Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice
Accame
Morale pret-à-porter
Quel che Roland Barthes (Il sistema della moda, Torino 1970) chiamava il «codice
vestimentario»
costituisce un valido sussidio per decidere i comportamenti più favorevoli degli
umani in molte
situazioni offerte dalle loro società malate. Come altri animali guardano negli occhi,
ad una certa
distanza, per decidere se conviene scappare o proseguire, così gli umani, ad una
distanza maggiore,
possono guardare, prima degli occhi, gli abiti - anche se poi, dolorosamente, ci si può
render conto
che «l'abito non fa il monaco». Il codice vestimentario è, allora, zeppo di simboli e di
associazioni di
simboli: bluse, pantaloni, pastrani, reggiseni, calzini, mutande o scarpe stanno a significare
sempre
ben altro da sé - stili di vita, paure e certezze, ambiguità nell'essere e nel
comportarsi. In questo
codice - e veniamo al dunque - ha tutti i diritti di cittadinanza un capito/etto concernente quel
che
sbrigativamente si dice «la moda» per sottintendere, in realtà, i dettami ricorrenti con
il calendario
mercantile, in ordine al vestire, dei ricchi e, spesso, della parte più bacata di questa
storica
categoria. Qui, come in ogni ghetto che si rispetti, i simboli si complicano fino al punto di
significare
qualcosa soltanto all'interno di questo privilegiato contesto. È il mondo di
Pret-à-porter, film di
Robert Altman affollato di «grandi attori» più o meno con il metodo del
Giorno più lungo, ovvero
poche battute e via, una vacanza a Parigi ben pagata. Sinceramente, non credo ci fosse
bisogno di un film per divulgare l'opinione che «il mondo della
moda» è anche caratterizzato da aspetti particolarmente penosi e miserandi. Pensavo
che fossero
sufficienti le pagine dei giornali per far comprendere come i personaggi che in questo mondo
si
aggirano attingano la propria linfa vitale dal fatto di vedersi e parlarsi addosso,
rigorosamente impermeabili ai problemi della gente che soffre, oltre alla fame e
agli altri irrimediabili guasti del «libero mercato», della loro stessa infausta presenza
parassitaria e dei
mass-media senza i quali non sussisterebbero. La pensavo così e sbagliavo. Altman,
tutto moralità
americana, ha capito, invece, il gusto che c'è nello sparare sulla Croce Rossa e ci
mette tutti in
guardia dalla vuotezza dalla contraddittorietà di questo «mondo della moda» -
così
autoincensatorio, così effimero, così ridicono, così europeo ...
Pertanto; allo spettatore tocca non
solo di sorbirsi una sceneggiatura tutta luoghi comuni ed una regia che scorrazza sulle
passerelle con
l'occhio stupito del turista tonto, ma anche un'imbarazzante dose del moralismo più
detestabile -
quello, cioè, che non rischia nulla ad esprimersi, che fa la voce grossa in debito
ritardo, che punta il
dito avendo già messo il sedere al caldo. Per cui sulle prime lo spettatore non crede ai
propri occhi
e, soltanto sulle seconde, viene fagocitato nell'irritazione e nello sconforto fino al desolante
finale. A
quale critica corrosiva e conclusiva riesce a giungere, infatti, l'american-naif Altman? Pensate
un po',
chi l'avrebbe mai detto, di sensazionalismo in sensazionalismo (o, come dicono i giornalisti
di questo
pattume, «di provocazione in provocazione»), arriviamo al punto in cui la modista di turno fa
sfilare
tutte le sue modelle, compresa quella pronta al parto gemellare, completamente ignude: la
giornalista
televisiva ne rimane sconvolta e, in diretta, dice, ohibò, «questa non è
più moda», allo stesso modo
con cui avrebbe detto «sono stati traditi i dieci comandamenti», e se ne va. Rompe
coraggiosamente
con quel mondo che non la merita più. Ma, attenzione, mai che lo «sberleffo» superi
certi limiti: le
modelle nude sono tutte gazzelle alte due metri e bellissime - perfettamente compatibili ai
canoni
estetici del secolo -, mai che ce ne capiti dentro una obesa, con il sedere basso e le
gambe storte. Le provocazioni, si sa, vanno
bene solo quando hanno già l'imprimatur del regime e, da buon moralista americano,
Altman punta
su un po' di nudo finale per mandare a casa contento qualche spettatore indulgente. P.S.:
Fra le tante sequenze imbarazzanti imbarazzanti per l'inettitudine di chi le realizza - ce
n'è una
che concerne Marcello Mastroianni e Sofia Loren nelle parti, rispettivamente, del latin lover
ormai
attempato e della bellezza mediterranea opulenta e matura. Bene, ai due (ah, colmo
dell'ironia!)
tocca una scena erotica di spogliazione e di letto, e, siccome il cinema che non ha nulla da
dire trova
uno scopo nella vita nel parlare di se stesso (operazione eseguibile facilmente qualora la
sceneggiatura non sappia letteralmente come andare avanti), Altman ha pensato
bene di ripetere la
scena di Ieri oggi e domani dell'ahiloro lontano 1963. Lei che ci
spoglia, in guepiére nera, lui sul
letto che se la lustra con gli occhi in trepida attesa. Ripetere la scena, tuttavia, con una
"trasgressiva"
modifica: alla seconda calza di lei, lui si è addormentato. Dal che si deduce che certi
registi famosi
vanno poco al cinema: Altman avrebbe potuto assaporare l'intelligenza della sua trovata
in almeno una dozzina di film «alla
Lino Banfi». Anche lì, dunque, è arrivato drammaticamente tardi, ma, forse,
per uno come lui e per
il suo pubblico la cosa non è importante.
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