Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 199
aprile 1993


Rivista Anarchica Online

Dimenticare Kropotkin?
di Massimo La Torre

I nodi delle critiche in campo anarchico nei confronti del pensiero kropotkiniano sono qui sviluppati da Massimo La Torre. Il testo è una elaborazione del suo intervento al convegno di studi su Piotr Kropotkin svoltosi a Bologna nell'aprile '91, organizzato dall'associazione La rete di Bologna e dalla Biblioteca Libertaria "A. Borghi" di Castelbolognese

L'interpretazione critica del pensiero anarchico oscilla tra la tesi che attribuisce a questo un orientamento eminentemente giusnaturalistico (1) e comunque una metaetica oggettivistica e naturalistica e la tesi opposta che vede in esso l'esito estremo di una concezione morale soggettivistica e volontaristica. Per questa seconda interpretazione l'anarchismo potrebbe essere accomunato al nichilismo o addirittura all'immoralismo (2). In questo scritto mi propongo di affrontare - sia pure in modo indiretto - tale questione, con riguardo ad uno specifico teorico dell'anarchismo, il russo Petr Kropotkin. In particolare quello che mi propongo è di mettere a confronto due tradizioni teoriche entrambe interne al pensiero politico anarchico, per un verso la tradizione che potremmo definire "giusnaturalista" in senso lato, e per altro verso la tradizione volontaristica. La prima è ben rappresentata da Petr Kropotkin, la seconda dagli italiani Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlino. Lo scontro tra queste due "tradizioni" avviene a diversi livelli e su terreni molteplici, investendo questioni di filosofia morale e addirittura squisitamente metafisiche così come problemi di teoria politica e giuridica. Procederò nel modo seguente. Innanzitutto cercherò di dare conto di alcune critiche alle concezioni di Kropotkin formulate all'interno del pensiero anarchico. Presenterò poi un approccio al problema morale - quello di Ricardo Mella - alternativo a quello del pensatore russo, elaborato però anch'esso da una prospettiva libertaria. Nel prosieguo indicherò, per tesi, le idee centrali della filosofia morale e sociale di Kropotkin, segnalando subito dopo alcune (più o meno immediate) conseguenze teoriche di quelle idee. Concluderanno questo scritto alcune brevi considerazioni sulla contrapposizione tra "giustizia" e "bontà", contrapposizione usata di recente da John Rawls e Jurgen Habermas e qui applicata al pensiero dell'anarchico russo come griglia interpretativa.

Malatesta e Kropotkin

Le critiche più serie mosse a Kropotkin da una prospettiva interna al pensiero anarchico sono quelle di Francesco Saverio Merlino ed Errico Malatesta. Tali critiche trovano una eco abbastanza forte nell'opera di colui che rimane ancora oggi il massimo storico dell'anarchismo, Max Nettlau (3). Il dissenso di Malatesta rispetto all'anarchismo kropotkiniano è espresso in modo esplicito nel I931, vale a dire dieci anni dopo la morte del principe russo e solo un anno prima della scomparsa del rivoluzionario italiano. Tale dissenso si trova formulato nell'articolo Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico pubblicato in "Studi Sociali" (una rivista di lingua italiana stampata in Uruguay a Montevideo) del 15 aprile 1931. A questo scritto qui di seguito farò copioso riferimento.
Malatesta attacca innanzitutto la confusione compiuta programmaticamente da Kropotkin tra discorso descrittivo (la scienza) e discorso normativo (la morale, la politica). "Kropotkin - scrive Malatesta nell'articolo appena citato - era uno spirito eminentemente sistematico e voleva spiegare tutto con uno stesso principio e tutto ridurre a unità e lo faceva spesso, secondo me, a scapito della logica. Perciò egli appoggiava sulla scienza le sue aspirazioni sociali, le quali non erano, secondo lui, che delle deduzioni rigorosamente scientifiche" (4). "La scienza - aveva detto in precedenza Malatesta riferendosi implicitamente alla concezione scientista di Kropotkin - è la raccolta e la sistemazione di ciò che si sa, o si crede sapere: dice il fatto e cerca di scoprire la legge del fatto, cioè le condizioni nelle quali il fatto necessariamente avviene e si ripete (...). Essa è uguale per tutti e serve indifferentemente per il bene o per il male, per la liberazione come per l'oppressione (...). L'anarchia invece è un'aspirazione umana, che non è fondata sopra nessuna vera o supposta necessità naturale, che potrà realizzarsi e non realizzarsi secondo la volontà umana" (5).
La seconda critica di Malatesta a Kropotkin è diretta contro l'estremo determinismo della sua filosofia, il quale finisce per ridurre a mera illusione autoconsolatoria l'esperienza esistenziale di autonomia del soggetto così come ogni aspirazione di libertà di questo. "Kropotkin - scrive Malatesta - professava la filosofia materialista che dominava tra gli scienziati nella seconda metà del secolo XIX (...); e per conseguenza, la sua concezione dell'universo era rigorosamente meccanica. Secondo il suo sistema,la volontà (potenza creatrice di cui non possiamo comprendere la natura e la sorgente, come del resto non comprendiamo la natura e la sorgente della "materia" e di tutti gli altri "primi principi"), la volontà, dico, che contribuisce poco o molto a determinare la condotta degli individui e delle società, non esiste, non è che un'illusione. Tutto quello che fu, che è e che sarà, dal corso degli astri alla nascita e alla decadenza di una civiltà, dal profumo di una rosa al sorriso di una madre, da un terremoto al pensiero di un Newton, dalle crudeltà di un tiranno alla bontà di un santo, tutto doveva, deve e dovrà accadere per una sequela fatale di cause e di effetti di natura meccanica, che non lascia nessuna possibilità di variazione. L'illusione della volontà non sarebbe essa stessa che un fatto meccanico" (6).
Malatesta afferma inoltre che per una concezione radicalmente fisicalista del mondo, come quella professata dal principe russo, "libertà", "uguaglianza", "giustizia" cessano d'essere termini dotati di significato. "Naturalmente - scrive l'anarchico napoletano - logicamente, se la volontà non ha alcuna potenza, se tutto è necessario e non può essere diversamente, le idee di libertà, di giustizia, di responsabilità non hanno nessun significato, non corrispondono a niente di reale" (7).

Quale "presa dal mucchio"?

La terza critica di Malatesta a Kropotkin riecheggia la critica di Saverio Merlino al pensatore russo, e si incentra sull'eccessivo ottimismo del russo riguardo alle virtù intrinseche del popolo. "Il popolo qui rappresenta - scrive Merlino a proposito dell'anarchismo kropotkiniano già nel 1893 - la parte del coro nelle tragedie greche. Il Kropotkin non ci dice come il popolo sarà organizzato, oppure se resterà una moltitudine, una massa informe" (8).
Una volta posta la contrapposizione popolo/governo, e concepito il primo come sede unica della spontaneità dell'autonomia sociale, e il secondo come sede esclusiva del potere e del diritto (sicché questi due ultimi concetti finiscono per identificarsi), il popolo è in grado - nella concezione kropotkiniana -, abbattuto il governo, di trovare per virtù propria e senza forme politiche e giuridiche specifiche e appropriate, la coesione e la solidarietà necessarie a sopravvivere e a realizzare la società giusta e ben ordinata. "Le difficoltà morali - scrive Malatesta a proposito dell'anarchismo di Kropotkin - sparivano perché egli attribuiva al "popolo", alla massa dei lavoratori tutte le virtù e tutte le capacità (...). Ed egli pensava che basterebbe abolire i privilegi dei capitalisti ed il potere dei governanti perché tutti gli uomini cominciassero immediatamente ad amarsi come fratelli ed a badare agl'interessi altrui come ai propri" (9).
Malatesta critica così l'idea tipica dell'anarchismo kropotkiniano, e popolarissima nel movimento anarchico tra Ottocento e Novecento, della "presa nel mucchio", che il rivoluzionario napoletano definisce "la maniera più primitiva e più realmente utopistica" di concepire il comunismo. Qui Malatesta riecheggia nuovamente opinioni di Saverio Merlino formulate quasi quarant'anni prima. "In nessun tempo - scriveva Merlino in una lettera a Kropotkin pubblicata sul numero sedici de"La Révolte" (30 dicembre-6 gennaio 1894) -, neanche dopo che"l'evoluzione susseguente" alla rivoluzione sarà compiuta, la produzione potrà essere organizzata sulla base del"fa ciò che vuoi" né il consumo sulla base della presa nel mucchio. Saranno necessari un piano, patti liberi ma obbligatori, adattamenti permanenti fondati, io penso, sopra un principio di giustizia, non già sopra... il caso o sull'armonia prestabilita" (10).
Insomma ciò che Malatesta critica del pensiero di Kropotkin è il suo "naturalismo", la sua convinzione che i princìpi direttivi dell'agire sociale ci siano dati dalla natura. A questa concezione Malatesta contrappone un radicale volontarismo (11), che vede la natura in termini negativi, come qualcosa contro cui lottare, e non come un'entità benefica e provvidenziale. "In fondo - così Malatesta conclude le sue critiche al vecchio amico - Kropotkin concepiva la natura come una specie di provvidenza grazie alla quale l'armonia doveva regnare in tutte le cose, comprese le società umane. E' ciò che ha fatto ripetere a molti anarchici questa frase di sapore squisitamente kropotkiniano: L'anarchia è l'ordine naturale. Si potrebbe domandare, io penso, come mai la Natura, se è vero che la sua legge è l'armonia, ha aspettato che vengano al mondo gli anarchici ed aspetta ancora ch'essi trionfino per distruggere le terribili e micidiali disarmonie di cui gli uomini hanno sempre sofferto. Non si sarebbe più vicini alla verità dicendo che l'anarchia è la lotta, nelle società umane, contro le disarmonie della Natura?" (12).
Potremmo forse dire che per Malatesta l'uomo si afferma come soggetto morale in quanto assume un'attitudine polemica rispetto alla realtà, alle cose, in quanto cioè percepisca il mondo come un campo di resistenza che si oppone alla realizzazione dei suoi desideri e delle sue aspirazioni, e che quindi va piegato alla nostra volontà (13).
L'atteggiamento di Kropotkin rispetto alle "cose", alla natura in primo luogo, invece non è conflittuale, bensì conciliante. L'uomo, a suo avviso, si realizza come soggetto morale solo se si colloca in una relazione armonica con la realtà e si sente in comunione con questa. Così mentre il conflitto con le "cose" è il segnale - per Malatesta - della presenza di una volontà morale, questo stesso conflitto si presenta - nella visione di Kropotkin - come sintomo evidente di debolezza morale o più semplicemente di immoralità.
Il movimento socialista, per Malatesta, al contrario di quanto crede Kropotkin, non è un portato dell'evoluzione naturale o storica, o di un determinato processo economico, bensì è il risultato di un'azione motivata dal contrasto tra ciò che è una realtà sociale data, e ciò che deve essere, certi princìpi, certe aspirazioni, certi "sentimenti" (parola quest'ultima assai cara a Malatesta). Ciò è già detto molto bene da Merlino nel suo libro Formes et essence du socialisme: "Il movimento socialista non è il prodotto della miseria crescente né sarebbe più esatto dire che è il prodotto della ricchezza decrescente. Esso è l'effetto d'un contrasto tra condizioni di vita e la concezione di questa che noi abbiamo" (14) .
La metaetica non cognitivistica difesa da Malatesta non ha alcuna implicazione "immoralista" o "relativista". Così, a quegli anarchici che "negano la morale" egli oppone l'argomento seguente: "La morale è la regola di condotta che ciascun uomo considera buona. Si può trovare cattiva la morale dominante in una data epoca, in un dato paese, in una data società, e noi infatti troviamo pessima la morale borghese; ma non si può concepire una società senza una morale qualsiasi, né un uomo cosciente che non abbia un qualsiasi criterio per giudicare di quello che è bene e di quello che è male per se stesso e per gli altri" (15).

La concezione morale di Ricardo Mella

Alternativa a quella di Kropotkin si presenta la concezione morale di Ricardo Mella, forse il pensatore anarchico spagnolo più importante ed influente della seconda metà del secolo diciannovesimo (16). Mella innanzitutto rifiuta l'analogia, al suo tempo assai popolare negli ambienti socialisti e anarchici, tra natura e società ritenendo che nella prima operino leggi cogenti e indipendenti dall'azione umana, mentre nella seconda vigano leggi variabili e dipendenti dalla condotta dell'uomo. "Mentre le relazioni degli organi e delle funzioni dell'animale, e dell'animale uomo - egli scrive -, sono connesse secondo caratteri di necessità, mentre queste relazioni sono idealmente, astrattamente, le medesime per tutti gli esseri, le relazioni degli elementi sociali e delle loro funzioni mancano di tale carattere, sono modificabili, variabili all'infinito sotto l'azione, anch'essa variabile, degli uomini" (17).
Mella, inoltre, ha ben chiara la distinzione tra atteggiamento descrittivo e atteggiamento normativo rispetto ad un certo oggetto di studio. Così, per ciò che concerne lo studio della natura non potremo - a suo avviso - che assumere il punto di vista di ciò che è, mentre per ciò che concerne lo studio della società sarà prevalente il punto di vista di ciò che dovrebbe essere. "Nel primo caso - scrive Mella - si studia ciò che è. Ci limitiamo a una semplice, ma laboriosa, ricognizione del modo in cui lavorano i muscoli, circola il sangue, ecc. Nel secondo caso si studia quale sarà il miglior metodo di lavoro, il procedimento più rapido di circolazione, di scambio, ecc. Ci riduciamo alla difficilissima ricerca di ciò che dovrebbe essere secondo le necessità che avvertiamo. È questa la ragione per cui si discute poco o niente in fisiologia, e molto in sociologia. Coloro che vogliono fondare quest'ultima scienza secondo relazioni di analogia con quell'altra e con le sue simili dimenticano questa verità, che la società non è un organismo predeterminato dalla natura" (18).
Secondo Mella la società non è una grandezza indipendente dalle singole azioni umane; è a queste che bisogna far riferimento per intendere gli eventi sociali. La società è così vista non come un organismo armonico, ma come il risultato multiforme delle diverse azioni umane. Ciò però non implica in Mella una visione individualistica e contrattualistica della società. Questa, se pure è dipendente dalle azioni umane, non è la mera somma di queste, ne è piuttosto una risultante non riducibile all'addizione delle singole forze in gioco. "La società quindi - scrive Mella - sarà una risultante ideale come espressione variabile delle azioni e reazioni dei suoi componenti; giammai la somma assoluta degli stessi e ancora meno la somma del tutto identica alla loro aggregazione positiva. Che si deduce da ciò? Che la società non può essere considerata un aggregato, e ancora meno un tutto organico permanente, permanentemente uguale a se stesso nel senso proprio agli esseri viventi, completamente organizzato, individualizzato, armonicamente uno, identico a se stesso in quanto relazione fatale dei suoi elementi" (19).
Così Mella rifiuta l'evoluzionismo spenceriano (e di riflesso anche quello kropotkiniano), non lesinando appunti critici alla stessa filosofia positivistica. L'evoluzione sociale, come movimento necessitato ("che è"), non è in grado - a suo avviso - di condurci a ciò "che dovrebbe essere"; essa risulta anzi dominata com'è da costumi e abitudini già date, fortemente conservatrice e nemica d'ogni innovazione morale e politica.
Mella giunge ad attaccare poi uno dei capisaldi delle filosofie deterministiche: la negazione del libero arbitrio. Tale negazione - egli ci dice - urta contro le nostre intuizioni, contro il sentimento diffuso e persistente d'essere in qualche modo padroni (e responsabili di conseguenza) delle nostre azioni. "La ragione - egli scrive - potrà essere condotta da un numero considerevole di esperienze al determinismo come teoria accordabile alla realtà delle cose. Ma la coscienza individuale non si cura dei sistemi teorici e si conduce come se fosse regina e signora dei propri atti" (20).
Il punto d'arrivo dello spagnolo è una morale deontologica assai diversa da quella teleologica di Kropotkin - fondata non sul principio del mutuo appoggio, bensì su quello della dignità personale. Il fondamento di questo principio viene rinvenuto in un universale sentimento d'equità che starebbe al fondo dell'animo umano, sentimento che è considerato indefinibile.
"Sussiste, in tutti i tempi e in tutti gli uomini, un fondo di equità. Non chiedetemi in cosa esso consista né come va definito. Osservate semplicemente come opera" (21). Ci troviamo così dinanzi ad una miscela metaetica di emotivismo e di intuizionismo, con una prevalenza forse di quest'ultimo. Siamo lontani comunque dalla morale naturalistica e solidaristica di Kropotkin. Mentre quest'ultimo esalta la comunità, Mella aggancia la sua etica all'autonomia dell'individuo, senza per questo cadere in una morale egoistica o edonistica. Inoltre, mentre Kropotkin ha una visione armonicistica delle relazioni sociali, Mella assume una posizione conflittualistica, la quale però si mantiene lontana dagli eccessi del darwinismo sociale.

Tra naturalismo e comunitarismo

Cerco ora di riassumere, in forma apodittica e per punti, le tesi fondamentali della filosofia politica di Kropotkin.
(i) Tra natura e società non v'è soluzione di continuità, sicché le leggi che reggono l'una sono esattamente le stesse che reggono l'altra. Di conseguenza Kropotkin afferma che il metodo da usare per lo studio della società nei suoi vari aspetti deve essere il medesimo che è impiegato nelle scienze naturali (22). È indicativo a questo proposito quanto egli raccomanda per l'economia in Campi, fabbriche e officine, e cioè ch'essa deve modellarsi come una scienza naturale: "Noi pensiamo che per diventare una scienza l'economia politica debba essere costruita in modo diverso. Deve essere trattata come una scienza naturale, e deve usare i metodi seguiti da tutte le scienze esatte empiriche"(23).
(ii) Non v'è salto o scarto tra piano descrittivo e piano normativo, sicché la descrizione di uno stato di cose ha nel contempo un contenuto valutativo, tale da indirizzare l'azione umana. Così l'anarchismo e la scienza finiscono per coincidere, come leggiamo in una pagina molto nota di un'altra opera del principe russo, La scienza moderna e l'anarchia: "L'anarchismo è una concezione dell'universo basata sull'interpretazione meccanica di fenomeni, che comprende tutta la natura, inclusa la vita delle società umane e i loro problemi economici, politici e morali. Il suo metodo è quello delle scienze naturali, e ogni conclusione a cui arriva deve essere verificata da questo metodo se pretende di essere scientifica" (24).
(iii) L'universo è orientato verso un certo fine identificato con l'armonia dei suoi elementi. La storia umana è solo una vicenda della grande storia dell'universo, tant'è che si può arrivare "a interpretare la storia nello stesso modo in cui le scienze naturali interpretano i fenomeni della natura" (25). L'armonia è vista come uno stato provvisorio sottoposto a modificazioni e aggiustamenti continui. La rivoluzione sociale non ha altro compito che quello di ristabilire l'armonia dell'ordine sociale turbata dalla presenza dello Stato e del regime proprietario capitalistico. "L'armonia appare così come equilibrio temporaneo, stabilito fra tutte le forze, un provvisorio adattamento, e questo equilibrio durerà solo ad una condizione, quella di modificarsi continuamente; di rappresentare ad ogni momento la risultante di tutte le azioni contrarie. Che una sola di queste forze sia impedita per qualche tempo nella sua azione, e l'armonia scomparirà. La forza accumulerà il suo effetto, deve manifestarsi, esercitare la sua azione; e se altre forze glielo impediscono, essa non si annullerà, ma finirà col rompere l'equilibrio e lavorare ad un nuovo adattamento. Cosi è l'eruzione di un vulcano la cui forza imprigionata finisce per rompere la lava che le impediva di eruttare gas, magma e cenere incandescenti. Così le rivoluzioni" (16).
(iv) Non v'è necessità, perché una società sussista e si sviluppi, della mediazione normativa (giuridica e politica). Si ritiene che la dinamica sociale della società borghese o di classe si articoli solo nella tensione tra popolo e governo, e questa tensione è vista come una relazione distruttiva di contrapposizione. Si crede che non sia possibile inserire tra questi due termini contrapposti e nemici un terzo elemento (ad esempio la "società" di Andrea Caffi, il quale - anch'egli di formazione culturale russa e socialista - articolava significativamente la sua riflessione politica secondo una dinamica tripolare: popolo-società-governo) (27).
(v) Anche la mediazione economica, come regolazione del rapporto tra produzione e consumo, è del tutto superflua. Il valore economico - secondo Kropotkin - è solo valore d'uso. Non vi è alcun valore di scambio o, se vi è, questo è necessariamente - per usare una terminologia marxiana - valore "alienato", "merce", "capitale", ed è quindi inammissibile in una società socialista.
Sul piano economico l'obiettivo dichiarato del principe russo diviene così una sorta di società autarchica, dove la produzione è regolata dal consumo diretto dei produttori medesimi. "Ritornare - leggiamo in Campi, fabbriche e officine - a una situazione in cui il grano è cresciuto e i beni manifatturieri vengono prodotti, per l'uso proprio di quella gente che coltiva e produce - questo sarà senza dubbio il problema da risolvere nei prossimi anni della storia europea. Ogni regione diverrà la produttrice e la consumatrice dei propri prodotti(28).
In questa sede non m'interessa tanto procedere a una critica articolata di queste tesi. Voglio piuttosto indicare alcune loro possibili conseguenze teoriche. La tesi (i), strettamente collegata alla tesi (iv) e (v), conduce ad assumere un atteggiamento di rifiuto di ogni norma, regola, e organizzazione. Non è un caso che la filosofia ispiratrice di certe correnti radicalmente antiorganizzatrici dell'anarchismo (penso innanzitutto a Luigi Galleani) fosse proprio il comunismo armonista kropotkiniano (29).

Senso morale e istinto innato

La società armonica, alla quale fa riferimento il principe russo, ha però poco a che fare con lo "stato di natura" dei giusnaturalisti del XVII e del XVIII secolo, anche nel caso in cui questo non sia pensato nei termini di una situazione di guerra di tutti contro tutti. Lo "stato di natura" è un concetto giuridico o normativo, ed ha forti tratti individualistici. La società armonica, composta di associazioni volontarie, preconizzata da Kropotkin è piuttosto un concetto sociologico, il quale viene giocato contro ogni prospettiva giuridica. Nè può dirsi che per Kropotkin la società sia il risultato di un contratto tra gli individui, giacché essa è pensata come un fatto che precede l'individuo e che si giustifica a prescindere dalla volontà di questo. La forma di organizzazione delle "associazioni volontarie" - scrive Jurgen Habermas a proposito della teoria sociale dell'anarchismo - è, a differenza della costruzione individualistica, giusnaturalistica, dello stato di natura, un concetto sociologico, che consente di pensare i rapporti come qualcosa che insorge spontaneamente, senza dominio, in modo non contrattuale. La società priva di dominio non deve dunque essere concepita come l'ordine strumentale e quindi pre-politico, che si stabilisce a partire da un contratto, vale a dire da accordi guidati dall'interesse di privati che agiscono in funzione del successo (30).
La tesi (ii) conduce a ignorare l'elemento normativo d'ogni morale, il carattere per così dire "controfattuale" dell'etica, e a confondere infine la morale positiva (la morale socialmente vigente) con la morale critica, quella che un certo soggetto ponendosi in posizione normativa raccomanda a sé e agli altri, la quale però potrebbe anche non essere applicata e vigente socialmente in alcun luogo e tempo. Kropotkin opera tale confusione dal lato della morale positiva, nel senso che egli riconduce a quest'ultima anche la morale critica.
Nel suo libro sull'etica, l'ultima sua opera prima della morte, Kropotkin sembra coniugare una morale storicistica ("è giusto ciò che è portato della Storia") con una morale evoluzionistica ("è giusto ciò che è portato dell'Evoluzione") (31). Ciò significa, in breve, ricondurre "ciò che deve essere" a "ciò che è" in una certa fase storica o in un certo stadio dell'evoluzione, negando alla morale la controfattualità rispetto all'esistente. Un tale atteggiamento teorico può però facilmente scivolare da un lato nella glorificazione dell'esistente "ciò che è reale è razionale", e d'altro canto nella dismissione da parte del soggetto del suo statuto di fonte di produzione - per così dire - delle norme morali. Il carattere principale della metaetica kropotkiniana è il naturalismo, quindi un deciso oggettivismo. Il sentimento morale non è visto come esclusivo del genere umano. Esso è piuttosto comune a tutto il mondo animale, e qui si manifesta in espressioni che non differiscono essenzialmente tra loro. Gli animali - scrive Kropotkin -, i quali vivono socievolmente, sanno far distinzione tra il bene e il male, precisamente come l'uomo. E, ciò che più colpisce, egli è che le loro concezioni sul bene e sul male sono assolutamente dello stesso genere di quelle dell'uomo" (32).
Per Kropotkin il senso morale è un istinto innato nell'uomo, frutto dell'evoluzione della specie. "Mutuo Appoggio - Giustizia - Moralità sono dunque rispettivamente i passi di una serie ascendente, che ci viene rivelata dallo studio del mondo animale e dell'uomo. Essi costituiscono una necessità organica che ha in sé la propria giustificazione confermata dall'evoluzione complessiva del regno animale, a cominciare dai suoi primissimi stadi (sotto forma di colonie negli organismi più primitivi) salendo pian piano fino alle nostre comunità umane civilizzate. Parlando per immagini, è una legge universale dell'evoluzione organica, e questo è il motivo per cui il senso del Mutuo Appoggio, della Giustizia e della Moralità è radicato nell'animo umano con tutta la forza di un istinto innato. (33)
La filosofia morale del russo è un esempio di ciò che John Rawls chiama "perfezionismo", vale a dire di quella concezione per cui il bene è tutto ciò che incoraggia il, e tende al, perfezionamento delle capacità intrinseche dell'individuo. E' questa una visione - per così dire - teleologica della morale, che si ricollega all'antica dottrina aristotelica secondo cui gli esseri sono dotati di un fine connaturato ad essi. In Kropotkin il "perfezionismo" si sposa con una sorta di "vitalismo" che gli proviene tra l'altro dalla lettura di Guyau. "Sii forte! - scrive Kropotkin - trabocca di energie passionale e intellettuale - e tu riverserai sugli altri la tua intelligenza, il tuo amore, la tua forza di azione! - Ecco a che cosa si riduce tutto l'insegnamento morale, spogliato delle ipocrisie dell'ascetismo orientale" (34). E' questa una morale "eroica", che giunge quasi a sconfinare nel titanismo. La metaetica di Kropotkin è comunque "comunitaristica" ed antiriflessiva. A suo avviso i giudizi morali vanno tipicamente pronunciati alla prima persona plurale. E' il "noi" e non l'"io" il soggetto degli enunciati morali - egli scrive. "La vita sociale, vale a dire noi, non io, è la forma normale di vita, è la vita stessa. Perciò "noi" dev'essere stata la tendenza di pensiero usuale dell'uomo primitivo, una "categoria" della sua mente, come forse avrebbe detto Kant. Qui, in questa identificazione o, potremmo anche dire, in questa assimilazione dell'"Io" da parte della legge o della tribù, risiedono le radici di tutto il pensiero etico" (35).
L'origine del pensiero morale va rinvenuta pertanto - secondo il principe russo - non tanto nella riflessività del soggetto, quanto nel sentimento di identificazione con un collettivo, con una comunità. Tuttavia il "comunitarismo" di Kropotkin non ha marcato carattere storicistico, com'è il caso in genere dei più moderni "comunitaristi" (36). Il russo infatti distingue tra codici morali dominanti, frutto - a suo avviso - di superstizioni e subalterni al dominio di classe, e senso morale, il quale ultimo è il vero e proprio luogo della morale ed è connesso alla natura dell'uomo piuttosto che alla sua contingente appartenenza ad una certa comunità (37).
Il comunitarismo di Kropotkin, almeno in materia morale, è per così dire "trascendentale", si àncora non in un certo ambito comunitario storicamente e geograficamente determinato, bensì nel carattere eminentemente sociale (cooperativo) di tutti gli esseri umani, come portato evolutivo della storia non di singoli gruppi, popoli, etnie o nazioni bensì dell'intera specie umana. Ciò che Kropotkin cerca per la morale è un fondamento assoluto, che sfugga alla disposizione e al calcolo degli esseri umani. Siamo dunque ben lontani da qualunque posizione volontaristica o addirittura immoralistica. L'obiettivo di Kropotkin è una morale rigorosa e oggettivamente fondata sottratta alla convinzione e alla volontà dei singoli (38).

Scienza, cioè morale

E' in nome di un'esigenza oggettivistica, e non di una metaetica relativistica e noncognitivistica, che Kropotkin rifiuta l'utilitarismo di Bentham e Mill, giacché questo - a suo avviso - affiderebbe la giustificazione dei princìpi morali ai sentimenti e alle sensazioni dei singoli soggetti, e si baserebbe su misurazioni astratte. Al riguardo la domanda sollevata da Kropotkin è la seguente: "E' possibile che la moralità non sia altro che un fenomeno accidentale nella vita degli uomini e fino a un certo punto anche nella vita degli animali sociali? E possibile che non abbia fondamento più profondo se non la mia casuale inclinazione benevola accompagnata dalla considerazione della ragione che tale benevolenza mi torna utile, in quanto mi tutela da ulteriori spiacevolezze?" (39).
Per Kropotkin, come per tanta parte del positivismo filosofico ottocentesco, scienza e morale finiscono per coincidere. Per il principe russo anzi coincidono pure scienza e rivoluzione. La tesi (ii), che qui si discute, rimanda così alla tesi (iii). La tesi (iii), che - come si è visto - è quella più criticata da Malatesta, conduce ad una visione fatalistica o deterministica del cambiamento sociale, mortificandone il lato volontaristico. Per Kropotkin non sono tanto la volontà dell'uomo, la sua decisione morale, il suo impegno, il motore del cambiamento quanto piuttosto le leggi intrinseche all'universo. Leggi - si badi - intese in senso finalistico, leggi intrinseche alla natura, e non estrinseche a questa come strumenti convenzionali ad uso dello scienziato, leggi scientifiche che sono anche "buone" per definizione, ovvero "morali".
Ancora una volta, secondo Kropotkin la categoria principale, centrale, dell'attività umana risulta essere quella della scienza, non quella della morale o della politica. In un certo senso per Kropotkin basta conoscere e il gioco è fatto, si giungerà là dove la volontà non ci condurrebbe mai: al mondo dell'armonia e del mutuo appoggio. Basta guardare, osservare, descrivere un alveare, per ricevere già per ciò stesso un'esortazione alla rivoluzione sociale, ed avere un programma politico e un modello per la società futura. Non v'è più spazio qui per la distinzione tra giudizi "teorici" (o discorsi assertivi) e giudizi "pratici" (o discorsi valutativi o normativi). Il giudizio "pratico" può essere ricondotto a quello "teorico". Un reale conflitto di opinioni può vertere dunque solo su questioni di fatto, e sarà bene o male risolubile con metodi scientifici o empirici. Ciò è ripetuto con molta chiarezza da William Morris, un pensatore socialista per molti versi contiguo a Kropotkin, quando si arrischia a descrivere il processo decisionale nella società comunista del futuro: "Di norma, l'esito immediato dimostra quale opinione su un determinato argomento è quella giusta; è una questione di fatti, non di speculazione" (40).
Adottando una terminologia di Thomas Nagel (41), si potrebbe dire che per Kropotkin "punto di vista personale" e "punto di vista impersonale" possono felicemente convivere ed anzi coincidere in ciascun individuo, senza creare problemi di coordinamento e tanto meno conflitti. Ciò vuol dire che ciascun individuo, perseguendo i propri interessi, le proprie inclinazioni, i propri desideri ("punto di vista personale"), promuove al tempo stesso l'interesse della collettività ed anzi dell'intero genere umano ("punto di vista impersonale"). In una tale prospettiva, allora, perde d'importanza ogni meccanismo di regolazione di eventuali conflitti tra i due "punti di vista".

Norme, diritto, mercato

La tesi (iv), che insieme alla (v) è quella più criticata da Saverio Merlino, conduce all'amorfismo politico e all'astensionismo dalla politica intesa come mediazione di interessi. Se la società è retta da meccanismi automatici, quindi necessari e dunque giusti - giacché per Kropotkin, come si è visto, ciò che è necessario finisce per essere anche giusto - non importa avere piani accurati di ricostruzione sociale per chi si propone di modificare o rivoluzionare un certo regime sociale. Ci si può limitare ad asportare le escrezioni autoritarie e proprietarie, esaltando così la radicalità e l'intransigenza del proprio intervento, confidenti che in ogni caso l'accordo e l'armonia si daranno per la forza delle cose stesse. Così tutto ciò che è mediazione, regolamentazione, normazione, può essere trascurato, ed anzi indiscriminatamente attaccato come escrescenza maligna, come ipostasi di princìpi ordinatori che non abbisognano di alcuna esplicitazione né consapevolezza da parte dei consociati (42).
Il diritto in questa prospettiva è principalmente una funzione del regime proprietario, serve soprattutto a difendere questo dalla rabbia delle sue vittime: "Metà delle nostre leggi, il codice civile di ciascun paese, non hanno altro scopo che conservare questa proprietà, questo monopolio a beneficio di alcuni individui contro tutta l'umanità. Tre quarti delle cause su cui i tribunali sono chiamati a giudicare non sono altro che contese fra monopolisti, due ladri che litigano per il bottino. Gran parte delle nostre leggi criminali inoltre hanno lo stesso obiettivo, il loro fine essendo quello di mantenere il lavoratore in una posizione subordinata rispetto al datore di lavoro, garantendo quindi uno sfruttamento indisturbato" (43).
Il diritto qui è visto come violenza (occultata, dietro un manto d'ipocrisia e d'ideologia) del più forte sul più debole. Verso di esso l'unica possibile rispettabile attitudine è il disprezzo. "Se si analizza la legge, e la si spoglia di quelle nebulose fantasie con le quali è stata elaborata così da nasconderne la vera origine, ovvero il diritto del più forte, e la sua sostanza, che è sempre stata la causa di tutte le tirannie subite dall'umanità nella sua lunga e sanguinosa storia, una volta capito ciò, il disprezzo per la legge si farà ancora più profondo" (44).
Connessa al rifiuto di qualsivoglia istituzioni e norme, e quindi all'amorfismo politico, è l'assunzione dell'assenza di conflitti all'interno della società comunista, ovvero la valutazione del conflitto come una situazione negativa o patologica per la società. Inoltre, in assenza di istituzioni e di norme, il controllo sociale deve affidarsi completamente alle virtù delle masse indistinte. "La negazione a priori dell'autorità - commenta criticamente Camillo Berneri - si risolve in un angelicarsi degli uomini ed in uno sviluppo irrompente di un genio collettivo, quasi immanente alla rivoluzione, che si chiama iniziativa popolare. Il popolo, in questo sistema, è omogeneo, per natura e per impulsi" (45). Nelle parole di Kropotkin si avverte la tentazione di una tirannia dell'opinione pubblica, tentazione che al russo rimproverano prima Merlino e poi George Woodcock. "Né - scrive in proposito Merlino - bisogna rimettere la soluzione di tutte le difficoltà all'opinione pubblica, di cui c'è da temere la tirannia e che, in fondo, è sempre l'opinione di taluni" (46). Tutti son responsabili di tutti e tutto: questa è la risposta kropotkiniana alla teoria liberale della divisione dei poteri. Ovviamente, poiché le norme sono viste con sospetto, il controllo sociale non è sottoposto ad alcuna regola né a limiti formali, quindi. Il problema del garantismo penale qui nemmeno si pone, giacché l'azione popolare è considerata come tale sempre legittima.
La tesi (v) è certo quella che più richiederebbe un'analisi puntuale e specializzata. Gran parte della critica kropotkiniana all'economia capitalistica ossessionata dalle idee di profitto e di produttività è ancora oggi attuale, tanto più attuale in un'epoca in cui sempre più concreta si fa la prospettiva della catastrofe ecologica. L'ossessione di dominio e sfruttamento della natura, tipica del capitalismo, ci trascina ormai verso un punto di non-ritorno: la mercificazione della natura comporta la distruzione di questa e il lento suicidio dell'umanità che non ha inteso il legame che la unisce all'ecosistema "terra". Questa ossessione e il rischio dell'autodistruzione sono percepiti con lucidità dal principe russo, che non a caso insiste su motivi quali "piccolo è bello", idee che solo dopo molti anni cominceranno a penetrare nella coscienza civile della società industriale.
Tuttavia, nella teoria economica di Kropotkin si ripropone il problema dell'amorfismo. In essa, peraltro, si opera una perniciosa confusione tra regole dell'economia e leggi statali: le prime sono parificate alle seconde, e quindi rifiutate. Questa confusione è riproposta da William Morris nel suo News from Nowhere, che ci dipinge una società utopica assai vicina al comunismo anarchico preconizzato da Kropotkin. "Non abbiamo uno scambio individuale evidente, - dice il cittadino della società "nuova" - (...) ma naturalmente ci sono regole del mercato, che variano a seconda delle circostanze e sono guidate dall'uso generale. Ma se queste sono oggetto di pubblica approvazione e nessuno si sogna di metterle in discussione, non abbiamo fatto niente per consolidarle; quindi non le chiamerei leggi. Nel diritto, che sia penale o civile, il giudizio è sempre seguito da un'applicazione, e c'è qualcuno che la deve subire" (47).
Per William Morris, come per Kropotkin, il valore economico è solo quello d'uso. "Le merci che produciamo, - fa dire Morris al suo "uomo nuovo" - vengono prodotte perché sono necessarie: gli uomini le producono a uso del prossimo come se fosse per sé, non per un imprecisato mercato di cui essi non sanno nulla e sul quale non hanno alcun controllo: non essendoci compravendita, sarebbe pura follia produrre dei beni sperando nella domanda (...) Niente può venir prodotto se non per il suo uso vero e proprio" (48). Così il principe russo raccomanda una riforma delle scienze economiche che dovrebbero incentrarsi non più tanto sui problemi della produzione quanto su quelli del consumo: "Secondo l'anarchismo - egli scrive - (...) l'attenzione dell'economia deve essere diretta in primo luogo al cosiddetto "consumo"" (49).
La questione economica non è però solo quella del consumo (come ritiene Kropotkin) , né solo quella della produzione (come crede Marx), bensì principalmente quella del raccordo tra produzione e consumo, ovvero quella dei - come direbbe Merlino - "cambi". Orbene, lo scambio per effettuarsi, al di là di quantità minime, e di momenti sporadici, richiede unità di misura comuni tra i partecipanti allo scambio. Ciò ha per conseguenza che il valore di scambio sia necessariamente distinto dal valore d'uso.
Il valore d'uso (o di consumo) è soggettivo, e può essere diverso in ciascun soggetto. Il valore di scambio dev'essere comune ai soggetti che operano lo scambio, e quindi è non più soggettivo bensì intersoggettivo. Questa misura comune rimanda, però, proprio a quell'elemento di mediazione, di regolazione o di norma, che è invece avversato o trascurato dalla riflessione kropotkiniana . La prise au tas, la presa dal mucchio, ha certo un'intensa valenza utopistica, ma non pare costituire un meccanismo alternativo al mercato.
Così come avveniva per la politica, anche l'economia, nella proposta teorica di Kropotkin, finisce per confluire nella morale. Qui il punto di vista morale non è solo predominante, esso è pervasivo. Esso diviene anzi totalizzante, giacché la morale è reinterpretata come scienza, meglio come le scienze.

Giustizia e bontà

Per Kropotkin la cosiddetta "fallacia naturalistica" (il salto logico dalla descrizione di uno stato di cose alla posizione di un valore o di una norma) opera non più dall'"essere" al "dover essere", bensì dal "dover essere" all'"essere". A ciò che deve essere, ai princìpi, si fa corrispondere una qualche serie di eventi empirici che giustificherebbe quei princìpi attribuendo loro l'auspicata oggettività e necessità. Siamo ben lontani dall'immoralismo. È un moralismo rigidissimo quello che promana dal pensiero kropotkiniano, tanto rigido da giungere fino al limite estremo dell'antivolontarismo e da incontrarsi su questo terreno con l'etica tolstoiana (50). Per rendere l'uomo finalmente libero si postula una morale assoluta ("certa" come solo può esserlo nel caso di Kropotkin una legge causale/scientifica o - nel caso di Tolstoj - una legge divina) che lo obblighi a essere libero.
Kropotkin rovescia la concezione moderna e liberale del rapporto tra "giusto" e "buono" (51). Questa a sua volta capovolgeva la visione antica, dando la preminenza al "giusto" rispetto al "buono", almeno per ciò che concerneva la morale intersoggettiva e la politica. Per il pensiero liberale, ciò che rileva in politica non sono tanto le virtù dei singoli individui, la loro "bontà", quanto i rapporti che si creano tra quelli, vale a dire la "giustizia" delle istituzioni civili. In questa prospettiva la "bontà" non è affare della politica, non ricade nella sfera pubblica, giacché essa esprime quanto di più privato v'è nella vita del soggetto, le inclinazioni di questo. Fondare sulla "bontà" dei singoli il valore delle istituzioni e della società civile, oltre a rimandare a criteri normativi di assai difficile individuazione e formulazione, significherebbe cancellare d'un tratto la linea divisoria tra "pubblico" e "privato". Si preferisce allora restare neutrali rispetto alle "virtù" del soggetto, non domandargli troppo, e ci si contenta della corrispondenza dei rapporti tra soggetti a criteri più o meno formali, più o meno procedurali, che non caricano il "privato" di precisi contenuti sostanziali. E' questa la prevalenza del "giusto" di cui in tempi recenti si è fatto assertore il filosofo americano John Rawls. Orbene, Kropotkin, ritorna - per così dire - all'antico. Per lui come per Tolstoj la politica e la morale sono questione del "buono", delle virtù dei cittadini, e poco o niente affatto delle istituzioni. La "giustizia" si risolve così nella "bontà" (52). Nella tradizione liberal-democratica, l'identità pubblica dei cittadini in quanto uomini liberi non è determinata dalla loro concezione di ciò è il "bene". Come ha scritto John Rawls "in quanto persone libere, i cittadini rivendicano il diritto a considerare le proprie persone come indipendenti da qualsiasi particolare concezione del bene, o schema di fini ultimi, persone che non si identificano con essi" (53). Per Kropotkin invece, per il quale pure i cittadini sono persone libere, là qualità di persona non è moralmente neutra ed è strettamente connessa ad una certa sostanziale concezione del "bene".
La "giustizia" (intesa come "fairness", come equa strutturazione delle relazioni politico-economiche di un gruppo sociale) rappresenta un insieme di princìpi dotati di un ristretto àmbito di validità e di applicazione, mentre la "bontà" costituisce un corpo di princìpi la cui validità e applicazione è pervasiva e globale, investendo tutte le sfere della vita del soggetto umano. Come scrive Rawls, "la concezione del cittadino come persona libera e uguale non è un ideale morale che governi tutta la vita, ma è un ideale appartenente a una concezione di giustizia politica che va applicata alla struttura di base" (54).
Nella tradizione liberale la "giustizia" ha il sopravvento sulla "bontà", in quanto la prima definisce quali concezioni della seconda sono ammissibili entro una certa società. Ciò è detto molto bene da Rawls: "Il concetto di giustizia è indipendente dal, e precedente al, concetto di bontà nel senso che i princìpi di quella limitano le concezioni del bene che sono permesse" (55). E' per ciò che il filosofo americano parla della priorità delle libertà, di certi diritti fondamentali (condizioni necessarie della giustizia come "fairness", come procedura equa) sulle altre forme di "bene". Di "diritti fondamentali" non vi è invece traccia nella teoria politica kropotkiniana.

1) Vedi ad esempio M. COSSUTTA, Anarchismo e diritto. Componenti giusnaturalistiche del pensiero anarchico, Coopstudio, Trieste 1987 . Vedi anche V.GUELI , Anarchia, in Enciclopedia del diritto, vol.2, Giuffrè, Milano 1958, p.387.

2) Vedi ad esempio G.FASSO, Società, legge, ragione, Comunità, Milano 1974, p.164.

3) Vedi ad esempio M.NETTLAU, Geschichte der Anarchie, Vol. 4, Die erste Blütezeit der Anarchie, 1886-1894, ristampa, Topos, Vaduz 1981, pp. 30 ss., 61, 98 ss., 312,467 ss.

4) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico, ora in ID., .Scritti, vol.3, Pensiero e volontà e ultimi scritti, 1924/1932, Edizione del "Risveglio", Ginevra 1936,p.372.

5) E. MALATESTA, Commenti all'articolo "Scienza e anarchia" di Nino Napolitano , in "Pensiero e volontà" del 1 luglio 1925, anche in ID., Scritti, vol. 3, cit., p.176. Vedi anche E. MALATESTA, Aberrazioni pseudoscientifiche, in "Pensiero e volontà" del 16 novembre 1925, ora in ID., Scritti, Vol.3, cit., pp. 203-205, e E. MALATESTA, Ancora su scienza e anarchia, in "Pensiero e volontà" del 1 febbraio 1926, ora in ID., Scritti, vol. 3, cit., pp. 211-213. Malatesta si esprime criticamente anche contro lo storicismo: vedi E. MALATESTA, Le leggi storiche e la rivoluzione, in "Umanità nova" del 17 luglio 1920, ora in ID., Scritti, vol. 1., "Umanità Nova", Edizione del "Risveglio", Ginevra 1934, p. 103 ss. L'antiscientismo di Malatesta ha radici in un analogo atteggiamento di Mikhail Bakunin. In merito, cfr. D. FARIAS, Bakunin su scienza e Politica, in ID., Saggi di filosofia politica, Giuffrè, Milano 1977, pp. 462 ss.

6) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico, cit., p. 374. Vedi anche E. MALATESTA, Nota all'articolo: "Scienza e anarchia", di Hz., in "Pensiero e volontà" del 1 settembre 1925, ora in ID., Scritti,vol. 3, cit., pp. 180 ss.

7) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico, cit., p.37

8) S. MERLINO, L'individualisme dans l'anarchisme, in "La societé nouvelle", novembre 1893, trad. it. in ID., Concezione critica del socialismo libertario, a cura di A. Venturini e P.C. Masini, La Nuova Italia, Firenze 1957, p. 126.

9) E.MALATESTA, Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico, cit.. pp. 376-377.

10) Cito la traduzione italiana fornita in S. MERLINO, Concezione critica del socialismo libertario, cit., p. 141.

11) Cfr. c. CERRITO, Prefazione, in P.A. KROPOTKIN, Memorie di un rivoluzionario, trad. it. a cura di L. Berrini Pajetta, VI ed., Feltrinelli, Milano 1969.

12) E.MALATESTA, Op. ult. cit., pp. 377-378. Corsivo nel testo. Qui riecheggiano, forse, motivi del pessimismo leopardiano: cfr. Zibaldone, 2 gennaio 1827 .

13) Per quest'atteggiamento in etica, cfr. F. SAVATER, Invitación a la ética, IV ed., Anagrama, Barcelona 1986, p. 16.

14) S. MERLINO, Formes et essence du socialisme, Giard & Brière, Paris 1898, p.257.

15) E. MALATESTA, Errori e rimedi-schiarimenti, in "L'anarchia", Londra, agosto 1896, ora in ID., Scritti scelti,.a cura di G. Berneri e C. Zaccaria, Edizioni RL, Napoli 1954,p.22.

16) In merito, cfr. J. ALVAREZ JUNCO, La ideología politica del anarquismo espanol (1868-1910), II ed., Siglo XXI, Madrid 1991.

17) R. MELLA, La coacción moral (Fundamentos de una nuova ética social), ora in ID., Breves apuntes sobre las pasiones humanas, Tusquets, Barcelona 1976, p. 70.

18) Ivi, pp.70-71. Corsivo nel testo.

19) Ivi, p.69.

20) Ivi, p. 100.

21) R. MELLA, Breves apuntes sobre las pasiones humanas, cit., p.24.

22) "Poiché l'uomo è parte della natura, e poiché la vita del suo"spirito", quello personale come quello sociale, è un fenomeno naturale né più né meno che lo sbocciare di un fiore o lo sviluppo di una vita sociale fra le formiche e le api, non c'è motivo che noi si cambi metodo di indagine passando dai fiori all'uomo o da una colonia di castori a una città di uomini" (P.A. KROPOTKIN, Modern Science and Anarchism, in The Essential Kropotkin, a cura di E. Caponya e K. Tompkins, MacMillan, London 1970, p.62).

23) P. KROPOTKIN , La società aperta, scelta degli scritti e introduzione di H. Read, trad. it. di A. Savegnag, Antistato, Cesena 1973, p. 153.

24) "Le sue [dell'anarchismo] conclusioni possono trovare una verifica soltanto con lo stesso metodo induttivo scientifico-naturale attraverso il quale si costituiscono ogni scienza e ogni concezione scientifica dell'universo". (P. KROPOTKIN. Modern Science and Anarchism, cit., p. 93).

25) P.KROPOTKIN, L'anarchia: la sua filosofia e il suo ideale, trad. it. di D. Tarantini, Altamurgia, Ivrea 1973, p.17.

26) Ivi,p. 16. Corsivo mio.

27) Vedi A. CAFFI, Critica della violenza, raccolta di scritti a cura di N. Chiaromonte, Bompiani, Milano 1966, p.84. Kropotkin, nella sua esaltazione delle antiche comunità agricole russe, è del pari lontano dalle posizioni di Alessandro Herzen, che invece scrive: "La comunità, codesto prodotto del suolo, addormenta gli uomini, assorbe la loro indipendenza" (A. HERZEN, Du développement des idées revolutionnaires en Russie (1851), trad. it. (di M.C.) Breve storia dei russi, Longanesi, Milano 1953, p. 42).

28) P. KROPOTKIN, La società aperta, cit., p. 169. Corsivo nel testo.

29) Si legga, ad esempio, L. GALLEANI, La fine dell' anarchismo?, L'antistato, Cesena 1966.

30) J. HABERMAS, Volkssouveranitat als Verfahren. Ein normativer Begriff von Offentlichkeit, in "Merkur", 1989, p. 4T1. Corsivo nel testo.

31) In merito, cfr. G.P. PRANDSTRALLER, Kropotkin: il problema dell'etica, in "Volontà", 1981, n.2, pp.24 ss. Cfr. anche H. HUG, Kropotkin zur Einfuhrung, Junius Verlag, Hamburg 1989, pp. 31 ss.

32)P. A. KROPOTKIN, La morale anarchica, trad. it., Biblioteca della "Cronaca sovversiva", s.l. 1912, p. 15.

33) P.A. KROPOTKTN, Ethics, Origin and Development, traduzione inglese di L.S. Friedland e J.R. Piroshnikoff, Prism Press, Dorchester s.a.,pp. 30-31. Corsivo nel testo. "Mi permetto di porre alla scienza la seguente domanda" - dice egli in una conferenza degli anni 1888-1889 -: "la giustizia non ha il suo fondamento nella natura umana?" (P.A. Kropotkin, Gerechtigkeit und Sittlichkeit, Verlag "Der Syndacalist", Berlin 1924, p. 16).

34) P. A. KROPOTKIN, La morale anarchica, trad. it. cit., p.40.

35) P.A. KROPOTKTN, Ethics. Origin and Development, trad. inglese cit., p. 60.

36) Com'è il caso, ad esempio, di Alisdair Maclntyre. Si veda A. MACINTYRE, After Virtue. A Study in Moral Theory, II ed., Duckworth, London 1990.

37) In merito, cfr. G. WOODCOCK, I. AKUMOVICH, The Anarchist Prince. A Biographical Study, Schocken Books, New York I971, pp. 337-338.

38) In merito, cfr. G. WOODCOCK, I. AKUMOVICH, The Anarchist Prince. A Biographical Study, Schocken Books, New York I971, pp. 337-338.

39) P.A. KROPOTKTN, Ethics. Origin and Development, trad. inglese cit., p. 334.

40) W. MORRIS, News from Nowhere, and Selected Writings and Designs, a cura di A. Briggs. Penguin, Harmondsworth 1986, p. 258.

41) Vedi Th. NAGEL, Equality and Partiality, Oxford University Press, New York 1991, pp. 10,ss.

42) "L' ipotesi deterministica - nota Franco Cordero - liquida etica e diritto inghiottendo ogni differenza nei singoli fatti: l'amor fati esclude uno sguardo selettivo sulle cose (...) Il diritto valuta, discrimina, qualifica, stimola, reprime, e siccome non sfugge niente al vaglio, ogni atto appare conforme o no a dei tipi. Nel mondo umano non esistono adiàfora, eventi senza qualità (...). Nel caleidoscopio deterministico, invece, sfuma ogni valutazione normativa; qui regnano inesorabili tautologie; qualunque cosa accada, doveva accadere" (F. CORDERO, Riti e sapienza del diritto, Laterza, Bari 1985, p. 86).

43) P.A. KROPOTKTN, Law and Authority, in The Essential Kropotkin, cit., pp. 39-40. Cfr. C. CAHM, Kropotkin and Law, in Law in Anarchism, a cura di T. Holterman e H. van Maarseven, Erasmus University, Rotterdam 1980, pp. 151 ss.

44) P.A. KROPOTKIN, An Appeal to the Young, in The Essential Kropotkin, cit., p. 16.

45) C. BERNERI, Per un programma d' azione comunalista, in ID. , Pietrogrado 1917 - Barcellona 1937. Scritti scelti, a cura di P.C. Masini e A. Sorti, Sugar, Milano 1964, p. 98. Corsivo nel testo.

46) S. MERLINO, L'individualismo nell' anarchismo, trad. it. cit., p. 132. Vedi G. WOODCOCK, Anarchism. A History of Libertarian Ideas and Movements, Meridian Books, Cleveland 1962, pp.216-217; e cfr. P. MARCONI, La libertà selvaggia. Stato e punizione nel pensiero anarchico, Marsilio, Venezia 1979, pp. 100 ss.

47) W. MORRIS, News from Nowhere and Selected Writings and Designs, cit., p. 255.

48) Ivi, p.267. Corsivo nel testo.

49) P.A. KROPOTKTN, Modern Science and Anarchism, in The Essential Kropotkin, cit., p. 92.

50) Si legga ad esempio L. TOLSTOI. Perché vivo?, in ID., Padre Seragij, trad. it. a cura di I. Sibaldi, Feltrinelli, Milano 1991, p. 91 ss.

51) Sulla distinzione tra "giusto" e "buono", cfr. J. HABERMAS, Über Moralitat und Sittlichkeit - Was macht eine Lebensform "rational", in Rationalitat Philosophische Beitrage, a cura di H. Schnadelbach, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1984, pp.220 ss, e J. HABERMAS, Erlauterunqen zur Diskursethik, Suhrkamp, Frankfurt am Main 199I, p. 199 ss. Cfr. anche E. Tugendhat, Antike und moderne Ethik, ora in ID., Probleme der Ethik, Reclam, Stuttgart 1984, pp. 33 SS.

52) Kropotkin potrebbe rovesciare dunque la tesi di Otfried Hoffe, per cui "persino un popolo di diavoli ha bisogno di uno stato" in quest'altra "di uno stato non ha bisogno nemmeno un popolo di diavoli". Vedi O. HOFFE, Den Staat braucht selbst ein Volk von Teufeln: ein Dilemma der naturlichen Gerechtigkeit, in ID. , Den Staat braucht selbst ein Volk von Teufeln. Philosophische Versuche zur Rechts- und Staatsethik, Reclam, Stuttgart 1988, pp. 56 ss.

53) J. RAWLS, Justice as Fairness: Political not Metaphysical, in "Philosophy and Public Affairs", 1985, p.241.

54) Ivi p.245. Per "struttura di base" Rawls intende "le principali istituzioni politiche, sociali ed economiche di una società e il modo in cui esse si integrano reciprocamente in un sistema unificato di cooperazione sociale".

55) Ivi, p.249.