Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 122
ottobre 1984


Rivista Anarchica Online

Buone notizie dal «mondo nuovo»
di John Clark

Secondo un recente sondaggio internazionale effettuato dalla Gallup, la cospicua perdita di libertà nel mondo contemporaneo è vista con soddisfazione da gran parte della gente. Il mondo «profetizzato» da George Orwell non è poi, forse, così distante dalla realtà che stiamo vivendo: è questa la tesi di fondo del saggio di John Clark (anarchico americano, docente all'Università di New Orleans) che pubblichiamo in queste pagine. Analizzando alcuni aspetti della società consumistica USA, Clark passa in rassegna analogie e differenze tra l'Oceania orwelliana e l'America reaganiana.

Nel mondo occidentale sono in pochi a credere che le «drammatiche profezie» del libro di Orwell si siano «tradotte in realtà»; al contrario, è opinione comune che la maggior parte di esse non si sia avverata. Lo testimoniano i risultati di un sondaggio Gallup condotto in sei paesi e pubblicato nel febbraio del 1984. I più categorici sono i tedeschi e gli svizzeri, secondo i quali le condizioni descritte da Orwell sono pressoché inesistenti nel mondo attuale. Gli americani, i canadesi e gli inglesi, invece, sono propensi a riconoscerne qualcuna in più. I brasiliani percepiscono qualche segno dell'esistenza di uno stato autoritario, e la cosa non ci stupisce. Tuttavia, neppure loro sono concordi nel giudicare la gravità del fenomeno. In tutti i paesi oggetto dell'indagine gli intervistati hanno manifestato preoccupazioni soprattutto per il fatto che i funzionari del governo nuotano nel lusso a spese della collettività, e per il fatto che i controlli esercitati dalle autorità minacciano la privacy dei cittadini - ma di qui a credere che l'incubo totalitario si sia avverato, o che sia imminente, ce ne corre.
I quesiti più interessanti posti dagli intervistatori riguardavano il riconoscimento di situazioni palesi e universalmente presenti. Soltanto il 40% degli americani, il 53% dei canadesi e il 57% degli inglesi si sono dichiarati consapevoli del fatto che il governo «diffonde informazioni e statistiche false sulle condizioni dell'economia e sulla qualità della vita». I tedeschi e gli svizzeri che danno prova di un minimo di realismo in questo senso sono ancora meno, rispettivamente il 12 e il 13%. Un'altra domanda significativa chiedeva se «il governo, per garantire maggiormente la sicurezza, induce i cittadini a rinunciare alla libertà». Giacché ogni governo costringe i cittadini a rinunciare alla libertà in cambio della sua «sicurezza», una risposta negativa a questo quesito rivela una notevole cecità ideologica. Eppure, se si eccettua il 35% del Brasile (che è ugualmente una percentuale bassissima), le risposte positive sono state pochissime (dal 6% della Svizzera al 12% del Canada).
A dispetto di tutte le recenti riflessioni sul «1984» e sui suoi pericoli, il responso della pubblica opinione sembra dimostrare che la cospicua perdita di libertà nel mondo contemporaneo è vista con soddisfazione. O almeno questo è ciò che si deduce da una interpretazione letterale delle risposte date dalla gente. Forse l'impossibilità di ottenere una valutazione corretta in senso «orwelliano» dipende dal fatto che i maggiori impedimenti alla libertà non si sono manifestati alla maniera «orwelliana» classica.

«1984» contro 1984
Alcuni sostengono che si è abusato del romanzo di Orwell in senso anticomunista, ma l'accusa è infondata. L'opera si ispira soprattutto allo stalinismo e descrive efficacemente il carattere aberrante dello stato «socialista» totalitario. Ma è inutile cercare di applicare il modello del romanzo anche alle società occidentali, in modo da far assumere ad ogni loro fenomeno un sapore «orwelliano». Naturalmente 1984 (una grande opera letteraria, che contribuisce a illuminare aspetti importanti dell'esistenza umana) ha qualcosa da insegnare all'Occidente, ma l'autore non intendeva in alcun modo ergersi a profeta del destino universale di tutte le società moderne. Il Grande Fratello è un simbolo efficace del potere autoritario, ma non deve essere interpretato come l'immagine della perdita di libertà nel mondo occidentale contemporaneo. Attualmente, infatti, quel mondo è dominato da un altro despota, da un nemico ben più formidabile, che dovrebbe incutere un timore molto maggiore. Nella società dei consumi - la forma più comune di società «avanzata» - abbiamo un Fratello assai più amabile del personaggio di Orwell: il bene di consumo, appunto, che è il più potente di tutti i tiranni (perché ce ne sono anche altri, nel regime oligarchico in cui viviamo). In 1984 l'eccitazione frenetica dei rituali politici orgiastici poteva indurre la gente ad amare il Grande Fratello, e nei casi più difficili si ricorreva alla tortura. Nel 1984 (quello vero) il nostro Fratello non ha difficoltà a farsi amare: è sempre con noi, come ubiquo oggetto del desiderio.

Progresso tecnologico e non-libertà
L'importanza che 1984 ha oggi si può riassumere in una parola, anzi in un simbolo: «$». Chiunque abbia nutrito serio interesse per le implicazioni socio-politiche del romanzo ha studiato per qualche tempo questo problema. Non c'era bisogno di attendere l'evento dell'anno fatidico per sondare i significati profondi dell'opera. Il 99% degli studiosi che spremono le parole di Orwell come limoni per ricavarne fino all'ultima goccia il succo profetico non hanno dedicato mai neppure una nota a pie' di pagina al suo capolavoro politico, Omaggio alla Catalogna. Eppure ora il nome di Orwell sarà immortalato in migliaia di recensioni e volgarizzazioni.
Nel mondo «commerciale» lo sfruttamento è ancora più appariscente. Secondo John Hurt, star dell'ultima versione cinematografica di 1984, «ci stiamo avvicinando a ciò che il libro descrive». Le prove a sostegno di questa grave dichiarazione sono evidenti. «Basta guardare», afferma Hurt, «alle zuffe tra Est e Ovest». (N.B.: nel libro le superpotenze sono costantemente in guerra, perciò forse è giusto riassumere la questione sotto la definizione generica di «zuffe»). Poco importa che siamo sopraffatti da questo tour de force di analisi storica, puché si parli di Orwell, di 1984, del Grande Fratello. Come osserva acutamente Hurt, «Orwell è un tema di scottante attualità».
E' inutile dire che anche la pubblicità non si è lasciata sfuggire l'occasione di sfruttare 1984, sia per vendere prodotti, sia per promuovere l'ideologia della libera scelta (perché, come aveva avvertito già nel 1970 Toiller nel suo Future Shock, il problema oggi non è la mancanza della possibilità di scelta, ma piuttosto il suo contrario, cioè la «sovrabbondanza di scelte» indotta dalla società del benessere).
Un succulento esempio dello sfruttamento commerciale di 1984 ci è offerto dalla «United Technologies», la quale ci informa che Orwell si era sbagliato. La tecnologia non ci ha resi schiavi: ci ha liberati. Orwell non aveva preso in considerazione il problema del progresso tecnologico - e in particolare il fatto che gli enormi, costosissimi computer avrebbero ceduto il campo a macchine più piccole e accessibili. Non sapeva nulla del chip, che ha avuto il merito di diffondere il computer a un punto tale da vanificare i timori generati dalla convinzione di Orwell, secondo la quale il potere dei computer sarebbe rimasto nelle mani di una minoranza privilegiata.
I lettori del libro potranno constatare che Orwell non era per nulla consapevole di nutrire una simile convinzione». Infatti, in 1984 le informazioni non erano concentrate nei computer, bensì in «vasti archivi, dove erano conservati i documenti corretti». Tuttavia, poiché tutto l'annuncio è giocato sul suo presunto errore profetico, Orwell non può sottrarsi all'interpretazione che gli viene attribuita. «Il chip elettronico ha messo il potere del computer a disposizione di chiunque voglia estendere la portata e la chiarezza del proprio pensiero».
Questo elogio della macchina tace l'elevato grado di non-libertà che il progresso tecnologico porta con sé: i lavoratori che devono adattarsi al computer, indipendentemente dalle loro «esigenze» e dai loro desideri, e indipendentemente dalla misura in cui la macchina trasforma il loro lavoro in routine; gli studenti che devono imparare ad usare il computer perché così impongono le autorità scolastiche; la scelta non conscia di effetti riduttivi della «portata e della chiarezza del pensiero», indotti dalla tecnologia stessa. Ma il pericolo maggiore, forse, consiste in un annullamento dell'autonomia degli utilizzatori, che vengono incorporati nel sistema come semplici consumatori di informazioni (i creatori di informazioni, infatti, sono un'esigua minoranza). Come il teleschermo di Orwell, il computer non può essere un mezzo di controllo efficace se è monopolizzato da pochi. Il network deve allargare il più possibile la sua rete, per elevare al massimo grado l'integrazione al sistema. «United Technologies» è veramente un nome azzeccato!
Un esempio ancor più macroscopico di sfruttamento della tematica di 1984 è il celeberrimo spot pubblicitario dei computer Apple. Una massa di zombie siede immobile davanti a un teleschermo gigantesco, ipnotizzata dall'immagine dominatrice del Grande Fratello. Improvvisamente una donna attraversa di corsa la sala, brandendo un maglio. Con impeto olimpionico e antiautoritario si esibisce in un lancio spettacolare dell'attrezzo contro lo schermo, che va in frantumi. Lo slogan recita: «Ci siamo liberati del Grande Fratello... computer Apple».
Ma perché «computer Apple»? Se non avete sufficiente immaginazione, ecco la spiegazione. Le «grandi compagnie» come la IBM sono sinonimo di grande potere, di manipolazione e controllo. Apple invece è per l'uomo qualunque, è per «piccolo è bello», è per la libertà individuale. Perciò l'immagine del Grande Fratello e quella dell'individuo che si ribella sono appropriate: rappresentano l'imprenditore piccolo e indipendente contro la grande multinazionale, la tecnologia personalizzata contro le megamacchine totalitarie. E' irrilevante che la contrapposizione tra le compagnie sia veramente una sfida tra Davide e Golia, e che le macchine siano veramente tali da ispirare calore, fiducia e affetto. Quel che conta è che disponiamo di due buone motivazioni simboliche per acquistare un computer Apple.
Altri riferimenti simbolici sono da evitare. La «United Technologies» sostiene che il computer apre nuovi orizzonti alla conoscenza, ma non per questo dobbiamo associare la «mela» (*) al peccato originale, con conseguente cacciata dal Paradiso: un evento causato da un'analoga promessa.
[(*) N.d.t.: non si può rendere efficacemente in traduzione il gioco di parole originale. L'autore scrive «the byte of the Apple», «il morso della mela», usando il termine byte (l'unità di memoria del computer) al posto del sostantivo bite (morso) e il nome della compagnia nel suo significato letterale («mela»).]

A che cosa serve la psicopolizia?
In un certo senso l'Oceania, la società di 1984, è l'esatta antitesi dell'odierna società dei consumi. E' una società caratterizzata dalla scarsità di beni materiali, che mantiene questa condizione non mediante una crescita incessante delle domande e dei desideri, bensì attraverso una limitazione pianificata delle disponibilità. La popolazione è in stato di perenne soggezione perché la necessità di far fronte ai suoi bisogni primari la costringe a una condizione di miserabile dipendenza dallo Stato, e ciò in forza del regime di perpetuo terrore al quale è sottoposta (nel caso del Partito Esterno) o in conseguenza dell'ignoranza e della disorganizzazione (nel caso dei prolet). Con un sistema di condizionamento sociale così rozzo, non sorprende che lo stato debba far ricorso al terrore per mantenere l'ordine tra i membri del partito. E considerata l'infima qualità della vita offerta alla élite di seconda classe, si può legittimamente sospettare che non soltanto il nostro eroe, Winston, ma anche molti dei suoi compagni sognassero di tagliare la gola al Grande Fratello.
L'inettitudine dei governanti è dimostrata chiaramente dall'utilizzazione ingenua del teleschermo, che serve principalmente come mezzo di sorveglianza. La gente che lo osserva è sottoposta a controllo non tanto in virtù dell'ossessivo attaccamento al mezzo, quanto per la paura che sia il mezzo stesso ad osservare incessantemente i suoi spettatori. Il clou della programmazione stagionale è l'«Odio», un miniserial ripetitivo che per qualche minuto riesce a suscitare sentimenti malevoli in questa società altrimenti priva di passioni. A quanto pare, lo stato non ha mai scoperto che i mezzi di comunicazione elettronici possono esercitare un potere di controllo assai maggiore suscitando sentimenti positivi di attaccamento e di dipendenza. Infatti i prolet non sono neppure obbligati a possedere un teleschermo. «Non ne ho mai avuti», spiega il signor Charrington. «Capirete, costano troppo!».
Grande Fratello, hai fatto cilecca! In 1984 i prolet sono insorti. Inferociti da una partita di football andata male, hanno scatenato il putiferio per le strade e hanno massacrato tutti i membri del Partito Interno. Così per un'unica, delirante notte hanno potuto bere vino e non quello schifoso gin della Vittoria.
Nel 1984 il controllo è molto più efficace. Secondo le statistiche del 1983, la famiglia-tipo americana esercita la sua libertà di scelta guardando la televisione per sette ore al giorno. Perché le ore quotidiane di ascolto aumentassero da cinque a sei ci sono voluti 15 anni; per arrivare a 7 ne sono bastati 11. Di questo passo, prima della metà del prossimo secolo toccheremo la soglia delle 24 ore di ascolto ininterrotte, e inevitabilmente altre attività attualmente assai diffuse - quali il lavoro, la spesa quotidiana, ecc. - ne soffriranno.
Le immagini televisive hanno permeato a tal punto la coscienza collettiva, che i personaggi del teleschermo assumono qualità sovrannaturali, paradigmatiche. Una volta si battezzavano i figli con i nomi dei santi, di personaggi storici, dei parenti più cari. Oggi i modelli preferiti sono le star dei telefilm. In tutte le culture, il battesimo dei figli è sempre stato un rito rivelatore, che evidenzia i valori e le aspirazioni maggiormente sentiti dalla società. Evidentemente oggi i genitori desiderano che i loro figli assumano le qualità essenziali di Heather, di Monika (le protagoniste di GeneraI Hospital) e di Tara (la protagonista di All my Children).
Le immagini trasmesse dai media esercitano il loro dominio su tutti gli aspetti dell'esistenza e la cultura consumistica genera una morbosa dialettica della disumanizzazione. Da un lato toglie vita alla cultura organica e alla persona, sostituendovi le immagini prefabbricate di forme di vita elaborate. Come fine delle sue manipolazioni crea una non-persona spettrale, un Untermensch puramente esteriore, un essere definito dall'immagine e dallo «stile di vita». Dall'altro si appropria di questo essere perfetto e lo presenta al consumatore come immagine idealizzata del presente. Gli eroi di questo tipo, creati dai media, si contano a legioni.
Se il modus operandi dei media elettronici mercifica la cultura, il video musicale è forse il genere in cui questo procedimento è giunto al grado più alto di perfezione. Tutti i valori (sociali, politici, morali o spirituali) possono costituire fonte di ispirazione per la creazione di immagini stilizzate e di temi superficiali. Ciò che un tempo avveniva con sofisticazione forse maggiore nella fotografia di moda oggi trova attuazione nei video, che hanno un impatto molto più vasto e profondo sulla coscienza del pubblico.
Recentemente, molti video si sono ispirati al tema della «rivoluzione». La Cina, che offre suggestive panoramiche di bandiere rosse sventolanti e personaggi esotici, è uno dei soggetti preferiti. Ma il vero capolavoro di questo genere è New Moon on Monday dei Duran-Duran, che si svolge in un paese immaginario dall'aria vagamente comunista. Gli interpreti fingono di essere rivoluzionari in lotta contro lo stato autoritario: distribuiscono volantini, portano torce e cantano versi incomprensibili, ma indubbiamente pregni di significati simbolici profondi. Le autorità fanno intervenire l'esercito, ma i militari dall'aria minacciosa vengono intimiditi a tal punto dalla crescita inarrestabile del «movimento», che se la danno a gambe senza ingaggiare battaglia. Gli stessi Duran-Duran sembrano alquanto stupiti per il modo in cui si evolve la vicenda. Ma che cosa importa? La canzone è un successo e per assolvere la sua funzione scenografica non deve essere necessariamente coerente.

La verità abolita
Una delle intuizioni più importanti di Orwell riguarda la disgregazione del concetto di verità oggettiva. Sarebbe stato del tutto naturale raffigurare i leader del Partito Interno come ideologi fanatici, incondizionatamente fedeli alle loro convinzioni e ai loro pregiudizi. Ma Orwell scelse un'altra strada, e ciò gli consentì di presentarceli - in modo assai più convincente - come i rappresentanti del nichilismo moderno (Nietzsche ha osservato che lo stato moderno è una delle forme principali in cui si manifesta storicamente la volontà nichilista di potere). Nei leaders del Partito Interno la decomposizione di tutti gli ideali di verità, di giustizia e di bontà giunge all'estremo. Di conseguenza, «non esiste nulla se non nella mente dell'uomo». Nessuna barriera ostacola più il trionfo della soggettività e l'ego può affermarsi senza limitazioni di ordine morale o metafisico.
L'abolizione della verità oggettiva, intesa come valore oggettivo, è il presupposto basilare non soltanto della società autoritaria, in cui è la forza a stabilire ciò che è giusto, ma anche della società consumistica, in cui l'immagine deve essere sinonimo di ciò che è giusto. Il mondo «oggettivo» è soltanto quello dei «fatti», della «materia bruta», dei processi di produzione e di trasformazione - il mondo della «necessità», come è stato definito da qualcuno. Il significato, il valore risiedono in una sfera completamente diversa, in un mondo relativo e soggettivo. La soggettività è bandita dalla natura, l'oggettività dallo spirito umano.
Ma il concetto di valore oggettivo non scompare del tutto. Continua a esistere in forma alienata, perché la sfera della produzione non include soltanto oggetti materiali, ma anche immagini consumistiche cariche di un valore profondamente validato dall'esperienza. Fintantoché queste immagini assumono il carattere illusorio di una realtà oggettiva ed acquistano supremazia sul soggetto, il concetto di valore oggettivo sopravvive, anche se in forma nebulosa, mistificata. Dunque il feticismo dei beni di consumo consente al tempo stesso la disgregazione dei valori oggettivi autentici e la dominazione di quelli oggettivi, illusori.
Se si fosse costretti a riassumere la società con sumistica in un'unica immagine, la scelta più felice sarebbe quella del prodotto Spam. Nel prodotto Spam si fondono infatti il potere di trasformazione materiale dei processi produttivi e la forza di immaginazione dei consumatori. Spam è il simbolo estremo della trasformazione di sostanze e qualità naturali in una materia artificiale con un'immagine prefabbricata. La sua metamorfosi è stata così radicale e completa che i consumatori hanno difficoltà a ricostruirne le fasi. Nessuno sa che cosa esso sia veramente. E' la cosa che si avvicina di più al concetto generico di «cibo» e potrebbe essere considerato la materia prima dell'intero universo. Come direbbe Talete (che non è un linguaggio di programmazione per computer): «tutto è Spam».

Il mondo di Spam
In realtà, ciò che è stato trasformato nel prodotto Spam non è altro che protoplasma animale. Dunque Spam è ottenuto dalla distruzione di animali vivi, ma ha generato a sua volta un'immagine animale non vivente, quella dell'«animale Spam». L'immagine è stata creata dalla Hormel Company allo scopo di suscitare nei consumatori sentimenti di affetto, che poi possono essere trasferiti sul prodotto. Tuttavia l'idea, apparentemente innocua, non è esente da rischi. «Se insistessimo troppo sull'animale Spam», ha osservato un dirigente della Hormel, «la gente potrebbe temere che lo ammazziamo per metterlo in scatola».
Invece è interessante notare che nessuno si preoccupa del fatto che la Hormel possa uccidere animali veri, reali, per metterli in scatola. Gli animali veri sono beni di consumo con cui la gente ha familiarità, perciò nell'universo consumista non c'è posto per loro (i bambini in città crescono senza rendersi conto che la carne proviene dagli animali, non dalle fabbriche, e non riescono mai ad afferrare completamente la verità).
Nel «libero mercato delle idee» non sentiremo mai annunci pubblicitari con dialoghi di questo tipo: «Mammina, posso ingurgitare un altro pezzo di carne di maiale rigenerata?» «Ma certo, Jason caro, e mandala giù con un bel bicchierone di Cola Chimica!» No, in un mondo simile l'unico timore realistico è che il povero animale Spam immaginario sia riconvertito nel prodotto che l'ha generato (mandato come uno Spam al macello, se così si può dire).
Ma la dialettica della delusione fa brillantemente un altro passo avanti. «Rammentate la 'Pet Rock' (*)»? Certo che la rammentiamo, ma in caso contrario sarebbe facile rinfrescarci la memoria, perché nell'universo delle immagini nulla viene mai perduto. In 1984 il passato veniva cancellato. Nel 1984 tutto viene immagazzinato in archivi memorizzati, perché tutto rappresenta un capitale potenziale.
La 'Pet Rock' voleva essere un animaletto domestico senza essere animale. E' istruttivo riassumere gli elementi caratteristici del fenomeno. Primo elemento: l'ironia di una cosa a cui mancano tutte le qualità per essere quello che è. Significato latente: l'inorganicità del mondo in cui viviamo - un amichetto di pietra per gente di plastica. Secondo elemento: l'umorismo che suscita l'idea di trattare un sasso come un animale. Gli spigoli della pietra sono a smussati, un'assurdità addomesticata come oggetto di conversazione. Terzo elemento: l'istinto del gregge, che spinge il bravo consumatore ad acquistare tutto ciò che vede, o di cui si parla. Un ennesimo contributo alla 'spazzatura nazionale lorda'.
[(*) N.d.t.: in inglese, pet è l'animale domestico, la bestiola che ci fa compagnia (il cane, il gatto, il canarino, ecc.). Rock è la pietra; dunque 'pet rock' dovrebbe tradursi con: 'pietruzza domestica', 'sassolino di compagnia' o qualcosa del genere. Ho preferito mantenere il nome originale del prodotto.]

Come si possono riciclare alcuni elementi di questo classico successo a maggior gloria del prodotto Spam? «Inventeremo una gabbia per l'animale Spam!» propone il nostro dirigente, che è un esperto di marketing, un creativo. Naturalmente, la gabbia sarà vuota. La logica è ineccepibile: se l'animale Spam non è nella gabbia, nessuno può pensare che la Hormel lo ammazzi per metterlo in scatola. Così si può dìmostrare tranquillamente la propria fedeltà a Spam (fedeltà al prodotto) esibendo nella propria casa assenza dell'immaginario animale Spam.
Ora, se qualcuno nutrisse qualche perplessità sulla persistenza delle qualità intellettive nel mondo delle immagini, sappia che questa quadruplice negazione (che fa sembrare puerili e ridicole le doppie negazioni degli antichi dialettici) è alla portata di qualsiasi ragazzino del giorno d'oggi. E' vero che nella società dei consumi alcune forme di razionalità si atrofizzano, ma è parimenti vero che altre di sviluppano in modo sorprendente.
Non è un mondo orwelliano, questo! Posto dinanzi alla gabbia inventata per il non-animale, il Neolinguista orwelliano sarebbe rimasto senza parole, o al più avrebbe mormorato: «Ma dov'è l'animale?» Il neo-pensatore di oggi capisce immediatamente che la gabbia non è destinata ad accogliere un animale.

Il sesso tra le rovine
Nella società di Oceania prevale, almeno tra i membri del partito, una concezione produttiva della sessualità e della riproduzione. Il sesso è finalizzato esclusivamente alla perpetuazione della specie, ed è assimilato ai doveri verso lo stato. Il desiderio e il piacere sono condannati come fattori potenzialmente sovversivi dell'inquadramento da cui dipende la sopravvivenza del sistema. La repressione sessuale ha una funzione importante: produce una accumulazione di energie istintive, che possono essere incanalate verso i canali isterici di sfogo dell'autoritarismo politico. Il processo è analogo a quello che Reich descrive nel saggio Psicologia di massa del fascismo. Poiché la repressione ha un carattere politico, l'attività sessuale indotta dal desiderio diventa un atto di ribellione all'autorità dello stato.
Questa teoria della repressione è stata criticata e addirittura contraddetta dagli studi di Marcuse sulla desublimazione repressi va. Se l'espressione sessuale può essere guidata e incanalata nella direzione più favorevole al consumo, il potere sovversivo della sessualità viene completamente annullato. E' quello che è accaduto di fatto nella società contemporanea, in una misura che neppure Marcuse aveva immaginato. Orwell aveva intuito qualcosa del genere, tanto è vero che il controllo sui prolet viene effettuato in parte mediante la pornografia, la prostituzione, ecc. Non è chiaro, però, come operino esattamente questi organismi di controllo. Presumibilmente esercitano una funzione totalmente negativa - assorbono energie istintive che in questo caso non vengono manipolate politicamente. Ma le possibilità di utilizzare gli istinti per meglio integrare la popolazione nel sistema di potere non vengono esplorate.
Per contro, nella società dei consumi si sfrutta ogni risorsa possibile per l'accumulazione del capitale. Gli uomini d'affari possono pagare le prostitute con le carte di credito, il prezzo dei servizi specializzati in messaggi sessuali telefonici viene addebitato automaticamente sul conto degli utenti, le riviste con inserzioni e annunci particolari possono contare su un vasto pubblico di lettori conservatori di ceto medio-basso e le pubblicazioni come Playboy, Penthouse e simili si sono affermate da tempo e costituiscono un ottimo affare.
Anche a livello individuale esistono esigenze che impongono lo sfruttamento della sessualità. Il sex appeal è ormai un tratto essenziale della personalità della persona di successo; è una componente basilare della sua «immagine», dello «stile di vita». Nel mondo consumistico l'«io» diviene un bene di consumo, e il corpo è un capitale prezioso. L'accumulazione dei sex appeal richiede cospicui investimenti: bisogna frequentare clubs e palestre per tenersi in forma, acquistare attrezzi ginnici e i manuali di ginnastica di Jane Fonda, sottoporsi a interventi di chirurgia estetica, fare uso di cosmetici, praticare sport di vario genere e consultare dietologi. In 1984 Winston si guardava intorno, nei sotterranei del Ministero della Verità, e si stupiva che tutti fossero così brutti. Nel 1984 la società dei consumi impone a tutti di essere belli. Per dare una buona immagine di sé, bisogna avere il «fisico» giusto - cioè bisogna che i polpacci, i bicipiti, le cosce, la vita, ecc. abbiano le giuste misure e le giuste proporzioni. Il consumatore con il fisico a posto può trarre vantaggio dall'acquisto degli speciali «cerotti evidenziatori» («tre per soli 99 centesimi!»), che non servono a coprire tagli e graffi, ma ad attirare maggiormente l'attenzione del prossimo sulle parti del corpo meglio sviluppate. Gli organismi politici (*) saranno in crisi, ma l'economia del corpo è quanto mai fiorente!
[(*) N.d.t.: nell'originale, il gioco di parole è tra body politic, lo stato inteso come insieme del 'corpo politico', e body economic, neologismo coniato per analogia dall'autore, che si riferisce alle attività economiche (commerciali) che hanno come oggetto il corpo umano.]

Consumismo a oriente
I valori consumìstici, saldamente affermati nei paesi occidentali, si stanno facendo strada anche nel «blocco orientale», favoriti dalla crescita continua della produzione e dalla lenta ma inarrestabile diffusione dell'influenza occidentale. A simboleggiare questa tendenza storica, l'alta moda ha fatto il suo ingresso a Mosca. Recentemente i rappresentanti della élite del capitalismo di stato hanno assistito sorseggiando beatamente cocktails di vodka e cola a una sfilata di figure spettrali non dissimili da quelle che siamo abituati a vedere a New York, a Parigi e a Milano. I gesti meccanici delle modelle erano identici a quelli delle loro colleghe occidentali, ma i temi erano leggermente diversi. A New York si possono ammirare costosissime caricature di contadini equadoriani, ad esempio, oppure di astronauti o addirittura (per colmo d'ironia) di donne sciatte, straccione.
Ai moscoviti hanno propinato una forma di vampirismo culturale «su misura». I pezzi forti della sfilata erano ispirati al tema del socialismo; tuttavia, non v'era traccia del tanto decantato «realismo proletario» e le modelle indossavano abiti eleganti e piuttosto raffinati, ispirati alla Rivoluzione d'Ottobre. Non è un segreto per nessuno che la rivoluzione è morta da tempo in Russia. Tuttavia, un avvenimento del genere rivela un grado sorprendente di disgregazione ideologica e fa presentire un inatteso passo innanzi verso la sostituzione dei valori autoritaristici con valori consumistici.
La Repubblica popolare cinese non ha avuto maggiore fortuna nell'impedire che il bene di consumo, bandito dal regime, tornasse prepotentemente alla ribalta. Come tutti sanno, dopo Mao la Cina ha cercato di introdurre nel sistema socialista le conquiste del progresso tecnologico occidentale. Probabilmente l'«economia al potere» porterà a una rapida mercificazione della cultura. Già adesso lo stato ha cominciato a costruire lussuosi condominii nei pressi di Hong Kong, in modo che i ricchi dirigenti capitalisti possano fare la spola tra la Repubblica popolare e le fabbriche nelle quali sfruttano le masse lavoratrici. Anche se questo apparente crimine contro la morale socialista si può giustificare con le esigenze dello sviluppo, resta pur sempre un altro peccato mortale: le menti dei lavoratori sono guastate dallo spettacolo della «bella gente» che fa una «bella vita».
Un altro fattore destinato a trasformare la Cina è l'invasione dei turisti occidentali. La Repubblica popolare cinese sta investendo massicciamente, ma spesso ingenuamente, nel turismo. Ad esempio, i turisti occidentali possono alloggiare in due tipi di alberghi. Il primo tipo è costituito da una struttura moderna, di nuova costruzione, che potremmo chiamare l'«Hilton per chi va di fretta». E' un albergo in stile occidentale, una specie di grattacielo sormontato - estrema raffinatezza - da un ristorante girevole. I cinesi sono così affascinati da questo tipo di edificio, che a tutte le ore del giorno c'è sempre qualcuno intento a farsi fotografare davanti all'albergo.
All'estremo opposto il turista trova quella che potremmo definire la «Locanda dell'impoverimento». In genere si tratta di una comune riadattata quel tanto che basta per renderla minimamente confortevole ed esotica, invece che opprimente. Qui il turista può giocare a fare il contadino, può abitare in ambienti «casalinghi», può condurre di tanto in tanto i suoi a fare un giro e può addirittura provare a lavorare nelle risaie.
Ma ancora più pericoloso per ciò che resta dell'ideologia socialista è l'interesse crescente che i leaders cinesi nutrono per la pubblicità.
Forse le élites orientali e occidentali hanno trovato un comune terreno d'intesa: la verità è ciò che funziona.

La società malata
In Oceania «c'erano paura, odio e dolore, ma non la dignità dell'emozione, né dispiaceri profondi e complessi». Oggi riscontriamo un'analoga riduzione della complessità dei sentimenti, ai quali però manca anche quella intensità che sopravviveva persino nella distopia di Orwell. Non proviamo più paura, odio e dolore, ma solo preoccupazione, fastidio e malessere. L'esistenza ci sembra un peso non perché la conduciamo secondo un modo oppressivo e ingiusto, ma piuttosto perché il «costo della vita» ci sembra' troppo elevato. La «linea di fondo» è un po' in rosso.
E' strano, ma la vita perde tanto più significato, quanto più si sviluppa e si diffonde uno «stile di vita». Ad esempio, tra i giovani, che rappresentano l'avanguardia della società dei consumi, si riscontra una vera e propria epidemia di suicidi. In soli dieci anni il tasso dei suicidi tra i giovani è aumentato del 50%. Il fenomeno si manifesta in modo impressionante soprattutto nei sobborghi delle grandi città, cioè nei settori più avanzati della società contemporanea. A Dallas, nel Texas, nel giro di un anno si sono uccisi sette giovani. In un sobborgo della California del nord si sono registrati dodici casi. Sembra che uno di questi ragazzi si sia deciso al passo estremo dopo aver saputo che avrebbe dovuto portare per diversi anni un apparecchio per i denti. Evidentemente la morte gli sembrava preferibile all'idea di dare un'immagine imperfetta di sé. Indipendentemente dalla veridicità di questa notizia, è fuor di dubbio che lo sviluppo di una personalità narcisistica abbia provocato una grave crisi. Sono sempre più numerose le persone che non riescono a pianificare, o addirittura a concepire, un futuro per il quale valga la pena di lottare, e restano fossilizzate in un interminabile presente di consumo passivo e non creativo.
La proliferazione di questo tipo di problemi trova riscontro e conferma in una concezione largamente condivisa, secondo la quale la società contemporanea sarebbe una «società terapeutica». C'è del vero, in questo, tant'è che molte istituzioni si sono trasformate di conseguenza. Così, alla prigione come mezzo per attuare una giustizia punitiva, o come strumento pragmatico per «intervenire positivamente» sui «problemi sociali», si stanno sostituendo sempre più spesso forme di «trattamento» terapeutico dei disadattati. Questo è soltanto un aspetto di una tendenza ormai generalizzata.
A mano a mano che la società si disgrega in una moltitudine atomica di consumisti egoisti, ogni singolo elemento della personalità alienata genera schiere di esperti terapeuti, che ci sommergono con manuali, guide, nastri registrati, video, corsi, sedute individuali e di gruppo, ecc ..
Tutto può diventare tecnica. Recentemente, nel corso di una trasmissione televisiva, l'intervistatore ha posto a un «esperto del sonno» la seguente domanda: «Dobbiamo considerare il sonno una funzione naturale, oppure un'abilità, che può essere appresa?». C'è veramente da chiederselo.
In realtà, però, non è vero che tutto sia terapia, e la concezione che abbiamo citato non è esente da pecche. Per quanto capillarmente diffusa, la terapia è soltanto un aspetto del mondo consumistico e produttivo. E' un bene come un altro, che serve a soddisfare i bisogni e i desideri crescenti indotti dalla società dei consumi. Come l'industria medica deve sfruttare fino in fondo ogni organo, ogni tessuto, persino ogni cellula del nostro corpo, così il business terapeutico deve sfruttare i più oscuri recessi della nostra psiche. E nella misura in cui produciamo consumatori alienati, ma al tempo stesso narcisisti e indulgenti verso se stessi, creiamo anche una clientela ideale per questa industria dello sviluppo.

La fine della storia?
L'elemento di maggiore rassomiglianza tra la società di 1984 e la società dei consumi è la volontà di sopprimere la storia. In 1984 «la storia si è fermata. Esiste soltanto un interminabile presente, nel quale il Partito ha sempre ragione». Nel 1984 la storia sta giungendo veramente alla fine. Questo è l'inevitabile destino della società occidentale e di tutto ciò che ricadrà sotto la sua sovranità.
La società occidentale è sempre stata una civiltà storica, fin da quando ha avuto inizio la scolarizzazione della visione escatologica giudaico-cristiana. Il destino dell'umanità - concepito come conversione di tutte le nazioni alla cristianità, come trionfo della civiltà sulla barbarie, come instaurazione del comunismo universale - si è sempre realizzato entro la struttura del tempo storico. Ma oggi l'espansione del capitale al limite estremo ha posto fine a questa tendenza storica.
Il mondo «sviluppato» è ormai concorde nel ritenere che gli obiettivi ultimi dell'umanità (la «linea di fondo») siano la produzione materiale e il consumo. Di conseguenza, le società cosiddette «avanzate» non dispongono di parametri trascendenti o ideali sulla base dei quali formulare giudizi sul movimento storico o quanto meno su forme particolari di vita. Prima o poi finiremo col renderci conto che dietro la maschera del «progresso economico» non c'è altro, se non la perpetuazione incessante del progresso. Stiamo precipitando in una dimensione temporale ciclica a cui manca la componente mitica della temporalità primitiva. Siamo prigionieri di un «presente
interminabile», nel quale il Bene di Consumo, non il Partito, ha sempre ragione.

Ma il bispensiero era meglio
La Neoligua adottata nella società di 1984 aveva lo scopo di ridurre la portata del pensiero mediante un continuo processo di semplificazione ed eliminazione del vocabolario. Oggi la portata del pensiero non viene ridotta, ma in compenso viene indirizzata, incanalata. Il linguaggio si arricchisce continuamente, soprattutto di termini tecnici e legati ai processi di produzione e di consumo. D'altro canto cominciano a scomparire i modi di pensiero e di espressione che non sono più in sintonia con le esigenze della società tecnologica e consumistica. Ad esempio, i mass media e il sistema scolastico cercano di sopprimere le diversità locali e culturali, suscettibili di entrare in conflitto con i valori dominanti. Così si è attuato un processo di omogeneizzazione e di standardizzazione del pensiero e del linguaggio, proprio mentre sia l'uno che l'altro si espandevano e si diversificavano.
Di conseguenza, sono cambiati anche i meccanismi psicologici su cui si fondano le nostre convinzioni. Il bispensiero orwelliano richiedeva una certa disciplina mentale, giacché si trattava di nutrire due opinioni contraddittorie, pur sapendo che l'una era in conflitto con l'altra. Oggi non si trovano più una chiarezza e una determinazione simili, degne di un Tertulliano. La gente accetta i principi ideologici senza essere quasi mai consapevole delle contraddizioni tra i vari articoli di fede, o tra questi e altre aree di esperienza. Non si chiede altro che una vaga, confusa adesione a principi amorfi. D'altra parte, più la «società dell'informazione» ci sommerge di dati sconnessi e non analizzati, minori sono le possibilità che una particolare convinzione o una combinazione di principi e convinzioni diverse costituiscano una minaccia per l'ordine delle cose.

Psicologia dell'autoritarismo
Dopo aver dimostrato che 1984 non descrive la società occidentale contemporanea, mi sento in dovere di spendere qualche parola per sottolineare la profondità e l'importanza dell'opera. Concluderò ricordando l'episodio che considero più efficace e brillante. Verso la fine del libro, O'Brien osserva che è chiaro a tutti come il Partito mantiene se stesso al potere. Più significativo e stimolante è chiedersi perché lo faccia. Pone questa domanda a Winston: «Perché vogliamo il potere?» Winston risponde: «Voi ci governate per il nostro bene... Voi credete che gli uomini non siano capaci di governarsi da sé, e quindi...». La risposta è stupida e la punizione (una scarica elettrica dolorosissima) non si fa attendere.
Come spiega lo stesso O'Brien, «il Partito ricerca il potere esclusivamente per i suoi propri fini». Non gli interessa un potere qualsiasi, vuole il «potere puro». Nella ricerca individuale del potere è insita una contraddizione di fondo, perché l'impresa può soltanto concludersi con un fallimento. Infatti, tutti gli esseri umani s'indeboliscono, muoiono, tornano alla polvere. I loro sforzi, perciò, sono vani. Ma se l'individuo «riesce a fare una completa, totale sottomissione e rinunzia, se riesce a evadere la sua stessa identità, se si può completamente immedesimare nel Partito, in modo da fare che egli sia il Partito, solo allora riesce ad essere onnipotente e immortale». Allora il potere può avere ancora un senso, soprattutto se lo si acquista nella sua forma più vera - un potere non soltanto sulla materia, «ma soprattutto sulla mente».
In questo episodio Orwell ci dà un'analisi acuta della psicologia dell'autoritarismo e, ciò che è più importante, tocca alcuni aspetti dell'umanità contemporanea che hanno valore universale. Anzi, sottolinea alcuni dei tratti essenziali della civiltà stessa. Infatti, la volontà delle élites autoritarie di acquistare un potere che le porti oltre i limiti e oltre la mortalità dell'uomo è una aspirazione che ricalca esattamente la storia della civiltà. Ciò vale anche per la società dei consumi. I beni materiali, che diventano la ragion d'essere della persona in quanto consumatore, non sono soltanto oggetti, ma anche immagini. Il consumatore non acquista soltanto una serie di prodotti, ma anche una serie di immagini-beni, le quali costituiscono un «io» immaginato. La società non nasconde il fatto che per aver successo bisogna essere capaci di «vendersi»; ma questa condizione ha un corollario assai meno esplicito: bisogna anche «acquistarsi». E' una realtà sulla quale si tende a sorvolare, eppure tutti ne sono perfettamente coscienti.
Nella società dei consumi non è necessario esercitare una dominazione autoritaria per avere potere. Basta investire nella realizzazione di una immagine corretta di sé, che poi si può vendere fruttuosamente agli altri. Data l'estrema varietà dei livelli di status che contraddistinguono il sistema tecno-burocratico e date l'estensività e l'ambiguità che caratterizzano la gerarchia esistente tra i beni di consumo, le possibilità di crearsi una immagine credibile oppure di fallire lo scopo sono ugualmente numerose. Tuttavia, la società promette di innalzare al di sopra dell'esistenza terrena - della «quotidianità» - tutti coloro che riescono nell'intento e garantisce loro l'acquisizione di una sorta di Essere idealizzato. Dunque è possibile sfuggire, anche se in modo precario, alla mortalità e alle limitazioni del nostro «io» normale, quotidiano. Tutto ciò è disonesto, ma non più dell'identificazione con lo stato autoritario o con il partito, di cui parla Orwell. In entrambi i casi si rinnega la realtà per cercare un riconoscimento da parte propria e da parte degli altri - per cercare di acquisire «potere sulla mente».

La fine della civiltà
Abbiamo parlato della funzione dominante del consumismo nella società capitalista avanzata contemporanea. Mentre il Grande Fratello se ne sta dietro le quinte, sempre pronto ad applicarci elettrodi, al centro della scena del potere oggi si esibisce l'altro nostro Fratello: quello Economico Formato Gigante, il bene di consumo. Data la grande potenza dei mezzi odierni di controllo ideologico, qualcuno potrebbe pensare che è più difficile sottrarsi a questo Fratello che a quello di Orwell. Ma non è necessariamente così.
Innanzittutto, bisogna riconoscere che di fatto il consumismo ha minato la struttura autoritaria tradizionale della società. Il principio del massimo rendimento, che aveva governato i modi di lavoro della società produttivistica nel suo periodo classico, si è ormai deteriorato, e ciò ci ha procurato una certa libertà. Finora (come ho sottolineato in queste pagine) gli effetti di questa libertà, legati alla dissoluzione del tessuto organico della società, sono stati negativi. Come diceva Janis Joplin, 'libertà' può anche essere «soltanto un'altra parola per dire che non si ha nulla da perdere». (*)
[(*) N.d.t.: com'è noto, Janis Joplin era una cantante rock (è morta nel 1969). Il verso citato è nella canzone Me and Bobby McGee (nell'album Pearl e in The Best of J.J.)]

Eppure, ci sono due momenti nello sviluppo della cultura contemporanea, e la realizzazione di ciascuno di essi è una possibilità storica reale. Da un lato c'è il consumismo ossessivo che abbiamo descritto, l'incessante aspirazione a una soddisfazione elusiva, la distruzione progressiva di tutti i valori esistenti in nome di in sogno indefinibile. Ma in questa direzione si può soltanto andare incontro al fallimento, ad un impoverimento spirituale ancora più insopportabile di quello materiale della prima età industriale. In realtà, la crisi del capitalismo (in tutte le sue forme, privato e di stato) è una crisi dello spirito.
L'impasse del consumismo fa sperare che possa trovare spazio il secondo momento della società dei consumi - il momento utopico sommerso, il cui destino dipende dall'immaginazione radical. Laddove l'immaginazione è riuscita ad affrancarsi dalla schiavitù consumista, ha dato vita a una visione di completezza, di felicità, di soddisfazione, di autorealizzazione e di riconciliazione. Con la dissoluzione della struttura autoritaria della società produttivistica, l'umanità civile può coltivare per la prima volta un sogno di interezza - o, per meglio dire, può lasciare che questo sogno si faccia strada nella sua coscienza.
Il futuro di questa visione è legato alla nostra capacità di riconciliare l'immaginazione con la ragione teorica e pratica. In altre parole, è legato alla nostra capacità di sviluppare una nuova concezione dell'umanità e della natura e di trasformare la società in senso liberatorio. Se riusciremo a fare tutto questo, allora - quando la dialettica della civiltà si sarà esaurita - l'umanità diseredata potrà finalmente risorgere dall'abisso nel quale stava precipitando e, dinanzi al vuoto assoluto, potrà lottare veramente per la pienezza dell'essere.

(traduzione di Michele Buzzi)


Dello stesso autore, sono stati pubblicati in italiano vari saggi.
Sulla nostra rivista:
- Anarchismo ottanta, dalla classe alla cultura («A» 96, nov. '81)
- Bakunin-Marx: alle radici di un contrasto insanabile («A» 102, giu./lug. '82)
- Marxismo e tecnologia («A» 108, mar. '83)
- Anarchismo e crisi mondiale («A» 108, mar. '83)
Sulla rivista «Volontà»:
- Che cos'è l'anarchismo (n. 2/1982, apr./giu. '82)
- Il labirinto del potere e la sala degli specchi (n. 3/1983, lug./set. '83)
- Taoismo ed anarchismo (n. 4/1983, ott./dic. '83)