Rivista Anarchica Online
Alternativa e demagogia
di Roberto Gimmi
In seguito a un drammatico episodio, avvenuto a fine giugno a Milano al Centro
Sociale di via Conchetta, che
ha portato al ferimento di un compagno del Circolo Anarchico "Ponte della Ghisolfa", si è sviluppato
un
dibattito con assemblee e comunicati più o meno ufficiali. Quello che mi interessa non è tanto
di ottenere una
giustizia espiatrice nei confronti di chi ha firmato la pratica del coltello, quanto di mettere in evidenza le
logiche, le posizioni, gli atteggiamenti, le giustificazioni che lo hanno determinato e che fanno moda nel
Movimento pseudo-Alternativo. Un movimento che ha diffuso lo stereotipo di "brutti, sporchi e cattivi", che
si è definito post-Punk ma che non è riuscito a riempire di contenuti le realtà dei Centri
Sociali pur
rivendicandone la continuità. I Centri Sociali a Milano e il movimento che li rappresenta sono in una
crisi
profonda di identità in cui convivono ancora tendenze leniniste, neo-situazioniste, comontiste (che
sostengono
"la lotta criminale contro il capitale"), con tutta una serie di situazioni e movimenti musicali che hanno
caratterizzato le simpatie dei loro frequentatori fino a mischiarsi alle tifoserie calcistiche. La cultura
pseudo-Alternativa ruota intorno alla Musica, ai fumetti, ai computer, ai video, agli spinelli, alla
birra; vi predominano negatività e violenza. Una realtà alienata che costruisce dei nuovi
"mostri" dalle
caratteristiche individuali estremamente marcate: egoisti, vendicativi, egocentrici; una realtà che
ripropone il
maschilismo, la prevaricazione e la subordinazione. Il gruppo non è più inteso come un insieme
di individui ma
si trasforma in una specie di "banda" in cui predomina il capo riconosciuto e temuto. Nel gruppo si crea
uno spirito di appartenenza e sottomissione, il gruppo diventa la bandiera da difendere, si
instaura un conformismo interno accompagnato da atteggiamenti aggressivi e competitivi all'esterno, chi non
fa parte del gruppo è emarginato, I militanti non sono più tali per preparazione e cultura,
conosciuti per l'acume
delle loro menti e i loro grandi cuori ma vengono apprezzati per i loro grandi muscoli. I militanti politici si
trasformano così in "tifoseria politica" con l'unico compito di difendere e propagandare i colori e i
simboli. E'
in questa ottica che può essere spiegato l'operato del "leader" del Centro Sociale Conchetta, il quale
dopo un
diverbio in "casa sua", reagiva con la classica coltellata, per ripristinare il prestigio messo in discussione da chi
aveva osato affrontarlo davanti a tutti, solo una fortuita coincidenza non trasformava il ferimento in un
assassinio. Tutto quello che è seguito (compresa la successiva difesa da parte dei suoi compagni)
li avvicina alle logiche
in cui prevale l'omertà, la cultura del silenzio e dell'omissione, che ha caratterizzato la storia dei Partiti
Comunisti di cui ancora oggi si subiscono le conseguenze politiche in tutto il mondo. Così le prese di
posizione
del Centro Sociale Conchetta, dell'Associazione Culturale "Calusca", e dei Componenti della rivista "Decoder"
mi sembrano intellettualistiche e pseudo-sociologiche, in quanto giustificano la loro non-posizione con il fatto
di aver "scelto di tentare di vivere, di convivere, con la composizione giovanile più frantumata"...
teorizzando
"il deviante" come interlocutore e soggetto politico dei Centri Sociali. La giustificazione è che loro
elevatisi
sopra i "devianti", stanno tentando, sporcandosi nel "reale", di trasformare l'"orrendo mostro" in una splendida
"principessa", omettendo che l'"orrendo mostro" non è un frequentatore occasionale del Centro Sociale,
ma un
Leader riconosciuto e temuto del Centro, quindi un esempio per tutti da imitare. Mi piacciono le favole, ma ho
smesso di crederci da tanto tempo. Ritengo senza cadere in falsi moralismi o in processi espiatori che
concretamente il fattaccio potesse essere gestito diversamente, non solo dai suoi amici ma prima di tutto
dall'autore stesso. Ben altro significato e reazioni avrebbero potuto avere il riconoscimento e la sincerità
delle
scuse se accompagnate dal coraggio delle proprie dimissioni dal Centro Sociale, togliendo così
dall'imbarazzo
i suoi compagni, e quindi contattare direttamente la vittima per convincerlo dello sbaglio commesso in un
momento d'ira. La risposta che l'ala politico-intellettuale del centro sociale ha dato ha invece sfoderato l'arte
della demagogia in piena coscienza e consapevolezza. Si può sopportare e accettare la "devianza"
perché non
ha ancora coscienza politica, ma non si possono accettare tali posizioni da chi da decenni milita nella politica,
perché allora gli intendimenti sono diversi. Non sono stati certo gli anarchici a non volersi sporcare nel
"reale"
con quello che Marx con disprezzo chiamava "Lumpenproletariat", e conosciamo bene i rischi e pericoli
dell'"intellighentia", che si innalza ai ranghi di "élite". I Centri Sociali a Milano rischiano di avere di
alternativo
solo il prezzo della birra e dei concerti. Per uscire dalla loro crisi i Centri Sociali devono a mio avviso tornare
- e penso al loro primo, impetuoso sviluppo a cavallo tra gli anni '70 e '80 - a fare politica nel territorio, uscire
dalle mode e dalle pseudo-culture musicali, per diventare luoghi di crescita e di dibattito, di esperienze e
sperimentazione, diventare una specie di palestra in cui si allenano mente e cuore per costruire delle persone
capaci di acquisire quell'abitudine alla libertà, che è in grado di porre le basi del cambiamento,
perché il
cambiamento dell'individuo e della società vanno di pari passo, il resto è solo ideologia.
Roberto Gimmi 36 anni, ha partecipato a Milano al movimento dei circoli giovanili e dei centri
sociali dal '74
all'84 e ne ha scritto sulla nostra rivista (di cui è collaboratore): cfr. "A" 61 (dicembre'77- gennaio '78),
"A"
86 (ottobre '80) e "A" 167 (ottobre '89)
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