Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 114
novembre 1983


Rivista Anarchica Online

Machno e la questione ebraica
di V. Litvinov

C'è una legge sociologica (non scritta) per cui più questo o quel militante è radicale, più i racconti diffusi su di lui dai suoi avversari politici ed ideologici divengono abbondanti, falsi e calunniosi.
Se poi una certa calunnia vien fatta nel quadro di un regime totalitario, o per meglio dire poliziesco, dove gli avversari dei militanti in questione detengono il monopolio di tutti i mezzi e le fonti di informazione e dove, inoltre, le loro calunnie sono uno degli strumenti principali di «lotta ideologica» contro «il nemico di classe», si assiste in questo caso ad una sostituzione inevitabile della storiografia scientifica con una forma falsificata della storia. Quest'ultima si presta difficilmente ad una verifica qualsiasi, per la semplice ragione che i documenti autentici sono praticamente inaccessibili a un gran numero di ricercatori.
E quando, in seguito, gli effetti di questa calunnia si consolidano nella coscienza comune grazie al monopolio dei mass-media, essi vengono ad assumere la funzione di agenti dell'autocensura in uno spirito che soddisfa i rappresentanti dell'élite che detiene il potere. E' evidente che in una tale situazione, ogni analisi socio-storica autenticamente obiettiva e scientifica deve prima di tutto proporsi di stabilire i fatti storici fondamentali, procedendo ad un'ampia critica delle falsificazioni che proliferano a livello della «scienza» storica ufficiale, soprattutto quando questa ha a che fare con dei personaggi e dei processi storici fondamentali, che non quadrano con lo schema ufficialmente stabilito. Una tale epurazione delle falsificazioni «scientifiche» si impone ad ogni costo quando si tratta della storiografia sovietica se vogliamo realmente pervenire all'autenticità dei fatti storici e particolarmente di quelli che concernono la storia delle tendenze rivoluzionarie russe etichettate come «piccolo borghesi».

Calunnia, calunnia qualcosa resterà
Nestor Ivanovic Machno (1889-1934) fu una delle figure più in vista della rivoluzione d'ottobre e della guerra civile nell'Ucraina del sud dal 1917 al 1921. Nell'approssimarsi dell'autunno 1919, l'armata insurrezionale creata e guidata da Machno, che aveva raggiunto il numero di 100.000 uomini, gioca un ruolo decisivo tanto nell'annientamento delle truppe controrivoluzionarie del generale Denikin quanto in quello dell'armata del barone Wrangel un anno più tardi. Poco numerosi sono oggi quelli che conoscono questo fatto, passato sistematicamente sotto silenzio dai nemici politici ed ideologici di Machno. Si tratta della disfatta dell'esercito di Wrangel nell'ottobre 1920 in prossimità della città di Ekaterinoslav (oggi Dnepropetrovsk), d'Alexandrovsk (oggi Zaporozje) e di Melitopol che fu possibile grazie all'esercito insurrezionale di Machno, che permise di bloccare l'offensiva di Wrangel nell'Ucraina del nord.
Un altro fatto viene egualmente passato sotto silenzio, e precisamente la celebre traversata dello stretto di Sivach da parte dell'esercito insurrezionale ucraino per attaccare alle spalle l'armata di Wrangel, così come la presa della capitale della Crimea bianca, Simferopol, il 19 novembre 1920, contemporaneamente alla conquista di Perekop da parte dell'armata rossa (1).
Tuttavia Machno fu non solo un grande capo militare del periodo della guerra civile, ma anche il fondatore e il presidente della prima repubblica anarco-sovietica del mondo, creata in Ucraina del sud e denominata «Repubblica d'Azov e del Mar Nero») (Azovo- Tchernomorskaïa). Per la sua superficie inglobante cinque provincie attuali (Zaporozskaja, Dnepropetrovskaja, Zdanovskaja, Khersonskaja, Nikolaevskaja) e per il numero dei suoi abitanti (circa 15 milioni), questa repubblica era più estesa di gran parte degli stati moderni. L'organizzazione di una società autogestionaria fu l'idea-guida che animava il lavoro politico di Machno e che fece di lui, naturalmente, un oppositore implacabile del totalitarismo imposto in questa regione dal governo comunista d'Ucraina. Ciò spiega la necessità nella repubblica anarco-sovietica di una lotta ideologica, politica e armata, permanente contro gli attacchi degli elementi di «destra» (i generali bianchi) da una parte, e di quelli di «sinistra» (il comando rosso della Repubblica Socialista Sovietica Federativa di Russia e il governo di Ucraina) dall'altra.
Nella misura in cui, in quanto militante anarchico e capo militare, Machno poneva molti problemi ai suoi avversari, non c'è da sorprendersi che, più di qualsiasi altro oppositore del regime totalitario, egli ispirasse e continui ad ispirare dei racconti tendenti a screditare lui ed il movimento che egli dirigeva agli occhi del mondo intero. Machno è stato accusato di ogni tipo di infamia, fra le quali: di essere stato rissoso, di aver sguarnito il fronte davanti a Denikin, d'essere stato agente segreto dell'aristocrazia polacca e di Petliura, d'aver commesso tutti i misfatti possibili e immaginabili. Una circostanza molto particolare ricorre tuttavia in questa letteratura calunniosa prodotta non soltanto nell'URSS, ma anche all'estero da un numero considerevole di storici e di pubblicisti. Penso all'accusa, ampiamente diffusa, mossa a Machno e al suo movimento anarchico e insurrezionale di anti-semitismo, uguale a quello che veniva praticato dall'organizzazione ultra-reazionaria dei «Cento Neri».
Questa accusa, instillata con insistenza nella coscienza delle masse su scala mondiale, ha finito per acquisire la tenacia di un pregiudizio ben radicato. Tuttavia, se penetriamo nel profondo degli avvenimenti di quel passato lontano, diviene chiaro che una tale accusa è infondata e non aveva altro scopo che quello di deviare l'interesse per la personalità di Machno e per il movimento insurrezionale non soltanto da parte degli ebrei dell'URSS e del mondo intero, ma anche dagli uomini onesti che sono estranei ad ogni oscurantismo razziale. Con ogni evidenza, una tale propaganda sembra essere tanto più persuasiva quanto le testimonianze raccolte sullo pseudo-antisemitismo di Machno vengono presentate in terza persona, per lasciar credere che a parlare sono dei rappresentanti neutrali davanti alla lotta tra anarchici e bolscevichi, o anche delle persone che in un momento o in un altro della loro esistenza sono state ostili al bolscevismo. Gli esempi di tali «testimonianze» non mancano!
Qualche anno fa fu pubblicato a Mosca un libro intitolato «Journal Parisien», ricavato dalle annotazioni quotidiane risalenti alla Seconda Guerra Mondiale di un certo Nicolai Iakovlevic Rochtchin, ex-emigrato «bianco». Agli occhi di certi ideologici sovietici, il contenuto di questo diario è apparso cosi prezioso come strumento di propaganda, che la parte dedicata a Machno è stata ripresa dal quotidiano «La voce della patria» (n° 46, novembre 1978), l'organo destinato agli «scambi culturali tra i sovietici e i loro compatrioti residenti all'estero».
Così in questo «Journal», in un passo datato 16 maggio 1943, l'autore rievoca un episodio di dodici anni prima: Ci recammo in taxi all'Hollywood francese, gli studi cinematografici di Joinville in prossimità di Parigi ( .. .). I proiettori si accendevano e si spegnevano. Durante una pausa, ho visto un uomo che andava avanti e indietro per la rampa con un binocolo da teatro intorno al collo e che domandava, in un cattivo francese, «Chi binocolo?». «Sapete chi è?» mi domandò Morskoi dandomi un leggero colpo di gomito. «Un russo, suppongo». «E' Nestor Machno». Fissai lo sguardo sull'ometto magrolino dal viso effemminato. Durante la guerra civile, nella regione del Donetz, ho avuto occasione di vedere un piccolo convoglio di sei vagoni che i bianchi avevano ripreso a Machno. I vagoni erano scarabocchiati di slogans di ogni genere in uno spirito più brigantesco che anarchico, di protesta contro tutti e tutto. Nel punto più in vista, si scorgeva un disegno che rappresentava un ebreo impiccato. Sotto questo disegno, si leggeva: «Ad ogni ebreo tre pud di supplizi!». Sapevo che il proprietario degli studi di Joinville, il direttore, il personale amministrativo e tecnico nella sua maggioranza e Abel Gance stesso erano ebrei. Non ci capivo niente. «Gli ebrei?», si stupì Morskoi. «ci sarebbe da credere che essi provino piacere ad avere tra loro uno degli organizzatori più feroci di pogrom. Lui ci lavora come falegname da anni e, ve l'assicuro, loro ne sono molto contenti». Prima di lasciare lo studio, ho chiesto a Roskoi di mostrarmi Machno più da vicino. L'abbiamo trovato in uno dei lunghi corridoi che conducevano agli alloggiamenti degli artisti. Un piccolo castrato dai capelli biondi ondulati, dalle sopracciglia corrucciate che cadevano su degli occhi piccoli che esprimevano lafollia, stava davanti a me (...).
Questo estratto del diario di N. Rochtchin è emblematico della memorialistica dedicata a Machno. D'altronde, il fatto che un quotidiano sovietico riprenda un testo così caricaturale e calunnioso mostra sino a qual punto la propaganda in URSS sia poco esigente e poco scrupolosa nella scelta dei suoi mezzi. In effetti, dall'inizio alla fine questo stralcio non è che una mera invenzione letteraria che prova come con ogni evidenza Rochtchin non abbia mai visto Machno da vicino. Altrimenti, in primo luogo, egli non avrebbe scritto una storia tanto assurda quanto quella che abbiamo appena citato, e secondariamente, non avrebbe potuto non notare che Machno zoppicava e aveva una profonda cicatrice sulla guancia destra in seguito ad una ferita di pallottola e grandi occhi blu scuro. E per finire, non avrebbe mai potuto qualificarlo «castrato dal viso effeminato». Per convincersene, basta vedere le fotografie di Machno in quell'epoca pubblicate nel secondo e nel terzo volume delle sue memorie o ancora nell'opera di Piotr Archinov intitolata «Storia del movimento machnovista». Per fare il ritratto di Machno, Rochtchin si è verosimilmente ispirato ai «clichés» che si incontrano frequentemente nella memorialistica sovietica e che non hanno nulla a che vedere con la realtà. Si potrebbe dire la stessa cosa degli slogans antisemiti scarabocchiati sui vagoni. Non si tratta di negare l'esistenza di tali slogans, solo che venivano diffusi non dagli uomini di Machno, ma da quelli di Skuro, e Rochtchin che ha militato nell'armata bianca, avrebbe dovuto saperlo.

Ma quale scientificità?
Le calunnie che presentano Machno come organizzatore di pogroms antisemiti in Ucraina del sud sono largamente sfruttate soprattutto nelle cronache degli storici e dei pubblicisti sovietici pubblicate dopo il 1921. Tuttavia, nel corso di questi ultimi anni, comincia ad abbozzarsi una nuova tendenza che, esaminata alla luce del conflitto tra Israele e i Paesi Arabi, si rivela particolarmente interessante e merita la nostra attenzione. Penso al tentativo di stabilire un legame tra il preteso antisemitismo di Machno e il sionismo contemporaneo e di lasciar credere che vi sia uno stretto legame tra l'antisemitismo feroce ed il sionismo, al fine di presentare così l'antisemitismo in Ucraina nella sua essenza come il risultato delle trame e delle macchinazioni del sionismo internazionale. In questa nuova storia diffamatoria, che prova una volta di più la tenacia dei pregiudizi ben consolidati, l'antisemitismo di Machno viene considerato come un fatto che non ha bisogno di essere dimostrato, e che viene tranquillamente utilizzato come punto di partenza di ogni tipo di attacco contro il sionismo e al contempo contro lo Stato d'Israele oggi.
Nel 1975 è stato pubblicato a Dnepropetrovsk un libro di un certo L.V. Gamolsky, scritto in lingua ucraina e intitolato «Il tridente e la stella di David». Risulta da questa nuova «rivelazione» storica che Vsevolod Mikhailovic Volin (Eichenbaum), anarchico di fama mondiale che ha partecipato alla Rivoluzione di Ottobre, ex-presidente della Sezione Culturale ed Educativa del Soviet rivoluzionario dell'esercito insurrezionale ucraino, non è stato in realtà anarco-comunista, ma piuttosto un perfido sionista che, parrebbe, si era arrangiato per guadagnare la fiducia di Machno allo scopo di incitarlo ad organizzare dei pogrom di ebrei e a fare così pendere la popolazione ebraica dell'Ucraina dalla parte del sionismo mondiale. Le idee di Gamolsky hanno trovato naturalmente dei difensori e dei propagandisti. V. Potapov, professore dell'Istituto di Metallurgia di Dnepropetrovsk è uno di loro. Il suo articolo dedicato al libro di Gamolsky, pubblicato nella rivista «Giornalista» (n. 9, 1976) fa l'apologia del «carattere perfettamente documentario di questo scritto», di «questo studio altamente scientifico», di «questo brillante stile di pubblicista» che, tengo a precisare da parte mia, non manca di ricordare lo stile a tesi delle pubblicazioni della famosa «Unione del Popolo Russo». Secondo Potapov, la forza del libro di Gamolsky risiede innanzitutto nel fatto che egli «espone due fenomeni diametralmente opposti, che si direbbe si escludono a vicenda, e precisamente il nazionalismo della borghesia ucraina e il sionismo, e attraverso la logica implacabile dei fatti storici, dimostra, oltre alla loro somiglianza ideologica, la loro natura di classe identica, una essenza contro-rivoluzionaria reazionaria...».
Dopo la lettura di un simile resoconto, una figura si disegna davanti ai vostri occhi, quella del misterioso falsificatore all'atto di redigere un testo del tipo del famoso «Protocollo dei Savi di Sion» che è per di più completamente in accordo con il suo primo principio, cioè: «La politica non ha niente in comune con la morale». In effetti, una tale politica che non ha niente in comune né con la morale, né con la verità, è alla base dell'interpretazione del movimento machnovista e del sionismo contemporaneo che abbiamo evocato.
Non c'è altro modo possibile di approccio all'opuscolo di Leonid Gamolsky, che trabocca di delirio e di ignoranza, né alla recensione di questo stesso opuscolo altrettanto insensata e delirante scritta da Potapov, grande «scienziato» e partigiano dei pogrom. E' un atto di disonestà quello di portare degli argomenti seri quali che siano a sostegno di questo genere di ricerche, che si pretendono scientifiche, sul sionismo. L'aspetto menzognero di una tale impresa è perfettamente evidente per qualsiasi persona che conosca, non fosse che a grandi linee, il movimento sionista e i suoi principi. Essi sono ampiamente conosciuti e non c'è bisogno di ritornarci ogni volta che la stampa sovietica ci propina una nuova assurdità sull'argomento o in ogni occasione in cui essa si mette a giudicare il movimento sionista.

Gli ebrei e l'anarco-comunismo
La questione dei rapporti tra l'anarco-comunismo in Ucraina durante la guerra civile e il movimento per la liberazione degli ebrei si pone in altri termini. Questi rapporti sono stati animati, come afferma la propaganda ufficiale, dalle idee dell'antisemitismo reazionario dei «Cento Neri», o invece c'era qualcosa di diverso? La scienza storica non ha ancora fornito una risposta ben argomentata a questa domanda, cosa questa che lascia campo libero ai falsificatori della storia quando affrontano la questione che è di considerevole importanza teorica e politica. Al limite, non si tratta solo di Machno in quanto persona (benché questo aspetto sia lontano dall'essere trascurabile), ma soprattutto del movimento anarchico insurrezionale da lui guidato, impegnato nell'azione eroica di una parte delle masse lavoratrici ebraiche in Ucraina per acquisire il diritto all'autodeterminazione sociale e nazionale nel quadro della corrente rivoluzionaria anarchica. Il fatto che la popolazione ebraica cercasse la chiave del suo problema di rinnovamento proprio nell'anarchismo e soprattutto nella sua variante comunista, non ha nulla di sorprendente. L'ideale anarco-comunista di organizzazione sociale comportava evidentemente in sé un certo numero di elementi utopici, ma come contropartita non lasciava il minimo spazio all'oppressione sociale ed alle ostilità nazionali.
L'anarco-comunismo predicava «il lavoro fraterno» e il diritto incondizionato per ciascun popolo, ma anche per ogni individuo, di definire se stesso sul piano culturale. Il concetto strettamente nazionalista fu del tutto estraneo agli anarco-comunisti e appariva loro perfino ostile. Essi giudicavano il patriottismo, questo sentimento imperialista di superiorità nazionale, come l'«ultimo argomento dei cialtroni» (2), per riprendere l'espressione dell'anarchica Emma Goldman. Se, di conseguenza, si volesse valutare l'ideologia anarco-comunista, senza dimenticare fino a che punto essa rispecchiava pienamente la psicologia sociale e le aspirazioni di vaste masse popolari (tra cui i lavoratori ebrei della Russia, ai quali le speranze messianiche del «regno di dio» sulla terra furono particolarmente care), non si può che arrivare alla conclusione che in questo senso nessuna dottrina, compreso il marxismo, poteva starle alla pari. In effetti, solo l'anarco-comunismo indica il cammino da seguire per arrivare a far trionfare sulla terra il regno della verità, del bene e della giustizia per i miseri e gli oppressi, senza distinzioni di razza.
Nelle strutture sociali della Russia zarista, la popolazione ebraica, come ben sappiamo, fu una delle più oppresse e delle più asservite. D'altra parte, tra tutti i popoli asserviti, gli ebrei, grazie a certe particolarità della loro eredità storica e culturale, furono maggiormente inclini ad una percezione filosofica della realtà, e ciò che più conta, questo fu vero per la comunità ebraica nel suo complesso, come dire che lo fu allo stesso modo sia per i suoi notabili che per i semplici lavoratori abitanti di piccole borgate. E' dunque chiaro che alla creazione del movimento anarco-comunista in Russia, i primi ad aderirvi furono i rappresentanti della popolazione ebraica più attivi nella lotta sociale e per i quali l'instaurazione del «regno di dio» sulla terra era imminente. Inoltre è l'ambiente ebraico che ha fornito i principali quadri delle organizzazioni anarco-comuniste.
Lo scopo del presente articolo non è quello di rievocare in maniera dettagliata la storia di queste organizzazioni nel sud detta Russia: ma per illustrare quello che si sta per dire, è necessario notare che il primo gruppo anarco-comunista fondato alla vigilia della rivoluzione del 1905 fu il gruppo «Lotta» di Bialystok, composto in maggioranza da ebrei e diretto da alcuni rappresentanti dell'intellighentsia ebraica. Un rapporto del Servizio Speciale del Dipartimento di Polizia riferisce che «i fratelli Brumer, Rubinstein, Pikis, Kaplan (francese), Rakovsky, Kupritz, Treivich, Kagan, Tyktyn, Choikh, Tsitron» ne facevano parte (3). Il quadro è analogo nelle organizzazioni collegate al gruppo di Bialystok create da quest'ultimo a Grodno, Bielsko, Zabludov, Choroszcz, Trostiany e in altre località ancora.
Alcuni rappresentanti della gioventù ebraica rivoluzionaria furono i fondatori delle organizzazioni anarchiche a Odessa, Kharkov, Ekaterinoslav e nelle regioni retrostanti questi centri industriali. Là, la base nazionale dell'anarco-comunismo fu ben più vasta che a Bialystok o altrove a causa della stanzialità degli ebrei, benché a Bialystok i rivoluzionari ebrei giocassero un ruolo di primo piano nel movimento anarchico. Come vedremo in seguito, la partecipazione della popolazione ebraica al movimento anarchico durante le due rivoluzioni russe assunse un carattere autenticamente di massa, ed è proprio quest'esperienza storica che la storiografia ufficiale si sforza di cancellare e di diffamare. Quando parla dell'antisemitismo di Machno e del movimento strettamente legato al suo nome, di fatto essa calunnia non soltanto questo ardente rivoluzionario che ha consacrato tutta la sua vita alla causa dell'emancipazione delle masse lavoratrici dell'Ucraina, ma anche tutta la popolazione ebraica, una porzione considerevole della quale si associò a questa causa e gli testimoniò, se non altro, la sua simpatia.
La vera storia del movimento anarco-comunista in Ucraina del sud è strettamente legata al nome di Machno e al movimento per l'emancipazione ebraica. Essa non ha dunque assolutamente nulla a che vedere con le calunnie che proliferano nella storiografia di stato contemporanea.
Per questa ragione, il lavoro di ricerca sulla storia dell'anarco-comunismo dovrebbe cominciare in primo luogo coll'eliminare gli effetti delle calunnie che circondano il nome di Machno e col ristabilire i fatti storici nella loro autenticità. Solo la totalità di questi fatti storici così ristabiliti permetterà di rispondere alla domanda che si impone sul come inquadrare il problema ebraico nel contesto della lotta rivoluzionaria nella regione di Machno. A questo scopo, è naturalmente necessario conoscere, almeno brevemente, i principali momenti dell'evoluzione del movimento anarco-comunista in questa regione, perché è solo su questa base che diviene possibile fare piena luce su questa esperienza storica di cui gli ebrei si sono arricchiti durante la rivoluzione russa e la guerra civile.
Il piccolo borgo di Gulai-Pole (che apparteneva al vecchio distretto di Ekaterinoslav) è il paese natale di Machno: attualmente è incorporato amministrativamente nella provincia di Zaporozje. Da un punto di vista etnografico, Gulai-Pole e i suoi dintorni erano un'autentica arca di Noé della Russia dell'epoca. Quale popolo non ha abitato questa località? Ebrei e tedeschi, polacchi e tartari, greci e serbi, ucraini, russi e zingari. E' perfino difficile compilarne la lista esauriente. Ciò permette di comprendere che in queste condizioni, ogni antagonismo nazionale era del tutto inesistente e ciò rendeva, a maggior ragione, impossibile ogni manifestazione di sciovinismo virulento. Una circostanza favorisce particolarmente questo stato di cose, e precisamente l'uguaglianza dei diritti economici di cui godevano tutti i gruppi nazionali che abitavano questa regione della Russia sudorientale. Così, in particolare, gli ebrei avevano acquisito il diritto di essere agricoltori ed essi ne avevano approfittato creando delle aziende agricole. Nella sola regione di Gulai-Pole, queste aziende erano in numero di dieci: Novozlatopolskaia, Veselaia, Krasnoselskaia, Mejeritch, Trudolubovka, Netchaevka, Priutnaia, Roskochnaia, Bogodarovka e Gorkaia.
Numerose aziende agricole di questo genere si estendevano attorno ad Alexandrovsk e nei distretti vicini. Tutto lascia credere che gli ebrei rappresentassero il 2% dell'intera popolazione agricola. Le differenze sociali molto marcate (sia nell'insieme della popolazione che, in particolare, nella comunità ebraica) erano una caratteristica del tutto specifica di Gulai-Pole alla vigilia della rivoluzione russa del 1905.
Nella comunità ebraica, constatiamo da una parte l'esistenza di una fascia numericamente assai importante di popolazione povera che lavora nell'agricoltura e nell'industria, e dall'altra l'esistenza del gruppo poco numeroso dell'élite commerciale e industriale. Ne facevano parte: uno dei più grossi proprietari fondiari, di origine polacca, mercante di bestiame, commerciante e proprietario di una fonderia (Kelner), due fabbricanti di macchine agricole (Kriger e Vitchlinsky), un mercante di bestiame e commerciante (Gelbouch) e qualche altro. Per il loro modo di vita e per la loro formazione, queste persone erano più vicine alla classe privilegiata tedesca e ucraina che ai loro compatrioti, che erano semplici operai nelle loro imprese. Ciò permette di comprendere meglio perché al momento dell'aggravarsi del conflitto sociale nel periodo della prima rivoluzione russa, la comunità ebraica si suddivise in due campi contrapposti: da una parte il piccolo gruppo dei magnati commerciali e industriali e dall'altra i vasti strati di lavoratori ebrei poveri. La tradizionale solidarietà ebraica lascia palesemente il posto alla solidarietà di classe. Questo fenomeno si è tradotto nella partecipazione molto attiva dei rappresentanti della gioventù ebraica rivoluzionaria tra gli elementi che guidavano la prima organizzazione anarco-comunista creata a Gulai-Pole al principio del 1906 da V oldemar Genrikhovic Antoni, il cui padre era ceco e la madre tedesca.
Quest'organizzazione fu chiamata Unione dei contadini poveri. Il suo comitato direttivo fu composto da una ventina di persone scelte in modo da rispettare la rappresentatività proporzionale dei differenti gruppi etnici di Gulai-Pole e della sua regione: vi erano rappresentati ucraini, russi, tedeschi ed ebrei. Tra questi ultimi figuravano dei militanti dell'Unione dei contadini poveri come Smerka Ksiva, Laiba Gorelik, Abraham Schneider, Naoum Althausen. Come tattica, l'Unione dei contadini poveri adottava la rivolta, con l'obiettivo di ingaggiare una battaglia diretta contro i rappresentanti «del potere e del capitale». E nella misura in cui a Gulai-Pole, questi, a parte gli ucraini, erano tedeschi e ebrei, va da sé che i ribelli se la prendevano molto spesso sia con gli uni che con gli altri. Quando i membri dell'organizzazione anarco-comunista di Gulai-Pole procedevano alle espropriazioni nelle proprietà dei rappresentanti ebrei del «capitale», anche militanti ebrei prendevano sistematicamente parte a queste operazioni. Era normale che queste operazioni si svolgessero senza attacchi antisemiti contro i borghesi ebrei. Un solo caso fece eccezione a questa norma e fu quello dell'espropriazione di un commerciante ebreo che abitava il quartiere vicino alla stazione di Gulai-Pole. Questi fu ingiuriato «brutto muso ebreo» da Naoum Althausen, a causa di un eccesso di collera per la disgrazia che l'aveva colpito. Ma il suo atto non poteva venir tacciato di antisemitismo perché proveniva da un ebreo, che in quanto tale poteva permettersi una tale «libertà». Per gli altri membri del gruppo, questo genere di «libertà» era del tutto impensabile. E ciò non solo perché sarebbe stata in contrasto con la teoria anarchica, ma anche con la stessa ragion d'essere dell'Unione dei contadini poveri, in quanto un buon numero dei suoi membri erano legati da amicizia, sin dall'infanzia, con la popolazione ebraica ed erano abituati a dividere con essa gioie e pene.
Quanto a Machno, tutte le manifestazioni tanto ideologiche quanto pratiche di antisemitismo gli erano totalmente estranee, anche tenuto conto del fatto che quando aveva solo un anno di età, alla morte del padre, sua madre rimasta vedova con quattro bambini in tenera età, era stata aiutata materialmente e moralmente da una famiglia di ebrei di Gulai-Pole. Iosif Danilovic Vitchlinsky ha contato molto nella vita di Nestor e questi gli conservò per tutta la vita un autentico attaccamento filiale. Nelle sue «Memorie» pubblicate nel 1926, Machno rievoca un episodio tra tanti altri della bontà di Vitchlinsky verso di lui. Nel 1908, Nestor viene liberato dalla prigione di Alexandrovsk grazie ad una cauzione di 2.000 rubli, somma considerevole per quei tempi, pagata proprio da Vitchlinsky. E quando fa ritorno a Gulai-Pole, è ancora Vitchlinsky che lo mette in guardia, grazie ad informazioni date dal giudice istruttore, sulle serie prove delle quali le autorità locali si apprestano a far uso contro di lui e gli consiglia di lasciare la città seduta stante (4).

A chi serve l'antisemitismo?
Tutti gli archivi relativi all'organizzazione di Gulai-Pole testimoniano essi pure della totale assenza di atti di antisemitismo nelle attività di Machno. Le memorie del fondatore di questa organizzazione, V. Antoni, non fanno che confermarlo, ed esse dimostrano che il gruppo si era vigorosamente opposto sin dal giorno della sua creazione al tentativo delle autorità locali di fondare a Gulai-Pole una sezione dell'Unione del popolo russo. Questa unione altro non è che un'organizzazione ultra-reazionaria sul genere dei «Cento Neri», essenzialmente antisemita, creata dalle forze controrivoluzionarie per incanalare il sentimento di malcontento sociale degli strati più ignoranti ed arretrati della popolazione verso l'intolleranza nazionalista, per versare la sua acqua torbida sulla fiamma della rivoluzione. Gli «stranieri» furono scelti come bersaglio di questa ostilità, e tra loro, per primi, gli ebrei, ai quali si rimprovera di aver «venduto Cristo» e di essere stati «seminatori di discordie rivoluzionarie».
Trattandosi di una regione rurale, gli organizzatori dell'Unione del popolo russo contavano soprattutto sull'appoggio dei kulaki, sperando che così il governo sarebbe riuscito a soffocare la crescita rivoluzionaria nelle campagne. Non è un caso se le sezioni di questa unione furono molto attive proprio nell'autunno del 1906, quando fu resa pubblica la riforma agraria di Stolypin che concedeva ai kulaki il diritto di abbandonare le comunità agricole e di acquistare, se lo desideravano, terre comunali. Unita agli sforzi energici per la creazione di filiali dell'Unione del popolo russo, la riforma di Stolypin prova in tutta la sua evidenza come, da soli, gli atti di repressione sperimentati dal governo zarista si fossero dimostrati insufficienti per soffocare il malcontento dei contadini e per seminare la discordia tra loro e i militanti ebrei. Vale la pena di notare tra parentesi, poiché si parla del terrore di Stolypin, che le «rivelazioni» sul «giustiziere della terra russa» che l'occidente porta alle stelle non sono che una falsificazione della verità.
In un racconto intitolato «Nodo numero 1 », tratto da una raccolta che ha per titolo «La ruota rossa», il suo autore afferma in particolare che il terrore di Stolypin si ridusse essenzialmente «alla creazione (e al funzionamento per otto mesi) dei tribunali speciali militari che si occupavano dei casi particolarmente gravi (ma non di tutti) di saccheggio, di assassinio e di aggressioni commesse contro la polizia, le autorità e i semplici cittadini, affinché la procedura giudiziaria e il verdetto siano riavvicinati al momento e al luogo del delitto».
In realtà, la creazione dei tribunali militari speciali è lontana dall'esaurire la sostanza del terrore di Stolypin, poiché tra l'altro le autorità locali ricevettero il diritto di proclamare la legge marziale nelle regioni «ribelli» e di agirvi per mezzo di tre tipi di truppa: la fanteria, l'artiglieria e la cavalleria. Gli archivi del «dipartimento di polizia» che si riferiscono a questo soggetto ci mostrano che cosa ciò volesse dire in pratica. Così ad esempio il comunicato del 21/1/1906, redatto dal governatore di Ekaterinoslav, che dava atto di un ritorno della calma tra i contadini della provincia, parla in questo modo dei mezzi utilizzati per arrivare a questo «ritorno alla calma»: Certi villaggi, che avevano resistito all'inizio, furono sottoposti al fuoco dell'artiglieria e le case degli elementi agitatori furono incendiate (...) (5). E' importante sottolineare che neppure misure di tal genere hanno dato, in fin dei conti, il risultato sperato, non hanno, cioè, fatto allontanare i contadini dagli agitatori ebrei.
Così, per esempio, nel comunicato del 21/6/1906 del direttore aggiunto della gendarmeria di Ekaterinoslav responsabile della città di Alexandrovsk, è detto: Nella città di Orekhovo, situata al confine stesso del distretto di Alexandrovsk, i comizi contro il governo sono un fatto abituale nei giorni di mercato. Essi esercitano un'influenza negativa sui contadini del distretto di Alexandrovsk di cui io sono responsabile (...) Il commissario di polizia della quarta circoscrizione del distretto di Alexandrovsk, per esempio, avendo appreso che il 18 giugno di quest'anno, due agitatori ebrei di Orekhovo si preparavano a recarsi nel villaggio di Omelniki, vi si recò immediatamente accompagnato da nove guardie, cercò di arrestare gli agitatori e di disperdere il comizio. Ma fu cacciato dal villaggio dai contadini e fuggì a fatica. Dietro mia richiesta, un distaccamento a cavallo fu inviato a Omelniki allo scopo di soffocare l'agitazione e di arrestare gli istigatori (6).
Il telegramma inviato dalla direzione della gendarmeria della provincia di Ekaterinoslav al ministro dell'interno ci dice quello che ne seguì e quella che fu la reazione dei contadini al momento dell'arrivo del distaccamento a cavallo: Il 4 luglio, i contadini di Omelniki, nel distretto di Alexandrovsk hanno opposto una resistenza armata ai rappresentanti della polizia quando questi stavano per procedere all'arresto di tre contadini malfattori e obbligarono così il distaccamento a cavallo a fare uso delle armi. Due contadini sono morti a seguito di gravi ferite (...) (7). Questo episodio mostra fino a qual punto la resistenza che i contadini opposero all'autorità fosse intransigente e a qual punto i loro legami con i rivoluzionari, senza distinzione di nazionalità, fossero validi.
L'Unione del popolo russo si organizzava nelle campagne proprio per introdurre la divisione e l'odio nazionale nel seno stesso del comune movimento rivoluzionario. E' proprio contro questa unione che l'organizzazione anarco-comunista di Gulai-Pole combatteva nella stessa città ed anche nei villaggi situati ad est di Ekaterinoslav. La lotta dell'organizzazione anarco-comunista contro la creazione di sezioni dell'Unione del popolo russo fu tanto energica ed efficace che i tentativi degli addetti del governo per accendere l'odio nazionale nella regione e per radicarvi l'unione, fallirono tutti.
Machno prendeva naturalmente parte molto attiva in questa lotta degli anarchici di Gulai-Pole. Ecco ciò che ne dice V. Antoni nelle sue memorie: Ci siamo riuniti e abbiamo deciso che dovevamo disperdere questa adunata di «veri russi» prima che fosse troppo tardi. Ho scritto a mano a lettere maiuscole e riprodotto un proclama in cui rendevo nota la decisione della nostra organizzazione di lottare «con le armi e col fuoco». Essendo scontato che i grossi proprietari fondiari fossero i principali fondatori dell'unione, noi abbiamo invitato i nostri militanti ad incendiare i beni dei più zelanti tra loro. Il primo caso fu quello del possidente Tchernoglazukha, che aveva un ruolo di primo piano nell'unione. In seguito i suoi vicini più o meno prossimi, grossi proprietari, subirono lo stesso trattamento e gli incendi si accesero un po' dappertutto. Il fuoco rendeva le notti inquietanti e sinistre. La casupola di un contadino del villaggio, membro molto attivo dell'unione dei «veri russi» venne anch'essa incendiata. Ilfuoco provocò un assembramento, ma nessuno voleva aiutare a spegnerlo. Allora il contadino vittima di questo castigo domandò dell'aiuto: «ma perdio, non restate piantati lì in quel modo, datemi una mano a spegnere il fuoco». I vicini restando al loro posto risposero ridacchiando: «che San Giorgio ti venga in aiuto!» A queste parole il contadino strappò il distintivo che portava sul petto e lo gettò nel fuoco. «Ben fatto, ora tu sei dei nostri e avrai il nostro aiuto per spegnere l'incendio». E in effetti, l'hanno aiutato. Così l'unione dei «veri russi» sparì per sempre, come se l'acqua l'avesse disciolta (8).
Scene del genere si sono svolte in un gran numero di villaggi nell'Ucraina del sud-ovest.
Pertanto i fatti storici ci permettono di affermare che se durante il periodo della rivoluzione del 1905, nell'Ucraina del sud-est, non vi fu una sola sezione dell'Unione del popolo russo e se in questa regione non vi fu praticamente tra la gente alcun sentimento favorevole ai pogrom, ciò fu senza dubbio merito del lavoro effettuato dagli anarco-comunisti di Gulai-Pole e dei villaggi situati ad est della provincia di Ekaterinoslav.
Nell'autunno del 1908, la polizia arrivò ad arrestare la quasi totalità dei membri attivi dell'Unione dei contadini poveri. Solo il suo fondatore, V. Antoni, e il suo vice, Alessandro Semeniuta, riuscirono a scappare. I militanti arrestati furono tutti rinviati a giudizio davanti al tribunale militare provvisorio e furono condannati a pesanti pene detentive, alcuni, e tra essi Machno, alla pena di morte mediante impiccagione. Shmerka Kciva, Egor Bondarenko e Ivan Chevtchenko furono giustiziati, mentre grazie al comandante della regione militare di Odessa, il generale Van der Flit, la pena capitale di Machno e di alcuni altri condannati fu commutata nei lavori forzati a vita. Machno fu inviato nella prigione centrale di Mosca, Butirka. Là fu messo ai ferri come un criminale di stato pericoloso. Vi restò per quasi sette anni e fu liberato dalla rivoluzione di febbraio del 1917.
Gli anni che Machno visse nella prigione centrale di Mosca contribuirono a consolidare ancor più le sue posizioni internazionaliste. E' partendo da queste posizioni che egli combattè con ardore ed intransigenza lo sciovinismo imperialista e ogni forma di nazionalismo. I difensori delle diverse correnti nazionaliste non mancavano nella Butirka. Nel corso di questi anni di prigionia, i suoi sentimenti di simpatia per gli ebrei aumentarono. Il fatto che i suoi migliori compagni in carcere fossero degli ebrei e che uno di loro, il suo compagno di lotta Jossip Ader di Kovno, fosse per lui come un fratello, lo testimonia (9). Questi sentimenti di simpatia non vennero meno quando, alla fine del marzo 1917 fece ritorno a Gulai-Pole per dedicarsi all'edificazione di una società senza stato.

Partecipare agli organismi di massa
In Ucraina la primavera del 1917 fu segnata dal risveglio spirituale e politico del paese. In aprile a Kiev, al congresso nazionale ucraino che riunì circa 1.000 delegati in rappresentanza di differenti organizzazioni ucraine di ogni angolo dell'impero russo, venne eletta una Rada centrale, incaricata di rappresentare politicamlente il popolo ucraino nel quadro dello stato democratico unito, e in seguito di uno stato ucraino sovrano. Il congresso ucraino di aprile inscrisse tra le sue rivendicazioni l'autonomia nazionale e territoriale, la ristrutturazione del vecchio stato zarista in stato federativo, la creazione all'interno di questo stato di repubbliche nazionali, la garanzia dei diritti delle minoranze etniche. Il tentativo della Rada centrale di farsi nondimeno riconoscere dal governo provvisorio di Pietrogrado andò incontro ad un totale fallimento.
In risposta, la Rada centrale adottò il 23 giugno di quello stesso anno il suo primo decreto in cui, senza alcun accordo preliminare, annunciava l'autonomia dell'Ucraina, mediante la creazione di un organo legislativo e di un governo nazionale, chiamato Rada centrale (con il suo segretario generale). Sotto il profilo dell'appartenenza politica, questi ultimi furono composti da rappresentanti di una vasta coalizione di partiti borghesi e piccolo-borghesi con una maggioranza di socialdemocratici (menscevichi) e di socialisti rivoluzionari «di destra». Poco dopo, alcuni rappresentanti delle organizzazioni ucraine di massa (quali la Rada ucraina dei deputati rurali o quella dei deputati dell'esercito) entrarono nella composizione della Rada centrale: da un punto di vista puramente formale, questa fu la forma di governo più rappresentativa e più democratica della Russia intera in quell'epoca.
Il presidente del segretariato generale e segretario degli interni, il socialdemocratico V. Vinitchenko, cosi come il segretario dell'esercito, il socialdemocratico S. Petliura, ne furono le figure più celebri. Benché il segretariato generale abbia proclamato in ogni momento la sua fedeltà all'idea dello stato russo unificato e abbia agito nel rispetto di tutte le leggi ed ordinanze dello stato centrale, fu evidente fin dal principio della sua esistenza che esso aveva per obiettivo l'autodeterminazione nazionale dell'Ucraina sotto forma di una repubblica borghese e democratica. Questa aspirazione si traduceva soprattutto in due aspetti delle sue attività: in primo luogo, un aspetto profondamente nazionalista a livello di lavoro politico ed ideologico svolto dagli organismi di informazione di massa e dalle istituzioni educative; in secondo luogo, la formazione accelarata di forze armate ucraine, sulla base di una vasta rete di distaccamenti di volontari reclutati principalmente nell'ambiente dei kulaki e dei grossi proprietari terrieri in Ucraina, che non riconoscevano altro potere se non quello della Rada centrale e del suo segretariato generale. L'associazione ucraina «Prosvit» (barlume di speranza) fu lo strumento principale di una propaganda sciovinista, mentre il comitato generale dell'esercito ucraino diretto da S. Petliura fu lo strumento della «ucrainizzazione» dell'esercito. In teoria, la Rada centrale e il segretariato generale si ispiravano ad un programma socialista e portavano avanti anche lo slogan della socializzazione di tutte le terre appartenenti ai grossi proprietari, allo stato e ai monasteri, eccettuati quaranta ettari al massimo da lasciare a questi ultimi. Tuttavia, i socialdemocratici e i socialisti rivoluzionari membri del segretariato generale, proprio come i loro colleghi di Pietrogrado, frenavano con ogni mezzo la risoluzione relativa ai problemi sociali urgenti.
Nel frattempo, in Ucraina come forse in nessun'altra parte, questi problemi sociali si presentavano con eccezionale gravità e dovevano essere risolti con la massima urgenza. Coscientemente o inconsciamente, ritardando in questo modo la presa di una decisione su questo tema, la Rada centrale ed il segretariato generale puntarono da una parte a soffocare lo slancio rivoluzionario e dall'altra ad incoraggiare sul posto la controrivoluzione portata avanti dai nazionalisti.
In questo contesto solo gli anarco-comunisti, attraverso il loro programma di redistribuzione di tutte le terre e di instaurazione del comunismo, esprimevano realmente le aspirazioni delle masse popolari. E al momento stesso in cui il potere ufficiale faceva appello alla pazienza e alla moderazione, gli anarchici posero al primo punto del loro programma l'appello all'azione, sottolineando che essa è animata sia dalla passione di distruggere sia dalla passione di costruire. Non è pertanto sorprendente che quando esisteva uno stretto legame tra gli anarchici e il popolo, quest'ultimo li seguisse immancabilmente. A differenza degli anarchici di Mosca, che rifiutavano di partecipare alle diverse organizzazioni di massa se queste non erano direttamente implicate nella lotta contro «il capitale», Nestor Machno pose, fin dal suo arrivo a Guali-Pole, davanti agli anarchici locali il problema dell'adesione a tutte le organizzazioni sociali o governative al fine di agire dall'interno per contribuire a metterle in profonda crisi, con lo scopo di trasformare poi questi organismi favorevoli all'«ordine costituito» in organismi popolari autogestionàri. Egli mise l'accento soprattutto sull'importanza della questione relativa alla partecipazione degli anarchici al comitato comunale, organo del governo provvisorio e delle autorità locali, così come all'«Unione agraria» fondata a Gulai-Pole dai socialisti rivoluzionari di Alexandrovsk (10). Verso la fine dell'estate, questa tattica fu coronata da un brillante successo. Gli anarchici prevalsero nel comitato comunale, nell'«Unione agraria», nei sindacati dei lavoratori del legno e dei metallurgici, nei soviet dei deputati contadini ed operai (che fino all'ottobre erano separati). Verso settembre le masse lavoratrici contadine dell'est del distretto di Alexandrovsk adottarono completamente il programma degli anarchici.
Ciò è confermato dalla risoluzione del congresso unito dei soviet dei deputati operai e contadini di Gulai-Pole e dalle emanazioni che ne dipendevano. La risoluzione dice:
Il convegno nazionale dei lavoratori di Gulai-Pole condanna categoricamente le pretese del governo provvisorio di Pietrogrado e della Rada centrale di Kiev che mirano a governare la vita dei lavoratori e invita i soviet locali e tutta la popolazione lavoratrice che vi aderisce, a non tener conto delle ordinanze di questi due governi. Il popolo è padrone della sua esistenza. E' il suo sogno di sempre. L'ora della sua realizzazione è giunta. Da ora in poi, tutte le terre, le fabbriche, le officine, devono appartenere ai lavoratori. Le terre appartengono ai contadini, le officine agli operai. Un compito importante spetta ai contadini, quello di cacciare i proprietari terrieri e i kulaki che rifiutano di partecipare al lavoro delle loro terre e di trasformarle in comuni agricole di volontari contadini e operai. Per il congresso l'iniziativa di questa riforma va al gruppo anarco-comunista, cosi come la sua applicazione pratica (11).

Nazionalismo ucraino ed antisemitismo
Il lavoro dei rivoluzionari di Gulai-Pole, appoggiato da tutti i gruppi etnici della regione, fu coronato da innumerevoli successi. E proprio come al tempo della rivoluzione russa del 1905, la popolazione ebraica svolse un ruolo di primo piano. Essa contò molti esponenti tra i militanti attivi dell'organizzazione anarco-comunista. Alcuni membri delle vecchie organizzazioni ne facevano parte: Abraham Schneider, i fratelli Charovsky, Stefano Chepel, Leone Gorelik. Parallelamente, un numero considerevole di nuovi membri appartenenti alla giovane generazione ebraica di ispirazione rivoluzionaria aderivano al movimento anarchico. Haim Gorelik, originario di una famiglia povera di Gulai-Pole, fu particolarmente attivo. Gli ebrei furono egualmente rappresentati nelle organizzazioni di massa di Gulai-Pole che non dipendevano da nessun partito politico come i sindacati, i soviet dei deputati contadini e operai e nello stesso comitato comunale. Il rappresentante più illustre dei rivoluzionari ebrei non-anarchici fu Vassili Taranovsky che, fino all'autunno del 1917, appoggiava un programma politico vicino a quello dei marxisti.
Tenuto conto di tutto quello che abbiamo appena rievocato, dobbiamo scartare, come non conforme alla verità storica, ogni concezione che pretenda che la popolazione ebraica della regione machnovista restò in disparte dal movimento contadino anarchico che si sviluppò in questa regione, o che questo stesso movimento fosse oggetto di qualsiasi tipo di strumentalizzazione da parte di anarchici istigatori di pogrom. Tali concezioni derivano da un'affermazione del tutto erronea, secondo cui la popolazione ebraica della regione sarebbe stata emarginata dall'agricoltura e non avrebbe perciò partecipato per niente alla lotta popolare per la riorganizzazione rivoluzionaria delle campagne.
I fatti testimoniano, al contrario, della partecipazione attiva alla realizzazione della politica machnovista dei membri dei ceti medi e poveri della comunità ebraica, largamente rappresentata nelle zone rurali. E' vero non solo per l'anno 1917, ma soprattutto, come vedremo in seguito, per
i due anni seguenti (1918 e 1919). E' chiaro che i cambiamenti sopravvenuti nelle regioni situate ad est della provincia di Ekaterinoslav, grazie all'intervento degli anarco-comunisti e con l'aiuto considerevole degli operai e dei contadini poveri, appartenenti ai differenti gruppi etnici, incontrarono una forte opposizione, innanzitutto da parte dei grossi proprietari fondiari e dei kulaki ucraini riuniti attorno a «Prosvit» e guidati dall'agronomo Dmitrienko e dall'ex-ufficiale P. Riabko. Il nazionalismo ucraino, andando di pari passo con l'antisemitismo mascherato o dichiarato, fu l'arma principale della loro lotta.
Poco dopo l'annientamento violento della manifestazione di luglio a Pietrogrado, che ebbe l'effetto di rafforzare momentaneamente le forze reazionarie in Russia, gli elementi nazionalisti locali decisero, da un lato di passare all'attacco per saggiare le posizioni dell'insieme della popolazione nei confronti dei rivoluzionari ebrei e, dall'altro di vedere quale sarebbe stata la reazione di questi ultimi di fronte ad un rigurgito dei sentimenti nazionalisti. L'occasione fu uno degli innumerevoli comizi organizzati a Gulai-Pole dal commissario del governo provvisorio responsabile del distretto di Alexandrovsk, B. Mikhno, comizio tendente a convincere i contadini a risarcire i proprietari terrieri dell'affitto per le terre di cui questi ultimi si erano visti privati. Durante questo comizio, Machno prese la parola per attaccare duramente il governo provvisorio e il suo progetto di imporre il pagamento dell'affitto ai contadini. Al momento stesso in cui Machno finiva il suo discorso, qualcuno tra la folla l'interruppe tra la sorpresa generale con una replica antisemita: Che ne pensate voi, Nestor Ivanovic, di tutti quegli ebrei con i quali sedete al presidium del comitato comunale? Agli occhi di Machno, questa provocazione degli elementi nazionalisti era indirizzata non solo al comitato comunale, ma chiaramente anche all'organizzazione anarco-comunista. Egli si affrettò a rispondere a questo attacco e colse l'occasione per far conoscere il suo punto di vista sulla questione ebraica. Ecco la parte essenziale della sua risposta citata nella sue «Memorie» pubblicate dalla «Rivista anarchica» di Berlino (n° 5/6, 1923): Ebreo, riprendi fiato! Dal tempo dei Kruchivanovie, Purichkevitchi e Marcovie Vtorie, hai dovuto lasciare più di una volta le tue tranquille casupole per vagare durante lunghissimi anni lontano dalla tua patria, senza tetto e senza ristoro. Tu sei sfinito. Ritrova dunque la tua serenità e sii libero come tutti gli altri popoli. Il commento di Machno stesso su questa dichiarazione è notevole: Io non ho mai dimenticato quello che ho detto in quell'occasione. Io non ho mai ritrattato, come Pietro con Cristo. Quando mi sono reso conto nel corso del mio lavoro di rivoluzionario intessuto di responsabilità che quelle parole non corrispondevano alla realtà, quando ho visto che la libertà e la vita degli ebrei erano in grave pericolo, mi sono messo a sterminare coloro che ne erano responsabili (12).

Tutti uniti per la rivoluzione
In effetti, come vedremo, nonostante tutta la complessità delle lotte politiche in Ucraina del sud, Nestor non tradì mai il suo programma internazionalista sulla questione ebraica. Tutto ci autorizza a credere che il suo intervento nel comizio in questione fu accolto con ardore dall'insieme della popolazione, cosa che ebbe l'effetto di impedire ai nazionalisti di proseguire negli attacchi antisemiti.
La situazione rivoluzionaria si evolveva, obbligando i nazionalisti a concentrare tutti i loro sforzi sulla creazione di un fronte controrivoluzionario unificato che raccogliesse capitalisti e grossi proprietari terrieri di tutte le nazionalìtà, ivi compresa la borghesia ebraica terriera, industriale e finanziaria. Questa alleanza disparata di forze controrivoluzionarie si ispirava esclusivamente all'odio generalizzato dei proprietari contro le misure sociali, in corso di rapida realizzazione a Gulai-Pole, per iniziativa del comitato agrario e del comitato rivoluzionario a partire dal novembre del 1917, quando questi due comitati si opposero vivacemente ai tentativi della Rada centrale e del suo segretariato generale di impadronirsi di tutto il potere in Ucraina. Nel suo terzo comunicato, reso pubblico nel novembre 1917, la Rada rifiutò di riconoscere la sollevazione di ottobre e annunciò il suo disaccordo con la politica di dittatura del proletariato.
A partire da quel momento la popolazione di Gulai-Pole si schierò dalla parte della Russia comunista e perciò aderì alle sue riforme sociali. Mi riferisco a quelle proprie dì questa tappa ben precisa della rivoluzione, che inizia nell'ottobre del 1917 per finire nell'aprile 1918. Questo fu da un lato il periodo dell'azione comune degli anarchici e dei bolscevichi col fine di distruggere la vecchia struttura statale di tipo parlamentare, per sostituirla con un sistema di soviet autogestiti caratterizzati dai più vasti diritti e, dall'altro, quello dell'edificazione comunitaria dell'industria e dell'agricoltura. Benché durante questo periodo le grandi imprese industriali venissero considerate sulla carta come nazionalizzate e avessero dovuto di norma essere dirette da quadri di stato, nella pratica la loro gestione amministrativa ed economica fu assicurata da comitati di fabbrica che rappresentavano l'insieme degli operai.
Il decreto del consiglio dei commissari del popolo sul controllo operaio nelle imprese industriali (redatto dal commissario del popolo al lavoro, A. Chliapnikov, che aveva alle spalle una lunga esperienza di sindacalista), espresse l'essenziale del programma anarco-sindacalista sulla gestione dell'industria. Avvenne lo stesso nel campo dell'agricoltura. In conformità alla legge sulla socializizazione delle terre votata nel gennaio 1918 (che non bisogna confondere con il decreto sulla terra adottato al secondo congresso dei soviet di Russia), le grandi proprietà una volta redistribuite dovevano venir trasformate in aziende collettive modello nel settore agricolo.
Ma d'altra parte, secondo questa stessa legge di socializzazione delle terre, tenuto conto del fatto che le coltivazioni collettive venivano ad essere delle comunità indipendenti come tutte le imprese industriali, esse disponevano d'ora innanzi di una indipendenza amministrativa ed economica totale. Il sistema fiscale nazionale, che era fino ad allora uno strumento per il funzionamento dello stato sfruttatore, fu abolito. E' così che furono messi in pratica i principi dell'edificazione socialista annunciati da Lenin alla vigilia della rivoluzione, nella sua opera «Stato e rivoluzione», opera che gli anarchici vicini al movimento machnovista qualificheranno un decennio più tardi in questi termini: Il marxismo di Lenin «alla Bakunin» provocò l'entusiasmo. La lettura di 'Stato e rivoluzione' fu un momento di incanto (13).
Non è perciò sorprendente che la rivoluzione russa per il periodo dall'ottobre 1917 all'aprile 1918, facesse battere gioiosamente all'unisono col suo i cuori degli anarchici ucraini che, nella loro regione (quantomeno a Gulai-Pole), agirono in fondo allo stesso modo degli anarchici russi. Dal dicembre 1917, grazie alle attività dell'organizzazione anarco-comunista nella regione di Gulai-Pole, fu creata una vasta rete di comunità agricole e industriali, sulla base delle proprietà dei kulaki e delle imprese industriali capitaliste socializzate. A causa della mole delle proprietà fondiarie socializzate, le comunità agricole raggruppavano alcune decine di famiglie. Talvolta, il loro numero poteva superare le cinquecento. A Gulai-Pole, la comunità numero uno fu proprio di questo tipo, ed essa fu creata sulle terre del grosso proprietario fondiario Klasson, di mille ettari circa. E' evidente che comunità di questa mole avevano un carattere multinazionale.
Gulai-Pole ebbe anche la sua comunità industriale, installata in quella che era stata la fabbrica di macchine agricole di Krigier. Un sistema di scambio diretto tra le comunità agricole ed industriali fu messo in piedi, in linea con le rivendicazioni del programma anarco-comunista.
Ma come funzionavano queste comunità? In certune, una volta esaurite le riserve di approvvigionamento accumulate dai vecchi proprietari, i membri della comunità vivevano grazie a requisizioni effettuate presso alcuni ricchi proprietari. Altre comunità avevano un livello di produzione che permetteva loro di far fronte ai propri bisogni. Fu il caso delle più importanti fra queste. Tutto fa credere che la comunità numero uno di Gulai-Pole fosse proprio di questo tipo.
Tutto sommato, il periodo comunitario nell'organizzazione dell'agricoltura fu troppo breve nella regione machnovista per permetterci di trarre una qualsiasi conclusione, tanto più che le testimonianze in proposito sono decisamente insufficienti. Tuttavia, quando si leggono alcuni articoli dedicati al sistema dei kibbutz in Israele oggi, ci si domanda a pieno diritto in quale misura l'esperienza del periodo comunitario nell'est dell'Ucraina abbia esercitato una qualche influenza. Il futurologo israeliano Solomon Tsiriulnikov non esclude l'eventualità che degli emigrati russi, ispirati dalle idee di Tolstoi, di Kropotkin e dei populisti, abbiano potuto esercitare una forte influenza sulle prime comunità rurali in Israele (14). Ma come si fa a sapere se l'esperienza dei militanti ebrei che parteciparono alla creazione delle comunità agricole ed industriali nell'Ucraina meridionale fu dello stesso tipo?
Bisogna in proposito tener presente il fatto che la redistribuzione accelerata delle vecchie terre dei kulaki suscitò un vivo malcontento non solo tra i grossi proprietari terrieri appartenenti ai vari gruppi nazionali, ma anche tra quegli strati della popolazione (che vengono chiamati «ceto medio») che da parte loro cercavano di ingrandire le loro piccole proprietà a spese dei magnati agricoli. Un malcontento ancor più vivo fu suscitato dalla spietata politica di tassazioni (in denaro e in natura) dei proprietari grossi e medi, che il comitato municipale ed il comitato rivoluzionario di Gulai-Pole conduceva sia per favorire gli organismi di produzione collettiva sia per aiutare economicamente i centri industriali della Russia.
Questa politica soffocava ogni iniziativa privata, non lasciando in pratica agli strati agiati della popolazione nessun mezzo necessario al funzionamento della loro proprietà e al mantenimento del minimo vitale dei proprietari stessi. E' appunto facendo leva su questo malcontento, suscitato dalla politica agraria e dalle requisizioni di ogni genere operate dal comitato municipale e dal comitato rivoluzionario, che fu costituito il blocco delle forze di destra. Nella primavera del 1918 ciò provocò un inizio di golpe controrivoluzionario a Gulai-Pole.
La situazione socio-politica in Ucraina agli inizi del 1918 contribuì molto alla sua preparazione ed al suo svolgimento. La Rada centrale aspirava ad una autonomia totale che le assicurasse maggiori possibilità nella lotta contro il movimento socialista e doveva permetterle di proclamare nel novembre del 1917 l'indipendenza nazionale dell'Ucraina, sulla strada del consolidamento del potere statale e della proprietà. Al tempo stesso la Rada centrale si rifiutò di riconoscere la legittimità del primo Congresso dei soviet dei deputati operai, contadini e soldati di Ucraina, organizzato dai bolscevichi a Kharkov durante la seconda metà del 1917. La Rada centrale negò così apertamente la tesi sostenuta da questo congresso, secondo la quale l'Ucraina era considerata «parte integrante della Repubblica Federativa di Russia».
Questa situazione ispirò a Lenin il suo famoso ultimatum con cui invitava la Rada a riconoscere l'esistenza degli organi di potere comunista in Ucraina. La Rada non ne tenne conto e respinse il Soviet dei deputati operai di Kiev. Quasi contemporaneamente essa firmò un trattato di pace separata con la Germania e con l'Austria, per poter contare sull'aiuto militare di questi paesi nelle azioni dirette contro la Russia comunista ed il movimento comunista in Ucraina. Il 22 gennaio 1918, con il suo quarto decreto, la Rada proclamò la sua autonomia totale nei confronti della Russia sovietica. Operazioni militari furono ingaggiate contro la Russia dei soviet e la Repubblica popolare di Ucraina appena creata.
La situazione della Rada centrale divenne catastrofica.
Essa non avrebbe potuto verosimilmente mai portare avanti la lotta che la opponeva sia alla Russia dei Soviet che alle forze comuniste ed anarchiche sul posto, in Ucraina, se i tedeschi non avessero preso la sua difesa mettendo fine a questo conflitto con la firma del trattato di pace di Brest-Litovsk e con l'occupazione dell'Ucraina. E' proprio in seguito a questo avvenimento e sotto la protezione delle armi tedesche che la Rada potè mettersi tempestivamente all'opera per far sparire brutalmente i focolai di edificazione del socialismo in Ucraina, nei mesi antecedenti ed in quelli immediatamente successivi all'insurrezione di ottobre a Pietrogrado. Gli agenti della Rada centrale lavoravano già da un certo tempo alla preparazione di un golpe a Gulai-Pole, che era uno di questi focolai.

Tradimenti e golpe
Bisogna constatare con rammarico che la truppa d'urto in questo golpe che portò in fin dei conti alla perdita di tutto quello che il popolo aveva acquisito sul piano rivoluzionano, alla restaurazione della prassi borghese ed alla dittatura dei proprietari fondiari, fu quella degli ebrei, composta da 300 combattenti e comandata da due militanti ebrei: Taranovsky e Charovsky. L'organizzazione anarco-comunista ha la sua parte di responsabilità in ciò che avvenne, dato che al momento della formazione di questa milizia ebraica, destInata a vegliare sulla sicurezza pubblica a Gulai-Pole, essa non si attenne ai suoi principi di classe e di partito. Così invece di reclutare questa truppa esclusivamente tra gli strati poveri della popolazione ebraica e il suo comandante tra gli anarco-comunisti, lasciò che vi entrassero un numero considerevole di rappresentanti della piccola borghesia ebraica, ed affidò il comando a V. Taranovsky, che si era allineato con i socialisti rivoluzionari. Tutto ciò fu fatale: al momento dei preparativi del golpe, i grossi proprietari localI cercarono di convincere la compagnia ebraica a difendere la loro causa e in fin dei conti vi riuscirono. La situazione politica che regnava nella primavera del 1918 nel sud dell'Ucraina e a Gulai- Pole stessa contribuì a questo risultato.
Sappiamo che l'associazione nazionalista «Prosvit» fondata a Gulai-Pole nella primavera del 1918 era il centro di aggregazione delle forze scioviniste della città. Tuttavia un'altra associazione, «Prosvechtchenie» (Istruzione) esisteva anch'essa a Gulai-Pole fino dal 1911: essa riuniva dal settembre 1917 tutti gli intellettuali della regione e considerava con orgoglio la possibilità di fondersi con «Prosvit». Nel frattempo, dal novembre dello stesso anno, quella piccola associazione senza peso che era stata «Prosvit» disponeva di una quindicina di sezioni nella zona di Gulai-Pole e praticamente radunava nei suoi ranghi tutta la intellighentsia. Questo dimostra come verso la fine di quell'anno la quasi totalità dell'intellighentsia locale avesse adottato le posizioni nazionaliste.
A Gulai-Pole e nei dintorni venne creata l'organizzazione rurale «Spilka» (Consiglio). Vi aderirono i contadini che riconoscevano il potere della Rada centrale. Inoltre, verso la fine dell'anno, fecero la loro apparizione alcune unità di «cosacchi liberi», ciascuna composta da circa 300 combattenti. Allorché la Rada proclamò col suo terzo decreto l'indipendenza nazionale, i membri di «Prosvit» e di «Spilka» organizzarono per l'occasione un vero «sabba» nazionalista. Qualche giorno più tardi, «Prosvit» autorizzò due suoi aderenti, membri attivi del comitato esecutivo, Vassili Tchaban e Grigori Kutsenko a recarsi a Kiev e a consegnare alla Rada la risoluzione dell'assemblea tenuta a Gulai-Pole in occasione della proclamazione dell'indipendenza dell'Ucraina. In questa risoluzione veniva detto tra l'altro che i membri di «Prosvit» e di «Spilka» riconoscevano la Rada come organo supremo del paese e il suo segretariato generale come organo rappresentativo competente della repubblica popolare di Ucraina (15). In questa stessa risoluzione, era detto che i contadini di Gulai-Pole si erano a loro dire, impegnati a sostenere il potere della Rada col loro denaro come con le loro vite.
Gli elementi sciovinisti divennero ancora più attivi quando la Rada centrale firmò il trattato di pace separata di Brest-Litovsk con i tedeschi e gli austriaci, e per appoggiarla essi inviarono le loro unità di «cosacchi liberi» alla conquista delle regioni «rosse» dell'Ucraina. Alla metà di aprile, i reggimenti tedeschi e cosacchi haidamak avanzarono verso Gulai-Pole. In quel momento, Machno e il suo distaccamento anarchico si trovavano a sud di Gulai-Pole dove a fianco delle truppe dell'armata rossa difendevano la rivoluzione. La situazione a Gulai-Pole diventò particolarmente complessa.
Non era pensabile prendere in considerazione l'ipotesi di una difesa della citta, tenuto conto della incontestabile superiorità dell'avversario. Inoltre, i contadini della regione, benché tutti armati, avevano, in un primo tempo, fiducia nelle promesse della Rada centrale e in ragione di questo fatto non erano disposti per niente a pagare di persona. Ciò attirava ancora di meno i combattenti della compagnia ebraica. I dirigenti dI «Prosvit» approfittarono di questa situazione. Essi contattarono uno dei traditori del movimento anarchico e nemico personale di Machno, Leone Schneider, e con la sua mediazione proposero al distaccamento ebraico di riconciliarsi con la Rada centrale, di arrestare il comitato rivoluzionario e la segreteria degli anarco-comunisti promettendo in cambio di non effettuare rappresaglie. I combattenti del distaccamento ebraico non esitarono molto ad accettare questa proposta, tantopiù che il loro comandante, Taranovsky, era d'accordo con questa «riconciliazione». Il distaccamento ebraico si divise in due gruppi: uno, comandato da Taranovsky, doveva procedere all'arresto del comitato rivoluzionario, l'altro con Schneider alla testa, all'arresto del segretariato anarco-comunista.
Questa «operazione» ebbe luogo il 14 e il 15 aprile. Al momento dell'arresto del comitato rivoluzionario, Taranovsky era calmo e perfino avvilito, perché il ruolo di gendarme lo deprimeva e si vergognava. Tuttavia egli era convinto che questo arresto fosse indispensabile per evitare un inutile spargimento di sangue, tantopiù che il comitato rivoluzionario disponeva, tanto a Gulai-Pole che nei comuni vicini, di difensori bene armati che gli testimoniavano una devozione illimitata. Inoltre, Taranovsky venne persuaso che, una volta sconfitta Gulai-Pole, i membri del comitato rivoluzionario avrebbero potuto far ritorno senza ostacoli alle loro case. Ben diverso fu il comportamento di Leone Schneider. Egli fu il primo a penetrare con l'arma in pugno nella sede del segretariato e manifestò apertamente l'odio smisurato che provava per la propria organizzazione, odio cosi abilmente mascherato sino ad allora. In uno stato di rabbia folle e con una scarica di ingiurie, al momento dell'arresto, egli strappò dal muro i ritratti di Bakunin e di Kropotkin senza risparmiare quello di Alexandr Semeniuta, e si mise a calpestarli con furore.
Per i membri del comitato rivoluzionario e del segretariato degli anarco-comunisti, il tradimento del distaccamento ebraico giunse del tutto inaspettato. E' con stupore e con tristezza che essi guardavano in quel momento quelli di cui avevano preso le difese contro gli attacchi antisemiti degli elementi sciovinisti ed ai quali avevano affidato armi per difendere la rivoluzione: questi stessi avevano finito per agire di concerto con i loro nemici più detestabili, procedendo a questo arresto. L'indignazione degli anarco-comunisti era senza limiti. Taranovsky e Schneider si sbagliarono nelle loro previsioni.

La conferenza di Taganrog
Prima ancora che gli indipendentisti entrassero a Gulai-Pole, i membri di «Prosvit» e delle unità di «cosacchi liberi» ostentarono apertamente i loro progetti controrivoluzionari. Era chiaro che i membri di queste due organizzazioni, allo stesso modo del distaccamento ebraico, furono ingannati e trascinati nel tradimento più ignobile. Tormentati dai rimorsi, Taranovsky e Charovsky rimisero in libertà a loro rischio e pericolo i prigionieri alla vigilia dell'arrivo degli austriaci. Il presentimento di Taranovsky e di Charovsky si rivelò esatto.
Una volta rientrati a Gulai-Pole, i proprietari fondiari e i nazionalisti che erano stati espropriati si associarono alla borghesia ebraica e si scatenarono immediatamente in una vera e propria caccia alle streghe contro tutti quelli che avevano partecipato alla rivoluzione ed alle attività dell'organizzazione anarco-comunista. Essi non rispettarono il punto del «contratto» che prevedeva che in caso di capitolazione di Gulai-Pole, la popolazione ebraica sarebbe stata lasciata in pace. Furono proprio i grossi proprietari fondiari e i membri di «Prosvit» che catturarono il giovane anarchico Haim Gorelik e lo torturarono con la più grande crudeltà. Nestor Machno ne parla nelle sue memorie: Gorelik fu calpestato, gli sputarono negli occhi e dentro la bocca mentre lo schernivano chiamandolo ebreo testardo, e finirono con l'assassinare questo giovane rivoluzionario glorioso (16).
Certi grossi proprietari ebrei parteciparono assieme agli sciovinisti a questi baccanali di terrore. Tra essi si fece particolarmente notare un certo Levinsky, proprietario del saponificio (17). Stefano Chepel, Moïse Khalinitchenko e altri ancora morirono in circostanze atroci tra le mani dei terroristi controrivoluzionari.
Alla fine dell'aprile 1918, gli anarchici che riuscirono a sfuggire al terrore si riunirono a Taganrog in una conferenza dedicata esclusivamente al problema del golpe controrivoluzionario a Gulai-Pole ed alla necessità di trarre le conclusioni da questa triste esperienza. Quando si discusse delle cause della disfatta di Gulai-Pole, si affrontò anche il problema dei sentimenti verso la popolazione ebraica. Molte parole amare furono rivolte alla popolazione ebraica. Certi anarchici, casi isolati per la verità, arrivarono fino a proporre che cessasse ogni attività rivoluzionaria in comune con essa. Questo non aveva niente a che fare con l'antisemitismo, ma era, come disse Machno, un grido di sofferenza morale di quelli che si erano impegnati enormemente nella lotta contro l'antisemitismo e che vennero arrestati da degli ebrei che svolsero questo ignobile compito, la mano nella mano con gli antisemiti, e che erano pronti a custodire questi prigionieri fino all'arrivo a Gulai- Pole dei tedeschi, degli austriaci e degli sciovinisti ucraini, i veri responsabili dei pogrom, per consegnarli nelle mani dei carnefici (18).
Questo grido di sofferenza morale diminuiva a mano a mano che il tempo passava, sicché la risoluzione della conferenza di Taganrog sulla questione ebraica prevedeva che sul piano pratico e politico gli anarco-comunisti avrebbero continuato le attività rivoluzionarie con gli ebrei, nel mentre avrebbero combattuto ogni forma di antisemitismo. Questa risoluzione, presa in un momento che fu tra i più difficili sul piano dei rapporti tra le differenti nazionalità nella regione controllata dagli anarchici, testimonia della fermezza dei loro principi e della loro maturità politica.
Quando, molti anni più tardi, Machno analizzò la decisione della conferenza di Taganrog sulla questione ebraica dal punto di vista del ruolo giocato dal distaccamento controrivoluzionario a Gulai-Pole, egli potè legittimamente dichiarare con una certa fierezza: Tutti quelli che in generale chiamano i machnovisti istigatori di pogrom non fanno che mentire. Perché nessuno, neppure gli ebrei, ha lottato con altrettanto accanimento ed onestà contro l'antisemitismo e gli organizzatori di pogrom in Ucraina quanto lo fecero gli anarco-machnovisti (19). In effetti queste parole di Machno non erano una vanteria, perché esprimevano la concezione essenziale del movimento machnovista, concezione che fu la base stessa della politica nazionale degli anarco-comunisti.
Benché la Rada centrale fosse riuscita, con l'aiuto delle armi tedesche ed austriache, a conservare il suo potere in Ucraina, la sua posizione politica era nell'insieme molto precaria. La Rada non trovò appoggio né tra le masse popolari, che di fatto non ricevettero la terra e la libertà promessa, né tra le classi agiate, perché essa era nell'impossibilità di restituire loro i diritti di proprietà sui beni dei quali erano state private nel periodo precedente. Le autorità delle forze di occupazione si mostrarono ugualmente scontente della Rada centrale, poiché questa non adempiva ai propri impegni, relativamente alla consegna di prodotti agricoli e di materie prime per l'industria.

Tra restaurazione ed insurrezione armata
Alla fine di aprile i tedeschi la dissolsero e fu un gruppo di proprietari fondiari e di capitalisti reazionari (diretti dall'atamano Skoropadsky) a rimpiazzarla. Il regime dell'atamano si costituì sulla base dell'unione militare, politica ed economica delle forze controrivoluzionarie russe ed ucraine con l'imperialismo tedesco, unione che aveva per scopo la restaurazione in Ucraina e poi in Russia del potere dell'oligarchia fondiaria, finanziaria ed industriale. E' proprio per questa ragione che il regime di Skoropadsky iniziò con il ristabilimento di un'agricoltura di tipo feudale e kulak, così come con il saccheggio generalizzato della popolazione ucraina in nome delle alleanze collaborazioniste stipulate con la Germania e l'Austria.
Nel giugno 1918, l'Ucraina conobbe un periodo di spoliazione totale dei contadini sia del bestiame sia delle riserve di cereali di cui essi si erano appropriati al momento della spartizione delle terre dei grossi proprietari terrieri e dei kulaki, nella primavera precedente. In luglio, i contadini si videro obbligati a consegnare tutto il nuovo raccolto ai proprietari che tornavano, se questo raccolto proveniva dalle loro terre. Al fine di evitare la resistenza dei contadini, numerosi distaccamenti punitivi pattugliavano tutta l'Ucraina, ristabilendo l'ordine, mettendo tutto a ferro e fuoco e facendo scorrere il sangue. Allora i contadini poterono constatare con i loro occhi ciò di cui era capace la Rada centrale, e con essa i partiti che componevano la coalizione al potere.
I sentimenti antiautoritari e filo-anarchici dei contadini non fecero che aumentare e rafforzarsi grazie all'esperienza politica acquisita. I comunisti (e quelli dell'Ucraina in particolare) avevano scarsi contatti con i contadini. Le sole organizzazioni politiche che difesero in maniera attiva gli interessi dei contadini durante il periodo dell'occupazione dell'Ucraina furono quelle degli anarchici e dei socialisti rivoluzionari di sinistra. Furono proprio queste organizzazioni a trovarsi alla testa della lotta aperta delle masse tanto contro il regime dell'atamano Skoropadsky che contro i tedeschi e gli austriaci che lo sostenevano.
In questa lotta, i problemi nazionali e sociali si confusero tra loro e noi possiamo legittimamente parlare di una rivoluzione socialista ucraina particolare, durante la quale le unità insurrezionali, organizzate in primo luogo dagli anarco-comunisti sotto la direzione di Machno e poi dai socialisti rivoluzionari di sinistra, hanno schiacciato i tedeschi e tenuto il fronte contro le unità dell'armata bianca di Denikin e del direttorio di Petliura, molto tempo prima dell'arrivo in Ucraina dell'armata rossa nel gennaio 1919 che portò nel suo bagaglio il Governo sovietico provvisorio ucraino.
E' evidente che durante il periodo dell'espansione del movimento insurrezionale l'atteggiamento degli anarco-comunisti nei confronti degli ebrei non cambiò rispetto a quello dell'autunno del 1917. Era una politica di solidarietà rivoluzionaria con gli strati più poveri della popolazione ebraica e naturalmente una protezione degli ebrei contro ogni forma di antisemitismo. Machno stesso rievoca nelle sue «Note» (pubblicate dalla «Rivista anarchica» di Berlino, n° 5-6, 1923 già citate) un esempio tra tanti che illustra la maniera in cui gli insorti realizzarono questa protezione. Ecco i momenti più significativi di questo episodio. Ciò avvenne alla fine di dicembre del 1918.
Una parte delle truppe degli insorti machnovisti, in collegamento con alcuni distaccamenti dell'armata rossa sotto controllo comunista, combatteva contro le truppe di Petliura a Ekaterinoslav. Machno, che accompagnava i combattenti, ricevette un telegramma dallo stato maggiore di Gulai-Pole che lo informava del recentissimo arrivo di un distaccamento di partigiani, da poco ricostituito, diretto dal comandante Metla (secondo certe fonti, un socialrivoluzionario di Odessa). Questo distaccamento fu mandato dallo stato maggiore dell'esercito insurrezionale nel settore di Tsarekonstantinovsk posto agli ordini del comandante anarchico Kurilenko. Questi diede l'ordine di incorporare il distaccamento di Metla, politicamente poco sicuro, come una compagnia del reggimento insurrezionale.
Il distaccamento di Metla si oppose violentemente a questa decisione, rifiutò di obbedire e riguadagnò la sua regione devastando al suo passaggio una delle colonie ebraiche. Machno, fuori di sé, inviò immediatamente un telegramma a Gulai-Pole: Scegliere immediatamente i migliori combattenti del reggimento, e sotto il comando di una persona responsabile, inviarlo a prendere il distaccamento di Metla e disarmarlo. Fucilare il sobillatore. Sfortunatamente, i responsabili di questi crimini non furono fucilati perché si misero al sicuro al momento dell'inseguimento fuggendo fuori dai limiti di influenza dell'esercito insurrezionale. Tuttavia la notizia della distruzione della colonia ebraica arrivò rapidamente a tutte le unità insurrezionali e la reazione che provocò tra gli insorti mostra fino a che punto essi fossero intransigenti contro qualsiasi atto di antisemitismo.
Essa fu all'origine di molte indignate proteste. A giudicare dalle parole di Machno, molti degli insorti gli inviarono attraverso i loro comandanti delle dichiarazioni collettive del genere: Piccolo padre, noi siamo nella lotta gli autentici figli e figlie del nostro popolo. Credici, quando abbiamo appreso della devastazione della colonia ebraica n° 2 effettuata dal distaccamento di Metla, abbiamo immaginato quanto male ti abbia fatto. Credi, è con lo stesso dolore che tu provi, che noi subiamo questo disonore. Noi giuriamo che tra noi, nelle nostre unità, non vi è traccia di un simile comportamento nei confronti degli ebrei, e se tuttavia si manifestasse, noi lo annienteremmo in tuo nome. Sostienici!
In effetti egli li appoggiava con tutti i mezzi. Egli redasse e diffuse in tutte le unità un ordine secondo cui ogni saccheggio, ogni violenza o ogni assassinio commessi non solo contro gli ebrei, ma contro qualsiasi tranquillo cittadino di qualsiasi altra nazionalità, sarebbe stato punito con l'esecuzione di tutti gli ufficiali dell'unità che dava rifugio ai criminali. In questo stesso ordine, egli diceva con una sincerità toccante, che in caso di non obbedienza, egli si sarebbe tirato una pallottola in testa, «per non più vedere né sentir parlare di persone ignobili, che commettono crimini in mio nome».
In effetti, questo fu il grido di un'anima sofferente. Machno non credo abbia mai pensato seriamente di uccidersi per atti del genere, ma per quanto riguarda la prima parte dell'ordine (l'esecuzione del comandante e di tutti i partecipanti ai pogrom antisemiti), egli vi si attenne alla lettera. L'anarchico Alexandr Berkman, membro della commissione pan-russa incaricata di esaminare le crudeltà commesse dai soldati bianchi, ne testimonia. Egli testimonia ugualmente del fatto che Machno passava per le armi per partecipazione ai pogrom antisemiti, non solo gli insorti, ma anche i civili. Così, per esempio nell'articolo intitolato «Le menzogne bolsceviche sugli anarchici» pubblicato dal giornale «Notizie americane» del 17 maggio 1922, egli racconta che durante il pogrom contro la colonia ebraica «Gorkoe» del 12 maggio 1919, lo stato maggiore di Machno creò una commissione destinata ad esaminare i fatti. Essa constatò che gli ebrei furono massacrati da dei contadini del villaggio di Uspenovka. Benché questi contadini facessero parte dell'esercito di Machno, essi vennero condannati a morte per aver partecipato al pogrom. C'è una moltitudine di fatti analoghi, ma rievocarli tutti non aggiungerebbe niente di nuovo a quanto detto sopra.
Un'altra caratteristica del comportamento del movimento machnovista nei confronti degli ebrei, fu la sua pazienza esemplare, che si manifestò anche verso quelli che, ancorati ad un nazionalismo ottuso, si opponevano al movimento insurrezionale. Allorquando, per esempio, i già nominati Taranovsky e Charovsky si pentirono di aver tradito gli anarco-comunisti e si confessarono colpevoli davanti al segretariato anarco-comunista, essi vennero completamente graziati e la loro abominevole azione non arrecò loro alcuna conseguenza negativa. Entrambi occuparono in seguito dei posti importanti in seno al movimento rivoluzionario e insurrezionale. V. Taranovsky divenne perfino capo dello stato maggiore dell'esercito insurrezionale, al momento più cruciale della sua esistenza (la lotta contro Wrangel) e poi contro le unità dell'armata rossa comandate da Frunzé. Taranovsky e Charovsky rimasero fedeli al movimento anarco-machnovista fino alla fine.

I machnovisti e la questione nazionale
Sia sotto il profilo socio-economico, sia sotto quello politico o militare, il 1919 fu il più ricco di avvenimenti rivoluzionari di tutta la storia del movimento anarco-machnovista. Sul piano militare, l'anno cominciò con la creazione di un'armata insurrezionale di circa 30.000 volontari dell'est dell'Ucraina (20) e finì con l'organizzazione di un esercito insurrezionale di 250.000 machnovisti (21), esercito che schiacciò le truppe scelte di Denikin e che piantò le bandiere anarchiche nere e rosse a Kherson, Nikolaevo, Berdiansk e Mariupol al sud, a Ekaterinoslav al nord, da Krivoï-Rog a Volnovakha dall'ovest all'est. Sul piano socio-economico questo periodo fu quello della emancipazione economica delle masse lavoratrici dal «giogo dello stato» e quello dell'edificazione dell'anarcocomunismo nell'industria e nell'agricoltura. Sul piano politico, questo fu l'anno del trionfo e dell'espansione su tutto il territorio della «Repubblica d'Azov e del Mar Nero», dei «soviet non statali» che garantivano l'autonomia sociale dei lavoratori.
Quanto al tema principale del nostro scritto, e cioè il comportamento del movimento insurrezionale nei confronti della popolazione ebraica della regione, il 1919 fu l'anno del consolidamento dei principi internazionalisti dell'anarco-comunismo, cosa che si tradusse da una parte nella partecipazione massiccia della popolazione ebraica al movimento insurrezionale e, dall'altra, nel fatto che la politica «interna» ed «estera» del movimento fu nella maggior parte dei casi determinata proprio dalla necessità di proteggere la popolazione ebraica da tutti gli organizzatori di pogrom che raggiunsero l'esercito rivoluzionario e insurrezionale, venendo da regioni contaminate dall'antisemitismo. Si trattò, in questi casi, di elementi che si aggregavano all'esercito insurrezionale dopo aver combattuto nelle unità bianche e in quelle di Petliura. Se analizziamo il 1919 da questo punto di vista, bisogna prima di tutto sottolineare che esso comincia con una risoluzione speciale, un programma sulla questione nazionale, adottata all'unanimità dal secondo congresso dei soviet e delle unità insurrezionali tenuto nel febbraio 1919 a Gulai-Pole.
Questa risoluzione condannava i saccheggi, gli atti di violenza e i pogrom antisemiti, opera di ogni sorta di personaggi loschi che usurpano il nome degli insorti onesti. Questa risoluzione storica, ispirata da un grande senso del dovere internazionale nei confronti degli ebrei come degli altri gruppi nazionali, merita di essere citata integralmente, tantopiù che essa non fu pubblicata che una sola volta, a bassa tiratura a Gulai-Pole nel marzo 1919, cosa che ha fatto di essa una rarità bibliografica di cui gli specialisti ignoravano l'esistenza. Eccone il testo integrale.
Il secondo congresso regionale dei combattenti, dei soviet, delle unità e degli stati maggiori machnovisti, dopo aver ascoltato i rapporti dei delegati sui saccheggi, gli atti di violenza e i pogrom antisemiti che ci sono stati nella loro regione, decreta:
1) Tutti gli abusi sottoforma di saccheggi, di requisizioni arbitrarie e di violenze, attuati contro i cittadini pacifici sono perpetrati ed appoggiati da oscuri elementi controrivoluzionari che si sono infiltrati tra gli insorti onesti, disonorando così il nome dei rivoluzionari conosciuti ed incorruttibili che lottano per il trionfo della libertà e della giustizia.
2) L'antagonismo nazionale, traducendosi in certe località in pogrom antisemiti, è un'eredità del vecchio regime sorpassato ed autocratico. Il governo zarista istigava le masse lavoratrici poco coscienti contro gli ebrei, cercando di scaricarsi dei suoi crimini gettandoli addosso agli ebrei poveri e di distogliere così l'attenzione di tutti i lavoratori dalle cause reali delle loro disgrazie, come dal terrore dell'autocrazia zarista e delle sua soldataglia.
3) Al cospetto della rivoluzione sociale russa e mondiale che si annuncia, gli oppressi e gli sfruttati di tutte le nazionalità e di tutte le convinzioni politiche, sono insorti. Gli operai e i contadini del mondo intero, senza distinzioni di nazionalità, sono chiamati ad adempiere ad un compito comune importante, quello dell'abolizione del terrore della borghesia, la classe degli sfruttatori, dell'abolizione del giogo del Capitale e dello stato, e l'instaurazione di un ordine sociale nuovo fondato sulla libertà, la fraternità e la giustizia.
4) Gli sfruttati di tutte le nazionalità, siano essi russi, polacchi, lettoni, armeni, ebrei o tedeschi, devono raccogliersi nella stessa famiglia unita degli operai e dei contadini e, con un attacco possente, sferrare un colpo definitivo alla classe dei capitalisti, degli imperialisti e dei loro servi per liberarsi per sempre dal fardello del giogo economico e dell'imprigionamento spirituale.
5) Chiunque abbia preso parte agli abusi e agli atti di violenza di cui sopra è un nemico della rivoluzione e del popolo lavoratore, e deve venir fucilato sul luogo del suo crimine.
Abbasso il capitale e il potere! Abbasso i pregiudizi religiosi e l'odio nazionale! Viva la grande famiglia unita dei lavoratori del mondo intero! Viva la rivoluzione sociale! (22).

Quella batteria ebraica d'artiglieria
I fatti storici provano che questa risoluzione costituì la base di tutta la politica nazionale del movimento rivoluzionario e insurrezionale. Quando, per esempio, nel maggio 1919 il «capo cosacco rosso» Grigoriev organizzò una rivolta antisovietica iscrivendo sulle sue bandiere gli slogan di «indipendenza» e di «antisemitismo», questo fu uno dei motivi principali che spinsero Machno a dichiarargli guerra. In un appello straordinario dello stato maggiore dell'esercito insurrezionale («Chi è Grigoriev?»), Machno dichiarò apertamente che Grigoriev era un controrivoluzionario e un nemico dei lavoratori, tra l'altro perché egli erigeva l'antisemitismo a principio politico incluso nel suo «quarto decreto». «Chi è Grigoriev?» egli s'interroga in questo appello. Eccone qui la risposta: (...) (egli dice) che l'Ucraina è governata attualmente da coloro che hanno crocefisso il Cristo e da gente uscita dai bassifondi di Mosca. Fratelli, non sentite voi là un triste appello ai pogrom antisemiti?(23). Machno fu mosso anche da questa ragione internazionalista quando, dopo la rottura dell'alleanza obbligata che aveva concluso con Grigoriev per combattere Denikin, lo arrestò e lo fucilò come antisemita e organizzatore di pogrom.
La dedizione di Machno e del movimento insurrezionale che egli dirigeva all'internazionalismo, così come la sua lotta contro ogni forma di antisemitismo, risultava soprattutto dal fatto che nella regione di azione dell'esercito insurrezionale i posti di responsabilità tanto nel settore civile sia in quello militare erano affidati a rivoluzionari ebrei (Kogan fu presidente del soviet di Gulai-Pole, Taranovsky capo dello stato maggiore, Zinkovsky capo del controspionaggio, Eichenbaum «Volin» e Baron responsabili del servizio culturale ed educativo del consiglio militare e rivoluzionario, che era il dipartimento politico dell'esercito). D'altra parte (ed è molto importante!) massiccia fu la partecipazione della popolazione ebraica della regione insorta alla edificazione della nuova vita e, armi alla mano, alla lotta contro le truppe scelte del generale Skuro.
La batteria ebraica di artiglieria di Gulai-Pole, al comando di Abraham Schneider, si coprì di gloria imperitura. Essa affrontò l'unità di cavalleria di Skuro e quando si trovò senza munizioni, non fuggì come fece una divisione dell'armata rossa sovietica sul fronte sud, che fuggì presa dal panico, ma ingaggiò un combattimento corpo a corpo con la cavalleria nemica (24). I combattenti dell'unità ebraica perirono tutti, compreso il loro comandante, difendendo sino al loro ultimo respiro la libertà della loro regione insorta contro gli attacchi dei bianchi, organizzatori di pogrom. Tale fu l'atteggiamento degli ebrei che abitavano non solo Gulai-Pole, ma anche nelle località dei dintorni, Essi formarono tutti delle unità per venire inviati al fronte in prima linea e per combattere per la terra e per la libertà. Ed essi non ebbero esitazioni neppure trovando sul loro cammino dei vagoni che portavano gli slogan che N. Rochtchin aveva visto in questa regione.
E' evidentemente impossibile inventare qualcosa di più assurdo e di più ingiurioso per la memoria gloriosa di tutti gli insorti ebrei che hanno dato la loro vita al fronte, durante la guerra civile nella lotta contro i bianchi, delle ciarle inventate dall'ex-ufficiale bianco N. Rochtchin e quelle degli antisemiti contemporanei come Gamolsky, che continuano a calunniare il movimento machnovista e il popolo ebraico che vi ebbe una parte attiva. Va d'altronde sottolineato che nella storia dei rapporti di Machno col potere comunista ci fu un momento in cui, dal momento che era particolarmente interessato ad un'alleanza con Machno per potere opporre a Wrangel delle forze unite, il potere comunista fu obbligato a fare onestamente luce su certi aspetti del movimento machnovista (25).
Fu allora che uno dei rappresentanti più attivi del regime sovietico ad Ekaterinoslav, M. Ravic- Tcherkasky (ebreo anch'esso), affrontando il problema della politica internazionalista nella regione insurrezionale, scrisse nell'autunno 1920 nel suo opuscolo «Machno e il machnovismo»: Machno ed i suoi dirigenti ideologici non conducono alcuna propaganda sciovinista, né contro i «macellai» e i «vampiri moscoviti», come il capo cosacco Grigoriev, né contro «l'ebreo». Non ci si può esprimere meglio. Ma questo fu scritto tanto tempo fa, in circostanze in cui lo stesso Trotsky fu obbligato a smentire pubblicamente l'accusa rivolta a Machno da Yakovlev e Djerjinsky di essere stato legato a Wrangel e a Petliura (26).
Molto tempo è trascorso da allora, i testimoni di questi avvenimenti sono morti, la maggior parte nei campi staliniani, senza lasciare documenti scritti. E oggi è possibile calunniare impunemente Machno e il suo movimento, come è stato fatto da M. Spektor nella sua novella «Nell'antro di Machno». Bisogna tuttavia sperare che ciò non sarà eterno e che la verità storica finirà per vincere. Va sottolineato che gli stessi ricercatori ebrei che studiarono negli anni '20 la storia dei pogrom antisemiti in Ucraina sulla base di tracce allora fresche, negavano assolutamente che vi fosse stato un qualsiasi rapporto tra questi e il movimento machnovista.
«Il libro rosso dei pogrom del 1919/1920 in Ucraina», pubblicato nel 1922 a Kharbin, è un vero martiriologio di sofferenze inaudite subite dal popolo ebraico durante i pogrom che si svolsero in Ucraina. In questo libro impressionante, sono elencati tutti gli incidenti, anche i meno gravi, ispirati dai comandi di tutti gli eserciti possibili e da truppe di banditi. Ma non vi è mai accenno a pogrom antisemiti collegati al movimento machnovista. Il libro parla di machnovisti che «requisivano» i beni della popolazione ebraica degli strati agiati, proprio come (benché il libro non lo precisi) requisivano i beni di persone appartenenti ad altri gruppi nazionali. Ma si trattò di una politica sociale e non nazionale! Non poteva essere altrimenti, essendo un fatto che le bandiere nere e rosse degli anarco-machnovisti recavano lo slogan al quale essi erano inevitabilmente ed in ogni momento fedeli: «Per sempre con gli oppressi contro gli oppressori».

Vince l'armata rossa: Machno va in esilio
Nel 1920 l'esperienza, inedita prima di allora nella storia dell'umanità, dell'edificazione di una società senza stato, venne interrotta. Questa interruzione fu provocata anche dall'insufficiente preparazione di questa esperienza e dagli atti impulsivi degli anarchici, che ebbero come conseguenza le operazioni su grande scala dispiegate dal comando rosso contro l'esercito rivoluzionario e insurrezionale, immediatamente dopo la disfatta di Denikin, ottenuta grazie ai loro sforzi comuni. Nel corso di questa guerra fratricida, imposta agli insorti, l'esercito insurrezionale inflisse costantemente delle sconfitte alle unità dell'armata rossa (di più di 60.000 uomini ciascuna) che il governo sovietico potè inviare nella regione insorta, e questo al momento stesso in cui l'armata rossa subiva una serie di disfatte di fronte ad un nemico numericamente superiore, l'armata di Wrangel, che portava i suoi principali attacchi proprio nella regione insorta. E' solo quando Alexandrovsk, Berdiansk e Mariupol furono prese dai bianchi, e questi ultimi si diressero su Ekaterinoslav, che il governo della Russia si rivolse nuovamente agli insorti, per chiedere loro aiuto, come era stato nel 1918 e nel 1919.
Nell'ottobre 1920, venne conclusa tra il governo sovietico e l'esercito insurrezionale un'alleanza militare e politica che doveva durare appena poco più di un mese. Non appena Wrangel fu vinto, fu nuovamente dichiarata la guerra contro l'esercito insurrezionale: essa terminò nell'ottobre del 1921 con la conquista completa della regione insorta. A questo proposito, bisogna tuttavia ricordarsi che durante tutto questo tragico anno, l'armata insurrezionale non perse nessuna battaglia di fronte all'armata rossa e ciò sia sul piano strategico che su quello tattico.
E' sufficiente per questo rifarsi ai documenti pubblicati negli anni '20 dal giornale militare sovietico «La rivista militare» per comprendere che nello scontro che oppose Machno al comando rosso, la vittoria fu sempre riportata dal primo. E se, malgrado tutto, l'esercito insurrezionale venne annientato, è perché tutte le unità che prima combattevano contemporaneamente Wrangel, Machno e la Polonia, si volsero da quel momento unicamente contro l'esercito insurrezionale. Questo non fu schiacciato, ma si consumò nel corso di combattimenti contro le forze numericamente superiori del nemico. In agosto, Machno espatriò con un piccolo gruppo di partigiani. A partire dal 1925, egli si stabilì a Parigi, dove lavorò come pittore e decoratore in uno studio cinematografico.
Con l'annientamento dell'esercito insurrezionale e di tutto il movimento anarco-comunista, crollò la speranza del movimento ebraico rivoluzionario ucraino di trovare un nuovo Sion: ma crollò solo momentaneamente, per rinascere come l'araba fenice dalle sue ceneri, altrove ed in un altro momento. Ammettiamo tuttavia che se questa rinascita non ha preso direttamente la forma che avevano sognato gli ebrei del movimento machnovista, questa fu fino ad un certo punto vicina alle loro idee di rinascita del sentimento nazionale ebraico. Ciò avvenne, è vero, nel quadro di uno stato, ma di uno stato al servizio di tutte le nazionalità e non solo di alcune, dove, come l'esperienza storica testimonia, gli ebrei in quanto nazione non sono mai arrivati ad acquisire il loro Sion. V. Grossman ne parla in modo pittoresco nel suo libro «Vita e destino». La storia si dimostrò in effetti molto più complicata dell'idea che se ne facevano gli insorti machnovisti e i loro vicini rossi del nord.
Bisogna riconoscere malgrado tutto che dal punto di vista della prospettiva storica, la verità era più dalla parte degli insorti che dei loro avversari. La storia dimostra che l'indipendenza e la rinascita nazionale non sono possibili che attraverso l'indipendenza sociale, l'autodeterminazione sociale, anche se sotto una forma statale.
In qualità di capo del movimento insurrezionale in Ucraina, Machno ha dei meriti incontestabili in questo senso anche agli occhi del popolo ebraico. Essi consistono non soltanto nel fatto che nel corso degli anni sanguinosi della guerra civile, egli ha agito in ogni momento come suo difensore contro gli istigatori di pogrom e contro i persecutori di ogni genere, ma ancor più per il tentativo di soluzione «non autoritario» del problema nazionale ebraico, che contribuì ad approfondire ed a chiarire la questione relativa alle vie e alle forme della questione nazionale ebraica.
Tutto lascia credere che già dal tempo in cui Machno viveva in esilio, gli ebrei cominciassero a rendersi conto della sua importanza in quanto difensore della rinascita ebraica. Infine, anche se in una forma distorta, persino i giornali dell'emigrazione bianca sono arrivati a riconoscere questo fatto, benché essi prima non l'avessero compreso per niente. Furono così obbligati a constatare con perplessità che a Parigi Machno frequentava sempre un ambiente di ebrei e che di tutti i giornali non anarchici, il solo che ne parlò con simpatia al momento della sua morte, sopravvenuta nella notte del 25 luglio 1934, fu un giornale ebraico di Parigi (27). Non c'era niente di straordinario in questo.
Machno meritava a buon diritto che il popolo ebraico lo rispettasse e onorasse la sua memoria, così come non è sorprendente che Machno si sia fatto cremare e tumulare nel cimitero del Pére Lachaise (urna n° 3934), come altri rivoluzionari e difensori della causa dei lavoratori del mondo intero.
E' dunque logico che egli riposi nella capitale storica della libertà in Europa, a fianco di uomini che hanno dato le loro vite per il bene dell'umanità, e non nel suo paese natale, dove solo il popolo serba un buon ricordo di lui, mentre la propaganda ufficiale fa il pari con la stampa dell'emigrazione bianca.

Mosca, 18 giugno 1982

1) V.V. Rudnev, La Makhnovstchina, Kharkov 1928, pp. 90-91.
2) E. Goldman, L'anarchismo, Mosca 1921, p. 7.
3) CGAOR, Dipartimento di polizia, fondo 102, registro 600, per l'anno 1904, foglietto 156.
4) N. Machno, La mia autobiografia, dal giornale L'Alba. n. 556 dell'8/1/1926, Chicago.
5) CGAOR, Dipartimento di polizia, sezione speciale, fondo 102, registro 700, capitolo 35, p. 5.
6) ibid., p. 36.
7) ibid., p. 42.
8) V. Antoni, Memorie di un rivoluzionario di Gulai-Pole, p. 6, Museo regionale di Gulai-Pole.
9) N. Machno, La mia vita in prigione, dal giornale L'Alba. n. 559.
10) N. Machno, La rivoluzione russa in Ucraina, Parigi 1929, p. 9. (ed. italiana: La Fiaccola, Ragusa 1971).
11) ibid., pp. 71-72.
12) Ibid.
13) La dittatura bolscevica nel mondo anarchico, studio collettivo edito dall'organizzazione degli anarco-comunisti russi Dielo Truda, Parigi 1928, p. 10.
14) Tsirulnikov, Israele, anno 2000, nella rivista Vremia i my (I tempi e noi), n. 61, 1981, p. 131.
15) Narodnaia Jitia (La via del popolo), giornale, 1° dicembre 1917, Ekaterinoslav.
16) N. Machno, La rivoluzione ucraina, Parigi 1937, pp. 20-21.
17) Ibid.
18) N. Machno, Sotto i colpi della controrivoluzione, Parigi 1936, p, 19. Questa opera è apparsa, due anni dopo la morte di Machno, sotto la direzione di V. Volin (Eichenbaum), che era perfettamente al corrente della situazione nella regione machnovista e che ... (manca una riga nell'originale russo).
19) ibid.
20) V. Bielache, La Makhnovstchina, dalla rivista Annali della rivoluzione, Kharkov 1928, n. 3(30), p. 221.
21) V. Bielache, La Makhnovstchina (1917-21), testo dattiloscritto, Kharkov 1930, p. 395. Attualmente, questo testo si trova negli archivi di storia del partito, presso l'ufficio del CC del partito comunista d'Ucraina, Kiev, fondo 55, registro I, n. 332.
22) Resoconto del congresso regionale dei soldati, dei contadini e degli operai della regione di Gulai-Pole, Gulai-Pole 1919. Fino alla seconda guerra mondiale, questo documento intitolato Resoconto del 2° congresso dei soldati, dei soviet e delle unità del fronte tenuto il 12 febbraio 1919 a Gulai- Pole, è stato conservato negli archivi dei commissari del popolo d'Ucraina, dossier n.604,9(47-7), p.79.
23) Il testo integrale di questo appello è pubblicato nel libro di P. Archinov, Storia del movimento machnovista, Berlino 1923, pp. 112-115. In italiano La rivoluzione anarchica in Ucraina. Storia del movimento machnovista (1917-21), Sapere Edizioni, Milano 1972, pp. 117-120.
24) Antonov-Ovseenko, Note della guerra civile, t. 4, M.-L. 1933, p.53.
25) N. Machno, Memorie, in Rivista anarchica, Berlino 1923, n. 5-6.
26) L. Trotsky, Machno e Wrangel, in Come la rivoluzione si procurò le armi. t. 2, M.P. 1923.
27) Cfr. l'articolo Batko Machno (in forma di necrologio) nella rivista Vozrozdenie (Rinascita), Parigi 28/6/1934.
28) V. Volin (Eichenbaum), Nestor Machno (necrologio) nella rivista Dielo Truda (La causa del lavoro), Parigi ottobre-novembre 1934, p. 7.

Per saperne di più

Sulla machnovcina non c'è - in italiano - granché da leggere. Una dozzina di anni fa le Edizioni La Fiaccola (via S. Francesco 238, 97100 Ragusa) hanno pubblicato il primo dei tre volumi delle memorie di Machno con il titolo La rivoluzione russa in Ucraina, marzo 1917 aprile 1918 (pagg. 287, lire 2.000): gli altri due volumi, purtroppo, non sono ancora stati pubblicati (né ci risulta che qualcuno stia per pubblicarli). Due sono le storie della machnovcina tradotte in italiano, quella di Arscinov e quella di Volin. Piotr Arscinov, stretto collaboratore di Machno anche in esilio (ma negli anni '30 abiurò pubblicamente l'anarchismo, aderi al marxismo, fu «perdonato» dagli stalinisti e potè rientrare in URSS per poi scomparire definitivamente nell'arcipelago gulag), ha scritto La rivoluzione anarchica in Ucraina (Sapere Edizioni, Milano 1972, pagg. 327, lire 3.000). La rivoluzione sconosciuta (Edizioni Franchini, Carrara 1976, due volumi per complessive pagg. 426 e lire 14.000) è invece il titolo dell'opera di Volin (Eichenbaum), altro stretto collaboratore di Machno.
Riferimenti più o meno estesi alla machnovcina si trovano anche in quei volumi che si occupano del filone libertario della rivoluzione russa, primo fra tutti L'altra anima della rivoluzione russa di Paul Avrich (Edizioni Antistato, Milano 1978, pagg. 327, lire 6.000). Interessanti sono pure: E. Goldman, La sconfitta della rivoluzione russa e le sue cause (Edizioni La Salamandra, Milano 1977, pagg. 65, lire 2.200); Paul Avrich, Gli anarchici nella rivoluzione russa (Edizioni La Salamandra, Milano 1976, pagg. 220, lire 4.500); Alexandre Skirda (a cura di), Gli anarchici russi, i soviet, l'autogestione (CP editrice, Firenze 1978, pagg. 96, lire 1.500); G.P. Maximoff, Gli anarcosindacalisti nella rivoluzione russa (CP editrice, Firenze 1978, pagg. 39, lire 350). Per non parlare, poi, dei numerosi volumi e saggi pubblicati sulla rivolta di Kronstadt.


Anarchici in URSS: 1903-1921

L'anarchismo russo affonda le sue radici in alcuni filoni specifici della società e della cultura russa. Si pensi, per esempio, alla secolare tradizione del villaggio, con la sua dimensione comunitaria. O, sul terreno più specificamente politico, al populismo ed al nichilismo russi, che tanta importanza ebbero nella seconda metà dell'800.
Benché la Russia fosse stata la patria di Bakunin e di Kropotkin, due dei «padri fondatori» del pensiero anarchico, non vi fu al suo interno, se non a partire dal 1903, un movimento anarchico propriamente detto. Nella primavera di quell'anno, mentre si avvertivano nell'aria i presagi della rivoluzione che scoppierà due anni dopo, nacque a Bialystock un gruppo formato da una dozzina di militanti. Durante la rivoluzione del 1905 i gruppi anarchici proliferarono, aumentando i propri aderenti grazie alle numerose defezioni di ex-bundisti (socialdemocratici ebrei), di ex-socialrivoluzionari e di ex-membri del partito socialista polacco, fino a raggiungere, nella sola Bialystok, il numero di dodici con 200 militanti attivi.
Rapidamente i gruppi anarchici si diffusero su tutto il territorio fino a raggiungere le città più importanti, quali Mosca, Pietroburgo, Kiev, Odessa, ecc., rappresentando la punta di diamante del movimento rivoluzionario. All'interno del movimento anarchico le tendenze più significative erano rappresentate dagli anarco-comunisti, dagli anarco-sindacalisti e dagli anarco-individualisti, anche se questi ultimi formavano gruppi di tipo culturale e filosofico.
Alla sconfitta della rivoluzione del 1905 segui una dura repressione. Molti furono gli anarchici imprigionati e giustiziati, mentre i più fortunati riuscirono a fuggire in Occidente.
Il movimento risorse nel 1911 attorno ad alcuni studenti moscoviti e continuò lentamente a rafforzarsi fino al febbraio 1917.
La rivoluzione di febbraio trovò gran parte degli anarchici nelle galere o in esilio. In seguito alla liberazione dei detenuti e al rientro dei fuoriusciti, il movimento si diffuse a macchia d'olio, soprattutto nei centri impregnati di una forte tensione rivoluzionaria.
Il periodo che va dalla rivoluzione di febbraio a quella di ottobre vide gli anarchici battersi in prima fila contro il governo provvisorio. Nei mesi seguenti le giornate di febbraio, gli anarchici di Pietrogrado occuparono la dacia di P.P. Durnovo, una villa di proprietà dell'ex-governatore generale di Mosca. In seguito al tentativo di requisizione della stamperia di un giornale borghese da parte degli occupanti della dacia, il governo provvisorio diede un ultimatum di 24 ore agli anarchici per abbandonare la dacia. Vi furono una serie di agitazioni che culminarono il 18 giugno con una grande manifestazione di protesta, nel corso della quale un gruppo di anarchici assalì la prigione di Vyborg liberando numerosi detenuti. La dacia fu assalita dalle forze del governo provvisorio che uccisero un anarchico e ne arrestarono una sessantina.
Il 3-4-5 luglio vi furono imponenti manifestazioni di tutti gli elementi radicali (operai, soldati, marinai) che chiedevano la caduta del governo provvisorio e la testa di Pereverzev responsabile dell'assalto alla dacia di Durnovo. A questa insurrezione fallita seguirono nuovi arresti di anarchici e di appartenenti agli altri gruppi radicali. Fuorviati dal massimalismo libertarieggiante espresso in quel periodo da Lenin, molti anarchici appoggiarono i bolscevichi nella preparazione del colpo di stato dell'ottobre.
Nella seconda settimana di ottobre, il soviet di Pietrogrado costituì un comitato militare rivoluzionario, sotto la guida di Trotsky, e del quale, oltre a 48 bolscevichi e 14 socialrivoluzionari di sinistra, facevano parte anche 4 anarchici. Questo comitato coordinò le truppe che presero d'assalto il Palazzo d'Inverno e che spianò la via alla dittatura bolscevica.
Tra il 1917 e il 1918 gli anarchici di Pietrogrado riuscirono a stampare un quotidiano, Burevestnik (la Procellaria), che raggiunse la diffusione di oltre 25.000 copie. Nello stesso periodo gli anarchici moscoviti stamparono il loro quotidiano Anarkhiia.
L'eccezionalità della situazione, rappresentata dagli attacchi delle armate contro-rivoluzionarie di Denikin, Judenic e Kolciak, posero gli anarchici di fronte al dilemma: continuare a combattere il governo sovietico o aiutare i bolscevichi a liquidare i contro-rivoluzionari, rimandando poi la terza fase della rivoluzione. L'atteggiamento degli anarchici di fronte a questa situazione si suddivise in tre tendenze: la collaborazione attiva, un atteggiamento passivo, opposizione dura al regime comunista. Gran parte degli anarchici optarono per la prima soluzione. Quando però la tensione esterna cominciò ad allentarsi, grazie anche al contributo degli anarchici dei soviet e dei partigiani machnovisti, i bolscevichi procedettero sistematicamente all'eliminazione, sia politica che fisica, del movimento anarchico.
Nel marzo 1921 i marinai e gli operai di Kronstadt, ribellatisi al potere bolscevico, diedero inizio alla «terza fase della rivoluzione» caratterizzata da una forte tendenza libertaria (anche se gli anarchici influenzarono scarsamente il moto). La rivolta venne repressa nel sangue e uguale destino toccò nello stesso periodo al movimento machnovista in Ucraina.
Tra massacri e arresti finiva così di esistere il movimento anarchico russo. Il movimento, non l'anarchismo.