Rivista Anarchica Online
Quelli del Paso
di Maria Matteo / Emilio Penna
Il centro sociale El Paso di Torino
è attivo da circa due anni, con una vasta gamma di attività
sociali autogestite. Due nostri collaboratori hanno
parlato a lungo con alcuni occupanti, in un'intervista che è
andata oltre lo specifico problema delle occupazioni.
2 anni fa l'asilo di via Passo Buole
era in stato di totale abbandono da ormai 8 anni; vi trovavano
rifugio barboni e tossicomani di Mirafiori, sterminato quartiere
dormitorio sorto intorno agli omonimi stabilimenti Fiat. Oggi la
vecchia palazzina dell'ex asilo è come rinata: il tetto è
stato rifatto, il giardino sgomberato dai rifiuti, le ex aule del
piano terreno adattate a laboratori di grafica, sala concerti, sale
di registrazione, bar, mentre gli uffici del 1° piano sono
divenuti abitazioni per circa 20 persone. L'asilo abbandonato è
oggi punto di ritrovo assai noto nella nostra città grazie
all'intensa attività politica e culturale (concerti,
performance teatrali, rassegne cinematografiche, etc.) e al bar
Citrone ove gli alcolici costano la metà.
Tutto ciò è stato
possibile senza finanziamenti e senza appoggi istituzionali, perché
oggi l'asilo è il centro sociale occupato El Paso. Gli
occupanti sono punk, anarchici, ribelli che vi si sono installati e
vi hanno resistito nonostante i tentativi di cacciarli di poliziotti
ed enti locali. El Paso non è un posto tranquillo, è
una cittadella di frontiera ove l'autogestione è una scommessa
e gli sceriffi sono fuori in agguato...
Ci siamo recati tra i "pirati
di El Paso" con l'intenzione di fare un'intervista: ne è
scaturito un incontro vivace, a più voci, in cui si è
parlato di occupazioni ma anche di politica, di etica, di
autogestione.. Esordiamo chiedendo una cronaca
dell'occupazione e dell'autogestione.
La soluzione di occupare - dice
Mario - è scaturita dall'impellente necessità di
avere uno spazio per esprimerci e realizzare le attività che
ci interessano. Prima dell'esperienza del Paso avevamo tentato
ripetutamente di occupare, guadagnandoci centinaia di denunce. Ad un
certo punto alcuni di noi volevano rinunciare, poiché
pensavano che occupare fosse impossibile a Torino, città in
cui vi sono centinaia di spazi abbandonati ed inutilizzati
strenuamente difesi da autorità comunali e poliziotti . La
crepa nel sistema che ci ha consentito di tenere la palazzina di El
Paso è derivata da un vuoto di potere. Questo posto, infatti,
era di proprietà di un ente morale che se ne disinteressava in
attesa che lo acquistasse il comune. È stato perciò
facile ottenerlo grazie ad una piccola trattativa con il curatore
legale dell'ente proprietario. La scelta di questo posto in
particolare non è derivata soltanto da valutazioni politiche -
ossia la possibilità di riuscire a tenerlo - ma anche in base
ad una serie di caratteristiche che lo rendevano atto a soddisfare le
nostre esigenze. La palazzina ha due piani: un piano terreno in cui
ci sono grandi sale adatte per i concerti, il bar, le proiezioni e le
nostre altre attività ed un piano superiore in cui era
possibile abitare. Infatti al Paso vivono una ventina di noi che
prima non avevano una casa e che adesso ce l'hanno. Inoltre v'era una
grande cucina con alcuni attrezzi funzionanti, che abbiamo usato fin
dal primo giorno di autogestione.
Alle assemblee decisionali partecipano
sia coloro che abitano qui sia coloro che prendono parte alle
attività che ci sono. In media i partecipanti sono tra i
trenta ed i sessanta.
A questo punto domandiamo che
vengano illustrate le attività del centro sociale.
Le attività sono molteplici -
asserisce Luca - abbiamo una sala grafica, due cantine di cui
una per suonare e l'altra per le registrazioni delle autoproduzioni,
una sala fotografica e una distribuzione di libri, dischi e fanzine.
Facciamo anche cassette pirata e cassette autoprodotte dei concerti
che si svolgono qui. Queste cose servono sia alla gente che viene da
fuori sia a noi quali strumenti di comunicazione.
Inoltre - interviene Mario - c'è
il bar Citrone che per noi è importantissimo, perché
l'ebbrezza è una delle cose fondamentali della vita. Queste attività - riprende
Luca - funzionano molto bene, anche se a volte si sono verificati
episodi spiacevoli quali furti ed incuria dovuti al fatto che la
gente non è abituata ad autogestirsi e non comprende il valore
di una cosa gratuita.
Domandiamo se El Paso si propone
quale esperienza esemplare e la sua capacità di influenzare
gli altri si palesa mostrando all'esterno alcune concrete
realizzazioni. Da più parti giungono risposte affermative.
El Paso - dice Andes - dimostra
che è possibile tentare un'altra via per vivere, diversa da
quella che ci viene proposta da una società che fa cose contro
l'uomo o il nulla. Noi riusciamo a proporre un diverso modello di
socialità, differente dalla famiglia, dalla coppia o dalla
solitudine in un monolocale arredato. L'unico messaggio valido che possiamo
dare - aggiunge Mario - consiste nel mostrare come soddisfiamo
i nostri sogni in modo libertario, orizzontale, non-gerarchico.
Migliaia di persone che sono passate dal Paso hanno potuto
constatarlo. La gente non è stupida e vede quel che riusciamo
a fare nonostante non abbiamo né sovvenzioni né
comitati centrali.
Chiediamo poi come funziona
concretamente l'autogestione di El Paso ed in particolare come
vengono prese le decisioni e se esiste una suddivisione dei compiti.
Non esiste - dice Luchino - una
prassi decisa: la prassi scaturisce dal continuo confronto
quotidiano. Vi sono però alcuni principi cui ci atteniamo
sempre, il più importante dei quali è che le decisioni
vengono prese dall'assemblea e all'unanimità. Qualora anche
uno solo di noi si opponga, le decisioni non vengono attuate.
Il funzionamento concreto di El Paso
avviene grazie all'apporto spontaneo di ciascuno: non vi sono
incarichi fissi o una qualche forma di rotazione prestabilita. Tutti
coloro che hanno a cuore questo posto, vi si dedicano. Certo, la
prassi da noi adottata è tutt'altro che facile: spesso vi sono
diverbi e discussioni. D'altro canto l'autogestione è estranea
alla mentalità comune e quindi difficile da praticare,
tuttavia questo è l'obiettivo cui ciascuno di noi tende.
Andes, Mario e Luca sottolineano le
difficoltà di un tale modo di procedere, che si basa sulla
volontà individuale e non su schemi e ruoli prestabiliti. Sono
tutti per altro concordi che nonostante i molti problemi il sistema
sostanzialmente funzioni.
D'altra parte - prosegue Luca -
noi abbiamo scelto di non adottare alcuna forma di coercizione anche
se siamo consapevoli d'aver intrapreso la via più dura.
Comunque due anni di autogestione ci hanno fatto molto crescere.
Perché tutto funzioni bene -
interviene Mario - ci vorrebbe maggior coscienza della
radicale alterità di un'esperienza come la nostra.
La discussione a questo punto è
proseguita sui metodi di lotta e, inevitabilmente, sono emerse delle
profonde differenze con la nostra concezione, che ritiene che
l'anarchismo debba sapersi esprimere in un progetto politico,
culturale ed esistenziale che sia in grado di incidere profondamente
sulla cultura della società nel suo complesso per modificarla
in senso libertario. Noi abbiamo sostenuto che per far ciò si
debbano scegliere gli strumenti atti a tal fine, rinunciando non
certo all'azione diretta ma all'esaltazione di forme di lotta legate
ad un progetto "insurrezionalista" oggi controproducente.
Noi facciamo le cose che riteniamo
giuste ed è secondario il loro essere anche utili - ha
esordito Mario. Per noi è fondamentale evitare le
scissioni tipiche dei politicanti, che fanno solo quel che serve
senza sprecare energie tentando di fare altro. Ci stupisce che un
tale atteggiamento si riproponga talora tra anarchici che rifiutano
alcune forme di azione diretta.
Non ci possono legare ad un momento
storico perché se oggi ho voglia di fare una cosa la faccio e
basta - ha proseguito Gabriella. Noi vogliamo avere una vita
piena, non ci basta discutere, vogliamo vivere, sentire il piacere di
vivere - ha aggiunto Luca.
Mario ha poi voluto sottolineare un
punto a suo giudizio molto importante - Noi non siamo di
sinistra, siamo anarchici e non ci schieriamo né con la
sinistra né con la destra ma semmai con coloro che condividono
il nostro modo di vivere la vita, di agire nel sociale. Ci è
capitato di fare delle cose con gli automi (nda. simpatico modo
usato a EI Paso per definire gli autonomi), con i quali non
abbiamo assolutamente nulla in comune dal punto di vista ideologico
ma che a volte abbiamo avuto accanto sul piano pratico. Preferiremmo
poterle fare con altri anarchici con i quali sentiamo maggiore
affinità teorica, ma che spesso troviamo distanti nella
pratica.
I principi possono essere uguali per
tutti - aggiunge Luchino - ma è nella pratica che si
verifica la coerenza con i principi. Non serve scrivere di anarchia:
occorre praticarla.
Luca incalza - Noi non abbiamo
un'ideologia ma i nostri sono valori che percepiamo istintivamente.
Non ci piacciono i dibattiti teorici che poi bisogna conciliare con
una realtà che è sempre diversa. Il pensiero è
astratto: a lungo gli occidentali hanno creduto di pensare come dio,
in maniera eterna, lontana da quel che si muove. Noi al contrario
vogliamo essere movimento. È
ora di vivere l'anarchismo - aggiunge Mario -. Anche noi ci
rendiamo conto che l'idea di insurrezione e rivoluzione è
estranea alla maggior parte della gente, tuttavia questo non ci
impedisce di provare a modificare le nostre condizioni di vita,
sperando che ad altri interessi quel che abbiamo realizzato. Secondo
noi è estraneo alla tradizione anarchica stabilire in base
alla contingenza storica quel che si può e quel che non si può
fare. Comunque quello che mi preme sottolineare è che noi
rifiutiamo la divisione tipica della cultura dominante tra
intellettuali, politicanti, artisti, perché vogliamo superarla
per creare un'unità che ci serve per la vita. E questo modo di
intendere vogliamo proporlo a tutti. È sempre stato possibile
mettere in pratica le tensioni ideali e lo sarà ancora -
sostiene Luchino -. Se si hanno delle idee bisogna ritagliarsi
degli spazi in cui riuscire a praticarle.
Noi fondiamo la sfera intellettuale con
quella manuale, l'ebbrezza con la razionalità - conclude
Pattipravo - non abbiamo ritegno a praticare l'azione diretta
anche se considerata inutile e fuori moda. Attraverso la nostra
pratica quotidiana la proponiamo agli altri.
|