Rivista Anarchica Online
Cronache sovversive a cura della Redazione
Chico Fontanive, un amico della libertà che se n'è andato
L'undici agosto è morto, all'età di 79 anni, il compagno Federico Fontanive, Chico per gli amici. Nato a Cencenighe, piccolo paese in provincia di Belluno, il 5 agosto 1905, figlio di muratore ed
egli stesso poi muratore, conosce ben presto la miseria della guerra e la durezza dell'emigrazione. A
17 anni lavora in Francia e nel '27 è in Argentina dove partecipa allo sciopero organizzato dalla
FORA in occasione dell'assassinio di Sacco e Vanzetti. E' proprio in Argentina che, avvicinandosi
al sindacato anarchico ed entrando in rapporto con molti compagni italiani ed argentini, matura le
sue idee anarchiche e comincia a studiare, da autodidatta, alcuni classici dell'anarchismo. Dal '30 al
'36 svolge un'intensa militanza all'interno della FORA nel settore dell'edilizia di Buenos Aires
entrando in contatto e spesso in amicizia con compagni come A. Bianchi, D.A. De Santillan, R.G.
Pacheco ed altri. Dai contatti che la FORA intratteneva con la CNT viene a sapere tutto quello che si stava
preparando in Spagna e, nel Giugno del '36 si imbarca clandestinamente per la Spagna, senza
documenti e con una lettera di credenziali del suo sindacato, per dare il suo contributo alla
rivoluzione spagnola. Il 18 luglio si trova a Barcellona e, impadronitosi con altri compagni di fucili
e munizioni, partecipa ai primi scontri per le strade della città. A Barcellona conosce Berneri e
Rosselli e, con altri compagni italiani arrivati nel frattempo, va alla caserma Bakunin e si arruola
volontario nella colonna Rosselli aderente alla colonna Ascaso che si mette in marcia verso il fronte
di Huesca dove prende posizione a ridosso del cosiddetto «monte pelato». Lì, nei combattimenti di
agosto vengono feriti e muoiono alcuni suoi cari compagni ed amici. Nell'ottobre del '36 lascia il fronte per raggiungere la madre gravemente ammalata che non vedeva
da tanto tempo, ma alla frontiera italiana viene fermato dalla polizia fascista e, portato a Roma,
viene condannato a cinque anni di confino, in quanto «anarchico pericoloso», che sconta alle
Tremiti e in parte in provincia di Potenza. Liberato alla fine del '41, dopo altre disavventure riesce a
raggiungere il paese d'origine. Nel '53 è di nuovo emigrato, questa volta a Zurigo, e solo alla fine degli anni cinquanta riesce a
stabilirsi definitivamente a Cencenighe. In questo periodo prende contatto con il movimento
anarchico italiano, aderisce alla FAI, partecipa ai vari congressi e sostiene finanziariamente la
stampa di movimento. Ancora negli ultimi mesi, prima dell'aggravarsi della sua malattia, leggeva
accuratamente Umanità Nova e «A» rivista anarchica discutendo con noi degli articoli che lo
avevano interessato. Noi, che lo abbiamo conosciuto ed abbiamo avuto la fortuna di diventare suoi amici, ricordiamo
con commozione la freschezza e l'entusiasmo con cui ci parlava della sua concezione di società
anarchica, la serenità, velata a volte di sottile ironia, con cui raccontava la sua vita avventurosa e i
momenti straordinari che aveva intensamente vissuto in coerenza con il suo indomito spirito
libertario, l'amore con cui ci parlava della sua famiglia, il rispetto e la stima di cui godeva nella sua
comunità per l'onestà e la rigorosa dirittura morale che lo contraddistingueva. Al Chico anarchico, volontario della libertà ed amico sincero, vada il saluto dei compagni di
Belluno, assieme al rammarico per non averlo potuto accompagnare nel suo ultimo viaggio.
Silvio Cicolani
Rebibbia - Cuneo / Sciopero della fame per annullare una sentenza
Il 5 settembre hanno iniziato uno sciopero della fame totale tre detenuti anarchici: Vito Messana,
Sandro Meloni e Angelo Monaco (i primi due a Rebibbia, il terzo a Cuneo). In un documento fatto
uscire dal carcere nell'imminenza dell'inizio della loro protesta, i tre chiedono «l'annullamento della
sentenza della Corte d'Assise di Livorno (confermata dalla Corte d'assise d'appello di Firenze) con
cui nel guigno 1980 furono condannati a pene varianti fra i 10 e i 21 anni di reclusione per tentato
sequestro, tentato omicidio e detenzione di armi». Il riferimento è al tentato sequestro del figlio del
petroliere livornese Neri, avvenuto nel '77, nel corso del quale fu sparato anche un colpo contro
alcuni vigili urbani (di qui l'accusa di tentato omicidio). Per questo stesso fatto (oltre che per altri
minori) Monica Giorgi fu prima condannata dalla Corte d'assise di Livorno, poi assolta dalla Corte
d'assise d'appello di Firenze ed ora (dopo la sentenza della Cassazione che ha annullato la sentenza
di Firenze) dovrà essere di nuovo processata a Perugia. «Il 5 ottobre 1984 - si legge sempre nel citato documento dei tre detenuti - la Corte di cassazione
dovrà decidere se annullare o confermare questa sentenza, particolarmente aberrante sia nei
contenuti giuridici, sia nell'iter processuale seguito per emetterla. Sullo stesso episodio esiste
un'altra sentenza della Corte d'assise di Livorno a carico di un altro coimputato, Pasquale Valitutti,
con la quale viene radicalmente ridimensionata la valutazione giuridica del fatto e, di conseguenza,
drasticamente ridimensionata la pena inflitta. Mentre nel 1980 un colpo di pistola partito
accidentalmente fu ritenuto tentato omicidio, nel 1981 lo stesso colpo di pistoia fu ritenuto lesione
colposa. La differenza si spiega solo con il clima emergenziale e isterico nel quale furono giudicati
i compagni che oggi attuano lo sciopero della fame (peraltro già condannati con sentenza definitiva
per costituzione di banda armata e reati connessi a pene superiori a 10 anni), con la violazione
sistematica dei diritti della difesa, con la violazione del principio del giudice naturale, con la
scorporazione e separazione arbitraria dei procedimenti e con la volontà di penalizzare a dismisura
l'atteggiamento di non collaborazione o l'asserzione di innocenza degli imputati. In ogni caso - continua il documento - si dà una situazione di due sentenze contrastanti che richiede
il riesame meditato e sereno dei fatti, con un annullamento della sentenza e il rinvio del processo ai
giudici di merito, con la riapertura del dibattito e l'ascolto di testimoni che non furono ascoltati nel
corso del precedente processo ( ... )».
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