Rivista Anarchica Online
Ancora sulla nonviolenza
Io e Marco Serventi siamo d'accordo? Forse. Ma non basta. Il problema dell'uso della violenza non si
può esaurire attraverso chiarifìcazioni teoriche, proprio perché è un problema essenzialmente pratico.
Si misura di fronte alle situazioni con cui si trova a confrontarsi l'essere umano. La ricerca teorica serve
a definirsi una linea di condotta che si rifaccia a ponderati principi etici, ma ritengo che non sia una
soluzione definitiva. Coinvolge nel profondo il modo di essere dell'essere umano, non lo assolve di
fronte ad eventuali sconfitte o presunte vittorie, di fronte all'evento storico. E in una prospettiva di
trasformazione sociale siamo costretti a misurarci con la storia. Il mio antiviolento coincide col nonviolento di Marco. Allora dove si situa la differenza di scelta tra
la mia e la sua scelta, o la scelta di Gandhi? Penso che sia nel fatto che per accettare un'azione violenta,
il presunto nonviolento debba aspettare una situazione disperata, quando è inesistente l'efficacia di
posizioni nonviolente. E' facile sostenere che tutto ciò sa più di azione reattiva che di azione vera e
propria. Personalmente ritengo che non sia necessario, anzi è facilmente castrante, attendere che una
situazione degeneri nella disperazione. Se ci sono le possibilità, da un punto di vista anarchico, è
eticamente giusto attaccare anche in modo violento, come per esempio può accadere in una
insurrezione. Il punto di riferimento della scelta è la liberazione da un regime sociale iniquo, per avere
la possibilità di costruire una società nuova. Mi sembra che il discorso di Marco rischi di cadere nell'ambiguità. Troppo vaghi stanno diventando
i confini tra un comportamento e l'altro. C'è il sospetto che la cosa sia vissuta a livello conflittuale e
perciò non riesce ad essere chiara. Da una parte la ricerca di una estrema coerenza rispetto ai principi
nonviolenti; dall'altra la consapevolezza, o la paura, che spesso possa essere impraticabile. Così
l'accettazione, probabilmente vissuta col senso di colpa, di reazioni violente di fronte a regimi talmente spudoratamente sadici e ingiusti da
provocare istinti di morte. Dal mio punto di vista tale comportamento, oltre ad essere facilmente
incoerente, denota debolezza e poca chiarezza di idee. Quando poi si asserisce che in situazioni come il Salvador o il Guatemala, l'anarchico nonviolento
Marco Serventi si sente moralmente autorizzato a partecipare all'esercito di «liberazione», nella
lotta condotta da quei guerriglieri contro i regimi militari che opprimono quei popoli, allora il
discorso si fa complesso e non può essere buttato là con faciloneria. Secondo le informazioni che
abbiamo, e sono le informazioni a portata di tutti, i cosiddetti eserciti di liberazione posti come
esempio non danno proprio l'idea di opporre una società nuova a quella che stanno combattendo.
La logica militare e totalitaria che li muove, da un anarchico non può essere confusa con una logica
di liberazione. E' la storia di questo secolo che si riconferma. A un potere militare se ne oppone un
altro, con posizioni ideologiche differenti, ma nell'essenza totalitario, oppressivo, sanguinario.
Quelle lotte, condotte militarmente all'insegna di una falsa liberazione, rientrano nelle strategie di
influenza militare dei due blocchi che dividono il mondo, cioè sono nell'essenza conservatrici. Un
anarchico non può osteggiare l'odiato imperialismo americano accettando il militarismo totalitario
di stampo marxista, tanto più se si definisce nonviolento. E i regimi militari dell'America latina, o quelli dell'Africa, o il regime biecamente religioso di
Komeini, o l'U.R.S.S., o i regimi dell'Indocina. Non ho voglia di continuare. Ovunque i sistemi di
potere in auge si reggono sull'oppressione sanguinaria, in alcuni casi sul genocidio. Ovunque
l'opposizione è resa inoperante e annientata con sistemi sadici e inquisitori. Ovunque l'azione
nonviolenta si annulla di fronte al sadomasochismo del potere, sempre più vorace. Una logica di liberazione non può essere racchiusa in una diatriba che oppone violenza a
nonviolenza. A mio avviso dev'essere inserita in un contesto teorico che superi questo momento
etico imposto dal potere.
Andrea Papi (Forlì)
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