Rivista Anarchica Online
Il pensiero riunificato
di F. P.
Cosa è cambiato in Cina a
qualche mese dalla svolta repressiva di Deng? Cosa è rimasto
delle speranze dei giovani cinesi accolte solo dai carri armati del
regime? In queste note di viaggio alcune risposte e molti
interrogativi
Ripensando, a distanza di un paio di
settimane, a questo viaggio nella Cina del dopo Tian An Men, sempre
più forte si fa la sensazione che sia stato un percorso
attraverso l'apparenza, e che quello che chiamo apparenza sia
il risultato da una parte dello sforzo di ricomposizione sociale che
il regime ha compiuto e sta compiendo dopo la primavera cinese, e
dall'altra della natura stessa di questo mio incontro, il terzo, e il
più sofferto, con una Cina sempre diversa dalle nostre
rappresentazioni di occidentali estroversi.
Attraverso queste due forme di
apparenza, che potremmo definire una oggettiva, l'altra soggettiva,
ho avuto in qualche momento l'impressione di aver raggiunto delle
"realtà", e sono le parole pericolose ascoltate,
dove e quando possibile, dai Cinesi incontrati in viaggio, alcuni
persi, altri diventati amici.
Queste parole, e le riflessioni che mi
hanno suggerito, sono qui, le più significative, raccolte in
questo articolo.
Due Cine a confronto?
Sul treno che da Pechino mi sta
portando a Wuhan verifico per la prima volta l'inasprimento dei
controlli sui passeggeri. Viaggio in prima classe e nel mio
scompartimento c'è una sola persona. Il controllore, assai
arrogante, lo interroga sulla sua destinazione, l'unità di
lavoro, la durata e i motivi del viaggio e annota tutto su di un
registro. Appena il controllore esce domando al mio compagno di
viaggio se quella a cui ho appena assistito è una prassi
consueta. Prima i controlli non erano così severi è
la sua risposta -, ma dopo quanto è avvenuto in giugno...È
un giovane tecnico che lavora per la Siemens, lo stipendio non
sarebbe male, ma il governo se ne intasca una buona percentuale. Mi
dice che il popolo si sente ormai distante dal governo e ritiene che
questo non lo rappresenti più, non ha fiducia e si sente
umiliato da chi usa il potere a scopi clientelari. I nomi sono Li
Peng - all'epoca premier del Consiglio di Stato -, e Yang Shang Kun,
a capo di una cosca familiare che controlla l'esercito. Jang Zemin,
all'epoca segretario generale del Comitato Centrale del Partito
Comunista - mi dice - è stato scelto da Deng Xiao Ping per
bilanciare il carattere conservatore dei primi due. Deng Xiao Ping,
povero vecchio, sembra non sia più in grado di controllare la
situazione che, peraltro, non potrà protrarsi ancora a lungo.
È questione di pochi anni e altri rivolgimenti avverranno.
Poi, indicando la copia del Quotidiano
del Popolo che ho posato sul tavolino, aggiunge: Quanto ai
contenuti di quel giornale, si tratta di solenni sciocchezze cui
nessuno più crede. Il popolo cinese ha dimostrato in questa
occasione un grande coraggio. I tecnici tedeschi con i quali lavoro
mi hanno detto di non aver mai avuto una grande considerazione per
noi cinesi, ci stimavano poco, ma dopo quel che è successo
quest'anno mi hanno detto di aver cambiato parere.
Non dimenticherò facilmente
l'espressione del giovane tecnico quando, dopo qualche fermata, sale
un gallonato dell'Armata di Liberazione. Il giovane non parla più,
naturalmente, ed io ben mi guardo dal riprendere il discorso. Il
milite si sbraca, si mette comodo, e ronfa della grossa. Il giorno
dopo il giovane tecnico scende lasciandomi indirizzo e biglietto da
visita. Questo è il contenuto della conversazione con il
militare, e questi contrasti mi abituerò nei giorni a venire.
Hai trovato delle differenze a
Pechino, dall'ultima volta che ci sei stato?
Non grandi differenze, in apparenza, a
parte la presenza dei militari a presidiare la piazza e una certa
difficoltà a comunicare con gli studenti. Sembra quasi che
abbiano paura ad avvicinare un occidentale.
Non
è che abbiano paura, ma purtroppo è successo che a
causa di una minoranza molti sono stati indotti in errore. Adesso
devono riflettere su quel che hanno fatto, rivedere e correggere i
loro comportamenti, e
studiare coscienziosamente il discorso di Jiang Zemin (1). Ma voi, in
Italia, quanto avete potuto capire di quel che è successo?
Sono arrivate molte immagini sugli
schermi televisivi, ogni giorno avevamo collegamenti con piazza Tian
An Men, e anche la stampa ha dato ampio spazio ai fatti di maggio e
giugno.
Ma il governo italiano è stato
anch'esso molto duro nel criticare l'operato del nostro governo,
questo perché molte false notizie sono state diffuse. Ma la
vera versione dei fatti, tu che conosci la nostra lingua, la potrai
apprendere dal Quotidiano del Popolo.
Le due Cine a confronto? Direi
piuttosto i due estremi di una situazione assai più
articolata, ma due estremi non sfumati, o marginali, ma come due
cardini sui quali ruota la magmatica realtà cinese. Mi chiedo
se un personaggio di questo tipo stesse solo recitando la parte che
l'uniforme che indossa gli richiede, o se costituisca invece un
esempio di come le tematiche della propaganda ufficiale possano
essere ancora interiorizzate, e quindi la base di consenso su cui
poggia il regime non sia poi così fragile, così legata
a motivi di mera convenienza o rassegnazione, o alla paura di stare
con chi è perdente, ma invece l'ideologia del partito ancora
funzioni su categorie di persone, categorie sociali o psicologiche.
"Io sono una di loro quindi..."
È difficile rispondere a questo
interrogativo, come per altro è arduo pronunciarsi sul grado
di coinvolgimento nella protesta che, sul fronte opposto, ha
interessato così tante persone.
Avere chiarezza su questi due punti
potrebbe esserci d'aiuto nell'avanzar ipotesi su quale potrebbe
essere negli anni a venire, il lascito della primavera cinese.
L'affermazione del giovane tecnico,
secondo la quale sarebbero imminenti nuovi rivolgimenti, mi ha
richiamato alla mente l'analoga affermazione del leader studentesco
Wu Er Kaixi, attualmente a Parigi. Che sia una sensazione, una
speranza o un timore, in molti è presente l'attesa di un nuovo
rivolgimento destinato ad affossare l'attuale classe dirigente.
Dopo l'ascesa e l'apogeo, la dinastia è
ormai nella sua fase declinante, questo, in accordo alla tradizionale
dinamica cinese del potere, legittima la rivoluzione che ne decreterà
la fine. Ma il grande ed ottimo disordine sotto il cielo non è
così unanimemente desiderato, non da chi, per esempio, ha
avuto dall'era di Deng una dimensione di benessere mai conosciuta in
passato.
Rimane da vedere se la pesante crisi
economica in cui versa il paese, e i segnali di un aggravamento
prossimo, non finiscano per destituire di legittimità gli
attuali governanti, ora segnati anche dalla criminosa responsabilità
per la strage di giugno. Ma ritroveremo più oltre la tematica
della rappresentazione del potere, del potere come vissuto, di come,
insomma, oggi si svolge il dramma del rapporto tra suddito e
governante nella Cina del dopo Tian An Men.
A Wuhan incontro una studentessa del
locale Liceo Artistico. Mi invita a visitare la sua scuola e mi
presenta i compagni di classe. Mi chiede cosa ne penso degli studenti
cinesi. Rispondo che, in genere, mi piacciono, e le rivolgo la stessa
domanda. Mi dice un po' titubante: Io sono una di loro, quindi mi
piacciono, ma penso che a volte si sbaglino. A cosa ti riferisci?
- le chiedo - ma la conversazione sfuma nello scherzo quando entrano
i compagni di classe. Infine mi presenta il professore di disegno -
40 anni circa -, l'espressione amareggiata dell'età della
Rivoluzione culturale. È
chiaro, inoltre, che economicamente non se la passa bene. La sua
opinione è che, comunque stiano le cose, il disordine e
l'instabilità non giovano a nessuno. Inoltre, mi dice,
su quello che è successo sono state diffuse molte notizie
sbagliate. Nella nostra città, per esempio, non ci sono stati
i disordini di cui hanno parlato alcuni giornali di Taiwan. Il
massimo che è successo, è stata bruciata una macchina.
La riflessione del professore di
disegno sul fatto che la instabilità non giovi, non è
certo di per sé quel gran che profonda, tuttavia essa è
diffusa, e perciò importante e rappresentativa di un modo di
pensare maturato specialmente dall'esperienza della Rivoluzione
Culturale. A questa senz'altro si pensa ogni qual volta si afferma,
con tono di rassegnazione, che l'instabilità non può
giovare a nulla, comunque sia.
Questa connessione è per altro
incoraggiata dalla propaganda di regime che ha subito inquadrato
storicamente la protesta studentesca della Primavera Cinese come un
lascito, un residuo delle tendenze negative esplose nel periodo della
Rivoluzione Culturale.
Questa analisi, evidentemente impropria
e tendenziosa, è di grande utilità nel processo di
demonizzazione della protesta studentesca; essa sottrae l'evento alla
propria peculiarità di significato e lo inserisce in un
contesto storico i cui valori sono già codificati. Quindi: i
disordini di Pechino sono un lascito della Rivoluzione Culturale e in
rapporto ad essa vanno letti. Questo è un nitido esempio di
uso terroristico dello storicismo, pratica ideologica di cui il
regime cinese fa ampio uso.
Dai tempi del processo alla "banda
dei quattro", la Rivoluzione Culturale è diventata
l'esempio negativo da sventolare sotto gli occhi di tutte le nuove
generazioni, e certamente non era a questa che facevano riferimento i
giovani di piazza Tian An Men e i loro compagni in tutta la Cina, ma
per la propaganda di regime e, probabilmente, nella cognizione di
milioni di cinesi, essi ne sono i figli ingenui e pericolosi, da
correggere e controllare.
La studentessa mi dice che io sono
capitalista e loro socialisti, e dunque è ovvio che io non
possa capirli. Rispondo che a mio parere, non è un problema di
sistemi politici e economici, ma il problema centrale è quello
della libertà - in fondo è questo che chiedevano i suoi
fratelli maggiori di Pechino e Shangai. Si - mi risponde,
elusiva ed infantile -, ma io non sono d'accordo con loro. Poi
aggiunge: Ma chissà, quando avrò la loro età
forse la penserò anch'io come loro. Sia lei che il suo
giovane amico saranno universitari l'anno prossimo. L'incontro con
gli studenti più anziani li porrà di fronte alle
tematiche che ora vivono distanti, filtrate dalla propaganda, dalla
televisione e dalla famiglia. Ogni loro parola esprime incertezza e
smarrimento, sono come sospesi nel vuoto che la pianificazione
ideologica ha creato attorno a loro.
Il Quotidiano del Popolo dell'8
novembre dedica un articolo proprio a questo problema. Tra l'altro si
afferma che gli studenti che passano dalle medie all'università
mancano spesso di capacità critica, essendo carenti nello
studio del marxismo-leninismo, e sono quindi facili prede delle
suggestioni delle correnti di pensiero liberal-borghesi. Il fatto che
la "jiaoyu gaige", riforma dell'educazione, si traduca in
pratica in un inasprimento del lavoro di propaganda ideologica, con
una particolare attenzione ai giovani che si iscrivono per la prima
volta all'Università, onde stroncare sul nascere le tendenze
negative, e preservare i nuovi arrivati da idee erronee non ancora
del tutto estirpate, è evidente sopratutto all'Università
di Pechino dove, come vedremo, tutte le matricole devono frequentare
un anno di preparazione ideologica presso le scuole militari prima di
accedere ai corsi universitari veri e propri.
Propaganda di regime
Cominciano spesso così: Che
notizie vi sono arrivate di quello che è successo?. Ma non
sai mai come finirà la conversazione. Sono sul battello che
collega Wuhan a Shanghai, unico straniero a viaggiare in quarta
classe. Non è difficile attirare l'attenzione dei viaggiatori,
e il rumore del battello propizia discorsi vietati. È
un giovane ingegnere, da poco laureato. Mi dice: Non si può
cambiare tutto in una volta. Voi forse non potete capire, in Cina ci
sono problemi legati al nostro passato feudale, la libertà che
gli studenti chiedono non è una cosa che storicamente ci
appartiene, il Confucianesimo l'ha sempre negata, e non la otterremo
così d'un colpo. Certo, anch'io la vorrei, ma bisogna
procedere gradualmente. Voi in occidente avete seguito con
apprensione e commozione la sorte degli studenti cinesi, e questo è
comprensibile, ma purtroppo gli studenti, comparati alla totalità
della popolazione del nostro paese, sono una piccola parte. Io so,
dalla mia esperienza lavorativa a contatto con gli operai, che questi
non appoggiano gli studenti, non li approvano quando chiedono
miglioramenti economici e una posizione sociale più
rispettabile. Essi - gli operai - si considerano e sono considerati
emanazioni del partito. Se noi critichiamo il partito, essi si
sentono attaccati. E questo vale per tutti i milioni di membri del
partito in Cina, ognuno dei quali, a diversi livelli, trae
qualche beneficio dall'appartenenza a questo, e nessuno di loro vuole
che la situazione cambi. Gli studenti potrebbero fare qualcosa solo
se anche altri settori della società appoggiassero le loro
richieste. Anche se il movimento studentesco si è espresso in
forme massicce in tante altre città, oltre a Pechino,
Shanghai, Xian - anche a Wuhan il traffico stradale e ferroviario è
rimasto paralizzato per alcuni giorni -, nonostante questo possiamo
davvero dire che gli studenti fossero una minoranza. Usa il
termine "shaoshu", che avrà letto e sentito chissà
quante volte.
È l'espressione usata dalla
propaganda di regime, significa appunto "minoranza", ma sta
ad indicare quei "pochi" che secondo la versione ufficiale
hanno traviato la maggior parte degli studenti, ingenui e in buona
fede nella loro ignoranza ideologica che li ha resi vittime dei
disegni perversi dei sostenitori dei valori borghesi. È
vero - conclude - che
noi siamo gli intellettuali, le persone di talento destinate ad
occupare i posti chiave nelle future scelte politiche del paese, ma
fino a che ne saremo fuori non potremo cambiare nulla con azioni di
protesta come quelle della scorsa primavera.
Ma l'idea che gli studenti
rappresentino in Cina una classe a parte, cosciente e illuminata,
un'oasi di vitalità intellettuale ed ideale nel deserto delle
"guanxi" - rapporti clientelari -, della lotta per
assicurarsi una qualche parte di privilegio o maggior benessere,
anche questa è, a ben guardare, una rappresentazione difettosa
della realtà cinese. La sera stessa della mia conversazione
con il giovane ingegnere vengo invitato "a forza" nella
cabina di un gruppo di cinesi in viaggio di lavoro. L'atmosfera è
assai vivace, propiziata dal vino che alcuni di loro hanno bevuto in
eccesso. Ma la domanda, comunque, viene fuori e sembra richiamare
tutti alla realtà, la "loro" realtà che io -
waiguo pengyou, amico straniero - sono chiamato a giudicare. Come
hai trovato la Cina dopo quello che è successo a giugno?
Molti cinesi guardano oggi all'occidentale come a un fratello
maggiore, qualcuno che ha raggiunto già i traguardi verso i
quali loro ritengono di camminare a stento, dai quali si sentono
lontani. Noi non siamo come voi - mi
dicono - non possiamo decidere liberamente di cambiare
lavoro, o di espatriare per un viaggio, o di vivere con una persona
senza sposarla. Le legge vieta di avere più di un figlio, ma
se due persone sposate non hanno figli non sono ben viste dalla
comunità. Eppure ziyou - libertà -, questa parola è
raro sentirla dalla bocca di un cinese.
Anche l'etimologia la rende vulnerabile
ad un uso in senso negativo, esprimendo essa l'idea di
"individualità" nel primo carattere. È
facile sottolinearne il senso deteriore in una società
pianificata dove nessun valore può prescindere dal sociale, da
quanto è unito, coerente. Le contraddizioni "buone"
- in senso maoista - sono solo quelle false, costruite a bella posta,
sapendo in partenza la soluzione.
Il mito dell'occidente
Così la ziyouhua è la
tendenza fondamentale da combattere, la "liberalizzazione
borghese" è qualcosa che terminologicamente è
facile, per chi è vissuto nel mondo pianificato, leggere - a
livello subliminale, prima ancora - come connesso ad un pericolo di
disgregazione individualistica della società.
Ma tra le diffuse frustrazioni per la
precarietà delle condizioni di vita o per le diseguaglianze in
campo economico, il problema della libertà sembra farsi strada
nelle coscienze, e la brutalità della repressione contro gli
studenti - questi figli simbolici della patria, questi "puer"
dell'inconscio collettivo - potrebbe aver accresciuto l'insofferenza
per tutte le altre forme di repressione che si esprimono attraverso
il controllo sociale cui è sottoposto il cinese dalla nascita.
L'occidentale che può viaggiare, cambiare lavoro, convivere
senza sposarsi, fare tutti i figli che vuole o non farne affatto, è
l'immagine mitica dominante di libertà diffusa tra i cinesi.
Questo tipo di libertà relativa, libertà dalle
direttive del governo, dalle danwei onnipresenti, dai controllori sui
treni e dai guardiani alle porte delle Università, è la
nuova richiesta o il nuovo sogno di libertà del cinese medio
quasi libero dalla fame e dal freddo.
Il mito dell'occidente guadagna terreno
sull'ormai corrotta simbolica della propaganda del partito, arriva a
colmare il vuoto di simboli e valori che questa lascerà, e
questo processo è già assai avanzato.
La realtà più apparente,
che pure può essere giusto solo un'altra apparenza, è
che la maggior parte dei cinesi stia sognando l'agiatezza e il
benessere dell'occidente e a questi dia il nome di libertà.
Forse non è esattamente la stessa cosa per cui sono morti gli
studenti di piazza Tian An Men. Ma poi - inaspettatamente - uno dei
miei ospiti mi chiede: dove sono adesso Wu Er Kai Xi e gli altri
leader studenteschi? Certo, se un benessere del tipo di Taiwan,
cui spesso nei loro discorsi fanno riferimento i cinesi, fosse
sufficiente a soddisfare questa gente senza fornire loro alcuna
libertà se non quella di vivere materialmente meglio, la
distanza tra loro e i giovani di piazza Tian An Men sarebbe di nuovo
enorme.
È
importante sottolineare il problema politico della libertà
ogni volta che gli organi governativi pongono l'accento su quello
economico, ma anche ogni qualvolta qualcuno dice: sì, ma la
Cina ne ha fatti di progressi. E a proposito di questo problema
voglio osservare come i cinesi che si esprimono a favore del governo
e dell'attuale regime sono sempre comunque disposti ad ammettere che
in Cina mancano le fondamentali libertà civili, e quando fai
loro osservare che il partito unico non consente libertà
d'espressione e pluralismo, sorridono, assenzienti ma elusivi, come
se in fondo fosse un fatto secondario o inevitabile, come se ci
fossero ben altri problemi e questi irrisolvibili senza il Partito
Comunista, perché la storia della Cina è stata scritta
da questo, da che la Cina è unita e comunista, dai tempi,
insomma, della nuova coscienza storica.
Questo atteggiamento è radicato
nella mentalità, ed ogni discorso, ogni analisi riguardante
il problema della libertà in Cina dovrebbe tenere presente la
storia dell'idea e del sentimento di libertà in Cina, le forme
politiche da essi assunte e i loro aspetti psicologici. Gli studenti
di piazza Tian An Men gridavano "zi you wan sui", viva la
libertà, usando quell'espressione di cui si è detto
poco sopra. Il liberalismo borghese è propriamente
"ziyovzhuyi", quindi il messaggio ideologico dello slogan
studentesco era chiaro.
Non era la storica e mitica "Jiefang",
liberazione, quella epocale da cui tutto è ricominciato e
sulle macerie del mondo feudale è sorta la nuova Cina, ma il
nuovo mito, quello del pluralismo e della democrazia, "minzhu"
(2). Propriamente una liberalizzazione, e non più un'astratta
e retorica "liberazione" sepolta dalle macerie ideologiche
assieme a tutto un passato mitico spento ormai in troppe coscienze
per ergersi a valore collettivo dell'edificazione della nuova era
politica.
Dire che la Cina è paese di
contrasti, per una volta potrebbe non apparirmi retorica da agenzia
di viaggi.
"Questo non è
socialismo"
Sul treno da NanJing a Wuxi, un giovane
insegnante, al momento in servizio come guardia ferroviaria, si è
prodigato per mostrarmi il volto sicuro della Cina del dopo Tian An
Men, riunificata attorno al partito. Non ha senso riportare il
contenuto di quella conversazione tanto fedelmente riflette la linea
ideologica fondamentale.
Ma il volto dell'opposizione, sdegnato
e altrettanto sicuro, mi riappare un'ora dopo nel buio di un autobus
e i discorsi vietati sono di nuovo pronunciati, questa volta in
inglese, come fosse una lingua per iniziati a salvaguardare la
sicurezza de giovane Zhang, impiegato, vestito all'occidentale con
gusto, passo veloce e nervoso, sguardo amareggiato. Ora dobbiamo
riunificare il pensiero, seguire le direttive del partito, gli
insegnamenti di mister Li Peng e mister Deng. Non dobbiamo
abbandonarci ad opinioni personali, ma studiare coscienziosamente il
discorso di Jiang Zemin e attenerci ai quattro principi (3).
Mi dice questo con un sorriso ironico,
ma per essere sicuro di non aver frainteso l'espressione del suo
viso, gli domando direttamente se ritiene che questa politica possa
giovare al suo paese.
No, assolutamente no - mi
risponde - penso che questo atteggiamento porterà la
Cina alla rovina totale. Anche da noi, a Wuxi, ci sono state
manifestazioni, e non solo gli studenti si sono mobilitati, ma anche
i lavoratori. Le mie opinioni sono quelle di tutto il popolo, benché
non tutti abbiano il coraggio di esprimerle.
Quali provvedimenti sono stati adottati
contro gli studenti, a Wuxi - gli domando - ci sono state esecuzioni
capitali?
No, nessuno è stato
giustiziato, ma tutti i responsabili studenteschi sono stati
costretti a denunciare gli studenti che hanno preso parte alle
manifestazioni, e questi sono stati "invitati" a
presentarsi negli uffici di polizia. Quattro di loro si sono
rifiutati di farlo e sono stati tratti in arresto. In seguito, gli
studenti più coinvolti nelle manifestazioni sono stati espulsi
dalle Università e molti altri sospesi fino a che non abbiano
corretto il loro pensiero, vale a dire ammesso di aver sbagliato e
riconosciuto la giustezza della linea del governo.
Qual è la situazione attuale? Ci
sono tentativi di riorganizzare clandestinamente delle forme di
opposizione?
Attualmente ogni tentativo è
destinato a fallire, perché il governo ha un controllo totale
dei mezzi di informazione. Durante i giorni della protesta, molti
giornali si sono pronunciati a favore degli studenti e delle loro
rivendicazioni, ma ora c'è stata una massiccia epurazione ed è
stata messa a tacere ogni possibile forma d'espressione del dissenso.
In Cina non c'è libertà
di parola. Tutti i giochi politici sono nascosti, non c'è
"trasparenza", soprattutto in campo politico. II governo
cinese è disposto a concedere libertà di azione
economica, ma nessuna libertà politica. Essi sostengono che
una forma di democrazia occidentale porterebbe la Cina alla Rovina,
non adattandosi alla situazione economica cinese. Menzogne, niente
altro che menzogne. Li Peng, Deng, Jiang Zemin, essi
ingannano il popolo cinese. La filosofia del partito Comunista Cinese
può essere espressa con una sola parola: inganno. Solo così
essi possono durare al potere, o non avrebbero un solo giorno di
vita.
Credi che Zhao Ziyang abbia ancora
possibilità di rientrare sulla scena politica? (4)
È molto poco probabile,
attualmente egli è agli arresti, anche se non ufficialmente.
Si può dire che sia "illegalmente detenuto". Mister
Zhao e mister Hu erano una volta le "menti" politiche di
Deng, essi riflettevano le aspirazioni del popolo cinese. Sono stati
emarginati perché agivano nel senso di una democratizzazione
della società. E cosa riuscite a sapere di Wu Ek Kai
Xi, degli altri dissidenti e di quanto stanno organizzando all'estero
?
Molto poco, perché è rischioso
ascoltare le emittenti estere, si può incorrere in
provvedimenti penali. Siamo arrivati. Zhang si è offerto
di accompagnarmi all'Università per una sistemazione economica
per la notte. Mi presenta al responsabile dell'ostello per studenti
che fa qualche telefonata nello strano dialetto di Wuxt. Zhang mi
sussurra in cinese: Dopo giugno sono diventati molto rigidi nei
controlli.
Ma forse per la presentazione di Zhang,
o per la politica di apertura verso gli stranieri, o chissà,
forse perché sono davvero ospitali, ho la mia camera per la
notte e l'indirizzo del mio nuovo amico . Questo non è
socialismo..., mi dice, e se ne va nel buio, proprio come un
oscura figura di cospiratore.
Il controllo sugli intellettuali
Non è vero, ma non te l'ho
voluto dire, caro Zhang, che tutti la pensano come te. Il consenso ha
tanti volti diversi, ogni giorno ne incontri uno. Oggi, sulla nave da
Shanghai a Quingdao è il volto di un giovane impiegato
dell'Agenzia di viaggi Nazionale, anglofono e antipatico. Dovresti
parlare solo con chi conosce l'inglese - dice
-perché per gli altri è difficile esprimere quello che
pensano veramente, anche se tu conosci il cinese. Intende dire
che forse fraintendo quando, parlando con me, i suoi connazionali
criticano il governo. Che forse mi invento tutto. Ma Wang parla
chiaro, è laureato in lingua e letteratura cinese, ma lavora
nel campo del commercio. Le riforme all'inizio sono state una
scelta politica buona, quando ad ispirarle erano Hu e Zhao, ma ora
siamo entrati in una fase di conservatorismo.
Mi ricordo di avere letto, la sera
prima, su di un Quotidiano del Popolo un severo articolo di critica
alle eccessive libertà dei dirigenti d'azienda nello scegliere
i propri collaboratori, scavalcando il partito. Così non va,
sentenziava il giornalista, il partito deve avere il controllo totale
sulle decisioni delle aziende. Questo è il riflesso in campo
economico della svolta autoritaria in corso nel campo politico.
Così non va - dice
anche Wang - due sono i problemi fondamentali della nostra
società: l'inflazione e la corruzione. E questo è
quanto sostengono anche gli organi governativi, con la differenza,
non certo secondaria, di non riconoscersi essi stessi quali artefici
di entrambe, come invece vengono indicati dai loro oppositori e come
venivano denunciati dagli studenti nei giorni della primavera. Che
ne penso di Jiang Zemin? - continua il mio interlocutore, e
sorride amaro e beffardo - noi lo chiamiamo hua bing (ridicolo,
buffone). Egli è irrilevante per peso politico. Yang Shangkun?
È il
più pericoloso, controlla l'esercito grazie al suo parentado.
Ha la stoffa di un despota di età feudale. Mentre mi parla
si guarda attorno, siamo sul ponte della nave e spesso altri cinesi
si avvicinano a noi incuriositi, allora smette di parlare. Mi dice
poi: Sai, è pericoloso per me esprimere queste opinioni, se
qualcuno dovesse venirle a sapere... Oggi è così, il
controllo sugli intellettuali è severo, ogni libertà
d'espressione ci è negata...
Libertà! In Cina si usa
l'espressione "zichanjieji ziyouhua", liberalizzazione
borghese, i giornali non dicono mai "libertà", ma
usano questa espressione, ma cosa voglia dire veramente io ancora non
l'ho capito.
Ma il discorso di Jiang Zemin che
dovete studiare con impegno e attenzione, non ti ha aiutato a
capirlo?.
Non l'ho letto! Chiedo scusa al
signor Jiang, ma proprio non l'ho letto, i miei compagni l'avranno
fatto, ma io no!.
È
uno scrittore di 35 anni che pubblica i suoi racconti sulle riviste
di letteratura, è desideroso di far conoscere le sue opere
all'estero, mi regala un numero di Beifang Wenxue in cui appare un
suo racconto. Mi dice : Jiang Zemin o chi per lui non devono
venirmi a dire cosa devo fare. So da me come e cosa scrivere. Io,
come vedi, non ho paura ad esprimere le mie opinioni né a
farmi vedere mentre parlo ad un occidentale.
È vero, non mi sorprende tanto
il contenuto delle sue opinioni, quanto il fatto che le esprima ad
alta voce, in cinese, camminando per strada e addirittura all'interno
dell'Università di Pechino, la culla della rivolta.
La nostra Università è
stata la più colpita dalla repressione, perché la più
attiva nella protesta. Le matricole della nostra Università, e
solo loro, dovranno frequentare un anno di rieducazione politica
nelle scuole militari. Questa esperienza, anche se potrà
essere loro utile per sperimentare le durezze della vita a cui non
sono abituati, sarà tuttavia negativa per la loro libertà
di pensiero. Nessuno di loro, naturalmente, vi partecipa volentieri,
è umiliante per giovani che si sono iscritti alla più
prestigiosa Università di tutta la Cina. Il governo sostiene che la Cina non è
pronta per una liberalizzazione politica in senso occidentale, tu sei
d'accordo? È una risposta sofferta. Sì, purtroppo è
così. E perché? È per la
situazione economica, perché la gente non è pronta, o è
perché il governo vuole che le cose stiano così?
Tutte e tre le ragioni giocano la
loro parte. La mentalità della gente è ancora chiusa,
sai, fuori da Pechino nessuno sapeva cosa stesse accadendo veramente
in piazza Tian An Men. Ci scrivevano dicendoci di essere contenti che
l'esercito fosse entrato nella piazza... Quanto al governo, ben lo
conosciamo ormai. E la situazione economica è tale da impedire
che la gente progredisca culturalmente, questo perché il
sistema socialista vuole attenersi a principi teorici che oramai non
hanno riscontro, né possibilità di applicarsi nella
realtà. Io concordo con Gorbaciov quando dice: "perché
mai il capitalismo non è tramontato come Marx sosteneva
dovesse accadere? Perché ha saputo riformarsi in tempo".
Noi oggi dobbiamo attenerci ai quattro principi, ma il più
importante di questi è quello che recita: "Perseverare
nella leadership del Partito Comunista". Io credo che in
occidente sia veramente il popolo a decidere il corso degli eventi
socio-economici, mentre da noi questo è un principio astratto
che non trova riscontro nella realtà. Tuttavia, oggi in Cina
molte persone guardano con speranza e ammirazione ai paesi
occidentali senza sapere nulla di quello che veramente è
l'occidente.
Guardano alla libertà
dell'occidente e non si rendono conto di quanto differente sia la
nostra realtà, di quanto sia arduo pensare di coniugarla con
la libertà dei paesi occidentali.
Tuttavia, l'impressione che ho avuto io
- mi permetto di osservare - è che la richiesta di libertà
degli studenti di piazza Tian An Men andasse al di là
dell'ammirazione per un occidente mai vissuto, ma si esprimesse come
richiesta di un valore universale, tale da meritare il sacrificio
delle proprie vite. Sì - mi risponde -, sono
d'accordo, così va inteso, d'altronde, il bisogno di libertà,
come un bisogno proprio di tutto il genere umano".
In un primo momento ho avuto
l'impressione di averlo tirato per i capelli ad una conclusione di
questo tipo, così astratta e idealistica, ma in fondo credo
che in lui convivano e si esprimano con uguale vivacità le due
anime cinesi, quella terrena, che lo muove ad una pessimistica - ma
realistica - visione della situazione in corso, e quella celeste, che
lo spinge ad idealizzare una cultura libera dalla noiosa stupidità
dei giornali e dei programmi televisivi. Mi dice: Se chi non legge
giornali né ascolta la televisione è un incolto, ebbene
io sono un incolto. Però libri sì, quelli li leggo.
Quale repressione
Lo scrittore, del quale sarei ben
presto diventato amico, è stato il mio primo incontro
significativo a Pechino, e proprio il primo giorno che ho preso
alloggio nell'ostello all'interno dell'Università di Pechino,
culla dei più importanti movimenti politici dall'inizio del
secolo ad oggi, e cuore della protesta della scorsa primavera. I
cinesi la chiamano Beida, e così anche noi, da qui in avanti.
Ho raccontato di questo mio incontro ad
alcuni amici europei che risiedono da lungo tempo a Beida e che si
trovavano qui anche nei giorni della protesta studentesca. Qualcuno
sostiene che la repressione non sia per nulla condotta con efficacia,
che manchi di fatto coordinamento tra le autorità delle varie
città, e che il fatto che un movimento così vasto sia
stato sedato in così breve tempo sia dovuto al gran numero di
arresti effettuati, al "terrore" e alla delazione che in
Cina funziona come valore sociale. Se questa tesi è vera è
possibile che all'interno del territorio cinese siano rimasti
personaggi significativi e potenzialmente pericolosi per il regime
che, pur non avendo avuto ruoli di primo piano nei giorni della
Primavera, dispongono della capacità e della volontà
per crear forme di dissenso ed opposizione una volta che sia caduta
la tensione repressiva.
Di fatto, talvolta la macchina
repressiva sembra dar segni di ingenuità. Mi dicono che a
Beida è ostacolata pesantemente ogni forma di attività
collettiva che coinvolga assieme occidentali e cinesi, ma pochi
chilometri più in là, all'Università del Popolo,
le stesse attività sono permesse, o addirittura "benvenute".
Ciò significa che se Beida rischia di estinguersi nella sua
funzione storico-simbolica di crogiuolo della rivolta, la realtà
dell'opposizione potrebbe trovare spazio e respiro altrove, sempre
che la realtà possa - questa volta - sopravvivere al simbolo.
Ma la repressione che non conosciamo
deve svolgersi ad altri livelli, e probabilmente è mirata
sull'individuo, con provvedimenti che tendono a colpevolizzare e ad
isolare il singolo studente politicamente impegnato, a spezzare
l'unità di intenti di quei giorni che, se pur, presumibilmente
, tra maggior differenze di quanto non si sia portati ad immaginare,
si era con concretizzata nell'identificazione di un nemico comune. Ma
attenzione, anche questa volta, a non semplificare: questo movimento
di ventenni che dava dello hutu (rimbambito) a Deng, dei corrotti a
Li Peng e Yang Shangkun, che non risparmiava neppure Zhao Ziyang,
questo movimento tuttavia chiedeva ai dissacrati padri e zii della
nazione un gesto di riconciliazione, un riconoscimento, un dialogo
davanti a tutto il popolo, in cui si ammettesse che non erano
sovversivi ad occupare il cuore del paese, ma giovani decisi a
sacrificarsi per il bene della patria. Questo gesto non è arrivato, se
non nel guanto d'acciaio dei carri armati della famiglia Yang. Oltre
al sangue e alla paura, la mortificazione ha preso il posto
dell'entusiasmo, il senso di solitudine ha sostituito l'esaltazione
collettiva dettata dall'illusione di essere fatalmente il cuore di un
unità di genti e di classi diverse, ma solidali, depositari
delle sorti della nuova "nuova Cina".
La mortificazione ha prodotto
rassegnazione ed ha agito con più forza di ogni tipo di
repressione. Torture ed esecuzioni sono possibili, ma non provate.
Forse non sono necessarie. Questa vita quotidiana fatta di mense buie
e sporche, di lezioni banali e dottrinarie, auto-critiche indotte e
libri stranieri che non si trovano mai, giorni che verranno e che
saranno come altri hanno deciso debbano essere, tutto questo basta
per convincersi d'aver perso - almeno per un po'- e, almeno per un
po', di non aver speranze.
"Sembrava dormisse"
Così, scoprire che la propria
rivoluzione non è quella "desiderio di tutti gli uomini"
(5), giusta e trionfante contro l'ultima declinante dinastia, ma una
volgare sommossa di sprovveduti studentelli ideologicamente incolti e
quindi in balìa di perversi politicamente controrivoluzionari,
scoprire di non essere con Tong e Wu, "in accordo con l'ordine
del cielo", ma solo vittime del lascito dell'infausta Wenhua da
geming (Rivoluzione culturale) summa di tutti i mali sociali
nell'immaginario del cinese contemporaneo, questo improvviso tragico
mutamento nella rappresentazione di sé stessi, in quale abisso
di scoramento può aver precipitato questi ragazzi? Proprio
alla luce della rappresentazione del potere e del rapporto tra
suddito e governante del cinese vanno letti, a mio avviso, i
meccanismi della repressione, così come tutta la complessa
fenomenologia della Primavera Cinese, del suo triste esito e di
questi giorni che non sappiamo a cosa preludano.
Non avevo mai visto scene così,
tutti quei soldati, e i carri armati... Io lavoro già da un
anno, ma se fossi stata ancora una studentessa sarei stata con loro.
Tuttavia anche la nostra ditta ha scioperato per alcuni giorni.
Ricordo che un giorno io ero rimasta in ufficio e il nostro direttore
mi ha mandato in piazza per cercare il persuadere gli altri a tornare
al lavoro, ma quando sono arrivata là mi sono unita a loro e
al telefono ho detto al direttore: "guardi qui non c'è
modo di persuadere nessuno". E ricordo che tutti gridavano
"abbasso Deng", "abbasso Li Peng". Ma adesso
hanno tutti paura, nessuno di noi si immaginava che il governo
avrebbe usato le armi contro giovani innocenti che avanzavano
richieste legittime, e ancora non sappiamo farci una ragione del
fatto che non abbiano usato idranti, o lacrimogeni, ma abbiano
sparato selvaggiamente sugli studenti. Eppure una risposta c'è.
Il massacro era voluto per giochi politici tra correnti del partito.
Colpendo così duramente i giovani dimostranti si è
voluto colpire una corrente del partito avversa a quella oggi al
potere. Sai, durante il periodo degli scontri sono stata in un
ospedale, ho visto anch'io dei morti. Una ragazza con un foro nel
petto, sembrava dormisse, non fosse stato per quel foro. E un giovane
con tutte e due le gambe tranciate (...) Sai, questo movimento a
Pechino e in tante altre città è stato un fenomeno
complesso, in cui hanno giocato diversi fattori, è difficile
da capire, anche per noi. (...)
Salotti letterari e frivolezze
Che parli con la voce rotta dalla
commozione, al sicuro nella mia camera, o quasi sussurrando al tavolo
di un bar, riconosco l'amica di quattro anni fa, ma non saprei dire,
e forse non capirò mai, quanto mutata dall'esperienza di cui
mi parla.
Mi dice ancora: Oggi molti
intellettuali lasciano la Cina o fanno di tutto per non tornarci
quando riescono ad uscirne. Questo è un fatto negativo.
Ricordo le sue lettere, quando mi
parlava del suo paese e quanto lo amasse - mi sembrava che cercasse
di convincere sé stessa -, penso ai giovani di Tian An Men e a
quel loro morire sacrificale per la nazione, penso a chi vuole
andarsene per sogni di libertà e benessere, penso a Liu
Shaobo, denigratore dichiarato della patria e della cultura
nazionale, accusato perciò di maiguozhuyi (Tradimento della
patria), ma in prigione per aver partecipato allo sciopero della fame
assieme ai giovani patrioti. Penso alla diversità, che sembra
la vera ragion d'essere di questo movimento di coscienze, contro la
pretesa dispotica alla tuanjie sixiang (riunificazione del pensiero)
in nome della stabilità e del benessere relativo.
La mia amica non ha perso tempo nel
parlarmi dei fatti della Primavera, quasi mi fosse dovuto, o come se
tutto il resto fosse diventato secondario. Poi la tensione
diminuisce, il discorso sfuma in altri toni e su altri argomenti. Mi
dice: Non mi piace lo stile di Lu Xun, perché non è
né volgare né letterario, ma i suoi contenuti sono
assai profondi, e mi piacciono le sue idee. Era un uomo coraggioso,
un intellettuale che se fosse vivo adesso non avrebbe paura a
parlare, e ne avrebbe da dire contro questi individui che ci
governano. Ma oggi, non so perché, di personaggi così
ce ne sono pochi, troppo pochi.
Un giovane critico, amico dello
scrittore, mi dice:
Oggi, in campo letterario, c'è
troppo divario tra il nostro paese e l'occidente. E perché
questo? Per limiti politici ed economici. Ma soprattutto politici. La
cultura letteraria cinese non riesce ad esprimersi perché non
le è permesso di esprimersi liberamente. Oggi una grande
quantità di energia intellettuale è sprecata nelle
cosiddette zhengzhi xuexi (lezioni ideologiche). È un'attività imposta
dall'alto che attraversa tutti gli strati della società e i
cui effetti negativi possono essere paragonati a quelli derivati
dalla Rivoluzione Culturale, quando, allora come adesso, vi fu un
inasprimento dell'indottrinamento politico e una chiusura verso tutto
quanto non fosse parte del Marxismo-Leninismo. Il risultato fu un
inaridimento culturale di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
Per esempio, proprio nel campo delle
traduzioni letterarie e filosofiche da lingue straniere, manca a noi
cinesi una tradizione che ci consenta di raggiungere risultati
soddisfacenti tranne che in rari casi. Quanto sta avvenendo oggi, con
il dispendio di energie nello studio della politica e, in
particolare, delle idee politiche dei nostri leader, rischia di
rallentare ulteriormente il processo di recupero culturale del nostro
paese rispetto ai paesi occidentali. Oggi il "politico" è
al centro della vita culturale cinese, è ciò verso cui
deve essere finalizzata ogni attività culturale. Anziché
essere solo uno strumento - come dovrebbe essere - è lo scopo,
imposto dall'alto, della nostra vita, in ogni campo.
Un giorno la mia amica cinese mi invita
ad una specie di salotto letterario. Sono presenti giovani poeti e
romanzieri. In una stanza separata alcuni giornalisti di riviste
letterarie e non. Questa sarebbe stata la mia prima delusione, poiché
mi aspettavo che l'incontro fosse stato organizzato spontaneamente
dai giovani intellettuali e costituisse quindi un'occasione culturale
al di fuori dagli schemi istituzionali. La presenza di rappresentanti
di riviste e giornali ufficiali poneva invece dei forti limiti alle
possibilità che la discussione si svolgesse liberamente. La
seconda delusione è stata la mancanza di un qualunque discorso
che sottendesse un minimo di tensione intellettuale. La frivolezza di
questi giovani poeti di belle speranze e dei loro pigmalioni della
stampa mi ha fatto così ripensare alle parole della amica a
proposito di Lu Xun e anche al problema dei limiti politici di cui mi
parlava il giovane critico.
Questi limiti non sono solo la censura,
l'intimidazione, l'indottrinamento, ma anche l'invadenza
paternalistica del giornalista a caccia di scoperte letterarie e
l'ambizione del giovane arrampicatore culturale che preferisce
l'atmosfera istituzionale e salottiera (dove pure gli è
concesso di sibilare qualche sagacità contro il vice-sindaco
di Pechino) che gli garantisca una poesia ogni tanto su di una
rivista letteraria, a spazi autonomi di incontro e discussione che
gli consentano di infrangere questi "limiti", che sono poi
la violenza e la banalità della presenza istituzionale, sempre
assillante, ma sempre in una camera separata.
Rivolta e libertà
Oggi li vediamo passare con le scodelle
del riso in mano, silenziosi, quasi tranquilli, quasi come se nulla
fosse successo, e ci chiediamo come è stato possibile che
tutto si sia estinto così, in pochi mesi, ma addirittura, mi
dice chi c'era in quei giorni: tre giorni dopo era tutto finito.
Altri mi hanno detto: Stanno aspettando, aspettano il momento
buono e poi ricominceranno. Oppure: Manca un segnale
dall'alto, manca la capacità di un programma politico a lungo
termine. Ma gli studenti cinesi non sono le marionette per le
solite nostre rappresentazioni della Cina favolosa. Ed è vero
quanto tutti sostengono, cinesi ed occidentali, ovvero che, anche
questa volta, il movimento non è stato scevro da
contaminazioni con correnti del partito, che ancora abbiamo assistito
al turpe gioco dell'uso strumentale di giovani vite per contese di
potere.
Ma è anche vero che la
spontaneità - ovvero l'autonomia di pensiero e di azione dalle
direttive del potere - si è espressa questa volta nella forma
dominante della critica radicale alla politica del Partito Comunista
e della domanda di quanto tale politica ha sempre negato, di quanto
ne rappresenta quindi la negazione, ovvero la "libertà",
intesa nel senso liberale del termine, come pluralismo e democrazia.
Questi valori, certamente ispirati da
personalità intellettuali di rilievo quali il fisico Fang
Lizhi o il critico letterario Liu Shaoho, o ancora lo scrittore in
esilio Hu Ping, sembrano tuttavia emergere da un passato storico non
remoto, quello di Sun Yat Sen e di Lu Xun. Sembrano tornare per
ridare senso all'altro valore fondamentale, conteso alla retorica del
potere, il sentimento nazionale, valore matrice, nel bene e nel male,
dello spirito di riscossa dei paesi del terzo mondo, all'inizio del
nostro secolo. Questi valori hanno agito, nei giorni della primavera
cinese, con un'intensità spirituale tale da renderne arduo
l'accostamento con le loro opache espressioni nel mondo occidentale
moderno, sono stati in qualche modo trasmutati dalla sentimentalità
cinese nella forma di un sacrificio collettivo, una ricerca della
sofferenza per fame e sete che leggerei anche, su di un piano
psicologico, come una spinta ad un riscatto esistenziale dalla
vuotezza della quotidianità svilita dalla ideologia e una
affermazione di una propria dimensione eroica, nuova e altra dalla
mitologia della Lunga Marcia, dai valori dei "rivoluzionari
della vecchia generazione", dei padri inariditi della nazione.
Questo meccanismo costituisce la
componente di originalità e spontaneità, e forse è
quanto è sfuggito al controllo di chi, dall'interno delle
istituzioni, intendeva guidare per propri fini il fenomeno, o anche
di quegli intellettuali che costituivano all'inizio il punto di
riferimento per gli studenti.
Questa spinta sacrificale e il suo
contenuto psicologico credo non vadano sottovalutati e non spieghino
solo le dimensioni e la forza del movimento nei giorni della sua
pienezza, ma anche, in parte, le ragioni del suo rapido declino, e
questi giorni di adesso, quando nessuno parla e il grigiore cinese è
tornato ad offendere la sensibilità dell'occidentale che, come
di consueto, poco sa e ancor meno capisce. Il rapporto col padre è,
come sempre, ambivalente.
Ieri era odio, oggi certo non è
amore, ma sopportazione di chi comunque è più forte, e
questa forza, in fondo, gli attribuisce una qualche ragione. Questo
padre che non ammette altro culto al di fuori di quello che
costituisce la sua ragion d'essere, ritorna con la forza nella
legittimità del suo ruolo di potere.
Forse non è tempo ancora per il
declino della dinastia e quindi non resta che aspettare. Questo può
essere il ragionamento che ferma gli studenti, l'attesa può
essere accettazione e nel contempo strategia politica. Può
voler dire, come mi è stato detto, questo governo non può
durare, è questione di pochi anni oppure il disordine non
giova a nessuno. Può
voler dire hanno vinto loro, non c'è niente da fare
oppure aspettiamo il
momento buono, un segnale, un leader e poi ricominciamo.
Insomma, se il giovane cinese di Beida
oggi è rimasto solo, abbandonato da chi lo appoggiava
all'interno delle istituzioni, ha visto crollare il sogno di una
rifondazione dei valori della società, chiudersi gli spazi di
confronto con i suoi compagni, con i lavoratori del suo paese e con
gli stranieri, se la festa è finita e ricomincia la dura vita
di esami che sembrano infiniti, il grigiore di quel suo camminare
d'automa con la ciotola del riso in mano è tuttavia un
segnale, anche se di difficile interpretazione per noi occidentali.
Come reagirà, come potrà e vorrà reagire lo
studente cinese a quell'assillante continuo crimine contro la sua
intelligenza perpetrato dal Quotidiano del Popolo, dalle lezioni
ideologiche, dalle menzogne che, secondo le parole del giovane Zhang
di Wuxi, costituiscono la filosofia politica del PCC?
Certo la risposta a queste domande non
risiede nelle nostre speranze di occidentali, nel nostro fastidio nel
vederli così piegati, ricordando come sono stati per una breve
stagione.
La risposta la troveremo solo nella
differenza che restituisce ad una propria realtà il fenomeno
della Primavera cinese e il suo seguito e li strappa alle nostre
erronee rappresentazioni. Tu sei occidentale, non puoi capire.
Chi non si è sentito apostrofare in questo modo, parlando con
i cinesi? Ed è vero.
Che questo vostro essere diversi, nel
bene e nel male, nel mondo pianificato, non vi conduca alla rovina,
ma sia la sostanza della vostra riscossa.
1) Il discorso pronunciato da Jiang
Zemin, all'epoca segretario generale del Comitato Centrale, in
occasione del 40° anniversario della Liberazione, è stato
assunto a cardine della propaganda di regime contro le tendenze
liberal-borghesi.
2) Per prendere le distanze, anche
linguisticamente, dalla propaganda di regime che pure fa ampio uso
del termine "minshu", democrazia, gli studenti ne hanno
adottato un altro, "de", utilizzando il carattere che
indica la virtù nella tradizione filosofica cinese, e che
foneticamente riprende la prima sillaba del termine inglese
"democracy".
3) I quattro principi sono:
1. Persistere sulla via del
socialismo.
2. Persistere nella dittatura del
proletariato.
3. Persistere nella leadership del
partito comunista.
4. Tener fede al marxismo-leninismo e
al pensiero di Mao Zedong.
4) Accusato di gravi responsabilità
nei disordini della primavera e perciò destituito da ogni
carica politica, Zhao Ziyang deteneva il posto di segretario generale
del Comitato Centrale, poi affidato a Jiang Zemin. In lui e in Hu
Yaobang - già allontanato dalla scena politica prima del
decesso avvenuto lo scorso aprile - sono indicati gli artefici della
politica di riforme portata avanti da Deng Xiaoping.
5) Yi Jing. "Le rivoluzioni
guidate da Tong e Wu erano in accordo con l'ordine del cielo, e
rispondevano al desiderio degli uomini".
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