Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 106
dicembre 1982 - gennaio 1983


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Assassinio a Montelupo
di Peppe Sini (del «comitato democratico contro l'emarginazione»)

La riforma sanitaria del '78 ha «abolito» i manicomi: con quali limiti ed in quale contesto lo chiarisce efficacemente Meneguz nell'articolo che pubblichiamo in queste pagine (e che prosegue il discorso avviato sempre da Meneguz sul numero scorso). Ma non ha nemmeno formalmente toccato i manicomi giudiziari, quegli infami istituti che il linguaggio burocratico del potere definisce «ospedali psichiatrici giudiziari». Una cortina di complice silenzio circonda l'inferno di queste istituzioni totali, da sempre utilizzate anche come spauracchio per tutti quei detenuti che non accettano le «regole del gioco» carcerario e le infrangono mossi dalla disperazione. Ogni tanto qualcosa trapela da Aversa, da Barcellona Pozzo di Gotto, dagli altri manicomi giudiziari. E sono storie allucinanti, violenze quotidiane, abiezioni disumane, persone dimenticate e stritotale dalla macchina giudiziaria, ecc .. Poi il caso si smorza e tutto torna come prima. Contro questo silenzio, contro queste istituzioni criminali e criminogene, però, qualcuno si muove. Tra gli altri, a Viterbo, il «comitato democratico contro l'emarginazione» del quale pubblichiamo qui l'ultimo comunicato-stampa relativo al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino.

E' fissato per il primo dicembre il processo contro la direzione e i sanitari del manicomio criminale di Montelupo Fiorentino incriminati per omicidio colposo in relazione alla morte di Antonio Martinelli, avvenuta nel lager toscano il 4 giugno del 1977.
La scadenza è importante perché questo processo, e le iniziative che il «comitato d'inchiesta per la morte di Antonio Martinelli» realizzerà contemporaneamente ad esso, costituiscono una occasione davvero unica per una verifica e un rilancio del movimento che dal '75 in qua, con vicende alterne, si batte per l'abolizione dell'istituzione «Ospedale Psichiatrico Giudiziario» .
La morte di Antonio Martinelli, ma ancor più l'itinerario della sua vita che va a conficcarsi ed estinguersi nel lager di Montelupo, è esemplare, riassume ed illustra limpidamente la violenza costitutiva dell'OPG, della sua ideologia, della sua funzione, dei suoi meccanismi, della sua omogeneità tutt'altro che eccezionale al sistema sociale capitalistico, della sua inserzione piena e razionale, efficace ed efficiente, all'interno del circuito del controllo e dello sfruttamento, dell'oppressione e dell'emarginazione.
Antonio abitava a Testuccio, un quartiere-ghetto di Spoleto, lavorava come imbianchino, un lavoro precario e sottopagato; da un certo periodo soffriva di crisi depressive ed era seguito dal Centro d'Igiene Mentale. Il 26 maggio ha una lite col padre che riporta ferite poi guarite in otto giorni. Antonio viene arrestato con l'accusa di tentato omicidio, è agitato, si sente male e viene portato in ospedale, dove viene trovato sano di cuore. In preda all'angoscia Antonio, restato solo in ospedale, tenta di fuggire; è ripreso e portato in carcere, alla Rocca di Spoleto; due giorni di isolamento e pestaggi da parte degli agenti, quindi il trasferimento al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, dove è rimasto (salvo la breve parentesi di un ricovero al centro traumatologico di Firenze) fino alla notte del 4 giugno, quando muore per disidratazione, cioè insufficienza di liquidi nell'organismo, ovvero - in termini più crudi e quotidiani - di sete, legato sul letto di contenzione. Solo per la generosa mobilitazione dei suoi amici e dei militanti della sinistra di Spoleto il suo caso non è stato archiviato come il solito «collasso cardiocircolatorio».
La sua storia, come quella di Antonia Bernardini bruciata viva sul letto di contenzione nell'OPG di Pozzuoli (poi chiuso), come quella di tante altre persone assassinate e seviziate in questa istituzione mostruosa e chiaramente anticostituzionale, non deve essere dimenticata, impone a tutti i democratici il dovere di combattere fino alla sua abolizione l'istituzione manicomiale giudiziaria che cumula gli orrori, le orribili funzioni, del manicomio e del supercarcere, terminale della repressione e del controllo sociale inventato da Lombroso e attualmente regolamentato dal Codice Rocco, in cui ancora sono reclusi oltre 1.500 persone, di estrazione proletaria e sottoproletaria nella stragrande maggioranza, con la presenza di un'élite privilegiata di grandi criminali, mafiosi, fascisti, ricchi, che vi transitano con tutti gli agi sfuggendo a legittime condanne carcerarie col trucco della «seminfermità mentale».
In un paese che giustamente ha fatto la scelta di chiudere i manicomi, riconoscendone la natura puramente custodialistica e la funzione antiterapeutica, l'abrogazione dei manicomi criminali è una determinazione necessitata moralmente e politicamente.
Mentre tornano i paladini dei lager, i vari parlamentari e ministri DC, PRI, PLI e PSDI presentatori di proposte di legge per la riapertura e l'edificazione di manicomi e lazzaretti, è indispensabile difendere ed applicare la riforma dell'assistenza psichiatrica, nata da decenni di lotte antistituzionali dal notevole spessore politico e culturale e sancita dalle leggi 180 e 833 del 1978; la lotta per l'abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si pone come irrinunciabile aspetto e rilevante contributo per una prassi di comprensione e disvelamento del disagio e della sofferenza, di solidarietà e di liberazione dell'uomo dall'alienazione, dalla segregazione, dall'oppressione sociale.