Rivista Anarchica Online
"C'è un giovane alla
questura, sembra intelligente..."
a cura della Redazione
Sullo scorso numero abbiamo riprodotto
uno stralcio relativo al '68. Questa volta, dal libro/intervista
"Licia Pinelli. Una storia quasi soltanto mia" di Piero
Scaramucci (A. Mondadori Editore, Milano 1982), stralciamo le pagine
relative alle reazioni alla notizia della morte del commissario
Calabresi, alle ipotesi sulla morte di Pinelli ed altro ancora.
Piero – Quando hai saputo che
avevano ucciso Calabresi?
Licia – Stavo andando a
lavorare, ero in piazza San Babila che aspettavo l'autobus O, oggi è
la 61. Si vedeva un assembramento molto vasto in corso Venezia, dava
l'idea di qualcosa di ordinato, dovevano essere dei poliziotti.
Poi alla fermata dell'autobus hanno
cominciato a circolare delle voci: hanno ammazzato uno,
sembra che...hanno ammazzato Calabresi. In quel momento è
arrivato l'autobus: sono salita per forza d'inerzia perché mi
sentivo svenire, devo essere diventata così pallida che le
persone che erano già a bordo mi hanno guardata incuriosite.
Sono andata in Istituto ma non me la sentivo di rimanere, volevo
sapere, finché uno dei colleghi mi ha detto: "Hai sentito
la radio? Hanno ammazzato Calabresi". Poi hanno cominciato a telefonare in
Istituto i giornalisti.
Piero – Non ti sei sentita in
un certo senso vendicata?
Licia – Io mi sono sentita
derubata. Perché a quel punto ho avuto la sensazione
che il processo era finito. Ma questo in un secondo tempo, quando è
venuta fuori la mia parte razionale. Sul momento è stato
l'orrore di questa uccisione e poi la paura. Ho avuto paura, ero
stravolta, io e le figlie.
Piero – Paura di che cosa?
Licia – Una paura irrazionale,
non ci volevo credere, non volevo saperlo. Non volevo
affrontare questa nuova cosa. E poi sono ricominciate le telefonate
anonime, e anche qualche lettera anonima,
meno che dopo la morte di Pino, ma con gli stessi insulti. Delle
telefonate ci siamo liberate subito, con cattiveria. Telefonavano
insolenze, oppure dicevano: "Visto che cosa è successo? è
colpa sua...". Allora li mandavo all'inferno, secondo l'impulso
del momento, ma sempre aggressivamente, velenosa, una
seconda volta non telefonavano più. E poi sono
arrivate lettere, cartoline, non so dirti cosa c'era
scritto perché se non sono firmate non le leggo. E le voci: mia suocera era dal
parrucchiere e sente una signora che dice: "Hanno ammazzato
Calabresi e sembra che la vedova Pinelli guidasse la macchina!".
Pensare che proprio quel giorno, 17 maggio 1972, doveva esserci a
Palazzo Reale la presentazione del quadro di Baj, Pino che precipita
dalla finestra della questura...
Piero – Pino ti aveva detto di
aver conosciuto Calabresi?
Licia – Una volta me ne aveva
parlato, diceva:" C'è un giovane alla questura, mi sembra
intelligente...", ma solo così.
Piero – E delle minacce che
gli avevano fatto Calabresi e Allegra?
Licia – Non mi pare che
l'abbia detto a me, sicuramente ai suoi amici. Ma posso sbagliarmi,
comunque ricordo la frase che gli fu detta:" Noi possiamo
metterti dentro anche se attraversi la strada col rosso".
Piero – Era stato fermato
qualche volta?
Licia – Che sappia io no, una
volta ha avuto un processo in pretura per una manifestazione alla
quale non c'era perché era in servizio, e basta...fermato no,
a meno che non lo invitassero cortesemente come l'ultima volta.
Comunque da casa non è mai mancato.
Piero – È
stato durante questi cortesi inviti che è nata quella specie
di amicizia tra Pino e Calabresi?
Licia – Era stato Calabresi,
si vede che voleva stabilire un rapporto, aveva regalato a Pino Mille
Milioni di uomini di Enrico Emanuelli. Chissà dove
è finito, volevamo restituirlo, ma poi non so che fine abbia
fatto. La vedova di Emanuelli mi ha mandato altri due libri,
dicendomi che suo marito era antifascista e non era dalla parte del
potere, con una bella lettera. Forse aveva vissuto il fatto di quel
regalo come un insulto, non lo so. Ma tutto questo dopo. Allora Pino
aveva ricambiato Calabresi con una copia dell'Antologia di
Spoon River.
Piero – Non ti era sembrato un
gesto un po' strano questo regalo a un poliziotto?
Licia – Forse perché lo
considerava una persona intelligente, cosa vuoi che ti dica. Per
elevargli la cultura. Se parli con una persona ti viene da dire: io
sto leggendo questo, tu non lo conosci, te lo faccio conoscere.
Perché ogni tanto Pino riprendeva in mano Spoon River e
se lo rileggeva.
Lo indica in uno scaffale sopra la sua
testa, tra alcune guide turistiche. Subito sotto c'è la riga
grigia dei romanzi di un club per lettori e più sotto la
collezione rilegata di "Crimen" anni '40 e '50. In uno
scaffale alto, irraggiungibile, riconosco La strage di
stato, Le bombe di Milano, Pinelli, Il
silenzio di stato e le altre letture di quegli anni. Spoon River invece è lì a
portata di mano.
Piero – Ha proprio attraversato tutta la
vostra vita, vero?
Licia – Sempre, sempre. Pensa,
la prima volta me lo hanno regalato che avevo quindici anni, e man
mano che me ne regalavano una copia io regalavo quella vecchia. Ora
la copia che ho me l'ha regalata una mia amica d'infanzia: lei ha
voluto la mia che era in italiano e me ne ha data una con il testo
inglese a fronte.
Piero – Allora sei tu che
l'hai fatto conoscere a Pino?
Licia – Sì, quando
eravamo ancora fidanzati, poi non se n'è più separato.
Rileggeva qualche poesia e ci faceva i suoi commenti su dei
bigliettini, ormai per ogni pagina c'erano bigliettini, segnetti: due
puntini volevano dire una cosa, tre puntini un'altra cosa. In
definitiva anche se lo leggi tutto non è che lo esaurisci, c'è
dentro la storia di un paese e ogni volta può rispondere a una
tua domanda: un libro di poesie serve a questo.
Piero – Ti chiedevo se non ti
era sembrato strano quel regalo, perché in quegli anni non
usava trattare con i poliziotti.
Licia – La differenza tra me e
Pino era questa: per me il poliziotto era il diverso che non volevo
neppure mettesse un piede a casa mia, e per lui invece era un uomo.
Io sono sempre stata così mentre lui è sempre stato
all'altro modo. Cioè lui dava a tutti la possibilità di
esprimersi perché in tutti vedeva del buono.
Piero – Arrivava a
fidarsi?
Licia – Non credo. Era pieno
di entusiasmi ma non era uno sprovveduto.
Piero – E di Calabresi può
essersi fidato?
Licia – Diceva:" È
giovane, è intelligente, ci si può parlare", per
quel poco che ricordo, "ma è sempre un
poliziotto".
Piero – La vedova di Calabresi
l'hai mai sentita?
Licia – Mai, né sentita
né vista.
Piero – Non ti è mai
venuto in mente di andarla a trovare?
Licia – Perché? Il mio
è un mondo e il loro un altro. Non siamo sullo stesso pianeta.
Piero - Questa morte non ha creato
un legame tra voi? Queste due morti...
Licia – Per quale motivo? Non
è che la morte dell'uno risarcisca quella dell'altro. Per
quale motivo un legame?
Piero – Ti sei sentita in
qualche modo responsabile?
Licia – No, assolutamente. Io
ho denunciato delle persone alla magistratura, non ho
pensato né a faide né alla legge del taglione. Ho
seguito le vie legali. Io mi sono sentita defraudata, io non volevo
che morisse, volevo che il processo continuasse e venisse
a galla la verità, invece con quella morte il
processo sarebbe finito così, e qualsiasi altra
cosa sarebbe finita. È
molto difficile da esprimere: io parlo di giustizia e si intende
sempre la giustizia del tribunale. Benissimo, la vuoi ottenere anche
dai tribunali, perché sono la dimostrazione del potere, e se
riesci è una vittoria. Ma non basta, la questione della
giustizia per me è una cosa più ampia: una persona che
uccide deve essere allontanata dalla società, ma non messa in
galera o giustiziata. L'ostracismo degli amici, dei parenti, dei
conoscenti è una punizione sufficiente. Capisci ora cosa
intendo per giustizia, una cosa molto elementare.
Piero – In questo senso avere
giustizia è che tutti sappiano la verità.
Licia – Sì, avere
giustizia è che tutti sappiano la verità. Non il
mettere una persona in prigione, per me le prigioni non dovrebbero
neppure esistere, non è quella la maniera di far capire gli
errori. La prigione non fa capire nulla a nessuno, lo si vede anche
oggi, no? Serve ad abbruttire l'individuo, asservirlo al più
forte, annullare la personalità specialmente dei più
deboli, a umiliare. Angelo della Savia mi diceva che quando entra uno
nuovo tutti si voltano a guardarlo, specie se è molto giovane,
come se una ragazza entrasse in una caserma. Tutto questo non c'entra
con la giustizia. Sarà utopia. Io davo dell'utopico a Pino,
sono forse più utopica di lui. Per questo concetto di
giustizia. Sai, non è che tu ti rivolti
solo per amore. Se ami molto, se è solo amore, rimani
schiacciato dal dolore. Reagisci se cercano di calpestarti,
umiliarti, renderti zero, reagisci per una questione di giustizia,
non reagisci solo per amore. Io mi sono sposata a ventisette anni.
Ci siamo sposati tutti e due a ventisette anni e quando mi dicevano:
"Ma come mai tu non ti sposi?" rispondevo: "Sai,
veramente io vorrei trovare uno che sia un amante, un compagno, un
amico". Mi dicevano: "Non lo troverai mai". Poi quando
l'ho trovato, dopo quattordici anni finisce tutto cosi.
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