiani aderirono comunque alla lotta armata contro i nazifascisti. Ci fu
anche chi - reduce magari
dall'esilio, dal confino o dalla guerra di Spagna - vide nella seconda guerra mondiale soprattutto l'aspetto dello
scontro
tra opposti imperialismi, e preferì non prendere parte a un movimento partigiano egemonizzato in molte
localita da forze
politiche verso le quali si avvertiva una comprensibile e giustificata diffidenza (dai comunisti ai democristiani
ai liberali
monarchici). Su questi e su altn temi sono intervenuti i relatori del Convegno di Milano, dedicato in
particolare all'esperienza delle
Brigate Matteotti «Bruzzi Malatesta» operanti in Lombardia, ma aperto a un'indagine a tutto campo sull'intero
fenomeno
della Resistenza anarchica e libertaria italiana (con l'eccezione dell'ltalia meridionale, su cui non sono state
previste
relazioni, come ha fatto rilevare opportunamente Natale Musarra in un suo breve intervento critico a conclusione
dei
lavori). Aprendo i lavori del Convegno Giulio Polotti, presidente della Fondazione Kuliscioff, ha ricordato come
a
tutt'oggi esistano diversi contributi parziali, ma nessuno studio complessivo, sulla storia delle Brigate Matteotti.
A maggior
ragione poco ancora si sa sulle formazioni libertarie lombarde che dopo una fase autonoma decisero di aggregarsi
alle
Brigate Matteotti per acquisire maggiore incisivita e efficacia sul piano operativo. Queste formazioni avrebbero
operato
a Milano, nella provincia di Pavia, nel Bresciano (Val Trompia), e si ha notizia anche di un gruppo operante nel
Veneto.
A Milano operò tra l'altro un GAP che compi una settantina di azioni. Tra le operazioni principali si
possono ricordare
l'assalto alla «Villa Triste» dove aveva la propria base la famigerata Banda Kock, e quello al Carcere di San
Vittore. Di
notevole importanza anche l'attivita di sabotaggio alla produzione nelle industrie, e il ruolo svolto nel salvataggio
di impianti
e servizi al momento della cacciata dei tedeschi. E' seguita la relazione di Nico Berti (Fascismo,
Antifascismo, Anarchismo), incentrata sull'analisi del fascismo da parte
degli anarchici italiani. Se all'inizio il fascismo fu considerato negli ambienti anarchici quasi esclusivamente iI
braccio
armato della borghesia, a partire dai primi anni Trenta alcuni teorici (in particolare Rocker e, tra gli italiani,
Berneri)
sarebbero arrivati a coglierne la natura di «Totalitarismo imperfetto» (imperfetto non perche tale fosse la sua
aspirazione,
ma perche la presenza in Italia di forze come la Monarchia e la Chiesa impose al fascismo un compromesso con
le
vecchie forze dell'ltalia liberale). Secondo Berti, l'anarchismo riusci a comprendere la natura totalitaria del
fascismo solo
quando si mise a riflettere seriamente sulle sue analogie con un «Totalitarismo perfetto»: il comunismo russo.
Ma il
totalitarismo, in fondo, non è che I'enfatizzazione delle statalismo (di cui la democrazia sarebbe la
variante «debole»). Di
qui, da un lato, l'ovvia assunzione della centralita della lotta antitotalitaria per gli anarchici, ma anche, dall'altro
lato, una
comprensibile difficolta a identificarsi completamente con la categoria dell'antifascismo (che non è
necessariamente
antiautoritario, e che anzi nella sua componente comunista è anch'esso potenzialmente totalitario).
Questa fu in effetti la tragedia dell'anarchismo nella guerra di Spagna, costretto ad adottare iI paradigma del
male minore
(ogni cedimento fu giustificato in nome della necessita di contrastare il fascismo, considerato come il male
maggiore). Una
situazione per molti versi analoga si ripropone nella Resistenza (e questo spiega anche la non partecipazione di
alcuni
anarchici). In ogni caso, per Berti va sfatato il mito della «Resistenza tradita», in quanto la Resistenza non poteva
produrre
esiti diversi da quelli che ha dato. Sulla diversificazione di scelte all'interno del movimento anarchico italiano
si è soffermato anche Claudio Venza (Dopo
la Spagna: resistenza sì, resistenza no), che nella sua ricostruzione è partito dalle riunioni
quotidiane che si tenevano
tra i libertari al confino a Ventotene negli ultimi anni del regime fascista. Alcuni, dopo I'esperienza della Spagna,
rifiuteranno di unirsi alle bande partigiane per non «lavorare per gli altn» o per non essere eliminati dai comunisti
(esemplari, in proposito, i casi di Umberto Tommasini e di Pio Turroni). Altri, e furono tanti, scelsero invece la
strada
della collaborazione antifascista e parteciparono a pieno titolo alla Resistenza. Interessante l'osservazione di
Venza,
secondo il quale in molti casi su questa scelta pesarono probabilmente (a fianco di considerazioni di natura piu
strettamente politica) anche aspetti prepolitici, quale il dato sociologico della appartenenza a una comunita, verso
la quale
questi anarchici avvertivano un senso di responsabilita. Dopo un breve saluto di Aldo Aniasi,
presidente della FIAP, sono seguite le relazioni di Cesare Bermani (Le Brigate
Matteotti «Bruzzi Malatesta» a Milano) e di Marcello Zane (Le «Bruzzi Malatesta»
nelle valli del Bresciano).
Richiamandosi esplicitamente a quanto sostenuto da Polotti nella sua introduzione, sia Bermani che Zane
hanno
sottolineato la difficolta del reperimento delle fonti per questo tipo di studi. Se per le Brigate Garibaldi esistono
grandi
archivi (anche se depurati nel dopoguerra), per altre formazioni, e in particolare per quelle libertarie, mancano
i
documenti. Quel poco che esiste è spesso posteriore, oppure tutto è affidato alla memoria dei
protagonisti, molti dei quali
gia scomparsi per ragioni anagrafiche. Si aggiunga che gli stili di lotta sono diversi da quelli delle Brigate
Garibaldi, dotate
di una organizzazione molto pill strutturata. Con tutte queste difficolta, i due ricercatori hanno dato I'impressione
di avere
scandagliato abbastanza a fondo l'oggetto del loro studio, e di avere molte pill cose da dire di quello che
permetteva il
tempo loro assegnato. Nell'impossibilita di dipanare tutti i fili di una vicenda complessa ed estremamente fluida,
entrambi
hanno scelto di presentare alcune «storie di vita», come esempio dell'attivita di un personaggio o di un nucleo.
Ciò che
è emerso ha lasciato nel pubblico il rammarico di non potere ascoltare per ragioni di tempo altri percorsi
di vita, ed
eventualmente una ricostruzione organica delle vicende di tutti questi personaggi inseriti nel contesto storico del
periodo. Considerazioni analoghe potrebbero valere per la relazione di Augusta Molinari (Anarchici
e Resistenza in Liguria: un
contributo per una storia che non c'è), che nelle sue ricerche è riuscita a ricostruire le
biografie di ben 80 partigiani
libertari operanti in Liguria (che non coprono la totalita), mentre nella storiografia sulla Resistenza nella regione
gli
anarchici non compaiono. Di notevole interesse il dato generazionale e di classe di questi partigiani, quasi tutti
giovani
operai (tra i 19 e i 27 anni). Si ha l'impressione che molti siano diventati anarchici durante o dopo la lotta armata.
L' esperienza della Resistenza sarebbe stata allora importante per portare all'anarchismo molti giovani che
si erano ribellati
spontaneamente al fascismo. Dispiace che non sia possibile per ragioni di spazio soffermarsi su ognuna delle
altre relazioni presentate al Convegno,
tutte in qualche modo significative: Giorgio Sacchetti (25 luglio/8 settembre: Renicci d'Anghiari, un campo
di
concentramento badogliano); Lorenzo Pezzica (Le formazioni Iibertarie nella Resistenza apuana);
Marco Puppini
(Anarchici e Resistenza nella montagna friulana); Furio Biagini (Un libertario
tra storia e leggenda: Silvano Fedi);
Franco Bertolucci (Quelli che non si sono fermati il 25 aprile). Resta da ricordare che
il Convegno di studi - come si è visto estremamente dense di temi e di relazioni - si è svolto
praticamente nell'arco di un pomeriggio, in quanto la mattina è stata riservata alla proiezione di filmati
e di video sulla lotta
partigiana (Lotta partigiana), prodotto dall'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza
di Torino, e Le Brigate
Matteotti «Bruzzi-Malatesta» e il contributo degli anarchici e dei libertari alla Resistenza,
(prodotto dalla
Fondazione Kuliscioff e dal Centro Studi Libertari di Milano). Da segnalare in particolare il secondo, se non altro
per
la sua assoluta novita (è stato presentato al pubblico per la prima volta, e ora si spera che abbia un'ampia
circolazione). II video è basato su una ricostruzione storica curata da Nico Berti e su interviste ai non
molti anarchici superstiti tra quelli
che presero parte alla Resistenza. Dispiace solo che un'iniziativa del genere non sia stata pensata e realizzata dieci
o venti
anni fa, quando molti pill testimoni e protagonisti erano ancora vivi e intellettualmente lucidi. In conclusione,
se ci è permesso di muovere un appunto agli organizzatori del Convegno, a cui vanno riconosciuti
comunque ampi meriti per avere promosso e condotto a termine l'iniziativa, la decisione di concentrare un
numero così
elevato di relazioni in una mezza giornata non è apparsa delle pill felici. Meglio sarebbe stato diluire gli
stessi contributi
nell'arco almeno di un'intera giornata. E se questo non era possibile, tanto valeva limitare il numero delle
relazioni,
concentrando magari gli sforzi sulle sole Brigate Matteotti «Bruzzi Malatesta» e su pochi altri temi. Ma queste
osservazioni
poco tolgono alla validita di una iniziativa che sicuramente rappresenta un passo avanti nella conoscenza di un
periodo
tragico, ma per certi versi anche esaltante, della nostra storia.
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