Rivista Anarchica Online
A chi serve la differenziazione
di Comitato di lotta contro l'emarginazione
Crediamo che l'emarginazione sia la più estesa malattia sociale di questo secolo. Ci riferiamo
all'emarginazione intesa in senso lato: dalla tanto decantata (ad uso strumentale) emarginazione
giovanile e degli anziani, a quella più taciuta e mistificata che si determina nei luoghi di tortura
comunemente definiti dai mass-media «istituti di pena» o «di recupero». Già in passato abbiamo
avuto modo di affermare che esiste una «parte emarginata» e repressa in ogni proletario: è una parte
fondamentale, perché costituisce proprio «l'essere» proletario, come persona completa, con bisogni
reali di socialità, creatività, libera espressione, autodeterminazione. Questa «parte negata», che
rifiuta di assoggettarsi a qualsiasi condizione di sfruttamento, di dominio e determina la ribellione,
non può essere liquidata nemmeno dalla più moderna e scientifica organizzazione sociale. Dopo queste considerazioni sull'emarginazione in generale, vogliamo soffermarci su una
particolare categoria di emarginati: quella degli invalidi, mutilati, ciechi, sordi, muti, spastici,
rachitici, storpi che la propaganda dei mass-media preferisce riunire dietro la più elegante etichetta
di handicappati, per meglio mistificare la brutalità delle condizioni in cui queste persone sono
costrette a sopravvivere. II meccanismo base grazie al quale questa categoria sociale di estrazione
proletaria viene emarginata è quello della diversificazione e cioè la diffusione e imposizione
dell'idea secondo la quale queste persone sono profondamente diverse da tutte le altre. Fino a qualche anno fa questi soggetti venivano assegnati quasi esclusivamente ad istituzioni totali
come i manicomi, i cottolenghi, gli istituti di ricovero per lungodegenti. Da qualche anno, con
l'entrata in crisi e la «chiusura» di questi istituti, costata anni di lotte, va affermandosi la tendenza
di costituire strutture speciali e differenziate che sono in realtà solo il frazionamento dell'istituzione
totale su tutto il territorio urbano. Si creano così dei veri circuiti di vita differenziata, tra cui la scuola (speciale), l'insegnante diverso
(insegnante di sostegno), i laboratori protetti (luoghi di super-sfruttamento del lavoro degli
invalidi), i mezzi di trasporto speciale (vedi articolo sull'STS di Milano), i WC per invalidi, il
diploma di licenza media, gli alloggi, le cabine telefoniche, le buche postali e altre mille strutture
speciali con l'etichetta simbolica «servizio speciale per utente diverso» sono le componenti più
evidenti. Il passaggio dall'istituzione totale all'istituzione «sociale» diffusa, circuito dei servizi
speciali, mantiene costante il livello di isolamento totale (fisico e psicologico) dei soggetti cui è
destinato. Per chiarire meglio questo concetto porteremo alcuni esempi che derivano dalla nostra
esperienza diretta. La scorsa estate notammo che sulla spiaggia di Rimini, oltre ai due consueti gabinetti (WC uomo e
WC donna) ce n'era un altro con scritto «WC invalido». Pensammo divertiti che evidentemente tra
invalidi la promiscuità uomo-donna è un fatto consentito dato che c'era un'unica toilette: ma questo
non era l'essenziale. Incuriositi e ansiosi di visitare il nuovo gabinetto, che chissà quali ultimi
ritrovati tecnici doveva nascondere, ci apprestammo a chiedere la chiavi al bagnino. La richiesta
poggiava sul fatto che tra noi c'era un ragazzo in carrozzina, al quale non potevano negare il diritto
di fare la pipì nel gabinetto per invalidi. Ottenemmo le chiavi. Fummo sorpresi, oltre che delusi, nel
vedere che il nuovo WC per invalido era identico ai vecchi e rozzi WC per «normodotati» in tutto,
tranne che per un particolare: la tazza era posta vicino alla parete frontale alla porta invece che su
quelle frontale al lavandino. Per il resto era tutto perfettamente uguale ai cessi normali, stesso
spazio (1 mq. circa) del tutto insufficiente per entrarci in carrozzina, stesso dislivello rispetto
all'esterno (10 cm circa), stessa altezza del lavandino e così via. Insomma, la vera differenza
consisteva proprio in quel «per invalido», scritto e sottolineato sulla porta. Portiamo un altro esempio, più semplice ma altrettanto significativo: nella città di Milano (ma
probabilmente anche in altre città) al fianco di alcune normali buche postali ne sono state installate
altre, che pur essendo del tutto uguali alle prime, e poste alla stessa altezza, portano il simbolo degli
handicappati (l'uomo in carrozzina) alludendo esplicitamente al loro esser riservate ai soli invalidi. Ciò che da questi due esempi traspare con incontestabile chiarezza è che la funzione di queste,
come di altre strutture speciali, non è quella di favorirne l'uso da parte di quelle persone a cui
pretendono di essere destinate. La loro vera funzione è proprio quella di essere «speciali» al solo
scopo di affermare la diversità di coloro che ne fanno uso. Il messaggio che arriva alla persona
normale che viene a trovarsi di fronte ad una buca diversa (anche se la differenza è fittizia) è
pressapoco questo: «se determinate persone hanno l'esigenza di avere una propria buca postale, una
buca speciale, vuol dire che la differenza tra me e loro è talmente ampia da non consentire punti di
incontro nemmeno per imbucare una lettera». Non essendo in grado di motivare e di spiegarsi
questa ampia pretesa differenza questi si convince della propria ignoranza in proposito, che va ad
alimentare il timore di sbagliare inducendo così la stessa persona a mantenere la dovuta distanza da
queste questioni e dalle strane persone in esse coinvolte. Inoltre la «buona abitudine» imposta dalla morale borghese a non fare domande indiscrete che
potrebbero urtare la sensibilità altrui, stronca qualsiasi interrogativo sul nascere o ancor prima, tutto può essere così facilmente immerso in una atmosfera di misteriosa omertà. Ma questa non è
che una sintesi del più vasto ed articolato ruolo svolto dalle strutture speciali rispetto alla psicologia
sociale: ruolo determinante per il controllo del «comune modo di pensare». E' necessario specificare che non tutte le strutture speciali, come quelle scelte per gli esempi, sono
uguali a quelle normali, che sono di fatto più larghe rispetto a quest'ultime. Oppure di solito le
buche postali per handicappati sono poste ad una altezza inferiore delle altre. Le strutture
considerate nei due esempi precedenti, pur essendo atipiche rispetto alla maggior parte delle
strutture speciali ed essendo materialmente uguali a strutture normali, dimostrano che il progetto da
cui sono suggerite si basa sul concetto che non sempre è necessario creare strutture oggettivamente
diverse: ciò che è indispansabile è che esse siano per diversi e per far questo a volte può bastare
aggiungere un'etichetta. Se la volontà fosse realmente quella di promuovere strutture agibili anche da parte di invalidi non si
spiegherebbe come mai la SIP preferisca sostenere il costo aggiuntivo delle cabine speciali, quando
un unico tipo di cabina (leggermente più larga) potrebbe soddisfare le esigenze di tutti. E così
anche negli altri mille casi dove si preferisce installare strutture speciali al fianco di quelle normali.
Solo raramente, infatti, le esigenze delle varie componenti sociali (anziani, invalidi, bambini,
normodotati, ecc. ecc.) sono tra di loro incompatibili al punto da non poter essere sintetizzate in
un'unica struttura. L'esistenza di strutture e servizi differenziati per anziani, invalidi, donne,
bambini, ecc. ecc., testimonia la volontà di separare la collettività in gruppi di persone tra di loro
incompatibili, definiti per età, caratteristiche psichiche e/o fisiche, condizione sociale, ecc.: il tutto
finalizzato ad un migliore e più capillare controllo degli stessi gruppi. Questo inquadramento e
schematizzazione sociale, inoltre, indebolisce e riduce le capacità di organizzazione e ribellione
collettive, poiché ogni gruppo tende ad essere considerato (o addirittura a considerarsi) un universo
a se stante e come tale cerca in sé e solo in sé gli elementi di organizzazione e di lotta per la propria
liberazione, decretando così fin dall'inizio il fallimento ed il naufragio delle attività in questo senso
intraprese. Abbiamo insomma elementi per credere che esista un filo conduttore tra tutte le strutture speciali a
qualsiasi livello istituite, un sottile e robustissimoi filo che collega subdolamente le moderne
carceri speciali a tecnologia avanzata ai banali e divertenti cessi per invalidi e questi alle altre
sempre più diffuse diaboliche strutture finalizzate alla separazione, segregazione, isolamento di
gruppi sociali. Un filo che tesse con le sue trame un unico e ben definito progetto, attraverso una
pratica sempre più serrata e meglio pianificata di differenziazione, per stabilire da una parte un più
rigido controllo della popolazione «normalizzata» e dall'altra arrivare a disporre totalmente e
incondizionatamente delle sorti degli elementi «devianti», ossia di quei proletari di cui la sola
esistenza al di fuori dei canoni borghesi può costituire un intralcio, un pericolo o una minaccia per
il realizzarsi del progetto padronale. E' necessario tornare su questi discorsi, allargarne i confini, svilupparne i vari aspetti ed evitare,
almeno per ora, di chiudere con indicazioni o parole d'ordine che in linea di principio potrebbero
già essere formulate. Vogliamo invece concludere con quest'ultima considerazione: in un sistema
produttivo industriale basato su una sempre più ampia standardizzazione delle merci, risulta
indispensabile attuare anche la standardizzazione dei produttori di merci. In questo senso il
processo di differenziazione è finalizzato all'allontanamento dal processo produttivo e dalla vita
sociale dei soggetti non inquadrati, che come tali finirebbero per rallentare i ritmi o aumentare i
costi di produzione.
Per saperne di più
Il panorama della pubblicistica in questo settore è molto ampio, anche se perlopiù si tratta di una
miriade di periodici, bollettini e opuscoli prodotti dalle varie associazioni di categoria con il solo
scopo di disinformare chi li legge. Questo tipo di pubblicazioni è lo specchio fedele della logica
opportunistica ed assistenziale di quelle associazioni: è pane per i denti degli eterni specialisti del
settore. Esistono tuttavia anche in questo settore riviste che fanno eccezione alla regola, ben poche
in verità e certo non organi di associazioni. Ecco quelle che ci sembrano più adatte per
documentarsi e sapere che cosa bolle in pentola, anche se non sono il massimo
dell'antiistituzionalità. Gli altri (sottotitolo: «periodico di tutti gli emarginati della società») è una rivista trimestrale che si
trova in alcune librerie ed edicole. Molti sono gli argomenti trattati, compresa la situazione politica
interna ed internazionale. Una delle sue caratteristiche è la presenza su ogni numero di un dibattito
su handicap e sesso, e sul sesso in generale. Ci sono due pagine a disposizione dei lettori per la
pubblicazione delle loro lettere. Vi è dunque una certa disponibilità verso idee insolite: noi vi
abbiamo pubblicato alcuni articoli, grazie allo spazio concessoci. E' interessante il prezzo di mille
lire e l'ultima pagina dedicata alla non-pubblicità. Nei labirinti del silenzio («bollettino per la lotta alle istituzioni totali») esce ogni tanto. Per
riceverlo bisogna richiederlo alla redazione. E' interessante perché, almeno in teoria, tratta degli
istituti dove vengono segregati migliaia di handicappati, comprese le carceri. Ma i documenti che
pubblica sono quasi tutti sui manicomi. Vi si trovano segnalate iniziative ed indirizzi a cui
richiedere materiale utile sull'emarginazione in generale. A.S.P.E. («Agenzia Stampa Problemi Emarginazione») è un'agenzia di informazioni che esce ogni
15 giorni, curata dal Gruppo Abele di Torino. Pubblica notizie sui vari aspetti dell'emarginazione:
droga, psichiatria, giovani, omo- e tran-sessuali, carceri, ecc .. Vi si trovano molte inchieste,
notizie, esperienze, perlopiù di gruppi religiosi. Il carattere dell'agenzia è molto istituzionale e,
sempre con lo stesso carattere, ci sono molte notizie internazionali. Noi abbiamo spedito loro molto
materiale, del quale hanno fatto un vero e proprio «minestrone». Insomma, hanno un loro modo di
scrivere e di leggere: ne viene fuori un bel casino - è proprio il caso di dirlo - della madonna ...
Comitato di Lotta contro l'emarginazione
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Quando l'associazione è un handicap
In Italia ci sono decine e decine di associazioni di portatori di handicap che vanno da quelle
nazionali a quelle locali, da quelle strettamente istituzionali a quelle che si definiscono di base: la
maggior parte è divisa a seconda del tipo di handicap che hanno i loro associati. Queste
associazioni hanno dimostrato in moltissimi casi di avere un grosso peso nelle vicende che
caratterizzano questo settore. Ma come mai sono così potenti? Solitamente hanno molti mezzi, contano sull'appoggio di numerosissime persone che si muovono
nella logica del volontariato, sono garantite da finanziamenti di varia provenienza, contano su forti
contatti con la Chiesa, il mondo politico e col potere nel suo complesso. Sono praticamente uno dei
tanti bracci del potere. Con il loro modo di agire, i loro periodici, i loro convegni, queste strutture svolgono una
propaganda che a nostro giudizio non fa altro che impedire la formazione di idee e di gruppi in
contrapposizione alla logica che diffondono, logica che si concretizza nell'inscenare forme di
assistenza fittizia che hannolo scopo di dimostrare l'efficienza acquisita, tutto questo per garantirsi
il monopolio di questo settore. Inutile dire che questa assistenza fittizia, proprio perché illusoria,
non si preoccupa minimamente di migliorare le condizioni di vita degli handicappati. Dal punto di vista culturale, le associazioni si preoccupano di mantenere ad un buon livello una
certa pace sociale. Così si spiega il tipo di informazione che fanno: un'informazione tesa a
nascondere i veri problemi per risolvere quelli falsi e a tranquillizzare il lettore, incitandolo ad
aspettare perché le istituzioni stanno risolvendo tutti i suoi problemi nel migliore dei modi. Prima
accennavamo al fatto che le associazioni si dividono a seconda del tipo di handicap dei loro
associati, infatti fanno il discorso secondo cui è meglio affrontare i problemi settore per settore. Ci
troviamo dunque di fronte numerose associazioni che tengono ben separate le varie categorie di
handicappati, riuscendo così meglio ad aggregare intorno a sé i diretti interessati e nello stesso
tempo a tenerli lontano da «cattive» analisi e lotte destabilizzanti. Naturalmente le associazioni,
oltre ad avere un'organizzazione verticistica, si sono date anche organizzazioni di coordinamento,
dove i delegati prendono importanti decisioni finalizzate al funzionamento sempre migliore, dal
loro punto di vista, delle associazioni. Insomma, il potere si è ben premunito da qualcosa che
evidentemente scotta.
Comitato di lotta contro l'emarginazione
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Il contributo che il Comitato di lotta contro l'emarginazione porta a questo servizio è il risultato di
circa un anno di discussione e riflessione che avevano lo scopo di approfondire l'analisi sul
problema dell'handicap e dell'emarginazione in generale. Questi articoli hanno alcuni pregi e vari
difetti, ma vogliamo metterne in rilievo alcuni aspetti che riteniamo siano suoi elementi
caratterizzanti e per tanto particolarmente indicativi: 1) non è una nuova ed organica teoria
pronta per l'uso da utilizzarsi come strumento di analisi di vecchi problemi; 2) si limita a riportare
elementi di analisi emersi dal dibattito, spesso frammentario e a volte contraddittorio, sviluppatosi
all'interno del comitato e che lo stesso comitato si propone di approfondire; 3) si fonda e si
sintetizza in un unico concetto articolato in due punti: a) l'handicap non è che uno dei prodotti del
vasto ed esteso attacco alle condizioni di vita degli oppressi, attacco condotto dalla classe
dominante per i propri fini speculativi e che sottoponendo i proletari ad insopportabili condizioni
di sfruttamento ne pregiudica la salu te in modo grave e irreversibile ed in certi casi
particolarmente evidenti; b) il problema dell'handicap, essendo un problema di classe, può essere
affrontato in modo realmente antagonista solo se inserito e collegato alle altre lotte per la
liberazione degli sfruttati. E in modo particolare deve ricongiungersi al dibattito e alle iniziative
dei vari settori del proletariato emarginato. Alcuni concetti di questo servizio, pur se fondamentali,
non sono stati approfonditi sufficientemente, ma riteniamo che siano ugualmente elementi validi
per iniziare la discussione.
Comitato di lotta contro l'emarginazione Circolo culturale «Marginopoli», c/o biblioteca di Affori, viale Affori 21 - 20126 Milano. Collettivo «Il Cuneo», c/o Centro Sociale, via Zuccoli - 20052 Monza
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No ai ghetti mobili
Il 19 luglio 1982 la Società Trasporti Speciali (STS) di Milano, dava notizia della sua costituzione.
Come si può intuire dal nome, questa società si propone di assicurare un servizio di trasporti
«speciali» a coloro che sono esclusi, e non a caso, dal servizio dei trasporti «normali». Questo servizio avviene tramite piccoli furgoni, ovviamente speciali, dotati di scivolo ed altri
marchingegni tecnicamente inefficienti circa i quali evitiamo di fare altre critiche, poiché
l'attenzione va rivolta esclusivamente all'aspetto speciale del servizio. Ma vediamo come è nata la
storia: oltre quattro anni fa il FRI (Fronte Radicale Invalidi) chiedeva l'istituzione «provvisoria» di
un servizio-taxi con quattro corse al giorno (media minima di un cittadino milanese) a parità di
condizioni dell'ATM (Azienda Trasporti Municipalizzati), a favore di coloro cui viene reso
impossibile viaggiare sugli attuali mezzi pubblici. In seguito il Comune di Milano ha posto le
seguenti condizioni discriminatorie: avere un'attività che rientri nella logica istituzionale (lavoro,
terapia, studio) e documentare questa attività. Chi non rientra in queste condizioni non ha diritto al
servizio. I taxi che dovevano servire ad introdurre i mezzi pubblici accessibili hanno invece
reintrodotto la logica della differenziazione (per la verità mai superara). L'STS ne è un chiaro
esempio. Questo nuovo servizio asociale va inteso come l'ennesimo tentativo di estendere lo stato di
emarginazione all'esterno dei ghetti immobili (case, istituti, ecc. ecc.) attraverso l'istituzione dei
ghetti mobili (vedi STS). In altre parole il Comune di Milano ha trovato il modo di unire l'utile
(mantenere lo stato di emarginazione) al dilettevole (dimostrare all'opinione pubblica la sua
efficienza nel risolvere i problemi degli handicappati). Infatti grazie all'informazione distorta la
gente si è fatta un'immagine altrettanto distorta di ciò che questo servizio rappresenta realmente,
cioè un nuovo mezzo per determinare lo stato di emarginazione, creando un servizio «diverso» che
presuppone utenti «diversi». Un mezzo tanto più pericoloso, perché, fornendo una falsa soluzione a un bisogno reale produce
l'illusione del raggiungimento dell'obiettivo e quindi annulla la possibilità di lotta per un servizio
realmente rispondente alle esigenze della collettività. Se pensiamo che in Italia ci sono state delle
proposte o comunque la necessità di un servizio pubblico e non privato e riservato, che c'è la
possibilità tecnica oltre che il vantaggio economico, di soddisfare queste esigenze, pensiamo inoltre
alla risposta del tutto contraria rispetto alla richiesta, risulta chiaro che in questa vera e propria
politica di emarginazione ci sono scopi ben precisi: in primo luogo quello di contribuire a risolvere
il problema dello smaItimento dei soggetti sociali che pur essendo prodotti dal sistema esso non
può far rientrare nei propri progetti salvo che attraverso la loro segregazione e la loro esclusione dal
mondo del lavoro. Presupposti indispensabili per affrontare il problema dell'emarginazione in modo
coerente sono: 1) superare la logica dei servizi o delle strutture differenziati; 2) rendere accessibili a
tutti i mezzi di trasporto pubblico e chiudere l'STS.
Commissione Emarginazione Handicap Circolo Culturale «Marginopoli» - Zona 8 Milano
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