Rivista Anarchica Online
"A" proposito
di AA. VV.
Manca qualcosa di frizzante e
dinamico. È un po' asettica, fredda, non riesce a trasmettere
una volontà di trasformazione. L'impaginazione andrebbe resa più
vivace. Ci vogliono più interviste ed autointerviste. Una serata al Circolo anarchico
"Ponte della Ghisolfa" di Milano è stata dedicata ad
uno scambio di opinioni tra compagni/lettori. Oggetto: la rivista.
Il più giovane ha diciotto
anni, il più "anziano" trentaquattro. Alcuni
studiano, altri lavorano, altri ancora lavorano saltuariamente. Sono
arrivati all'anarchismo attraverso vissuti, strade ed esperienze
diverse.
Da tempo "fanno politica"
insieme. Si sono ritrovati una sera al circolo "Ponte della
Ghisolfa" per discutere (e fare discutere) di questa rivista,
del suo rapporto col movimento e la situazione in cui esso si trova:
Le vostre opinioni, critiche, valutazioni su quanto segue saranno
molto, molto gradite.
Giuseppe (della redazione di
"A") - Possiamo partire da questo: ultimamente un
lettore ci ha scritto che, a suo parere, la rivista da qualche tempo
assomiglia molto a una pubblicazione genericamente di sinistra perché
ha dato spazio a tendenze, movimenti e gruppi "non
specificatamente anarchici" e che ciò non ha giovato alla
qualità della rivista. Cosa ne pensate?
Mauro condivide questa scelta:
secondo lui la rivista, oltre ad essere uno strumento del movimento
anarchico, dovrebbe anche farsi portavoce di tutte le istanze
libertarie e antiautoritarie sommerse ( comuni, pedagogia,
ecologismo) , che noi non leggiamo con la nostra visione delle
cose, che è unicamente politica. Bisogna superare certi
limiti che sono presenti anche nel movimento anarchico, che ha grosse
potenzialità al suo esterno, ma non vedendole perde delle
occasioni per essere incisivo, rischiando nel futuro di cacciarsi in
un ghetto dal quale sarà difficile uscire . "A" dovrebbe avere
qualcosa di "frizzante" e "dinamico" - è
sempre Mauro che parla - ma se questo non lo si può
trarre dalla situazione sociale (non certo esaltante), dovrebbe
essere tratto da un diverso modo di affrontare le tematiche, di porre
degli interrogativi, stimolare la gente a pensare. Mauro indica poi
la necessità di avere ben presente chi sono i lettori della
rivista e, a questo scopo riterrebbe utile un questionario che
informasse su quante volte la gente compra la rivista, quanto la
legge, cosa si aspetta di trovarci, quali sono le altre letture.
Infine la questione delle lingue: anche se difficile da realizzarsi,
Mauro vorrebbe una rivista multilingue, letta, quindi, non solo in
Italia. Questo per aumentare la coesione e i collegamenti tra gli
anarchici di altre nazioni.
Pietro - Trovo molto lodevole
il tentativo di esplorazione di quanto esiste al di fuori del
movimento anarchico tradizionale, soprattutto nel momento in cui
l'anarchismo attraversa una crisi di strategia. La rivista dovrebbe
essere anche un luogo di discussione intorno alla pratica
dell'anarchismo. Un luogo dove vari gruppi si possano confrontare,
sia sulle iniziative specifiche sia sull'intervento all'interno di
movimenti come quello degli universitari. Quello che manca ad "A"
è di essere uno stimolo per i lettori a praticare ciò
che leggono, a farsi protagonisti di iniziative di trasformazione. E' un po' asettica, fredda, non
riesce a trasmettere una volontà di trasformazione, una
volontà di presa di posizione individuale. Nel suo insieme è
difficile da digerire, anche se è interessante, soprattutto
per il pubblico giovanile.
Paolo - Volevo dire un paio
di cose, anche se mi sembra di fare una parte abbastanza brutta,
perché, condividendo alcune delle critiche, fatte da Pietro e
Mauro, non ho delle proposte alternative. Il problema più
importante è quello della mancanza di uno stimolo e io non ho
una proposta per realizzarlo. Mi sono avvicinato alla rivista non
tanto tempo fa e la mia prima impressione è stata di
"rilassamento": ottime analisi storiche, ma quasi assenza
di dibattito sulla situazione presente. Apprezzo i dossier, anche se
purtroppo lo spazio a disposizione è limitato a non molte
pagine, una mia idea è quella di portare avanti un dibattito
su più numeri, ma il problema è che scrivono sempre gli
stessi...bisognerebbe riuscire a riportare sulla rivista, le opinioni
di persone che non si sono mai espresse, ma che lo farebbero se
fossero stimolate. Ad esempio io preferisco scrivere che parlare. Non
mi piacciono le rubriche sul cinema e sulla musica. Anche
l'impaginazione andrebbe resa più vivace.
Fabrizio - A me
complessivamente la rivista piace, per cui le critiche fatte prima
non mi vanno bene. La rubrica di cinema mi piace moltissimo: Accame
per me è un riferimento certo; l'attualità è ben
dosata: "A" si occupa solo di alcuni problemi perché
lo spazio per analizzarli tutti non c'è.
"A" fornisce un punto di
vista che si stacca da altre pubblicazioni non anarchiche. I servizi
sull'India a me interessano molto perché si ha la possibilità
di conoscere delle cose che altrove non si trovano. Per
Fabrizio la mancanza di un comune denominatore che unisca le varie
esperienze libertarie non è un male in sé: il lettore
può trovare un nesso tra tutte le realtà che la rivista
fa conoscere. A Fabrizio piace anche la rubrica di musica, mentre la
grafica "è un po' povera e ripetitiva, però
questo risponde ad esigenze pratiche - comunque non mi interessa
l'estetica, mi interessa il contenuto degli articoli. Io non mi
colloco in un'ottica particolarmente "militante", per cui
sono forse "freddo" e mi va bene una rivista "fredda".
Avete trovato il vostro lettore ideale".
Massimo - In linea di massima
mi chiamo Massimo e sono un rompicoglioni: di solito quando parlo è
meglio che stia zitto, me lo dico prima e me lo dico poi. Se posso
non leggo niente...a partire dai quotidiani, perché li trovo
molto ripetitivi, anche i settimanali sono molto ripetitivi, poi, man
mano che l'occhio è distaccato trovo delle cose interessanti
da leggere. La rivista trovo che sia complessivamente buona, anche se
certe parti lasciano un po' a desiderare: ad esempio le lettere mi
piacerebbe che fossero una tribuna, uno spazio dove parlare di come
si vive l'anarchia singolarmente e di come la si viva
collettivamente, però se noi non scriviamo - io sono il primo
a non scrivere - la rubrica delle lettere rimane una casellina con
dentro un puntino o poco più.
A me piacerebbe, nella rivista,
l'esperienza sociale concreta: qualcuno che dica "io faccio
questo" e noi ci vediamo il segno libertario. Più
interviste e più autointerviste. E' bello sapere da Pandin che
esistono anche delle note libertarie. Le copertine in genere non mi
piacciono perché dovrebbero colpire di più
l'attenzione.
Roberto - Voglio fare alcune
considerazioni: la rivista è il prodotto delle persone che se
ne interessano e, da questo punto di vista, è un prodotto
discreto. Il compito di "A" dovrebbe essere quello di dare
notizie (sul movimento) e queste notizie vengono date, per lo meno
quelle di cui si viene a conoscenza, non disponendo di corrispondenti
o professionisti. Un altro compito è quello delle analisi e su
questo c'è una certa carenza, dovuta alla scarsità di
compagni che se ne occupano. I compagni che si sono avvicinati sono
giovani, c'è stato un altro salto generazionale. Non c'è
più il collegamento tra la generazione giovane e quella
vecchia; la rivista è stata in parte abbandonata da compagni
dotati di una certa esperienza. Questi
- secondo Roberto - i motivi della carenza di analisi. Il
terzo compito è quello di creare dibattito, ma questo è
possibile solo se la gente partecipa, e da questo punto di vista,
purtroppo, i compagni sono passivi, le lettere non arrivano. Secondo
Roberto se "A" ha delle carenze, non sono da imputare ai
suoi redattori. Anche Roberto è favorevole ad aprire la
rivista a realtà ed esperienze che, pur non essendo
specificamente anarchiche, esprimono dei contenuti antiautoritari da
valorizzare e da portare alla luce.
Ce ne sono tantissimi, basta andarli a cercare, l'importante è
non fermarsi davanti alla A cerchiata.
Marco - Opinioni su come è
la rivista e su come dovrebbe essere ne sono state espresse.
Mescolati ad esse si trovano anche dei cenni di un discorso che
sarebbe il caso di approfondire: il movimento anarchico, la crisi che
affronta e su come essa si rifletta anche sulle pubblicazioni
anarchiche. Più di una persona ha detto che è giusto
dare voce a realtà ed esperienze non anarchiche in senso
stretto, ma la cui pratica quotidiana è sicuramente libertaria
e i cui contenuti sono da conoscere e divulgare. E su questo sono
d'accordo. Però (provocatoriamente) tutto ciò può
essere visto come una scappatoia per non affrontare una mancanza di
proposte del movimento anarchico: se gli anarchici non sono attivi
parliamo almeno di quelli che lo sono. Questa scelta editoriale, nel
breve periodo è certamente giusta, ma nel futuro ci si deve
porre anche il problema dell'uscita degli anarchici dalla crisi che
stanno vivendo. In che modo la rivista può fungere da stimolo
a che lo stallo in cui ci troviamo venga superato? Un modo potrebbe
essere quello di utilizzarla come luogo di incontro e discussione che
dovrebbe vedere la partecipazione di quei compagni che sentono
l'urgenza di trovare una soluzione alla crisi. Un'ultima questione:
si può (e come) utilizzare un giornale per incidere sulla
realtà sociale?
Pietro - Sicuramente è
la realtà che può modificare il giornale, così
come sono sicuro che un movimentò che riesca a trasformare il
sociale non possa essere direttamente determinato da noi, ma sia
qualcosa che nasce spontaneamente. Nonostante ciò, in un
momento come questo in cui non ci sono tensioni sociali, il "compito"
di tutti coloro che si pongono, nonostante i tempi, in un'ottica di
trasformazione radicale della società è di riuscire a
trasmettere una volontà di cambiamento. Ma questo non è
facile perché c'è una rottura netta tra il quotidiano e
le idee anarchiche, il significato di "libertà" è
stato trasformato in senso consumistico. Per Pietro la rivista
dovrebbe ospitare un dibattito sulle difficoltà di fare
comunicazione libertaria di fronte alla omologazione del linguaggio
operata dai mass-media.
Anche Simone è d'accordo
sull'apertura nei confronti di esperienze di vita libertarie, ma
aggiunge un contributo originale a quanto detto finora: secondo lui i
problemi posti da Pietro circa la comunicazione possono essere
risolti proprio attraverso la conoscenza e la messa in discussione
della pratica quotidiana di tutte quelle realtà che si muovono
in senso autogestionario. In questo modo si avrebbe una
corrispondenza ben precisa tra le parole e il loro significato,
rendendo molto difficile ogni equivoco. Lo stesso vale per l'analisi
teorica: piuttosto che un concetto di Utopia assoluta Simone
preferisce un concetto di Utopia più relativo, basato sulla
reciproca conoscenza e scoperta di ogni esperienza concreta. Una
proposta finale: costruire dei gruppi di lavoro autogestiti che si
incarichino di scoprire e far conoscere quanto esiste intorno a noi
di libertario e autogestionario.
(a cura di Marco Serio)
Questo spazio è a disposizione di tutti coloro che vogliono intervenire nella riflessione/dibattito che
si apre da questo numero. Argomento: la rivista, i suoi difetti, le sue carenze, ecc.. In realtà la rivista (ed
in particolare la rubrica delle lettere) 6egrave; sempre stata aperta agli interventi dei lettori. Da tempo,
però, sentiamo l'esigenza di dar maggiore spessore a questa riflessione. Ecco dunque questo spazio
apposito, dedicato ad "A". Nelle nostre intenzioni, il dibattito dovrebbe coinvolgere quanta
più gente possibile e svilupparsi sui prossimi numeri. Queste le nostre intenzioni: quali siano le vostre,
lo chiarirà la quantità di interventi che nelle prossime settimane ci giungeranno in redazione. Da
parte nostra, una piccola precisazione: evitiamo di intervenire nel dibattito in quanto redazione, preferendo farlo
al caso come singoli redattori, anche per assicurare la massima informalità ed agilità al dibattito.
Tornare alla controinformazione
Carissimo Paolo,
(...) nella breve colonna redazionale
"ai lettori" a pag. 3 dell'ultimo numero della rivista, ho
trovato un sintetico accenno alla riunione di Padova ed ai contenuti
delle discussioni sulla rivista che si sono svolte. Mi è parso
di capire che ci sono state delle critiche a presunte trasformazioni
subite da "A". A mio avviso le trasformazioni sono
inevitabili, perché un giornale non può essere altro
che uno "specchio" della realtà circostante e
cercare di stare al passo coi mutamenti delle situazioni. Ora, non
conosco l'esatto tenore delle critiche sollevate da quei compagni, ma
ho la (non allegra) sensazione che ci siano non pochi compagni per i
quali l'ideale di una pubblicazione anarchica sarebbe rappresentato
da una serie di periodiche ristampe anastatiche dei vecchi numeri di
Cronaca sovversiva di
Umanità Nova del 1920.
Una nota (non dico "dominante"
ma tuttavia "presente") che mi pare di percepire in tanti
compagni è una certa "nostalgia" (magari anche solo
dell'ormai mitico '68) che ritengo negativa.
Credo poi che lo scopo di un giornale
non dovrebbe essere tanto quello di "piacere" ai compagni e
di essere un "luogo tipografico" per parlarci tra noi, ma
di parlare alla gente, a quelli che anarchici non si dicono e che
bisognerebbe riuscire ad interessare. Anche in quest'ottica, fare
dell'"informazione". Far cioè conoscere quello che
gli altri giornali non dicono o travisano.
Una ventina di anni fa andava di moda
la "controinformazione": che poi questa sia spesso
degenerata in una forma specifica e particolare di disinformazione,
finendo con l'assecondare il gioco manipolatorio portato avanti dal
potere stesso, avallandone quasi caricaturalmente le tesi, questo è
un altro discorso. L'idea in sé era buona e forse andrebbe
riproposta con maggiore serietà...
Gianfranco Bertoli (carcere di Porto Azzurro)
Anarchica: si o no?
Carissimi compagni, ho deciso di
scrivervi traendo spunto dalle note redazionali apparse sullo scorso
numero riguardanti l'indirizzo ideologico della redazione.
Da molto tempo ormai la rivista non mi
convince più, trovo infatti che il vostro orientamento si sia
spostato gradualmente verso posizioni piuttosto "soft".
Sempre più pagine della rivista vengono riempite da articoli
riguardanti l'ecologia, la musica, il cinema, il teatro, tutte cose
interessanti ma... l'anarchia dov'è? Talvolta leggendo "A"
si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad una pubblicazione
genericamente di sinistra senza una vera e propria collocazione di
parte.
Ritengo inoltre che l'eccessiva
apertura verso gruppi e tendenze non specificatamente anarchici non
ha giovato alla qualità della rivista. Tale apertura infatti
anche se vi ha permesso di conquistare qualche nuovo lettore (era
questo l'intento?) ha di certo generato la diffidenza dei compagni
che da anni vi seguivano e il disorientamento da parte di chi
avvicinatosi per la prima volta all'anarchia non trova nel vostro
giornale risposte idonee ad una maturazione in senso anarchico.
Per quanto concerne la scelta di
inserire un dossier in ogni numero sono favorevole a patto però
che gli argomenti trattati non siano gli stessi che si possono
leggere ormai da ogni parte. Penso invece, che sarebbe interessante
dedicare i dossier alla storia dell'anarchismo e ai suoi vari
pensatori, e ciò con il duplice scopo di non perdere mai di
vista quale è (era?) il vostro punto di partenza e per aiutare
a capire e a chiarire le nostre idee a quanti attratti dalla anarchia
ancora le attribuiscono il significato datole dai mass-media.
Tutto ciò naturalmente se non
siete cambiati davvero! Se si, sarebbe ora di chiarimenti, dentro di
voi la risposta.
Vi saluto e vi abbraccio con la stima e
la simpatia di sempre
Salvatore De Cristofaro (Salerno)
Orgogliosamente
anarchica
Nella sua pur breve lettera,
Salvatore De Cristofaro tocca argomenti e solleva interrogativi che
meriterebbero ben più delle sintetiche osservazioni che qui
propongo. La riflessione, pubblica e
collettiva, che da questo numero della rivista inizia a proposito di
"A", del suo ruolo, dei suoi limiti, ecc... sarà
l'occasione per mettere meglio a fuoco il nostro "chi siamo, che
cosa vogliamo" e - dunque - anche per rispondere ai suoi
interrogativi. Per ora mi limito ad alcune
osservazioni. 1) E' vero che, rispetto soprattutto
ai primi anni '70 (cioè ai primi anni di "A"), sulla
rivista ci sono meno articoli "anarchici". Non ci sono
(quasi) più, sulle pagine di "A", articoli sulla
storia del movimento anarchico, biografie dei più noti
militanti anarchici ecc... E' stata, questa, una scelta dovuta a
molteplici considerazioni :
a) il fatto di aver già
pubblicato molti articoli di quel tipo (sulla Prima Internazionale,
sulla Comune di Parigi, su Kronstadt, su Bakunin, Kropotkin, Gori,
Fabbri, Bertoni...) e la convinzione dell'inopportunità di
ripubblicarli (e, al contempo, la difficoltà di ripresentare
la stessa zuppa in altra salsa);
b) la diminuita richiesta da parte
dei compagni e dei lettori in generale (anche se, da qualche tempo,
notiamo una qualche ripresa della "domanda" di teoria e
storia specificamente anarchiche); c) più in generale - e qui
sta probabilmente il nodo di fondo - il nuovo ruolo che
progressivamente la rivista è andata ricoprendo ha comportato
una diversa considerazione dell'importanza di tali articoli.
2) Non ci pare che la rivista,
comunque, sia diventata "una pubblicazione genericamente di
sinistra senza una vera e propria collocazione di parte". Anche
se il taglio ed i toni sono meno "militanti" anche se pochi
ed episodici sono gli articoli sulla storia e sui pensatori
anarchici, anche se...tante altre cose, "A" resta - nella
nostra volontà, oltre che nel sottotitolo - una rivista
anarchica. Anarchica e orgogliosa di esserlo. Certo, rispetto alla rivista del
passato che De Cristofaro rimpiange, molte cose sono cambiate: è
cambiato profondamente il movimento anarchico ed è
conseguentemente cambiato il rapporto che con esso ha la rivista; si
sono approfondite alcune nostre riflessioni - peraltro tuttora aperte
- sulla rivoluzione, sul rapporto mezzi/fini ed in particolare sulla
violenza, su tante pagine del patrimonio teorico e storico
dell'anarchismo.
Siamo i primi a condividere
l'esigenza posta nel corso dell'incontro del 27 maggio a Padova (e
ripresa da De Cristofaro) che di questa "mutazione" di "A"
si parli e si discuta pubblicamente, senza reticenze. Ed è
anche per questo che abbiamo deciso di dare il via a questo dibattito
pubblico, aperto a tutti, su "A". 3) Per quanto concerne i dossier,
siamo tuttora convinti dell'utilità di focalizzare
l'attenzione, numero dopo numero, su argomenti specifici. Né
riterremmo utile farci condizionare nella scelta degli argomenti dal
fatto che "gli altri" già trattino o meno gli stessi
argomenti. L'importante è (o meglio sarebbe) che sempre si
riuscisse ad accompagnare i materiali proposti con originali ed
approfondite analisi di segno libertario, il che, purtroppo, a volte
non avviene - com'è il caso, per esempio, dei dossier sui
centri sociali autogestiti (ottobre '89)e sul razzismo (maggio'90),
tanto per fare due recenti dossier che ci hanno lasciato in parte
insoddisfatti.
4) Il lettore ci chiede preoccupato
se siamo cambiati davvero (e aggiunge: Se
sì, sarebbe ora di chiarimenti). A noi pare che ci
sarebbe davvero da essere preoccupati se i redattori di una rivista,
per di più anarchica, rispondessero negativamente alla sua
domanda, a quasi vent'anni dall'inizio della pubblicazione. Certo che siamo cambiati. Non solo
perché gran parte delle persone che negli anni '70 ed '80
"facevano" la rivista non fanno più parte della
redazione (c'è chi si occupa di altre iniziative anarchiche,
chi si è ritirato a vita privata, ecc.). Ma anche - e
soprattutto - perché consideriamo il cambiamento un valore
positivo, non un pericolo da evitare. Non giocate con le parole,
potrebbe obiettarci qualcuno, qui non si parla di cambiamento
contrapposto ad immobilismo, qui si tratta di continuare ad essere
anarchici e fare una rivista anarchica, o diventare qualcos'altro e
fare una rivista diversa, per esempio più "soft".
Nessun dubbio sulla connotazione anarchica - orgogliosamente
anarchica - di "A"/Rivista Anarchica. Ma anarchica come? E
qui sta, secondo noi, uno dei problemi di fondo (qualcuno potrebbe
dire il problema)
dell'essere anarchici oggi, alla soglia del Duemila. Fare i conti con
un passato multiforme e magmatico, cercare di capire il presente con
occhi disincantati e privi di schematismi, pensare un futuro
possibile di libertà. Non sono questioni da poco:certo ci
riguardano tutti. E sono questioni che si intersecano,
inevitabilmente, con la specifica riflessione che da questo numero
noi proponiamo su "A". Paolo Finzi (della redazione di
"A")
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