Rivista Anarchica Online
Zuccherini qualunquisti
di Elisabetta Minini
Difficile commentare lucidamente e onestamente qualcosa che
è stato un riferimento quasi
mitizzato e improvvisamente, per qualche ragione, cade di tono o si snatura o inciampa in
grossi
difetti che la nostra conservazione intellettuale, già messa a dura prova, riconosce col
rancore
e la rabbia dei tradimenti delle speranze. Gaber non si fa detronizzare così
facilmente, ma il suo
ultimo spettacolo mette ampiamente in guardia «E pensare che c'era il pensiero», titolo in
perfetto e riconoscibile stile gaberiano, prima mai così esposto, mi pare piuttosto
scaduto anche
solo rispetto allo spettacolo dello scorso anno «Il teatro canzone», più
tradizionalmente
descrittivo nel titolo e per niente superficiale nei contenuti. Gaber, si sa, è comunque
un mago
del palco, un intrattenitore irresistibile anche per le movenze associate alle parole, un
comunicatore abile. Per questo mi sembra tanto più grave che certi messaggi, o vuoto
di
messaggi, vengano proprio da lui. La bravura provoca alte pretese a chi la riconosce. Lo
sberleffo degli uomini politici, mettendo in forma gradevole i luoghi comuni (a Cuba con
Bertinotti e Berlusconi Fini sembra rispettabile ma sotto sotto ... )è tanto di
moda quanto inutile. È il cabaret della politica da palazzo, coi nomi degli attuali
«protagonisti» da prima pagina in battuta rimata: mi sembra davvero il modo
più banale di provocare la risata del grande pubblico,
la risata innocua e sdrammatizzante delle strisciate televisive o forattiniane. Anche
perché questo
è un momento in cui il balletto della politica interna fa concorrenza alla satira (lo
diceva, mi
pare, Michele Serra), quindi è fuori luogo la rielaborazione acuta o irriverente su quei
temi (lo
spostamento è puramente estetico). Sarebbe come ridere delle barzellette sulle
barzellette. Più
di una volta nello spettacolo Gaber ricorre a quasi «zuccherini». E giù risate da
un pubblico ancora più assolto e leggiadro perché Gaber non dimentica
nessuno -
nessuna parte del Parlamento - e a ognuno dispensa la stessa dose di disprezzo e
compatimento. Non prende posizione, non dico una posizione parlamentare, niente
affatto indispensabile o più
responsabile; non prende posizione politica, assecondando ragioni qualunquiste che mai
figuriamoci ora - hanno avuto bisogno di essere stimolate per esistere. «La politica è
una
disgrazia che è capitata a tutti». (Meno male che sono arrivati i giudici, forse???).
Usare il
bersaglio in questo modo non permette di prenderne alcuna distanza. E così sberleffa
destra e
sinistra ridotte a «sfumature» minimaliste e paranoiche: la doccia e il bagno, la Nutella e il
cioccolato svizzero. Il balletto delle attribuzioni, molto divertente invero, è sicuro
che non viene
sfottuto come moda ridicola, ma come cifra delle posizioni politiche destra e sinistra. (Se
è
necessario ripensare i termini, ridotti a vacuità, non è lo stesso annullare la
differenze con una
battuta sagace). Altro tema: l'elogio del «sano egoismo», tradotto come di chi fa del bene a
sé
e agli altri senza saperlo. All'altruismo finto per conquistarsi un posto in paradiso
contrappone
un sano egoismo. D'accordo. Ma non ci vuole molto a contrapporre una cosa farlocca a una
«verace». L'altruismo, inutile dirlo,è anche altro e, ammesso che non si presti
facilmente a
diventare «valore», allora nemmeno il «sano egoismo» di chi riconosce le proprie miserie e
in
tale riconoscimento si acquieta, mi sembra una grande trovata. È terreno troppo
friabile per farci
danzare beatamente tutti quelli che già da tempo si sono votati al disimpegno etico, al
culto delle
proprie relazioni, alle gratificazioni nei propri luoghi (casa, lavoro, amici). L'individualismo
così
chiuso e l'umanesimo così vago sono il concime e il riflesso di una situazione di
assenza di
stimoli di lotta, riflessione, desideri, speranze, organizzazione. Vale tutto fuorché il
compiacimento. L'appello finale a costruire una «nuova utopia» sembra più un
salvataggio che
una convinzione. Come se non ci fosse niente prima e fuori di ognuno di noi cui attingere.
È vero
che occorre rimettersi a pensare - anziché prediligere come i cretini l'azione in quanto
tale - e
ripartire da ognuno di noi serve a meglio fondare le future azioni, ma appelli come questo
significano tutto e niente se rimangono sospese come massime di saggezza in uno spettacolo
così
disorientante ...
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