Rivista Anarchica Online
"Ma noi non ce ne andremo"
di Maria Teresa Romiti
Le donne di Greenham Common dopo l'arrivo dei missili
I cruise sono arrivati lunedì 14 novembre. Li abbiamo visti oltre i cancelli. E' una delle prime cose che
mi ha detto Angela, una delle donne del campo della pace di Greenham Common, raggiunta per
telefono. Una telefonata che è stata quasi un'avventura. L'ufficio londinese è, infatti, praticamente
chiuso, le donne sono tutte a Greenham, o comunque ci sono tutte quelle che possono, le più attive. Ho
dovuto passare un paio di altri recapiti telefonici e diversi tentativi prima che da Newbury (il paese
vicino alla base) mi rispondesse Angela. Greenham è tornata prepotentemente alla ribalta in questi giorni. Tutti i giornali ne parlano e non solo
perché i Cruise sono arrivati: ne ha dato l'annuncio soddisfatto il portavoce del governo inglese,
aggiungendo che sono arrivati senza incidenti, ma anche perché a Greenham le donne stanno
continuando a lottare. Quando le avevamo incontrate ad ottobre, ci avevano dato l'impressione di essere
decise, nonostante la dolcezza dei gesti e delle parole. Ma allora il campo era ridotto ad una quarantina
di persone, una presenza più che altro simbolica. Sono passate solo poche settimane e il campo si è riempito ancora, come nei giorni caldi dell'inverno
scorso, quando la marea delle donne di fronte ai cancelli lasciava senza fiato. Le donne sono tornate
da tutte le parti dell'Inghilterra, gli arrivi sostituiscono chi non può più restare. E' difficile dire quante siamo ora, mi dice Angela, siamo tante, ci sono arrivi e partenze tutti i giorni.
Saremo forse cinquecento. In poche settimane il numero delle persone al campo è più che decuplicato. E se oggi il campo della
pace di Greenham è tornato a far parlare di sé sui giornali di mezza Europa, non bisogna dimenticare
che solo alla fine di ottobre non era così. Chissà per quali strani canali, in questa nostra epoca che si
dice dominata dai mass-media, si è sparsa la notizia che bisognava riunirsi a Greenham, che c'era
bisogno, che il tempo stringeva. Comunque, quando i missili sono arrivati le donne si sono trovate lì,
pronte ad aspettarli. Dal 29 ottobre hanno ricominciato a bloccare i cancelli della base, sono tornate ad essere la spina nel
fianco del governo inglese. E' in fondo uno dei più grossi problemi che deve affrontare un governo che
è riuscito a far digerire quasi tutto. Non che il piccolo gruppo di donne sia il solo a protestare, tutt'altro.
A Londra ci sono state due grosse manifestazioni lunedì 14 e martedì 15 novembre, ma la piccola
Greenham fa notizia, riempie sempre le cronache di tutta Europa e soprattutto dimostra che ci può
essere un modo diverso di dire no. E' per questo che fanno paura. Il governo vorrebbe farle sgomberare, come è stato più volte sgomberato il campo: ma non può.
Paradossalmente, è proprio la loro dichiarata nonviolenza a non permettere l'uso della forza. E' vero che il ministro della difesa ha minacciato di usare la violenza (per essere precisi, di sparare
contro chiunque superi i reticolati o i cancelli e si avvicini ai missili), lo richiedono imprescindibili
ragioni di sicurezza: ma poi in realtà non è successo ancora nulla, nessuno ha ancora sparato a
Greenham, anche se la tensione è salita, se di fronte alle donne spesso ci sono i soldati, sia americani
che inglesi, piuttosto che i poliziotti. In effetti il governo sa che una buona parte dell'opinione pubblica è contraria all'installazione dei
Cruise, che ha paura, sa che un uso della forza contro la gente dichiaratamente nonviolenta potrebbe
portare reazioni in larghi strati della popolazione, metterlo in difficoltà. E' una posizione di stallo, in
cui bisogna agire con cautela. Le donne continuano a bloccare i cancelli, il governo fa la voce grossa,
aumentano arresti e tensione, ma poi ci si ferma. Comunque tutto è più difficile; sono lontani i giorni della primavera quando nella base erano entrati
tre serpenti di carta e sui reticolati erano apparse scale, simulando un vecchio gioco («scale e
serpenti»). Quel giorno gli attoniti e quasi divertiti militari si erano trovati gli elmetti decorati con A cerchiate, con simboli pacifisti, erano stati circondati da donne e bambini che cantavano e
giocavano. Oggi tutto questo è solo un ricordo: non è più primavera, c'è il gelo dell'inverno in questa
campagna inglese che sa essere così bella. Ora gli arresti si susseguono tutti i giorni, mi dice Angela:
Solo nell'ultima settimana sono state arrestate duecento donne. Sono già fuori di prigione, ovviamente,
in attesa del processo: dopotutto siamo sempre in Inghilterra e il detenuto in attesa di giudizio è qui
ancora una figura poco comune. Le altre aspettano le compagne di fronte a quei cancelli, ben decise a continuare a non permettere che
si possa dimenticare cosa sta succedendo a Greenham. Ma ha ancora senso fermarsi, lottare quando
ormai i missili sono arrivati, fanno bella mostra di sé negli hangar? Sembra quasi solo ostinazione. No, continueremo. Bloccheremo i cancelli finché sarà necessario - mi dice Angela -. I Cruise dentro
la base non servono a nulla, vanno montati sui camion e devono girare per la campagna: così, al
riparo da eventuali ritorsioni, possono essere armati e sparare. Ebbene noi bloccheremo i cancelli,
impediremo ai Cruise di uscire dalla base. Se non siamo riuscite a bloccarli prima, cercheremo
almeno di impedire che escano. La lotta continua, ci saranno altre manifestazioni, altre azioni davanti alla base. Se il governo sperava
che con l'arrivo dei Cruise la strana avventura di Greenham avrebbe potuto considerarsi conclusa,
dovrà ricredersi. A Greenham le donne stanno parlando, un discorso un po' diverso da quelli ai quali siamo abituati,
senza parole. A Greenham parlano i corpi stesi davanti ai cancelli per bloccare, almeno
metaforicamente, gli strumenti di morte. Parla la forza di continuare, il coraggio di restare, la decisione
di fermare i missili, il desiderio di vivere, la voglia di cambiare. Tutto questo è il lungo discorso che
le donne stanno facendo a loro stesse come ai soldati della base e alla gente in tutto il mondo.
|