Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 167
ottobre 1989


Rivista Anarchica Online

Quelli del Paso
di Maria Matteo / Emilio Penna

Il centro sociale El Paso di Torino è attivo da circa due anni, con una vasta gamma di attività sociali autogestite. Due nostri collaboratori hanno parlato a lungo con alcuni occupanti, in un'intervista che è andata oltre lo specifico problema delle occupazioni.

2 anni fa l'asilo di via Passo Buole era in stato di totale abbandono da ormai 8 anni; vi trovavano rifugio barboni e tossicomani di Mirafiori, sterminato quartiere dormitorio sorto intorno agli omonimi stabilimenti Fiat. Oggi la vecchia palazzina dell'ex asilo è come rinata: il tetto è stato rifatto, il giardino sgomberato dai rifiuti, le ex aule del piano terreno adattate a laboratori di grafica, sala concerti, sale di registrazione, bar, mentre gli uffici del 1° piano sono divenuti abitazioni per circa 20 persone. L'asilo abbandonato è oggi punto di ritrovo assai noto nella nostra città grazie all'intensa attività politica e culturale (concerti, performance teatrali, rassegne cinematografiche, etc.) e al bar Citrone ove gli alcolici costano la metà.
Tutto ciò è stato possibile senza finanziamenti e senza appoggi istituzionali, perché oggi l'asilo è il centro sociale occupato El Paso. Gli occupanti sono punk, anarchici, ribelli che vi si sono installati e vi hanno resistito nonostante i tentativi di cacciarli di poliziotti ed enti locali. El Paso non è un posto tranquillo, è una cittadella di frontiera ove l'autogestione è una scommessa e gli sceriffi sono fuori in agguato...
Ci siamo recati tra i "pirati di El Paso" con l'intenzione di fare un'intervista: ne è scaturito un incontro vivace, a più voci, in cui si è parlato di occupazioni ma anche di politica, di etica, di autogestione..
Esordiamo chiedendo una cronaca dell'occupazione e dell'autogestione.

La soluzione di occupare - dice Mario - è scaturita dall'impellente necessità di avere uno spazio per esprimerci e realizzare le attività che ci interessano. Prima dell'esperienza del Paso avevamo tentato ripetutamente di occupare, guadagnandoci centinaia di denunce. Ad un certo punto alcuni di noi volevano rinunciare, poiché pensavano che occupare fosse impossibile a Torino, città in cui vi sono centinaia di spazi abbandonati ed inutilizzati strenuamente difesi da autorità comunali e poliziotti . La crepa nel sistema che ci ha consentito di tenere la palazzina di El Paso è derivata da un vuoto di potere. Questo posto, infatti, era di proprietà di un ente morale che se ne disinteressava in attesa che lo acquistasse il comune. È stato perciò facile ottenerlo grazie ad una piccola trattativa con il curatore legale dell'ente proprietario.
La scelta di questo posto in particolare non è derivata soltanto da valutazioni politiche - ossia la possibilità di riuscire a tenerlo - ma anche in base ad una serie di caratteristiche che lo rendevano atto a soddisfare le nostre esigenze. La palazzina ha due piani: un piano terreno in cui ci sono grandi sale adatte per i concerti, il bar, le proiezioni e le nostre altre attività ed un piano superiore in cui era possibile abitare. Infatti al Paso vivono una ventina di noi che prima non avevano una casa e che adesso ce l'hanno. Inoltre v'era una grande cucina con alcuni attrezzi funzionanti, che abbiamo usato fin dal primo giorno di autogestione.
Alle assemblee decisionali partecipano sia coloro che abitano qui sia coloro che prendono parte alle attività che ci sono. In media i partecipanti sono tra i trenta ed i sessanta.

A questo punto domandiamo che vengano illustrate le attività del centro sociale.

Le attività sono molteplici - asserisce Luca - abbiamo una sala grafica, due cantine di cui una per suonare e l'altra per le registrazioni delle autoproduzioni, una sala fotografica e una distribuzione di libri, dischi e fanzine. Facciamo anche cassette pirata e cassette autoprodotte dei concerti che si svolgono qui. Queste cose servono sia alla gente che viene da fuori sia a noi quali strumenti di comunicazione.
Inoltre - interviene Mario - c'è il bar Citrone che per noi è importantissimo, perché l'ebbrezza è una delle cose fondamentali della vita.
Queste attività - riprende Luca - funzionano molto bene, anche se a volte si sono verificati episodi spiacevoli quali furti ed incuria dovuti al fatto che la gente non è abituata ad autogestirsi e non comprende il valore di una cosa gratuita.

Domandiamo se El Paso si propone quale esperienza esemplare e la sua capacità di influenzare gli altri si palesa mostrando all'esterno alcune concrete realizzazioni. Da più parti giungono risposte affermative.

El Paso - dice Andes - dimostra che è possibile tentare un'altra via per vivere, diversa da quella che ci viene proposta da una società che fa cose contro l'uomo o il nulla. Noi riusciamo a proporre un diverso modello di socialità, differente dalla famiglia, dalla coppia o dalla solitudine in un monolocale arredato.
L'unico messaggio valido che possiamo dare - aggiunge Mario - consiste nel mostrare come soddisfiamo i nostri sogni in modo libertario, orizzontale, non-gerarchico. Migliaia di persone che sono passate dal Paso hanno potuto constatarlo. La gente non è stupida e vede quel che riusciamo a fare nonostante non abbiamo né sovvenzioni né comitati centrali.

Chiediamo poi come funziona concretamente l'autogestione di El Paso ed in particolare come vengono prese le decisioni e se esiste una suddivisione dei compiti.

Non esiste - dice Luchino - una prassi decisa: la prassi scaturisce dal continuo confronto quotidiano. Vi sono però alcuni principi cui ci atteniamo sempre, il più importante dei quali è che le decisioni vengono prese dall'assemblea e all'unanimità. Qualora anche uno solo di noi si opponga, le decisioni non vengono attuate.
Il funzionamento concreto di El Paso avviene grazie all'apporto spontaneo di ciascuno: non vi sono incarichi fissi o una qualche forma di rotazione prestabilita. Tutti coloro che hanno a cuore questo posto, vi si dedicano. Certo, la prassi da noi adottata è tutt'altro che facile: spesso vi sono diverbi e discussioni. D'altro canto l'autogestione è estranea alla mentalità comune e quindi difficile da praticare, tuttavia questo è l'obiettivo cui ciascuno di noi tende.

Andes, Mario e Luca sottolineano le difficoltà di un tale modo di procedere, che si basa sulla volontà individuale e non su schemi e ruoli prestabiliti. Sono tutti per altro concordi che nonostante i molti problemi il sistema sostanzialmente funzioni.

D'altra parte - prosegue Luca - noi abbiamo scelto di non adottare alcuna forma di coercizione anche se siamo consapevoli d'aver intrapreso la via più dura. Comunque due anni di autogestione ci hanno fatto molto crescere.
Perché tutto funzioni bene - interviene Mario - ci vorrebbe maggior coscienza della radicale alterità di un'esperienza come la nostra.

La discussione a questo punto è proseguita sui metodi di lotta e, inevitabilmente, sono emerse delle profonde differenze con la nostra concezione, che ritiene che l'anarchismo debba sapersi esprimere in un progetto politico, culturale ed esistenziale che sia in grado di incidere profondamente sulla cultura della società nel suo complesso per modificarla in senso libertario. Noi abbiamo sostenuto che per far ciò si debbano scegliere gli strumenti atti a tal fine, rinunciando non certo all'azione diretta ma all'esaltazione di forme di lotta legate ad un progetto "insurrezionalista" oggi controproducente.

Noi facciamo le cose che riteniamo giuste ed è secondario il loro essere anche utili - ha esordito Mario. Per noi è fondamentale evitare le scissioni tipiche dei politicanti, che fanno solo quel che serve senza sprecare energie tentando di fare altro. Ci stupisce che un tale atteggiamento si riproponga talora tra anarchici che rifiutano alcune forme di azione diretta.
Non ci possono legare ad un momento storico perché se oggi ho voglia di fare una cosa la faccio e basta - ha proseguito Gabriella. Noi vogliamo avere una vita piena, non ci basta discutere, vogliamo vivere, sentire il piacere di vivere - ha aggiunto Luca.
Mario ha poi voluto sottolineare un punto a suo giudizio molto importante - Noi non siamo di sinistra, siamo anarchici e non ci schieriamo né con la sinistra né con la destra ma semmai con coloro che condividono il nostro modo di vivere la vita, di agire nel sociale. Ci è capitato di fare delle cose con gli automi (nda. simpatico modo usato a EI Paso per definire gli autonomi), con i quali non abbiamo assolutamente nulla in comune dal punto di vista ideologico ma che a volte abbiamo avuto accanto sul piano pratico. Preferiremmo poterle fare con altri anarchici con i quali sentiamo maggiore affinità teorica, ma che spesso troviamo distanti nella pratica.
I principi possono essere uguali per tutti - aggiunge Luchino - ma è nella pratica che si verifica la coerenza con i principi. Non serve scrivere di anarchia: occorre praticarla.
Luca incalza - Noi non abbiamo un'ideologia ma i nostri sono valori che percepiamo istintivamente. Non ci piacciono i dibattiti teorici che poi bisogna conciliare con una realtà che è sempre diversa. Il pensiero è astratto: a lungo gli occidentali hanno creduto di pensare come dio, in maniera eterna, lontana da quel che si muove. Noi al contrario vogliamo essere movimento.
È ora di vivere l'anarchismo - aggiunge Mario -. Anche noi ci rendiamo conto che l'idea di insurrezione e rivoluzione è estranea alla maggior parte della gente, tuttavia questo non ci impedisce di provare a modificare le nostre condizioni di vita, sperando che ad altri interessi quel che abbiamo realizzato. Secondo noi è estraneo alla tradizione anarchica stabilire in base alla contingenza storica quel che si può e quel che non si può fare. Comunque quello che mi preme sottolineare è che noi rifiutiamo la divisione tipica della cultura dominante tra intellettuali, politicanti, artisti, perché vogliamo superarla per creare un'unità che ci serve per la vita. E questo modo di intendere vogliamo proporlo a tutti.
È sempre stato possibile mettere in pratica le tensioni ideali e lo sarà ancora - sostiene Luchino -. Se si hanno delle idee bisogna ritagliarsi degli spazi in cui riuscire a praticarle.
Noi fondiamo la sfera intellettuale con quella manuale, l'ebbrezza con la razionalità - conclude Pattipravo - non abbiamo ritegno a praticare l'azione diretta anche se considerata inutile e fuori moda. Attraverso la nostra pratica quotidiana la proponiamo agli altri.