Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 218
maggio 1995


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Morale pret-à-porter

Quel che Roland Barthes (Il sistema della moda, Torino 1970) chiamava il «codice vestimentario» costituisce un valido sussidio per decidere i comportamenti più favorevoli degli umani in molte situazioni offerte dalle loro società malate. Come altri animali guardano negli occhi, ad una certa distanza, per decidere se conviene scappare o proseguire, così gli umani, ad una distanza maggiore, possono guardare, prima degli occhi, gli abiti - anche se poi, dolorosamente, ci si può render conto che «l'abito non fa il monaco». Il codice vestimentario è, allora, zeppo di simboli e di associazioni di simboli: bluse, pantaloni, pastrani, reggiseni, calzini, mutande o scarpe stanno a significare sempre ben altro da sé - stili di vita, paure e certezze, ambiguità nell'essere e nel comportarsi. In questo codice - e veniamo al dunque - ha tutti i diritti di cittadinanza un capito/etto concernente quel che sbrigativamente si dice «la moda» per sottintendere, in realtà, i dettami ricorrenti con il calendario mercantile, in ordine al vestire, dei ricchi e, spesso, della parte più bacata di questa storica categoria. Qui, come in ogni ghetto che si rispetti, i simboli si complicano fino al punto di significare qualcosa soltanto all'interno di questo privilegiato contesto. È il mondo di Pret-à-porter, film di Robert Altman affollato di «grandi attori» più o meno con il metodo del Giorno più lungo, ovvero poche battute e via, una vacanza a Parigi ben pagata.
Sinceramente, non credo ci fosse bisogno di un film per divulgare l'opinione che «il mondo della moda» è anche caratterizzato da aspetti particolarmente penosi e miserandi. Pensavo che fossero sufficienti le pagine dei giornali per far comprendere come i personaggi che in questo mondo si aggirano attingano la propria linfa vitale dal fatto di vedersi e
parlarsi addosso, rigorosamente impermeabili ai problemi della gente che soffre, oltre alla fame e agli altri irrimediabili guasti del «libero mercato», della loro stessa infausta presenza parassitaria e dei mass-media senza i quali non sussisterebbero. La pensavo così e sbagliavo. Altman, tutto moralità americana, ha capito, invece, il gusto che c'è nello sparare sulla Croce Rossa e ci mette tutti in guardia dalla vuotezza dalla contraddittorietà di questo «mondo della moda» - così autoincensatorio, così effimero, così ridicono, così europeo ... Pertanto; allo spettatore tocca non solo di sorbirsi una sceneggiatura tutta luoghi comuni ed una regia che scorrazza sulle passerelle con l'occhio stupito del turista tonto, ma anche un'imbarazzante dose del moralismo più detestabile - quello, cioè, che non rischia nulla ad esprimersi, che fa la voce grossa in debito ritardo, che punta il dito avendo già messo il sedere al caldo. Per cui sulle prime lo spettatore non crede ai propri occhi e, soltanto sulle seconde, viene fagocitato nell'irritazione e nello sconforto fino al desolante finale. A quale critica corrosiva e conclusiva riesce a giungere, infatti, l'american-naif Altman? Pensate un po', chi l'avrebbe mai detto, di sensazionalismo in sensazionalismo (o, come dicono i giornalisti di questo pattume, «di provocazione in provocazione»), arriviamo al punto in cui la modista di turno fa sfilare tutte le sue modelle, compresa quella pronta al parto gemellare, completamente ignude: la giornalista televisiva ne rimane sconvolta e, in diretta, dice, ohibò, «questa non è più moda», allo stesso modo con cui avrebbe detto «sono stati traditi i dieci comandamenti», e se ne va. Rompe coraggiosamente con quel mondo che non la merita più. Ma, attenzione, mai che lo «sberleffo» superi certi limiti: le modelle nude sono tutte gazzelle alte due metri e bellissime - perfettamente compatibili ai canoni estetici del secolo -, mai che ce
ne capiti dentro una obesa, con il sedere basso e le gambe storte. Le provocazioni, si sa, vanno bene solo quando hanno già l'imprimatur del regime e, da buon moralista americano, Altman punta su un po' di nudo finale per mandare a casa contento qualche spettatore indulgente.
P.S.: Fra le tante sequenze imbarazzanti imbarazzanti per l'inettitudine di chi le realizza - ce n'è una che concerne Marcello Mastroianni e Sofia Loren nelle parti, rispettivamente, del latin lover ormai attempato e della bellezza mediterranea opulenta e matura. Bene, ai due (ah, colmo dell'ironia!) tocca una scena erotica di spogliazione e di letto, e, siccome il cinema che non ha nulla da dire trova uno scopo nella vita nel parlare di se stesso (operazione eseguibile facilmente qualora la sceneggiatura non sappia letteralmente come andare avanti), Altman ha pensato bene di ripetere la scena di Ieri oggi e domani dell'ahiloro lontano 1963. Lei che ci spoglia, in guepiére nera, lui sul letto che se la lustra con gli occhi in trepida attesa. Ripetere la scena, tuttavia, con una "trasgressiva" modifica: alla seconda calza di lei, lui si è addormentato. Dal che si deduce che certi registi famosi vanno poco al cinema:
Altman avrebbe potuto assaporare l'intelligenza della sua trovata in almeno una dozzina di film «alla Lino Banfi». Anche lì, dunque, è arrivato drammaticamente tardi, ma, forse, per uno come lui e per il suo pubblico la cosa non è importante.