Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 218
maggio 1995


Rivista Anarchica Online

Quale democrazia?

Vi scrivo perché stimolato dal mini-saggio di Murray Bookchin ("Comunalismo perché") ripreso su "A" n. 215 da "Green Perspectives" del 31-10-'94.
Devo dire di essere completamente d'accordo (ormai non capita più così di sovente) con le tesi sostenute nell'articolo in questione. Ciò che emerge finalmente con forza è una critica serrata a quel pressapochismo che sta sempre più limitando e stemperando l'anarchismo.
La questione della "democrazia", o meglio del processo decisionale (ché di questo si tratta) è basilare per l'anarchismo e per l'anarchismo "moderno" (ormai postmoderno) in particolare. Bookchin, come spesso è accaduto, centra il problema: senza strumenti e strutture definite dal punto di vista decisionale, l'ipotesi anarchica non solo non è credibile, ma rischia di sotterrare se stessa sotto il conformismo, che è l'altra faccia, appena più velata, dell'autoritarismo esplicito.
È singolare che tale vuoto - della cui esistenza spesso si è peraltro dibattuto, ma troppo spesso con il timore dei "poveri di spirito" o con la grazia dei sanfedisti, con paure dettate da atteggiamenti tutt'altro che sperimentali - permanga e venga legittimato, magari nel nome della "libertà".
È d'altronde l'approccio squisitamente "liberale" di quanti nascondono la propria paura della democrazia dietro l'idiosincrasia per un "sistema" o una struttura di ambito decisionale. In fondo trattasi di atteggiamento elitario. È però singolare l'accorgersi così poco di come invece gli "estremisti", i massimalisti antiliberali ed antidemocratici del nostro movimento (e tali accezioni non vogliono né devono venire recepite come volgari ed offensive, trovando piena cittadinanza in una o più forme dell'anarchismo) presi nello sforzo sacrosanto di difendersi dal liberalismo, cadono poi nel liberalismo de facto.
La società trasparente, su cui ricordo interessanti dibattiti e seminari ancora sul finire degli anni '70 indirizzati a sondare l'altro problema intimamente connesso relativo alla diade diritto istituzionale-diritto naturale, è pericolosa proprio perché deregolamentata e perciò autoritaria, perché trae linfa (in molti ambiti ne abbiamo già prova nel presente, ad esempio nella formazione delle decisioni internamente alle multinazionali così come nelle congreghe mistiche moderne o post-moderne) dall'omogeneizzazione di fatto delle differenze, perché trae giustificazione dall'apparente "luogo comune" (ben eterodiretto), dall'ignoranza della "base" in ordine alla complessità delle dinamiche economico-gestionali e di gruppo.
Di certo l'anarchismo socialista, più consono ad intuire lo iato reale (non unicamente "ideologico") fra liberalismo ed anarchismo (e penso in particolare all'anarco-sindacalismo in azione), è da tempo alle prese, nelle strutture di base nelle quali è inserito, con la problematica decisionale, ma vive o rischia di vivere ancora le strutture autodecisionali che i lavoratori si danno come un "momento" del proprio percorso, non messo in discussione, ma neanche traslato in termini di progetto, salvo poi riconoscerne la validità storica (ad es. nelle strutture interne - non in quelle di compartecipazione istituzionale - della CNT nella rivoluzione spagnola) come "riempitivo" insostituibile di quel "vuoto" sulla democrazia, che rischia di divenire un deficit democratico, tanto che nei momenti determinanti il problema viene puntualmente alla luce e tanto che può trasformarsi, anche per gli anarchici, o in empasse dinamica o in tendenza all'emulazione/assorbimento di forme mutuate o subite dalla "democrazia reale", ove il mandato si esprime con delega in bianco, non partecipativa, e che nulla ha a che fare con la democrazia diretta e meno ancora ne dovrebbe avere con l'anarchismo "in azione".
Ma il dibattito è fermo nel vuoto creato dal culto religioso del privato, dell'individuale, dalla dittatura in pectore, speculare ad altre forme di dominio, persino della "minoranza di uno", nel dogmatismo acritico, il cui unico sbocco è giocoforza un soggettivismo rinchiuso in se stesso e l'abbandono della sfera pubblica, intesa come sfera politica.

Stefano d'Errico (Roma)