Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 126
marzo 1985


Rivista Anarchica Online

La crociata dei saracini
di Monica Giorgi

Perché il fatto non costituisce reato. Questa la motivazione con cui è stato assolto Popi Saracino (una nostra vecchia conoscenza: nel '68 & dintorni era dei capi dei Katanga, la "polizia" stalinista della Statale). Dunque, non per insufficienza di prove o per non aver commesso il fatto. Ma perché mettere le mani (e non solo quelle) addosso ad una ragazza "che non vuole" (anche se si dà per scontato che sarà consenziente a tutto, avendo accettato di bere il caffè in casa del suo prof.) è O.K. per la morale di regime.
Facciamo un salto indietro di oltre mezzo secolo. Nelle paludi pontine una ragazzina viene assalita dal violento di turno. Prima pare che ci stia, poi resiste, si oppone, riesce a respingere l'assalto del maschio. Il quale, non potendola penetrare altrimenti, le sfonda il ventre con un punteruolo. La undicenne Maria Goretti muore poco dopo all'ospedale. Vergine e martire per difendere la sua purezza: per la retorica cattolica, una manna. Programmi fascisti ed esigenze clericali, saldati dal Concordato del '29, danno poi lo spunto decisivo all'operazione promozionale della Chiesa, che santifica la Goretti nel 1950.
Un libro uscito in queste settimane mette, però, in discussione la versione ufficiale, ecclesiastica, dei fatti: fin qui niente da ridire. Al di là del business, artatamente costruito da quei marpioni dell'editoria, ci ha colpito questa volta la squallida "crociata laica per ristabilire la verità storica". In poche parole, si sostiene che non poté essere santità il suo rifiuto dello stupro, ma solo ignoranza di una undicenne analfabeta, rachitica, brutta... Ecco il tuttologo Del Buono compiangere non la vittima, ma lui, l'assassino, riscoperto impotente (e perciò giustificato) dall'esegesi laica. La cultura del fallo alla riscossa. Anche il laicismo (calpestato quotidianamente dai mille clericalismi) torna alla luce e viene utilizzato in difesa del potere e dei suoi valori.

Lo spirito millenario, le sue capacità di riprodursi e proporsi in varie forme adeguate ai tempi, è un'eredità della chiesa cattolica che, meglio di ogni altro potere costituito, ha saputo improntare la cultura ai suoi valori. Cosicché, anche la più laica delle tradizioni resta avvinta alla religiosità e alla mitizzazione delle produzioni intellettuali.
La stessa ambigua metamorfosi si ritrova, oggi, nel senso di quell'accesissimo dibattito, scaturito intorno all'agiografia e alla riproposizione storica delle figure di santi e sante. Si ricordano i saggi della Ida Magli su Teresa d'Avila, Gesù di Nazareth, quello recentissimo di Giordano Bruno Guerri su Maria Goretti e l'importante ricerca sulla dissolutezza della Monaca di Monza ad opera di Giuseppe Farinelli.
Prime pagine di giornali, servizi speciali, tavole rotonde. La monopolizzazione dell'attenzione pubblica risolve, così, una duplice esigenza del sistema: quella ideologica in senso stretto e quella commerciale-consumistica. Si potrà obiettare che qualsiasi iniziativa è soggetta a questo genere di mistificazione e che i produttori non possono certo sottrarsi a questo meccanismo; né tanto meno è loro compito ovviarlo. L'imperterrita maniera di aggirare i problemi, nascondendo la faccia sottoterra e mantenendo ben sciolte le gambe per proseguire il cammino! L'antico percorso tracciato dal potere che annulla la coscienza dell'individuo, alleggerito da ogni responsabilità attiva. Il medesimo discorso sta a monte della tanto sbandierata neutralità della scienza. Chi più chi meno, siamo tutti un po' scienziati e un po' imbecilli.
Non trovare (e non cercare neppure) altri spazi dove confrontarsi e suscitare critica, significa, di fatto, tralasciare e perdere la possibilità della ragione e del confronto, che esigono anche un minimo di coraggio. E se qualche rara volta certi spazi vengono proposti, lo scienziato e l'imbecille li rifiutano, perché "scientificamente" non è da imbecilli dare una spallata alle idee rivoluzionarie, in nome di un prosaico e machiavellico successo culturale a base di soldi. Ma torniamo all'argomento iniziale.
Alla dialettica hegeliana, con le sue ottimistiche venature di razionalismo e di idealismo, sembra - al momento - sostituirsi la prassi storica del sistema vichiano. Corsi e ricorsi individuano meglio il rumoroso, ma fittizio, cambiamento che ritorna sui suoi passi, secondo la navigata realtà cattolico-napoletana a cui lo storico italiano è riconducibile. Il processo di santificazione cede il passo al feticcio laico della merce, del successo, dello spettacolo, salvo poi ritornare nella veste nuda e cruda di morale del sospetto, repressione, pentitismo da confessionale. Etiche sempre praticate da chiesa e stato, in un equilibrato scambio di ruoli e in una vicendevole gestione di funzioni. Le analisi, quando sono troppo generali, finiscono per diventare vuote. Tanto più che questi processi si nutrono di concretezze. Il materialissimo rapporto individuo-istituzione si esprime come un rapporto di aggressione di questa nei confronti di quello. L'anello debole della catena forte è rappresentato e vissuto dalla donna.
Senza volerla sottoporre a giudizi di valore, che costituiscono proprio la categoria strutturale su cui poggiano la santificazione e/o la demonizzazione della sua persona, è la donna - soprattutto - ad aver subito ed a subire la violenza devitalizzante della cultura del dominio e delle sue aggiornate manipolazioni. È
ancora lei lo spazio fisico dove le forze clericali, le forze laiche, tradizionaliste e progressiste si contendono la gestione del potere.
Martirio, bruttezza, verginità, bellezza, passione, difesa, cedimento, i temi dell'immaginario (concreto) culturale in cui si svolge l'esistenza sociale della donna e in cui si articola il dibattito dei dotti sulla vera o presunta santità di Maria Goretti; e sulla colpevolezza o innocenza del professor Saracino. Tribunali e condanne generano terrore e non, certo, ragionevolezza e coscienza. Ma è pur tuttavia sintomatico che, nel breve spazio di due anni, la stessa violenza, subita da una donna, sia considerata, di volta in volta, illecita, non troppo ortodossa, ed infine legittima. Leggi scritte sui codici e leggi incise nella mentalità funzionano sempre e comunque contro la dignità e la libertà della persona. Nell'ottica del potere rispettare i diritti dell'individuo e della persona è sinonimo di disgregazione sociale. Riconoscere ad ogni atto, perpetrato contro la volontà altrui, il carattere della violenza significa abdicare all'interesse e allo scopo istituzionale degli stati. È a loro più funzionale considerarli offensivi della morale, piuttosto che catalogare i reati di stupro tra quelli contro la persona. Battaglie parlamentari che sanciscono senza risolvere.
Basta leggere i giornali per capire che gli specialisti della politica, della sociologia, della storia, del diritto (gli Alberoni, i Del Buono, i Messori, i Guerri...) quando non sono gendarmi, fungono da sciacalli del giorno dopo. Alle morti, alle vessazioni, agli sfruttamenti del presente rispondono con la parola carismatica dell'addetto ai lavori, che soffoca l'oggi rifacendosi al passato. Perché fa parte della malafede se l'uno non è pensato come motivo per respingere l'ingiustizia dell'altro.
Ed infine fra tutta questa kermesse di fermento culturale e stagnazione sociale, resta in bocca l'amaro di una sottile coincidenza. È quasi una considerazione provocatoria ed irriverente far notare l'accostamento fra potere (con il suo rovescio di impotenza fallica) ed assassinio. Lo spettacolo della cultura ci propone Eros e Tanatos come fatalisticamente inscindibili. Tirar fuori lo scheletro dall'armadio infastidisce gli olfatti.
Alessandro Serenelli e i "ragazzi bene" del Circeo, per citare solo due esempi fra i tanti, non si sono fatti troppi scrupoli per i nasi delicati e per i corpi di Maria Goretti e Rosaria Lopez.